PSYCHOMEDIA Telematic Review
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Sezione: SCIENZE E PENSIERO
Area: Sociologia
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Le politiche del personale nelle aziende pubbliche ( gli aspetti sociologici )
di Giovanni Cozzolino e Felice Marra (*)
All’interno del concetto racchiuso nei termini iniziali di “politiche “ e “personale” esiste una grande miscellanea armonica e fascinosa di conoscenze, esperienze empiriche, tecniche , modelli , in cui coesistono varie discipline umanistiche e scientifiche, che agiscono in quasi istintuale sinergia nel professionista che opera in questo campo.
Basti solo il pensare a un qualsiasi coagulo sociale nel quale si mescolano, relazionandosi, più soggetti, per rendersi conto di quale complessa poliedria fatta di interessi, obiettivi, dinamiche, livelli di comunicazione, mondi psicologici, conflitti silenti, nei quali ci si va ad immergere.
Chi si occupa da studioso e da operatore in un settore tanto vasto quanto complesso come quello delle politiche del personale intraprende quotidianamente un “viaggio” difficoltoso e periglioso all’interno di queste costellazioni, dovendosi di continuo destreggiare all’interno di equilibri delicati e spesso strategici , avendo su di se la responsabilità di indirizzarli verso un certo fine e, contemporaneamente, ponendosi continuamente il problema di non alterali in nessun modo.
Molto speso questo campo applicativo nelle aziende pubbliche, come in quelle private, viene paragonato ad una continua e difficoltosa partita a scacchi.
Si potrebbe aggiungere che, oltre alla normale difficoltà di una scacchiera, i singoli “pezzi” non sono costituiti da inerte materia, ma sono persone…uomini e donne con le loro passioni, le loro imperfezioni, le loro qualità, le loro manchevolezze, le loro gioie ed i loro dolori personali, i loro sogni le loro delusioni e quanto altro ancora.
Un dirigente chiamato a questo compito in una azienda pubblica, spesso più vasta di una privata, avverte normalmente su di se tutto questo, ma il più delle volte “sente” di potercela fare.
Non è sempre così.
Le difficoltà che si presentano sono radicate in quei due termini iniziali di cui si accennava in apertura: “politiche” e “personale” .
Analizzando l’etimologia di questi termini si evince che la politica, (dal greco polikòs ) è una definizione che risale ad Aristotele in epoche in cui la cultura ellenica aveva prodotto il raffinato concetto socio strutturato della polis.
Concetto, legato a quello di comunità, nella quale i singoli sono legati dall’interesse verso il bene comune. E’ altresì vero che la polis prevedeva anche uno spazio comune al quale tutti i cittadini partecipavano.
In una interpretazione moderna di questa iniziale coniazione la politica rappresenta l’allocazione di valori imperativi (cioè di decisioni) in ambito comunitario. Per G. Sartori la politica è “la sfera delle decisioni collettive sovrane”. Per cui la capacità decisionale rappresenta una inderogabile componente della politica intesa come forza propulsiva tra il dire ed il fare - ed è qui che si evince la prima grande difficoltà in una gestione “politica” di una comunità: “decidere”. Tale accezione assume poi tutta la sua rilevanza quando le politiche del personale di una Azienda Pubblica non le svolge solamente l’Azienda stessa, ma anche i soggetti sindacali che interagiscono e che oggettivamente sono portatori di interessi contrapposti. Di fatto le relazioni, gli incontri i confronti se pur duri e a volte aspri, devono comunque portare a una decisione, che può portare a un equilibrio tra le parti ( accordo) oppure può evolvere in una scelta unilaterale (mancato accordo). Comunque sia, la garanzia di rispettare le dovute relazioni con lealtà, non deve escludere la capacità decisionale in un ottica di proficua collaborazione e coraggio delle scelte con assunzione di responsabilità del proprio operato.
L’altra grande difficoltà è racchiusa nel termine “personale” il quale deriva dalla radice :”persona” di derivazione anch’essa greca pròsopon cioè “maschera dell’attore” termine entrato a far parte dell’idioma italico tramite l’etrusco “phersu”.
Il significato mette in risalto quello che è il fattore determinante del noumeno persona: la maschera, ergo l’interpretazione di un ruolo, quindi l’estrema dinamicità del concetto stesso di un essere umano che, all’interno di un gruppo è, e diviene una persona agente comunicando innanzitutto attraverso maschere conseguenti a situazioni mutevoli nel tempo e nello spazio.
La comunicazione delle persone è sempre connessa alla maschera che riveste in un dato momento e in un determinato spazio. La sommatoria di questi due elementi: spazio-tempo da origine alla situazione sociale, che definisce il Ruolo, che la maschera a sua volta deve recitare.
Quindi la seconda, grande difficoltà nella gestione di una politica del personale è: “comunicare”.
Spesso si sente pronunciare in diverse occasioni, da interlocutori occasionali la metafora secondo la quale la “vita è commedia”. Ove il termine stesso sembra essere traslato dalla musa del teatro.
Per i padri della lingua italiana il vocabolo indica un componimento che comporta un lieto fine, il cui stile fosse medio, collocandosi a metà strada tra la tragedia e l’elegia.
Definire quindi la vita umana una commedia non è affatto una metafora, ma più che altro un termine diverso per definire un vissuto o, il vissuto della vita. Una via di mezzo tra la tragedia nella quale in malo modo essa può terminare e, al contrario una elegia un finale felice.
La commedia è una mediazione tra questi due estremi comunque possibili.
Il terzo fattore interveniente quindi, di cui deve occuparsi che si occupa di politiche del personale intesa come difficoltà è ; “mediare”.
La figura del responsabile:
Quali sono le caratteristiche professionali, umane, comunicative, empatiche, esperenziali, che un professionista deve possedere per accingersi a ricoprire un ruolo di responsabilità in un settore, reparto, staff, o gruppo che si occupa di politiche del personale?
Il quesito è complesso e la risposta non può che esserlo parimenti. Cominciamo con il dire che le competenze specifiche di carattere professionale devono necessariamente estendersi su tre settori distinti ma sinergici.
Ipoteticamente a capo di un servizio deputato alla gestione delle politiche del personale accorerebbe una triade di professionisti interdipendenti con mansioni uguali e deputati a turno al comando della strutture con tempi di inizio e fine determinati.
Questo modello ottimale difficilmente può essere agito, anche se in talune strutture molto vaste e molto complesse (es. Human Service Reserch della N.A.S.A.) questo è stato esperito, in quanto complesso e difficile implementazione.
Ma, sempre seguendo questa ipotetica possibilità, la triade in questione dovrebbe essere formata da : un esperto in comunicazione interpersonale e sistemica, un sociologo o uno psicologo sociale, un esperto in processi giuridico/amministrativi.
Costoro dovrebbero aver già maturato esperienza di campo, molto meglio se anche in realtà estere e preferibilmente in ambito privatistico. Al di là di queste caratteristiche puramente tecniche, gli aspetti personologici e caratteriali ricoprono pari importanza di quelli professionali. Da un punto di vista strettamente socio-psicologico appoggiandoci ai fondamentali della socioterapia l’equilibrio psichico del soggetto (o dei soggetti) incaricati di tale responsabilità dovrebbe obbedire ad una formula basica :
Rr. = (Inv.cog. + Inv.emot.)
Dove : Rr. = Rappresentazione di realtà , Inv.cog. = Investimento cognitivo
Inv.emot. = Investimento emotivo.
Sostanzialmente una equilibrata rappresentazione generale della realtà che nella formula può essere definita con 50%+50% e, più specificatamente delle varie realtà che fluttuano e spesso coesistono in un unica situazione temporale, genera e mantiene la razionalità pragmatica , ma duttile che consente di decidere . tale parte pragmatica, quindi cognitiva deve avere un posto importante nel modello di pensiero del professionista, si potrebbe dire che tale aspetto ha una parte importante nella sua “forma mentis” e nella sua operatività futura. La capacità ad agire in senso pragmatico ha necessariamente bisogno di una solidissima base professionale di conoscenze, che vanno alimentate di continuo,con aggiornamenti nelle varie discipline componenti il suo campo operativo quotidiano.
Questo a sua volta genera un percorso unidirezionale senza tentennamenti e senza dannosi ripensamenti .
Il campo delle politiche del personale è strettamente correlato alla sfera delle relazioni sindacali che è un sistema di regole minime dirette a prevenire i conflitti. Su questo terreno oltre all’attenzione, come già evidenziato, sugli aspetti giuridici, economici e contrattuali, occorre sviluppare modelli di lealtà, autorevolezza, credibilità anche nel dire, prendendo come riferimento il sempre valido principio, tanto caro al diritto internazionale, del pacta sunt servanda (i patti vanno sempre rispettati). Un’altra questione di importanza fondamentale sta nella stessa concezione dell’ordinamento giuridico come fonte di diritto contrattuale (è il caso delle funzioni delle Politiche del Personale per tutte le materie di contrattazione integrativa aziendale) laddove emerga quanto sostenuto da Santi Romano: “ L’ordinamento giuridico non è solo una sistemazione coordinata e gerarchica di norme, dove una condiziona l’altra, ma è anche e soprattutto i fatti e gli accadimenti che succedono in una data comunità e che portano alla generazione delle norme “. In questo ambito, la sensibilità, la capacità di leggere i fatti e gli accadimenti del proprio contesto lavorativo assume ad una importanza fondamentale per l’adozione delle stesse misure contrattuali. Ciò per chiarire definitivamente che un buon responsabile delle politiche del personale non deve solo necessariamente conoscere alla lettera i contratti e le norme giuridiche, ma deve nell’ambito dei paletti tracciati dal sfera giuridica trovare tutte le soluzioni che si rilevano opportuni in relazione ai fatti, con un accostamento tra norma e sostanza, tra giuridicità e fatti , tra decisioni e relazioni.
Che parte ha, nelle prospettive tracciate, l’elemento definito come “Investimento emotivo”? Questa domanda reca in se l’altro aspetto parimenti importante legato più squisitamente alle caratteristiche psicologiche e personologiche della figura di un responsabile.
Se, da un lato la capacita pragmatica deve necessariamente essere lo strumento cognitivo operante del professionista, l’universo emotivo/relazionale rappresenta l’altra metà di una equilibrata rappresentazione di realtà. Per cui la sintesi tra razionalità pragmatica e duttilità percettiva dell’”Altro” determina il livello di empatia e di partecipazione personale, umana, e mediatrice che rende possibile l’operatività nella sua interezza.
E’ qui che si evidenzia il pathos di cui il soggetto è portatore la capacità di entrare in contatto con l’Altro ne determina la qualità del rapporto la sua credibilità, la sua profondità. Lungi dall’essere una pura e semplice tecnica acquisibile essa è una qualità caratteriale , un tratto di personalità che, se esistente, può essere amplificata e valorizzata attraverso tecniche varie , in caso contrario non può essere costruita ex novo.
E’ qui che interviene una “selezione naturale” che definisce la bravura e lo spessore di un professionista del settore. Ma una ulteriore difficoltà emerge dalla capacità dello stesso di gestire tutto questo nei confronti di eventuali alter ego politici quindi, sostanzialmente , di centri di potere che interrelano spesso con il funzionamento dei servizi inerenti le politiche del personale nel settore pubblico.
In un panorama cangiante e localistico come quello che spesso caratterizza la realtà nazionale, le difficoltà di una lettura politica è cosa spesso criptica, e di difficilissima interpretazione.
Il dirigente deve quindi porre mano a tutte le sue conoscenze sociologiche, comunicative, antropologiche –culturali che vanno a sposarsi con quelle psicologico-sociali e di mediazione allo scopo di produrre una decisione o un comportamento tendente ad avere un margine di errore prossimo allo “0”. È in queste situazioni, che la formula espressa sopra relativa alla rappresentazione della realtà assume tutta la sua rilevanza empirica ed esperienziale.
Tali problematiche possono presentarsi quotidianamente e ciò comporta due possibili meccanismi di risposta : a) il professionista dopo un iniziale grande dispendio di energie psico-fisiche costruisce un metodo personale routinario che codifica i suoi interventi attraverso le esperienze che vive e che ha vissuto. In questo modo l’intero sistema funziona per “moduli” con una ottimizzazione di tempi, di tecniche, di energie nella gestione delle politiche del personale. In questo caso è ridotto il campo della improvvisazione ad hoc e viene privilegiata l’operatività seriale.
b) il professionista affronta di volta in volta le situazioni gestionali e operative in modo singolare, costruendo un percorso o un modello di intervento che però non è ripetibile e generalizzabile .
l’analisi dei due paradigmi porta a definire il primo come “costoso” in modo decrescente in funzione delle esperienze che il professionista assume e che racchiude in protocolli routinari. Il secondo viceversa appare essere molto più impegnativo e oneroso in quanto non può essere “serializzato”, praticamente è la stessa differenza che può intercorrere tra un prodotto industriale (quindi seriale) e un prodotto artigianale, quindi ogni volta “unico”.
Il problema della preparazione :
Come precedentemente detto tutte le caratteristiche di tipo professionale, nonché quelle di tipo personale, difficilmente coesistono in una unica persona.
Ma è altresì vero che un gruppo (in questo caso una triade) a capo di una struttura rappresenta una difficoltà considerevole per la sua implementazione e per la sua operatività.
Nasce quindi la necessità di avere una formazione del professionista di tipo nuovo ma, contestualmente su matrice ampiamente e storicamente sperimentata. Un responsabile di tale settore occorre che abbia non solamente una solidissima preparazione tecnico-professionale, e non solo una naturale inclinazione alla duttilità psicologica intrinseca nell’affrontare tale campo, ma anche una esperienza sul campo.
La vera problematicità consiste appunto in questo aspetto. Un vecchio adagio della Marineria recita : “ ..il solo modo di imparare a navigare è…navigare ..” ed è vero nella sua sostanzialità. Per cui l’unico modo per entrare sempre più addentro alla conduzione di un servizio di politiche del personale è quello di entrare e “navigare” avendo al fianco un dirigente esperto e acquisendo da esso l’esperienza personalizzandola secondo il proprio modus operandi .
Si tratta comunque di un percorso non breve, ma necessario per la buona posta in essere delle modalità dirigenziali. Questo pone in essere un altro aspetto: la selezione.
Sicuramente non tutti si sentiranno adeguati a questa mansione una volta sperimentato cosa significa operare da responsabile in questo settore. E dovrebbe essere il Tutor a cui in neofita dirigente è affiancato a poter dire l’ultima parola in merito. Si tratta di una modalità che prevede un notevole carico e capacità decisionale oltre che di giudizio, essenziale e probabilmente unico come modalità di selezione.
Il processo di tirocinio-tutoraggio dovrebbe comunque obbedire a rigide e dettagliate materie di ingaggio. La “pagella” finale dovrebbe comportare la stesura di una vera e propria tesi riassuntiva dell’operato dell’aspirate dirigente compilata dal tutor che conclude e firma il giudizio comprovandolo e confortandolo con fatti oggettivi e valutazioni empiriche.
La figura del Tutor :
Il tutoraggio di una figura che si inserisce come responsabile in una struttura di questo tipo rappresenta il momento più delicato dell’intera fase di presa in carico della responsabilizzazione. Sostanzialmente il passaggio di consegne tra il vecchio ed il nuovo rappresenta, di per se, un momento transitorio definibile come “tempo frizionale” intendendo con questo termine il periodo e le situazioni nelle quali, ed in cui il professionista neofito di tale incarico, o subentrante deve adattare il suo modus operandi a quello della struttura della quale poi egli guiderà il futuro.
E’ anche inteso come il tempo nel quale il personale di detta struttura, a sua volta, adegua il proprio personale modus vivendi all’interno della realtà lavorativa, alla nuova realtà di comando. Per cui si tratta di un periodo strategico nel quale il tutor valutatore deve agire in senso assolutamente pragmatico in un tempo che non può essere infinito, ma che al massimo potrà protrarsi per un anno solare.
Si è molto discusso se questa figura dovrebbe appartenere da tempo alla azienda nella quale esplica l’azione di tutoraggio, o viceversa debba essere esterno ad essa per mantenere obbiettiva la sua capacità di analisi e di valutazione centrata unicamente sulla persona e sul suo operato. Tale diatriba è tutt’ora aperta nelle realtà accademiche del mondo economico ed imprenditoriale di paesi come gli Stati Uniti. In effetti entrambe le possibilità presentano lati positivi e lati negativi. Di recente nei paesi anglosassoni, ma anche in realtà europee come la Francia sembra essere in uso una figura di tutor esterna che possa quindi nel modo più asettico possibile valutare e decidere ove un futuro dirigente di un settore come le Risorse Umane possa essere in grado di dirigere queste realtà. Si andrebbe quindi a configurarsi un professionista in grado di “controllare i controllori” e decidere in tal senso. Resta comunque un compito di grande complessità e difficoltà che nelle aziende pubbliche italiane non è ancora presente , ma che in un prossimo futuro dovrà per necessità evolutiva nascere.
Sarebbe ipotizzabile capitalizzare l’esperienza accumulata dalla attuale generazione di professionisti di questo settore allo scopo di infondere linfa nuova nel settore delle Risorse Umane del nostro settore pubblico allo scopo di rivitalizzare una apparecchiatura da troppo tempo ferma in una dimensione fuori dal contesto storico attuale, proiettandole verso traguardi nuovi in una ottica di miglioramento cospicuo del potenziale umano che pure sembra esistere nella nostra realtà pubblica.
Le politiche del personale nelle aziende pubbliche (e specificatamente nell’esperienza di riferimento delle Aziende Sanitarie), dove l’elemento umano e professionale gioca un ruolo determinante nella produzione del servizio, assumono ad una importanza fondamentale per dare valore alla risorse umane. Il capitale umano costituisce una delle spese più rilevanti nei bilanci delle aziende pubbliche, per questo necessità di politiche di investimento per accrescere il valore e lo sviluppo delle professionalità. In tale ambito occorre effettuare una svolta nelle politiche del personale delle amministrazioni pubbliche, valorizzando il merito, l’efficienza e l’efficacia, ribadendo il concetto che il servizio pubblico è una cosa seria di importanza fondamentale per una data comunità. A titolo di esempio, se analizziamo il caso delle aziende sanitarie, esse producono, dal punto di vista oggettivo, il bene più prezioso per una data comunità, così prezioso che dovrebbe portare gli stessi operatori a sentirsi fieri di lavorare per una azienda che cura e assiste i propri cittadini. In tale ambito le politiche del personale assumono una funzione strategica diretta a mettere in campo tutte quelle funzioni valutative, di incentivazione, progressioni di carriera, ma anche decurtazioni e penalizzazioni per i meno meritevoli, dirette a valorizzare il merito e soprattutto a rendere visibili i risultati che ogni operatore realizza. La sfida futura è quella di superare la politica dell’appiattimento che ha caratterizzato le aziende pubbliche fino ad oggi, per cui tutto era dovuto e scontato e quindi non aveva valore. La sfida, la valorizzazione del merito, le differenziazioni nell’ambito di un sistema condiviso di regole, suscitano emozioni positive, liberano energie e mobilitano le risorse, conferendo agli stessi operatori una percezione di importanza per il lavoro che viene svolto ogni giorno. E’ questa la chiave di volta per il futuro delle aziende pubbliche.
(*)Responsabile politiche del personale ASL3 Pistoia
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