PSYCHOMEDIA Telematic Review
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Sezione: SCIENZE E PENSIERO
Area: Sociologia
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Esperienze di intervento sociologico nel campo delle tossicodipendenze
di Gianfranco Mele (*)
COUNSELING NELLA TOSSICODIPENDENZA DA EROINA
Non esiste in Italia una figura equivalente a quella del Counselor dei servizi americani per le tossicodipendenze (1) : si tratta dell'operatore che segue più da vicino il paziente tossicodipendente, e che si può definire plurispecializzato o pluriformato, perché le sue conoscenze devono comprendere uno scibile che va dalle tecniche di gestione del colloquio alle conoscenze medico-farmacologiche in materia di td, dalle competenze sociologiche, a quelle legislative, e soprattutto la motivazione, la dedizione e la predisposizione alla comunicazione.
Spulciando la letteratura in materia, e rapportando il tutto nel contesto italiano ho individuato e attivato nel corso dei miei interventi le seguenti funzioni fondamentali del counseling:
- fornire al paziente informazioni cliniche e scientifiche sul concetto di tossicodipendenza, mirate all'acquisizione da parte del paziente di una presa di coscienza del suo stato di malattia e delle possibilità terapeutiche da utilizzare per contrastarla;
- informazioni pratiche su come ridurre i danni connessi all'utilizzo di sostanze da strada, in attesa di una sua piena adesione al programma terapeutico;
- revisione delle conoscenze del paziente in merito alle sostanze, alla tossicomania e ai possibili percorsi da intraprendere per un affrancamento dalla malattia;
- scardinare le opinioni errate frutto di miti che provengono dalla cultura della strada e dal senso comune;
- suggerimento di modelli comportamentali tesi al cambiamento dello stile di vita tossicomanico;
- sostegno e informazione anche nei confronti dei familiari del paziente, che nella maggior parte dei casi hanno recepito modelli di spiegazione della tossicodipendenza non scientifici.
La tossicodipendenza, nell'opinione di senso comune, è un "vizio" (questo concetto è interiorizzato purtroppo anche da molti operatori) e il tossicodipendente va trattato di conseguenza. Da questo assunto "ascientifico", sono nate persino una serie di risposte cosiddette "terapeutiche", con una metodologia ben precisa, messe in atto dalle Comunità di recupero.
A questo punto, è utile un breve excursus storico sulla nascita e sullo sviluppo del modello di intervento comunitario.
Attorno al 1958, Charles Dederich fonda negli Stati Uniti la Synanon, prima comunità rivolta ai trattamenti specifici delle tossicodipendenze. Da lì a poco, sorgeranno in america e nel resto del mondo tutta una serie di comunità centrate tutte sul modello Synanon (2), che prevede:
- rifiuto sostanziale dell'apporto farmacologico (se proprio necessario, limitato all'impiego una tantum di medicinali blandi);
- utilizzo di riunioni di gruppo (synanon game)
- rigida gerarchia interna all'organizzazione
- impiego di programmi di tipo comportamentale, imperniati sulla messa in atto di tecniche mirate alla destrutturazione e successiva ricostruzione della personalità dell'individuo , e centrate sulla messa in atto di una serie di semplici (ma efficaci) tecniche di addomesticamento delle menti e dei corpi degli ospiti .(3 )
Successivamente al modello comunitario, inizierà a farsi strada (con grande fatica), quello farmacologico, centrato sugli studi e sugli apporti di Vincent Dole e Marie Nyswander, medici americani molto attenti fra l'altro ai risvolti sociali, politici ed economici del fenomeno tossicodipendenza. (4)
Il modello farmacologico (sovente contaminato in Italia dai presupposti terapeutico-comportamentali ed etici tipici delle comunità terapeutiche, e dunque snaturalizzato) (5) si fonda sulla concezione della tossicodipendenza da eroina come risultato di uno squilibrio metabolico, provocato dall'assunzione ripetuta di eroina, per cui l'organismo inibisce la sua produzione naturale di endorfine (gli oppioidi naturali presenti nel nostro organismo) - teoria avvalorata e confermata dalle recenti scoperte di Avram Goldstein (6) e dai suoi studi sul funzionamento del cervello dell'eroinomane. (7)
Il modello comunitario di intervento, con tutta l'ideologia che gli sta da contorno, prende però il sopravvento sugli altri modelli, e si sposa bene con la visione di senso comune del problema (per la quale appunto la tossicodipendenza è un problema di incapacità della gestione della volontà, di immaturità, di stupidità (8) dell'individuo).
In Italia, il consenso confluito attorno al modello comunitario e alle sue teorie (e di conseguenza il suo sopravvento), è stato determinato da forti spinte di carattere ideologico e politico, affiancate dalla messa in moto di una grossa machina pubblicitaria che a partire dagli anni '70 ha presentato le comunità come unica risposta possibile al problema. Una serie di pesanti restrizioni e limitazioni legislative, poi, hanno pesantemente influito sulla qualità dell'erogazione degli interventi farmacologici, (9) dei quali non si è mai di fatto attivato tutto il potenziale terapeutico.
Il sociologo, nella veste sia di analista critico della evoluzione e della storia delle politiche sanitarie, che in quella di counselor, deve essere profondo conoscitore di tali vicende.
Tornando ai problemi che il counselor si ritrova a dover gestire (mi riferirò sempre, oltre che alla letteratura sull'argomento, alla mia personale esperienza di operatore nei servizi pubblici e presso una associazione di volontariato), per quanto riguarda ad esempio l'ambiente familiare, i modelli recepiti provocano una serie di conflitti che il counselor individuerà e cercherà di sedare, orientando i familiari ad una corretta visione del problema e a comportamenti idonei nell'affrontarlo.
Ad esempio, il misconoscimento della tossicodipendenza come malattia provoca nei familiari, specialmente nel momento della "scoperta" della tossicodipendenza del soggetto, una serie di risposte emotive che in genere non servono che a complicare la situazione. Uno degli errori classici è quello di credere che il soggetto "non ne esce perché non vuole uscirne": si strappano promesse che il soggetto non mantiene, e che finiscono per costituire la "prova" della mancanza di volontà di smettere l'uso della sostanza. Va quindi spiegato che la tossicodipendenza è una malattia dalla quale non si guarisce per impegno preso, ma per terapia adeguata.(10).
Le risposte messe in atto da parenti e amici del tossicomane sono in genere effetto diretto dell'interiorizzazione della definizione di senso comune della tossicodipendenza, che in Italia è stata e continua ad essere alimentata da mass-media, opinionisti che si improvvisano conoscitori della patologia, operatori pregiudizialmente avversi a recepire modelli scientifici di spiegazione della malattia, e dall'attivazione di tutta una serie di risposte politico-sociali, che hanno contribuito a confondere le idee nell'opinione pubblica. Il counselor è profondo conoscitore di tali meccanismi ed è in grado di fornire ai familiari risposte e spiegazioni esaurienti in merito.
Persino gli stessi td sono influenzati pesantemente dalle nozioni di senso comune sul problema: credono di poter uscirne fuori attraverso la determinazione, la forza di volontà e risentono dei luoghi comuni avversi alle terapie farmacologiche.
Alcuni brevi esempi dei temi che il counselor si ritrova ad affrontare in ambito familiare e degli atteggiamenti su cui operare "revisioni":
- chiudere a chiave in casa un individuo in astinenza anziché accompagnarlo da un medico esperto che gli somministri una dose di farmaco sostitutivo, provoca atteggiamenti di profonda aggressività nel soggetto;
- mandarlo via da casa "perché non vuole smettere" anziché adoperarsi per reperirgli una assistenza immediata di tipo farmacologico, lo espone ad una serie di danni irreversibili e alla definitiva canalizzazione nel mondo della criminalità;
- essere ideologicamente avversi al trattamento con farmaci sostitutivi, o esortare in modo ossessivo il soggetto a smettere al più presto di prendere il metadone "perché è una droga anche quella" significa contribuire a lasciarlo nella condizione di tossicomane.
Ai familiari va spiegato esaustivamente che questo tipo di risposte sono il frutto dell'interiorizzazione di una serie di messaggi fuorvianti da cui sono stati bombardati per anni, attraverso diversi canali di comunicazione.
Concludendo, il counselor deve avere:
- una buona conoscenza sia del contesto sociale e culturale entro cui si evolve il fenomeno,
- che delle interpretazioni e spiegazioni di senso comune della td
- e degli approcci sanitari, politici e sociali attuati, e della loro storia;
- deve sapersi rapportare ai pazienti e "legare" con il loro linguaggio e la loro cultura;
- saper empatizzare,
- e infine avere una conoscenza aggiornata e approfondita delle modalità terapeutiche disponibili e approfondire lo studio dell'eroinismo in tutte le sue manifestazioni e implicazioni: biologiche, sociali e comportamentali
Ovviamente, nel ruolo di counselor il sociologo saprà utilizzare il proprio bagaglio professionale per un counseling di tipo "sociologicamente orientato" (11), e il suo apporto allo staff del servizio e all'utenza sarà quello del professionista particolarmente abile nell'indagare i risvolti e le variabili politico-sociali che condizionano il fenomeno (12) (su questi aspetti ho cercato di soffermarmi in questa relazione, e attraverso l'approfondimento di questi aspetti il counseling orientato sociologicamente si discosta ad esempio da quello medico-infermieristico, più attento a problemi come il monitoraggio della risposta del paziente alla farmacoterapia e alla consulenza in merito ai dosaggi corretti).
Quanto sinora espresso a proposito dei requisiti, delle tecniche e delle abilità sociologiche da impiegare nel counseling per la tossicodipendenza, si può così schematicamente sintetizzare :
Presupposti per un corretto utilizzo del counseling:
- non fermarsi alla "superficie" (studiare e scardinare pregiudizi e luoghi comuni)
- informarsi delle scoperte anche delle altre discipline nel campo (conoscenze della letteratura scientifica in materia di td)
- verificare la bontà delle proposizioni teoriche delle altre discipline sulla base dei risultati ottenuti
Strumenti professionali di supporto:
- sociologia clinica
- socioterapia
Padronanza e utilizzo delle seguenti tecniche e strumenti:
- sospensione del giudizio
- empatia
- colloquio
- osservazione partecipante
- analisi etnografica
- serendipity (curiosità e immaginazione sociologica) .
DAL COUNSELING ALLA MEDIAZIONE, ALL'ADVOCACY E ALL'EMPOWERMENT ATTRAVERSO LA LETTURA SOCIOLOGICA DELLE RAPPRESENTAZIONI E DELLE RISPOSTE SOCIALI E SANITARIE SULLA TOSSICODIPENDENZA
Nella mia esperienza come operatore delle tossicodipendenze ho potuto notare che le competenze proprie della professione del sociologo (ad esempio negli ambiti : analisi istituzionale, valutazione, osservazione, sociologia delle organizzazioni , sociologia della devianza , sociologia critica) permettono di approfondire alcune tematiche utili sia alla definizione delle problematiche che ruotano attorno alla gestione istituzionale del fenomeno tossicodipendenza, sia ad eventuali processi di cambiamento e innovazione:
- analisi delle interazioni operatori-utenti e utenti-istituzioni
- analisi del pregiudizio e degli stereotipi su tossicodipendenza e tossicodipendenti
- studio e analisi dei meccanismi culturali e delle ideologie che stanno alla base delle diverse interpretazioni della tossicodipendenza
L'approfondimento di tali tematiche dà inoltre al sociologo la possibilità di intervenire nell'ambito delle tossicodipendenze attraverso interventi di: mediazione, advocacy, empowerment.
Accade spesso che nei servizi pubblici per le td si verifichi uno scontro di definizioni della situazione, sia tra operatori che tra operatori e utenti: si attivano e si intersecano fra loro conflitti di interessi, di ideologie, di visioni del problema.
Istanze e bisogni dei pazienti spesso entrano in conflitto con la prassi terapeutica del servizio.
Ad esempio, le richieste di pronta accoglienza e di intervento immediato spesso cozzano con la prassi (assai discutibile) di servizi che prevedono liste d'attesa o tutta una serie di procedure (diagnosi multidisciplinare, analisi di vario tipo) prima dell'immissione di un soggetto in terapia.
La disponibilità delle cure metadoniche in orari ristretti spinge i pazienti a rivendicare disperatamente (ma senza capacità dialettica) il loro diritto ad una maggiore vivibilità delle cure, oppure ad abbandonarle anzitempo (13).
In che modo e ancora una volta pregiudizi culturali e ideologie alimentano questi conflitti e queste politiche ? " Perché accade?" - si chiede il sociologo in quanto osservatore clinico. (14)
Buona parte dei conflitti tra utenti e operatori dei servizi riguardano ad esempio la gestione e l'erogazione dei trattamenti metadonici. I servizi che alimentano maggiormente questi conflitti sono quelli che pongono resistenze nei confronti dell'utilizzo ottimale di questi strumenti oppure che si mostrano sordi rispetto alle richieste e alle argomentazioni dei pazienti. Se un medico scambia la richiesta d'aiuto da parte di un paziente, espressa nei termini "se non mi dai il metadone mi faccio le pere" per un ricatto e non per quello che effettivamente significa (l'insorgere del craving che sta spingendo il paziente a richiedere ciò di cui ha estremo bisogno, per non riversarsi sulla strada), se le richieste pressanti di intervento immediato sono interpretate non come un bisogno legittimo ma come una prova della "immaturità e della prepotenza del tossico" sta definendo la situazione in modo assolutamente incompatibile con le istanze e le argomentazioni del paziente. Da qui, il conflitto, i litigi, le minacce reciproche (15).
Quando gli operatori hanno fortemente radicata la concezione del td come individuo vizioso e prepotente a effetto di un suo disordine mentale o caratteriale antecedente alla tossicomania (e che sarebbe la prova del suo essere divenuto tossicomane) (16) , quando identificano tout-court la tossicodipendenza con il vizio e la devianza, finiscono con l'attribuire a questi "disordini" ogni atteggiamento, ogni comportamento e manifestazione del soggetto. Il paradosso, è che producono delle etichette e delle profezie che si avverano a effetto del loro stesso comportamento.(17)
Analizzare i conflitti alla luce dei pregiudizi e isolare la devianza , è un altro compito possibile del sociologo. Un passo più avanti in questo percorso, lo porterà ad utilizzare queste abilità per interventi ascrivibili ai concetti di mediazione e/o di advocacy.
Quanto sinora esposto, può consentirci di meglio delineare i presupposti e le finalità della mediazione, dell'advocacy e dell'empowerment nel campo delle tossicodipendenze.
Esiste uno stereotipo che etichetta il tossicodipendente sempre e comunque come individuo vizioso, deviante per antonomasia, essere asociale. Tale stereotipo appare in diversi contesti: dalle esternazioni di politici e opinionisti, a quelle di vari operatori del settore.
La categoria dei td è poco compresa dall'opinione pubblica, le loro rivendicazioni e richieste d'aiuto spesso vengono scambiate per prove dell'etichetta che è stata loro appiccicata; si tratta inoltre di una categoria dalle scarse capacità di reazione e spesso incapace di organizzarsi per rivendicare i propri diritti (alle cure, all'applicazione di politiche più efficaci, alla vivibilità dei servizi ecc.). Reagisce dunque in modo impulsivo nell'interazione con le istituzioni e con la società, e le viene di conseguenza riconfermato lo stigma .
Il sociologo può contribuire a smitizzare questo stereotipo e a dotare i pazienti e i cittadini td di strumenti e capacità di organizzarsi e porre le loro istanze nell'ambito della legalità (empowerment); contemporaneamente all'intervento di empowerment il sociologo può sistematizzare e dare corpo alle istanze dei consumatori (advocacy) e/oppure svolgere il compito di facilitatore della comunicazione tra essi e le istituzioni (mediazione).
Un esempio dell'attivazione di tali strumenti è dato dalla nascita in Italia di un movimento, il D.D.T. (Difesa Dei Diritti dei Tossicodipendenti) che trae origine dal lavoro sul campo condotto dal Gruppo SIMS.
Dalle richieste e dai rapporti che ci giungevano, dalla nostra esperienza sul campo e dal confronto sia con la letteratura clinico-scientifica in tema di tossicodipendenza che con i disposti legislativi avevamo rilevato la presenza delle seguenti principali problematiche nella gestione del problema delle tossicodipendenze in Italia:
- problema dei dosaggi di farmaco sostitutivo nei servizi (resistenze all'impiego di dosaggi ottimali di metadone o all'erogazione di terapie di mantenimento);
- resistenze sia da parte dei tribunali di Sorveglianza che degli operatori Sert all'impiego di terapie farmacosostitutive per i soggetti in alternativa al carcere;
- inefficacia dell'assistenza sanitaria nelle carceri e mancanza di garanzia della continuità delle cure;
- inattivazione in molti Sert dei disposti normativi relativi all'assistenza domiciliare;
- rifiuto d'accesso da parte di diversi servizi pubblici alla visione e all'ottenimento di cartella clinica del paziente;
- mancanza di disponibilità di pronta accoglienza e erogazione delle cure urgenti in molti sert;
- inattivazione dei dispositivi normativi su tutto il territorio italiano relativi all'assistenza 24 ore su 24 e alla disponibilità di intervento medico e somministrazione dei farmaci sostitutivi;
- violazione dei dispositivi deontologici e normativi inerenti la riservatezza degli interventi, la fruibilità e la decorosità dei locali sert;
- resistenze nei confronti dei diritti dei cittadini td relativi alla libera scelta dei luoghi di cura (L. 833);
- intrusioni di carattere politico-ideologico nell'assistenza sanitaria ai td a livello politico-normativo;
- intrusioni massmediologiche.
Pensammo così, con l'aiuto di alcuni opinion-leaders tra i consumatori, di dare corpo ad una associazione composta da ex tossicodipendenti e tossicodipendenti attivi, che si attivasse sia come gruppo di interesse e auto-aiuto, sia come organismo preposto alla rivendicazione dei diritti dei pazienti: l'associazione fu battezzata "D.D.T." (acronimo che non ha a che vedere con la riesumazione di un vecchio insetticida, ma che sta per "Difesa dei Diritti dei Tossicodipendenti" ), si diede un articolato statuto, e attualmente è presente in Toscana con una sua sede e in altre zone d'Italia con vari referenti, e si occupa di mediare con le istituzioni per l'applicazione dei diritti dei pazienti. Il "D.D.T" è in contatto con altre associazioni ed enti che si occupano di problematiche similari, e si è dotato dei moderni mezzi di comunicazione (sito internet, forum di discussione, E-Mail) al fine di meglio interagire con le varie realtà che ruotano attorno alla gestione del problema droga; ha attivato, fra le sue iniziative, un servizio di consulenza, informazione e intervento sull'utilizzo delle cure, sulle risorse disponibili, sulla prevenzione, sulla riduzione del danno, sulla letteratura scientifica in tema di tossicodipendenza.
PREVENZIONE: sintesi di un'esperienza
La gestione dello spazio-ascolto nei C.I.C. . Colloqui e rilevazione problematiche.
In ottemperanza a quanto stabilito dalla L. 309/90 (art. 106) , dalla C.M. del 20.02.92 e dalle Linee-Guida del Ministero della P.I. sul funzionamento dei C.I.C., gli operatori del Sert di Manduria hanno attivato, in collaborazione con presidi e Docenti referenti degli istituti medio-superiori del territorio, quattro sportelli- ascolto mirati all'accoglienza di studenti " in difficoltà, o comunque desiderosi di un orientamento per la soluzione di problemi di natura psicologica e sociale" , e alla "offerta di informazioni mirata a soddisfare bisogni relativi a diversi problemi e interessi" , fra cui: "... problemi relazionali nella scuola,... informazione per la soluzione di problemi personali..." (C.M. n. 47).
Gli sportelli (assieme alle attività di prevenzione nel complesso) erano gestiti da un team di operatori formato da: 1 sociologo, 1 psicologo, 2 educatori.
Per ogni studente si accettavano un numero massimo di tre colloqui consecutivi con lo stesso (non si trattava di uno spazio di tipo terapeutico, ma appunto di counseling e accoglienza dei problemi e delle istanze degli studenti): agli studenti per i quali si riteneva necessario un approfondimento in merito al problema esposto (psicologico, medico ecc.) si offrivano informazioni sulle risorse esistenti nel territorio, ed eventualmente, con il loro consenso e quello dei genitori, si mediava cn tali strutture.
Al termine di ogni colloquio, gli operatori dello spazio-ascolto rilevavano su apposite schede anonime le problematiche emerse.
Il risultato complessivo di tali rilevazioni, veniva poi utilizzato per la programmazione di ulteriori interventi. Ad esempio, poiché emergeva che un numero consistente di soggetti si esprimeva relativamente a difficoltà relazionali in famiglia, successivamente alla rilevazione di tali dati si costruì un percorso mirato ad affrontare il tema del "rapporto genitori-figli".
Tale percorso comprendeva:
un'indagine a mezzo questionario sugli studenti dei quattro istituti sul tema "rapporto genitori-figli", con una serie di domande mirate all'analisi dei seguenti argomenti:
- LA COMUNICAZIONE
- Atmosfera e rapporti familiari (gli item erano mirati ad analizzare come gli intervistati descrivono essere caratterizzati i loro rapporti con i genitori in relazione alle variabili affetto/comunicazione);
- Di cosa si discute in famiglia e con chi se ne parla;
- RAPPORTI CON I GENITORI
- Items mirati a definire le differenze generazionali (condivisione di idee e modo di vita dei genitori)
- Soddisfazione (o meno) delle istanze di autonomia e indipendenza dei ragazzi da parte dei genitori, (es. in relazione a frequentazione amicizie, orari di rientro, progetti )
- CONSIDERAZIONI AGGIUNTIVE DEGLI INTERVISTATI SUL TEMA (domande a risposta aperta)
I risultati della ricerca furono utilizzati per l'elaborazione di uno stampato, comprensivo di analisi dei dati e di commenti, che fu poi distribuito alle varie scuole.
I temi emersi sia durante i colloqui dello spazio-ascolto che in risposta alla ricerca a mezzo questionario, poi, vennero affrontati in una serie di incontri serali con la partecipazione di studenti e genitori dell'istituto, in cui, con la mediazione di due degli operatori dell'equipe della prevenzione, si approfondirono le varie questioni.
Una ulteriore fase del percorso, interrotta dal trasferimento presso altra sede della figura del sociologo, comprendeva poi un questionario rivolto ai genitori per la rilevazione del loro punto di vista e della loro definizione della situazione relativamente ai temi e ai problemi delineati dagli studenti, una ricerca bibliografica sul tema rapporto genitori-figli da utilizzare sia come spunto di discussione assieme ai risultati delle indagini per futuri incontri di gruppo, sia come mezzo informativo/preventivo (elaborazione e riproduzione di stampati destinati ai genitori).
1 Negli USA la figura del Counselor per la tossicodipendenza nasce durante gli anni '60, a seguito della diffusione dell'abuso di droghe e in particolare eroina. Inizialmente i counselors furono reperiti tra gli ex eroinomani,e questa scelta fu determinata partendo dal presupposto che tali figure avessero i seguenti requisiti:
motivazione e predisposizione (ad affrontare le tematiche inerenti la tossicodipendenza) - esperienza (riguardo alla tossicomania e all'ambiente tossicomanico) - facile comunicatività con i tossicodipendenti determinata dal fatto di essere dei pari. Successivamente, ai counselors con tali caratteristiche se ne aggiunsero altri che provenivano dal mondo del volontariato o dalla frequentazione di corsi appositi per le td ma che non possedevano titoli di studio specifici (counselors "paraprofessionali") . A questi due gruppi di counselors, se ne aggiunse poi un altro (che attualmente è il più numeroso nell'ambito dei servizi) composto da individui che provenivano dal mondo degli operatori e che avevano conseguito apposita formazione attraverso specifici diplomi universitari o masters (counselors professionali).
Sono stati effettuati degli studi mirati a verificare il grado di efficacia di intervento dei counselors appartenenti alle tre diverse categorie, ed è stato dimostrato che non esistono sostanziali differenze (in relazione ai risultati raggiunti dai pazienti) rispetto ai tre livelli di counselor. Al di là dell'appartenenza ad una delle tre categorie sopradescritte, gli elementi essenziali a qualificare un approccio di counseling ottimale si sono rivelati essere la motivazione, l'impegno e l'esperienza pratica. (cfr. Nardini C.F., "Counseling nella tossicodipendenza da eroina: manuale di tecnica per l'orientamento del paziente", SIMS, Pietrasanta, 1999).
2 cfr. Pesce A., "La Comunità Terapeutica" in AA.VV., Realtà, orientamenti e prospettive del fenomeno droga, Ed. Dehoniane, Roma, 1986
3 Tali tecniche possono consistere da una serie di prescrizioni da osservare riguardo agli atteggiamenti e ai comportamenti, all'instillazione ripetuta di ideali e norme morali e religiose, a comandi come pulire le intercapedini delle mattonelle del bagno o trasportare pesanti massi da una parte all'altra del cortile al solo scopo di ribadire la padronanza del corpo e della mente dell'ospite da parte dell'educatore e dunque della "comunità", sino ad arrivare all'impiego di vere e proprie tecniche di coercizione fisica . A giustificazione di questi interventi, la concezione che l'elemento caratterizzante del tossicodipendente è la stupidità (cfr. Pesce, op. cit.) : il tossicodipendente è un individuo immaturo, incapace di prendere da solo decisioni sensate e produttive: occorre dunque rieducarlo attraverso l'imposizione di una serie di regole rigide e di punizioni. Attraverso tali tecniche, dal vecchio io dell'individuo che è entrato a far parte della comunità dovrà fuoriuscire un uomo nuovo, che sarà invitato, terminato il percorso e reimmesso in società, a riproporre nella società l'esperienza vissuta e gli ideali introiettati durante il cammino comunitario (cfr. Toschi D.: "I sensi di colpa nei programmi terapeutici delle comunità" Univ. Di Siena, 1997) .
4 cfr. Dole V., Nyswander M.: La riabilitazione dei tossicomani di strada, Archivies of Environmental Healt, 14 (1967) trad. it. A cura del Gruppo SIMS; v. anche Dole V, Nyswander M.: Trattamento di mantenimento con metadone - una prospettiva di dieci anni - Jama, May 10, 1976 - Vol. 235, n. 19, trad. it. a cura del Gruppo SIMS
5 In passato si è spesso posto l'accento, nella critica alla gestione della tossicodipendenza da parte dei servizi italiani, di "medicalizzazione del problema": se questo fosse vero, si sarebbero recepite e applicate appieno le teorie e gli approcci medico-farmacologici suggeriti dalla clinica medica. Questo non è mai accaduto: la stessa classe medica si è spesso mostrata scettica nei confronti del modello farmacologico. La supposta "medicalizzazione" è consistita unicamente nella dirigenza dei Sert affidata al personale medico, ma senza che esso applicasse sempre e coerentemente l'approccio medico-farmacologico.
6 Goldstein, A.: La neurobiologia dell'assuefazione all'eroina e del trattamento metadonico, Chicago, aprile 1999
7 Da questo punto di vista, la dipendenza non consisterebbe altro che nel bisogno di mantenere in equilibrio (pena uno stato di sofferenza corporea ingestibile) la funzionalità perduta. Da qui, il desiderio continuo e irrefrenabile (craving) di sostanze oppiacee, che si manifesta anche una volta superata la vera e propria crisi astinenziale, e che porta la maggioranza dei soggetti alla ricaduta. Non si tratterebbe dunque di una questione di volontà da rafforzare o di valori da riconquistare, ma di un problema, appunto, di squilibrio metabolico, da affrontare in ambito terapeutico dal lato medico con l'ausilio di farmaci oppioidi sostitutivi delle endorfine (e non dell'eroina, come erroneamente si suole credere), e dal lato psico-sociale con l'attivazione di una serie di programmi di supporto (sostegno sociale, auto-aiuto, reinserimento scolastico o lavorativo, sostegno psicologico ove necessario, ecc.).
8 Vedi nota 3
9 La teoria che sta alla base dell'approccio farmacologico-sostitutivo viene invalidata fra l'altro da quelli che sarebbero i suoi (apparentemente) deludenti risultati. In realtà, nella storia dei trattamenti delle dipendenze in Italia, le resistenze al corretto uso del farmaco sostitutivo persino da parte degli operatori medici dei servizi pubblici, hanno giocato un ruolo determinante: la tendenza a somministrare dosi di metadone inadeguate è persino oggetto di attenzione delle vigenti Linee-guida ministeriali sull'uso dei farmaci sostitutivi, che evidenziano: "gli studi esteri ed italiani pubblicati hanno dimostrato che molti pazienti ricevono dosi sub-ottimali di metadone, inadeguate a prevenire l'uso continuativo di droghe illecite". Sino al 1993, era inoltre in vigore il DM 445/90, che limitava in modo ascientifico le possibilità di intervento con farmaci sostitutivi. Decaduto il decreto a effetto del referendum dell'aprile di quell'anno, molti operatori hanno continuato tuttavia a conformarvisi.
10 L'inibizione della produzione naturale di endorfine causata dall'assunzione ripetuta di oppiacei, e tutta una serie di comportamenti collegati sia agli effetti della sostanza che al bisogno compulsivo di ottenerla, oltre a una serie di comportamenti effetto degli stili di vita clandestini entro cui si muove il tossicodipendente, non consentono di contrastare la tossicomania nei modi e nei tempi che i familiari si attenderebbero.
11 Che il sociologo abbia abilità spendibili nel campo del counseling, oltretutto, è confermato anche dall'analisi fornita da altri studi: cfr. ad es. Nardini C. (op. cit.) che nel suo lavoro, ricco di spunti interessanti anche ai fini di una analisi sociologica della gestione sanitaria del fenomeno td in Italia, cita letteralmente il sociologo come uno dei possibili espletatori di questo ruolo.
12 Del resto, anche al di fuori dell'utilizzo del counseling, per un buon lavoro di tipo sociologico (ad esempio nel caso in cui si debbano affrontare compiti come quello della valutazione ), non si può prescindere da una seria e approfondita conoscenza degli apporti delle altre discipline al fenomeno. Se non ho conoscenza della clinica sulle tossicodipendenze rischio ad esempio di attribuire il basso tasso di ritenzione in trattamento dei pazienti di un servizio che non utilizza o utilizza male i programmi farmacologici ad altri fattori; non riesco a spiegarmi l'alta percentuale di poliassuntori e di recidive se non indago sulla corretta applicazione della clinica medica; non so interpretare la diffusione di infezioni da HIV tra gli utenti di un servizio ideologicamente avverso alle terapie sostitutive (si tratta di fatto di episodi frequenti in alcuni servizi pubblici, ove anche la classe medica risulta ideologicamente mal disposta nei confronti delle terapie metadoniche).
13 Un servizio che non vuole "investire " nelle cure metadoniche perché ideologicamente avverso, provocherà facilmente questi problemi; un servizio in cui gli operatori non ritengono efficaci le strategie di riduzione del danno si mostrerà scarsamente disponibile nei confronti delle richieste d'aiuto immediato o di sollievo dai problemi della strada avanzate dai tossicodipendenti
14 Cfr. McClung Lee " La sfida del metodo clinico", in "L'uomo Polivalente", UTET, 1966
15 Il rapporto con i pazienti è vissuto da questa categoria di operatori come un "rapporto di forza" nel quale occorre assolutamente imporre la propria definizione della situazione, che a volte viene motivata con la pretesa capacità dell'operatore di poter "rileggere e ridefinire la richiesta".
16 Oltretutto, per il confluire nei Sert di molteplici professionalità, dalla formazione, dai saperi e dagli approcci estremamente diversificati, si assiste spesso ad una gestione conflittuale del problema che coinvolge gli stessi operatori: ai pazienti giungono messaggi diversi e contraddittori, effetto delle diverse concezioni di td degli operatori. Il quadro si complica, visto che ci sono poi le definizioni e la "cultura" dei pazienti con cui confrontarsi. Questa situazione può costituire fra l'altro oggetto di interesse e di intervento da parte del sociologo, che dovrebbe avere la conoscenza dei meccanismi culturali, politici e ideologici che sia in contesti - macro (es. a livello di legislazione e di politiche sanitarie complessive) che in ambiti più circoscritti (es. in un Sert), a livello operativo, provocano una anziché l'altra definizione socialmente condivisa di tossicodipendenza, oppure diverse definizioni in antitesi fra loro.
17 Nel caso sopradescritto, il paziente, indispetito dal modo di rapportarsi dell'operatore, diventerà effettivamente aggressivo e violento. Cfr. Lapassade G., "provocatori e isolatori di devianza" in "Baccano. Microsociologia della scuola" , Pensa-Multimedia ed., Lecce, 1996
(*) Gruppo S.I.M.S. (Studio e Intervento malattie Sociali)
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