PSYCHOMEDIA Telematic Review
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Sezione: TERAPIA NEL SETTING INDIVIDUALE
Area: Counseling
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Riflessioni sul counseling scolastico
(1)
Guido M. Arnò (2)
PREMESSA
Ringrazio per l'invito fattomi gli organizzatori, il Presidente dell'Ordine
degli Psicologi del Piemonte la Dott.ssa Laura Recrosio, il comitato
scientifico nelle persone della Prof.ssa Piera Brustia del Dipartimento
di Psicologia dell'Università degli Studi di Torino, la Dott.ssa
Marina Farri consigliere e responsabile con le Dott.sse Patrizia Zanella
e Paola Di Natale della Commissione Psicologia Scolastica., che hanno
consentito a questo corso di Psicologia Scolastica di potersi svolgere,
anche qui a Torino come in altre città d'Italia.
E questo, un importante momento formativo per l'operatore attento
alle esigenze e ai processi di trasformazione presenti nel mondo della
scuola, dove lo Psicologo accresce le conoscenze e le forze vitali attraverso
il suo intervento, nei vari campi della formazione, della comunicazione,
del disagio e del sostegno alla persona nelle figure degli allievi,
delle famiglie e degli insegnanti.
Il compito che mi è stato assegnato è di portare una testimonianza
in qualità di Psicologo che opera in un Istituto superiore statale
di cui rivesto la figura di Coordinatore del C.I.C. e di docente di
Scienze Sociali.
La particolare funzione svolta da diversi anni, all'interno dell'organizzazione
scolastica, mi ha permesso di avere un osservatorio su una fascia d'allievi
dai 15 ai 18 anni appartenenti a tutti gli strati socioeconomici, altresì
mi ha consentito di avere un'esperienza sia dei dinamismi interpersonali
degli allievi, che si sono rivolti al cosiddetto sportello ascolto [inserito
nel piano di programmazione del Centro d'Informazione e Consulenza (C.I.C.)
presente in Istituto], sia delle influenze intergruppo ed organizzative
che sinergicamente agiscono sulla personalità dello studente.
Nella giornata odierna avete sentito, i colleghi, la Dott.ssa Elena
Allegri parlarvi sul tema della Supervisione, la Prof.ssa Raffaella
Cagnassi su Quali progetti nella scuola autonoma? Istruzioni per l'uso,
il Prof.re Franco Chiarle su L'Orientamento e Riorientamento scolastico,
la Prof.ssa Florio su Le attività del C.I.C. in una scuola superiore
di Torino che vi hanno offerto un quadro esaustivo del "mondo scuola".
Io, tratterò la relazione di consultazione, riprendendo alcuni
contenuti di coloro che mi hanno preceduto, nelle precedenti giornate
di lavoro: il Prof.re Maggiolini e la Dott.ssa Montinaro su Il rapporto
di consulenza, congiunto al lavoro del Dott.re Stupiggia e della Dott.
sa Cannella su La relazione d'aiuto.
Introdurrò: a) alcune definizioni sul counseling con un breve
cenno riguardo le sue origini storiche e le associazioni che si sono
sviluppate internazionalmente, b) alcuni aspetti teorici di base sullo
sviluppo della personalità attraverso la ricerca dell'infant
research, c) le caratteristiche del counselor e del counseling attraverso
le regole di base e d) due esempi di relazione di consultazione.
Offrirò le riflessioni attraverso la formazione psicodinamica
e l'esperienza conseguita in campo clinico e scolastico.
DEFINIZIONI
La definizione counseling deriva dal latino dalla parola counsel, la
cui origine, consilium, significa giudizio, consultazione (3). La definizione
predispone il lettore a credere che in una relazione di consultazione
tra un professionista è un cliente si esplichi una qual forma
di consiglio e-o di giudizio. Invece "Counseling significa consulenza,
forma di rapporto interpersonale in cui un individuo che ha un problema,
ma non possiede le conoscenze o le capacità per risolverlo, si
rivolge a un altro individuo, il consulente, (counselor n.d.r.) che,
grazie alla propria esperienza e preparazione, è in grado di
aiutarlo e a trovare una soluzione. Il rapporto di consulenza, che è
limitato nel tempo e generalmente relativo a uno specifico problema,
fa parte dei vari modi di intervento della psicologia clinica, dove
può assumere differenti forme, secondo l'utente cui si rivolge".
(4)
La spiegazione richiama direttamente l'atto di consultazione che si
esplica in diversi ambiti: clinico, lavorativo, sociale, scolastico,
alla famiglia, alla coppia, al gruppo, alle organizzazioni pubbliche
e private, militare, che dal dopoguerra ai nostri giorni ha acquistato
un particolare rilievo. Il counseling è un'azione di sostegno
terapeutico nella decisione, allo scopo di creare le condizioni per
un'autonomia decisionale, attraverso la considerazione dei fattori coscienti,
come gli interessi, i gusti, le aspirazioni economiche, il prestigio
sociale, e le inclinazioni profonde e inconsce che rinviano ai bisogni
affettivi di fondo e ai meccanismi di adattamento che sono alla base
delle dinamiche personali e del modo di esistere dell'individuo. Scopo
del counseling è di consentire all'individuo una visione realistica
di sé e dell'ambiente sociale in cui si trova a operare, in modo
da poter meglio affrontare le scelte relative alla professione, al matrimonio,
alla gestione dei rapporti interpersonali con la riduzione al minimo
della conflittualità dovuta a fattori soggettivi". (5)
LO SVILUPPO DEL COUNSELING
In epoca moderna il counseling si sviluppa con il contributo di Carl
R. Rogers (6) che tra il 1945-57: grazie alla feconda esperienza tratta
da un centro di consulenza per studenti svilupperà una teoria
e una tecnica, il counseling e la psicoterapia di consultazione, che
sarà una tecnica terapeutica diametralmente opposta alla psicoanalisi
e alla psicoterapia psicoanalitica, sia nei presupposti teorici e della
teoria della tecnica sia per metodologia, finalità ed intervento.
La nuova tecnica terapeutica sarà definita "terapia centrata
sul cliente o terapia non direttiva" di cui il suo presupposto
teorico "...è l'ottimismo motivazionale, per il quale il
bisogno di autorealizzazione è l'unica fonte energetica del comportamento
umano". (7)
Rimanendo ancora nell'ambito della definizione e dello sviluppo storico,
la tecnica di consultazione influenzerà significativamente la
psicologia e la psicoterapia. Si svilupperanno diversi modelli quali
l'analisi transazionale di Eric Berne, la terapia della Gestalts di
Fritz Perls, la relazione di aiuto di Robert Carkhuff (8).
In ambito europeo si svilupperà, nel corso del tempo, in Gran
Bretagna la Brtish Association for Counseling (B.A.C.) nata nel 1976
che ingrandendosi darà vità alla European Association
for Counseling (E.A.C.) per rispondere ai bisogni delle diverse nazionalità
in Europa e per assistere l'ulteriore sviluppo come professione in Europa.
(Hough M., 1996)
Modelli teorici di psicoterapia psicoanalitica saranno sensibili ai
costrutti concettuali di Rogherà rilevati attraverso la clinica
quali: il mettere in guardia contro l'interpretazione, che può
essere esperita come minaccia al sé grandioso della persona;
il rispecchiamento dell'operatore ai bisogni del paziente; l'empatia
del counselor con il mondo interno del soggetto; il depotenziamento
del sé ideale e la riduzione della discrepanza tra lui e il vero
sé, come la Psicologia del sé di Heinz Kohut (Eagle M.
N., 1984).
Diffuse critiche saranno avanzate alla teoria rogersiana, al suo modello
teorico tecnico per essersi allontananato dal modello psicoanalitico:
rifiuto della pulsione di vita e di morte, del transfert, dell'interpretazione
fondando una teoria e una terapia autonoma (Stolorow R. D., 1976; Mc
Williams N., 1994).
Kernberg , invece, criticherà l'impostazione di stile del colloquio
rogersiano, in funzione alla consultazione psicoterapeutica diagnostica,
perché minimizza l'importanza dei dati oggettivi e non esplora
sistematicamente la psicopatologia e gli aspetti positivi del paziente
per fornire una diagnosi sia strutturale sia organizzativa della personalità
del cliente, in un corretto approccio che contribuisca in modo sostanziale
alla definizione delle caratteristiche intrapsichiche e interpersonali
del soggetto. (9
Il merito di Carl Rogers è comunque nell'aver messo in discussione
i presupposti teorici freudiani sulla natura del conflitto sessuale,
i metodi del consiglio, della suggestione, della persuasione.
E necessario anche ricordare, come ha fatto notare Paolo Migone
(10), l'importanza storica e pionieristica che ebbe presso l'Università
del Wiscounsin in Stati Uniti, dove fondò ,negli anni '40 il
primo gruppo di ricerca sulle variabili presenti nel processo terapeutico,
process research, attraverso le sedute registrate, per chiarire gli
effetti del risultato, outcome research. (11)
Quanto riportato può generare una relativa confusione nell'intreccio
tra counseling e psicoterapia tra colloquio diagnostico e colloquio
psicoterapeutico con il colloquio di consulenza.
Va tenuto però presente che ogni operatore che incontra un'altra-e
persona-e, sia stabilisca una relazione di consulenza sia una relazione
curativa, si rapporta con una strutturazione dell'individualità
prodottasi nel corso del tempo (12), pertanto è indispensabile
non sottrarsi dal complesso confronto scientifico che il modello della
personalità propone e che può essere compreso attraverso
gli studi e le ricerche della psicologia psicodinamica.
Certo si potrebbe sicuramente evitare tale aspetto, utilizzando tutta
una serie di manuali che favoriscono l'iter procedurale di applicazione
di tecniche standardizzate da applicare indifferentemente all'uno o
all'altro soggetto, ma tale operazione produrrebbe meccanicamente deteriori
risultati, simili all'applicazione delle macchine per produrre l'apprendimento.
ASPETTI TEORICI DI BASE DELLO SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ
Per comprendere e spiegare il mondo intrapersonale e interpersonale
di una persona è necessario calarsi nella comprensione della
costruzione del suo Sé e di tutte le esperienze che lo qualificheranno
quale Soggetto ed Io in quanto ogni soggetto è una persona unica,
indivisibile ed irripetibile e presenta una propria organizzazione psichica.
Vi è una costruzione progressiva del soggetto che si costituisce
come individuo attraverso la formazione del sé (13).
Gli studi e le ricerche dell'infant research permettono di comprendere
la costruzione della personalità del soggetto, della soggettività
di ogni individuo secondo quattro tappe fondamentali (14):
1. il senso del sé emergente nei primi due mesi di vita, frutto
del prodotto sia degli schemi mentali congiunto allo sviluppo dei sensi
attraverso scambi amodali percettivi che permettono il formarsi l'esperienza
(15);
2. il senso del sé nucleare di fronte all'altro nei primi sei
mesi di vita, dato dal sé fisico, dal sé affettivo e dall'opera
del sé agente. L'interrelazione degli scambi e dei processi che
avvengono con la madre costituiscono la base per la coesione del sé
ma anche le esperienze prodotte continuamente dal bambino contribuiscono
alla costruzione della memoria episodica e successivamente procedurale.
Il progressivo passaggio dal sé nucleare, è con l'altro.
Il bambino costituisce la vita sociale anche attraverso la regolazione
nel rapporto ricevuta dall'altro, il riconoscimento, il processo di
identificazione di sé, la sicurezza.
La capacità del bambino di costruire il sé, dato dalle
rappresentazioni interne che via via questi compie inizialmente con
la madre e successivamente con oggetti e persone, sono la progressiva
matrice di base dello sviluppo mentale che consente all'infante di avere
rappresentazioni, di poterle come base attivare nelle successive esperienze
e di avere un'esperienza soggettiva.
E quindi attraverso la memoria episodica che è necessario
attribuire il background dell'esperienza affettiva sociale (16);
3. il senso del sé soggettivo che si sviluppa tra il settimo
e il nono mese di vita è una tappa fondamentale che consente
al bambino di rappresentare le sue esperienze soggettive della sua vita
interiore "i contenuti della mente", potenzialmente condivisibili
con gli altri.
Le esperienze dirette verso oggetti attraverso la focalizzazione percettiva
o l'attenzione focalizzata su uno stimolo esprimono intenzionalità
di azione, ma anche in teoria e nella ricerca, grazie alla reciproca
attenzione che l'adulto propone nello scambio con il bambino riguardo
a quel particolare momento si genera una traduzione del contenuto mentale.
Il bambino scopre che anche l'altro, pur non verbalizzando può
avere i medesimi contenuti mentali.
L'interazione degli scambi madre bambino sviluppa la scoperta dell'intersoggetività
attraverso la compartecipazione, l'attenzione, l'intenzione e gli stati
affettivi. Quest'ultimo si regola attraverso il rapporto vis a vis ,
il processo di imitazione, il rispecchiamento, la rispondenza empatica
materna.
La congiunzione del protolinguaggio e delle vocalizzazioni bambino-madre
agli stimoli proposti, promuove il passaggio verso la sintonizzazione
emotivo-affettiva. Tale meccanismo nei suoi diversi gradi deve avere,
da parte della madre, corrispondenza percepibile con le azioni del bambino.
La qualità della sintonizzazione deve funzionare in ogni comportamento
e consentire lo sviluppo comunicativo degli stati affettivi; (17)
4. il senso del sé verbale che si sviluppa dal secondo anno di
vita, permette al bambino una straordinaria scoperta del mondo, ma soprattutto
consente di potere comunicare il proprio mondo interno, di verbalizzare
gli stati d'animo ( vedere le otto emozioni postulate da Darwin e la
trasmissione che l'individuo compie verso i suoi simili) (18), di distinguere
con parole il corpo, di specificare le esperienze che compie nel campo
della realtà.
Il bambino congiungerà i contenuti mentali prodottisi nei modi
costruiti dei sé, lasciando il campo delle precedenti esperienze
compiute nei diversi passaggi costitutivi il sé. Unificherà
il sé verbale, attraverso il linguaggio: tal evoluzione gli consentirà
di entrare in relazione con gli altri e con gli oggetti e di stabilire
il livello di relazione con cui saranno nuovamente affrontati i problemi
esistenziali della vita (19).
La storia della vita d'ogni persona è l'insieme delle componenti
biografiche ed autobiografiche, soggettive ed oggettive che ogni individuo
costruisce nel corso del tempo.
L'esperienza compiuta non è slegata dalle capacità acquisite,
costruite e costituitesi nella realtà in un progress in continua
definizione.
REGOLE DI BASE
CARATTERISTICHE DEL COUNSELOR MUTUATE DALLA PSICOLOGIA PSICODINAMICA
Una consultazione psicologica tra uno specialista ed una persona o un
gruppo, richiede un professionista preparato tecnicamente con un training
specifico in grado di offrire garanzie di sicurezza.
Ricordo, l'importanza che l'atto di consulenza ha per essere efficace:
la persona che si rivolge a noi presenta una richiesta d'aiuto o di
orientamento in particolari condizioni psichiche. La persona è
portatrice di caratteristiche che definiscono la sua personalità:
l'individualità genetica e psichica che a sua volta si esprime
in un Io, un sé e un soggetto.
L'individualità psichica, l'Io utilizza l'apparato mentale conscio
ed inconscio che vaglia continuamente gli stimoli e gli stati interni
attraverso un continuo processo. L'Io lavora attraverso i due sistemi,
conscio e inconscio (20) con continui scambi che successivamente caratterizzano
come il soggetto presenterà sé nei confronti degli stimoli,
azioni e reazioni, con la realtà. Attraverso le comunicazioni
dei contenuti con idee, pensieri, fantasie, espressioni emotive ed affettive,
aspirazioni, valori, denoterà la mappa del suo mondo interno,
composta di differenziazioni, consolidamento, formazioni, in altre parole
la sua epigenesi
Il Soggetto, unità delle diverse individualità, è
sede della costituzione dei sé e dell'Io. Il Sé evoluzione
articolata del senso dei sé nel tempo: possiede un corso ed un
tempo proprio (21).
Questi elementi entrando in gioco nel dinamismo relazionale del rapporto
di consultazione che si svolge con lo specialista, con caratteristiche
e varianti proprie d'ogni individuo, specificano il delicato quanto
complesso scambio presente nel counseling. Durante la relazione tra
i due attori vi è un combaciamento di Io, soggetto e sé,
che si trovano reciprocamente ad interagire attraverso le diverse organizzazioni
psichiche tra consultato e counselor.
E' quindi quanto mai necessario predisporre una consultazione che garantisca
attraverso indicatori specifici in che modo dovrà essere predisposto
un counseling e le caratteristiche del counselor (22).
INDICATORI DESCRITTIVI CARATTERISTICI DEL COUNSELOR
Presenterò solo alcuni indicatori che ho ritenuto importanti
per qualificare la personalità professionale dello Psicologo
counselor richiamando il Codice Deontologico degli Psicologi (23) in
alcuni articoli del Capo I° e non citando ma considerando altrettanto
importanti quelli del capo II° dall'art..22 all'art.32.
a) Un livello adeguato di preparazione professionale e di aggiornamento
nella propria disciplina in cui opera (art. 5) (24).
Durante l'esercizio delle sue funzioni lo psicologo è tenuto:
b) al rispetto della persona, attraverso un'informazione chiara, adeguata
alle conoscenze presenti (art. 2) (25);
c) alla riservatezza, all'autonomia e all'autodeterminazione di coloro
che si avvalgono della prestazione (art.4) ; (26)
d) a salvaguardare la propria autonomia e quella del cliente attraverso
l'uso di tecniche e strumenti psicologici (art. 6); (27)
e) nelle proprie attività professionali, nelle attività
di ricerca e nelle comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché
nelle attività didattiche, lo psicologo valuta attentamente,
anche in relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilità
di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte...Lo
psicologo su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali
solo se fondati
f) è tenuto ad informare adeguatamente i soggetti......così
ad ottenere il previo consenso informato art. 7-9. (28)
g) è tenuto al segreto professionale...art11. Art.12 (29). Dove
ricorra, deve derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa
riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per
la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi art. 13. (30)
h) informazione al soggetto o al gruppo delle regole dell'intervento
art. 14.
INDICATORI DINAMICI CARATTERISTICI DEL COUNSELOR
Unite a queste caratteristiche deontologiche di base, il counselor deve
possedere capacità di adattabilità, autenticità,
affidabilità.
* L'adattabilità rappresenta la flessibilità psichica
dell'operatore nell'incontro con le problematiche della persona, con
il suo stile di vita, nella capacità di sapersi confrontare con
i diversi modi di essere e con i problemi che si presentano.
* L'autenticità è nel saper dimostrare autentica condivisione
sul piano emotivo e cognitivo
* L'affidabilità è nel saper essere riconoscibile negli
intenti con cui ci si muove.
Il counselor deve anche saper sviluppare le capacità di sapere
essere:
* empatico, condividendo le emozioni del consultato, sapendo sentire
le sue emozioni quindi favorire la possibilità d'insight;
* sintetico, nell'essere in grado da un lato di raccogliere il materiale
e di sapere selezionare i contenuti pregnanti ed importanti, il focus
della consultazione;
* intuitivo, nel cogliere, durante la conversazione, la parola o il
contenuto portato e le correlazioni nascoste. La capacità intuitiva
del consultore raggiunge pertanto la mente della persona e si rivolge
all'inconscio e al conscio esercitando le capacità mentali;
* in ascolto, cioè nel sapere distaccare le proprie funzioni
dell'Io razionale, per aderire al modo di pensare, alle idee della persona.
In questo modo vi è la capacità di percepire la modalità
dello stile psichico inconscio e conscio del consultando. tale riguardo
distinguo diversi modi di ascoltare:
a) vi è un ascolto che si muove nel liberare le associazioni
con la produzione del materiale che il soggetto promuove;
b) vi è l'ascolto che traduce il linguaggio e gli elementi presenti
nella comunicazione per proporre la chiarificazione, l'individuazione,
l'interpretazione del materiale ricevuto;
c) vi è l'ascolto che raccoglie il materiale per poi organizzarlo
ed evidenziare parti o sintesi parziali, per rilanciare quel contenuto,
o semplicemente l'ascolto del silenzio per poi rimetterlo alla persona;
d) vi è l'ascolto partecipato nei silenzi o nelle brevi-medie
interruzioni.
Si richiede al counselor esercizio ed attenzione durante tale atto,
il sapersi porre domande, il distaccarsi dal proprio Io razionale per
ascoltare nel "modo proprio" il soggetto attraverso il suo
Io dialogativo.
Il consultore, inoltre, deve sapere cogliere nell'ascolto ogni sfumatura
nella comunicazione verbale, paraverbale, non verbale, in correlazione
con il contenuto.
Il counselor deve, anche, saper sviluppare capacità nel saper
essere:
* comunicativo. Comunicare è un'arte per il counselor; la comunicazione
verbale (C.V.) gli consente di entrare in contatto con la persona, ed
è il linguaggio che come strumento coadiuva, anche, il processo
di consultazione nell'atto delle indicazioni e del sostegno.
Il Counselor dovrà essere in grado di sapere comunicare efficacemente
e chiaramente. La corretta codificazione espressiva della sua comunicazione,
consentirà al consultato una chiara decodificazione del dato
trasmesso, eviterà cattive o distorte comprensioni. Così
una disattenta capacità comunicativa del counselor potrà
rivelarsi controproducente.
Nella comunicazione si trasmette metacomunicazione, si processano stati
emotivi: è importante sapere che il contenuto che si accompagna
al tono della propria voce, è letto dal ricevente con estrema
attenzione.
Secondo la pratica clinica, il buon successo di una terapia avviene
per la qualità della comunicazione trasmessa.
Il rapporto di fiducia con il consultato si costruisce, anche e non
solo, attraverso la comunicazione dello specialista: le parole hanno
la funzione di sostenere, incoraggiare, chiarire, identificare, puntualizzare
interpretare, sono paragonabili a pillole terapeutiche che la persona
porta con se anche dopo l'incontro.
La comunicazione che è offerta, aiuta ad inquadrare il processo,
si trasmette al soggetto quale strumento utile perché possa essere
capace del suo processo d'individuazione.
La comunicazione del clinico non può essere identica per tutti,
ma ogni individuo necessita di un modo comunicativo personalizzato.
La capacità di saper comunicare non è quindi un protocollo
o un menù della spesa da applicare a questo o quell'altra persona.
Il Counselor con il suo linguaggio, ri-pone la possibilità alla
persona di esprimere i suoi pensieri, idee, fantasie, paure, emozioni
e sentimenti; ri-genera il processo comunicativo che sog-giaceva interiorizzato,
ri-pone l'esplicitazione a voce alta, utile al processo di chiarificazione,
individuazione, comprensione, spiegazione e interpretazione.
* Diagnosta. La capacità di diagnosticare la pluralità
di sintomi è importante per sapere organizzare le informazioni
utili al processo di comprensione della mente della persona. La diagnosi
permette la funzione orientativa presente e durante ogni momento del
colloquio. Il fine è nel predisporre la non solo la raccolta
dei dati ma di comprendere il funzionamento della personalità
del soggetto, la sua struttura psico-genetica attraverso l'epigenesi,
il modo di funzionamento, il processo della mente.
La capacità di diagnosticare stabilisce un piano per l'intervento
di consultazione riduce la possibilità che il soggetto, attraverso
un counseling errato, non solo non sia stato compreso ma non si rivolga
più alla consulenza psicologica.
INDICATORI CARATTERISTICI DEL COUNSELING NELLE REGOLE DI BASE
Molte volte in ambito istituzionale, scolastico e sanitario, sono necessarie
costruire le garanzie perché l'atto di consulenza si svolga in
modo corretto e nella difesa della garanzia del consultato. A volte
e non sempre non sempre ci si può trovare nelle condizioni ideali
ad esempio per la mancanza di un luogo fisico preposto o a causa di
condizioni di disturbo ambientale o ancora per mancanza di privacy.
Perché possa essere svolto un counseling efficace, è necessario
definire una cornice (the fixed frame) in cui svolgere l'azione. Ritengo
importante elencare alcuni elementi prioritari e inscindibili che definiscono
la cornice o spazio. Esperienza e ricerca clinica hanno consentito di
valutare l'alterazione dei parametri indicati come un profondo attacco
alla sicurezza della persona ed un'espressione deviante, della devianza
mentale prodotta dall'operatore (Langs R. 1985).
1. Un ambiente fisico, possibilmente stabile, dove il counselor riceverà
la persona. L'ambiente deve essere sufficientemente protetto da intrusioni
esterne, visive-uditive, di persone. Un arredamento appropriato.
E meglio incontrare un allievo in una stanza adibita ad altro,
ma adeguata, piuttosto che in un'aula scolastica: ad esempio in infermeria.
Nel caso non fosse possibile avere un ambiente stabile, si mantengano
le restanti caratteristiche specifiche dello spazio sopra descritte.
2. Stabilire un orario per gli appuntamenti definendo giorno, ora, frequenza,
durata e il luogo. Non modificare l'appuntamento preso nel corso del
tempo. Modificare l'orario-gli orari, solo valutando la richiesta: ad
esempio riguardo ad impegni scolastici sopraggiunti.
3. Essere presenti, puntualità, agli appuntamenti e a quelli
successivi.
4. Mantenere una durata dell'incontro di quarantacinque minuti.
Contratti scolastici, stabiliti con il professionista, a volte impongono
tempi ristretti per la consultazione in un tempo di trenta minuti, non
consentendo tutte le fasi dell'incontro e/o comprimendo l'autonomia
operativa dello specialista.
5. Ricevere le prenotazioni di persona in un giorno ed ora prestabilito.
La garanzia dell'anonimato favorisce l'individuazione di un serio professionista
che garantisce il rapporto individualizzato escludendo terzi che possono
produrre idee o fantasie di scarso anonimato o altresì di tipo
paranoide e persecutorio.
6. Non prendere appuntamenti attraverso terzi, amici o compagni, nei
confronti del futuro consultando.
7. Informare chiaramente che quanto detto rimane tra il counselor e
il consultando. Nel caso si presentino situazioni che pregiudichino
la sicurezza personale del soggetto o di altri comunicare i cambiamenti
che sono avvenuti nel contratto. Fissare un successivo appuntamento
di comprensione-verifica, relativo alla salvaguardia psicofisica del
soggetto-soggetti, ed arrivare al consenso informato rispetto alle azioni
che saranno prese e comunicate a terzi.
8. Condurre il primo contatto in forma breve e mirata, concordando il
giorno e l'ora e l'esatto luogo dell'appuntamento.
9. Nel primo contatto ascoltare dimostrando compartecipazione, attivare
rifrasature verbali, non porre domande eccessive tranne che per alcuni
chiarimenti su quanto detto, cercare di rilanciare il dialogo per indagare
a fondo, sostenere il sé nelle capacità raggiunte, non
esprimere considerazioni personali, valutazioni, giudizi.
10. Non cambiare l'argomento della discussione, decifrare i contenuti
attraverso i derivati che focalizzano il problema.
11. Non interrompere le comunicazioni.
12. Non esprimere consigli specifici su come affrontare le difficoltà
ma ricercare insieme le reali possibili soluzioni.
13. Sostenere le capacità, per effettuare un serio esame della
realtà.
14. Sostenere positivamente le capacità "sane" esplicitate
durante il colloquio.
15. Considerare seriamente le reali condizioni di emergenza comunicate,
soprattutto riguardo a comportamenti lesivi ed anticonservativi.
16. Non rivelare volontariamente aspetti di sé, ma mantenere
aspetti di ascolto, esplorazione ed elaborazione.
17. Accettare condizioni di silenzio ma non superiori alle capacità
della persona quando perde il contatto con sé e con la realtà.
18. Cercare di rilanciare il colloquio quando vi è un'esternalizzazione
confusa o deviante dal centro del problema.
19. Fino alla conclusione dell'incontro-incontri, mantenere continuativamente
attivo un atteggiamento analitico.
20. Non mantenere contatti extraprofessionali dopo il termine degli
incontri svolti.
ESEMPI DI COUNSELING
PREMESSA
Svolgo di solito il counseling con studenti che non conosco e che si
rivolgono allo sportello d'ascolto prendendo un appuntamento diretto
con il sottoscritto. Rimando in genere l'incontro, quando è possibile
per i loro impegni scolastici, nel pomeriggio, quando la gran parte
dei docenti e degli studenti hanno terminato la lezione. Altre volte
determino gli appunti il lunedì, il martedì, il giovedì
o il venerdì di mattino fissando l'appuntamento nelle ore di
disponibilità e ricevendoli in infermeria quando non è
occupata oppure nella sala antibiblioteca. Ambedue le strutture: la
prima al piano terreno e la seconda al primo piano sono protette da
rumori e da sguardi indiscreti. Nel caso in cui non fosse possibile
utilizzare le due stanze rimando l'appuntamento. La durata degli incontri
è di quarantacinque minuti.
Gli esempi che riporto oggi presentano nomi di fantasia e sono state
omesse tutte le informazioni che permettano l'individuazione delle persone.
Gli stessi sono stati trascritti dopo l'incontro raccogliendo tutti
i dati che mi ricordo e le operazioni mentali che sono accadute. Il
clima che si è stabilito, l'approccio nella relazione, l'intensità
delle difese, le relative funzioni psichiche, gli oggetti delle esperienze.
Il primo colloquio e i primi momenti del counseling sono i più
delicati, perché non conosco la personalità di chi è
venuto ma non ho nessun elemento in grado di fornirmi la sua mappa mentale.
Mi manca la conoscenza del suo modo di operare con i problemi, i suoi
vissuti emotivi, le tracce di storia famigliare, il panorama inconscio
e conscio. Non conosco nemmeno se il motivo della consultazione sia
realmente il focus su cui si è appuntato il tema-problema. Altresì,
non posso dedurre dati dall'esame di stato né dall'esame di contesto.
Sono "vulnerabile" al giudizio facilmente esprimibile dal
soggetto attraverso considerazioni affrettate che si possono trarre.
Le distorsioni e le cattive interpretazioni che possono accadere nei
primi scambi sono ostacoli e successivi inciampi che sfilacciano il
rapporto sin dall'inizio impegnando il consultore in un continuo recupero.
Possono fargli perdere terreno riguardo l'efficacia della consultazione
rovinando sin dall'inizio i buoni presupposti.
Ritengo necessario muovermi con cautela senza però raffreddare
la comunicazione con eccessivi silenzi o con generiche esplicitazioni.
La mia esplorazione si rivolge al conoscere in che modo opera mentalmente
la persona, per rispondere funzionalmente alla richiesta, altresì
mi interessa notare in che modo il soggetto conduce il rapporto con
me, cioè come il soggetto mi conduce a scoprire il suo mondo
interno.
Ritengo che nella relazione tra counselor e consultando sia il consultando
a condurre e a proporre il terreno di confronto su cui si ricercherà
la strada per le prossime indicazioni ma anche il counselor propone
al consultando uno spazio mentale in cui potere essere libero di aprire
il proprio inconscio comunicativo e di parlare liberamente delle sue
emozioni e dei suoi sentimenti senza intrusioni e giudizi.
ESEMPIO COUNSELING: 1
Nel periodo d'ottobre del 1999 si rivolge direttamente per una consulenza
il Giovedì mattino, un'allieva, Laura. Ha ricevuto indicazione
di chi sono e dove trovarmi dalle compagne di classe (31). E una
ragazza di 15 anni, che incontro per la prima volta: dice di sentirsi
incapace di comunicare a scuola con gli altri compagni.
E' un'adolescente di media statura vestita casual, jeans e maglietta,
di corporatura brevilinea. Il suo sguardo e il portamento fisico trasmettono
un senso di lieve depressione. Comunico a Laura che il nostro incontro
durerà 45' e che tutto quanto lei dirà rimarrà
ristretto al nostro rapporto.
Parla con voce bassa affermando che ha sempre avuto problemi con la
comunicazione. In casa parla poco è così anche in classe.
Dall'inizio dell'anno con le sue compagne si è sentita esclusa,
azzittita quando desiderava esprimere ciò che pensava. Avverte
che i compagni si sono stretti intorno ad una compagna che afferma che
cosa fare e si impone con i suoi modi bruschi e violenti: si è
creato un gruppo che anche se non è d'accordo hanno paura a dire
la loro. Lei ha smesso di comunicare per paura delle reazioni violente
del leader.
Mentre offro l'intervento di consultazione mi pongo su tre livelli d'ascolto:
1) il primo è di natura oggettiva cioè seguo il narrare
dei contenuti che delineano il tema-problema e che rivelano i dati plurivoci
nei diversi passaggi con cui la mente della persona cerca di affrontare
gli stimoli sensibili che la sollecitano. Le sollecitazioni degli stimoli
sono tradotte dall'apparato cognitivo in significati, idee, rappresentazioni,
fantasie con cui possono essere o non essere in sintonia.
2) Il secondo livello è l'ascolto del significante soggettivo
attribuito alle sollecitazioni prodotte cioè al conflitto emotivo
presente ed inconscio nella persona. Un contenuto manifesto trasmette
sempre messaggi inconsci, (vedere Langs R. 1985) ed è a tale
riguardo che focalizzo la mia attenzione perché ogni organizzazione
psichica trasmette in forma codificata elaborazioni primarie sensibili
che rappresenta emozioni e sentimenti che si presentano da decodificare
attraverso il contenuto di superficie, manifesto.
3) Il terzo livello d'ascolto è rivolto al mio sentire interno,
cioè alla capacità di entrare in contatto con lo stato
soggettivo dell'altro. C'è l'immedesimazione partecipante nell'ascoltare
il nucleo emotivo nelle sensazioni che Laura sta riponendo dentro di
me. Ascolto gli aspetti emotivi che mentalmente sento e cerco di capire
come, lei, colloca il suo bisogno emotivo-affettivo. Lascio riporre
i suoi stati d'animo. Ascolto anche le sollecitazioni che mi promuove
e traduco le mie sollecitazioni emotive e i sentimenti che rispondono
a quelli suoi. (vedere Bollas 1987)
Intanto ho notato che Laura ha un eloquio sufficientemente fluido ed
ordinato, i collegamenti, gli esempi e le descrizioni rappresentano
bene la realtà che vive e il dinamismo interno. Il suo sguardo
ricerca l'interlocutore ed è diretto e mobile. Percepisco anche
un senso d'incapacità, un sentirsi arenata, un non saper come
fare per affrontare la situazione che sta vivendo. Avverto il viversi
indifesa di fronte a qualcosa che l'ha colpita o che rappresenta la
sua esistenza. Sento il suo abbandono.
Però avverto che ciò che mi sta raccontando non è
il problema principale, ma qualcos'altro, è nascosto, non mi
ha ancora comunicato.
Lo spostamento dei contenuti nelle raffigurazioni presentate nella prima
parte della narrazione cioè il gruppo di compagni, l'esclusione,
la paura, l'incapacità ad esprimersi e a reagire rappresentano
una condizione del sé che non solo non ha trovato un ambiente
giusto ma che ipotizzo paradigmaticamente non ha incontrato già
con la vita, un ambiente accogliente e sostenitivo che permettesse al
suo sé di trasformarsi in un Io in grado di saper affrontare
la realtà. Suppongo quindi ci sia stata una relazione materna
che si è rappresenta fredda, con scarso sostegno.
Riprendo il discorso sul "sentirsi incapace di comunicare"
rilanciandoglielo, perché desidero raccogliere informazioni che
non ho ancora cioè mi mancano sufficienti dati, ma voglio offrire
la possibilità a Laura di incontrare un caldo ambiente temporalmente
soddisfacente.
Racconta che i suoi genitori sono sempre al lavoro e lei si sente sola.
In casa non si parla molto. I genitori sono due persone come lei.
Riprende il tema iniziale della sua vita scolastica. Compagni che urlano
e che danno ragione a chi con battute e scherni ha iniziato ad imporsi.
Il suo pensiero ritorna a rimuginare rigirandosi sui medesimi contenuti
e rivivendo le stesse emozioni e sentimenti.
La compagna che ha stabilito questo modo di agire ha anche usato le
maniere forti nei confronti di un'altra allieva. Lei temendo che le
potesse succedere qualcosa si è posta in disparte. Giorno dopo
giorno ha visto sempre di più le sue compagne dare ragione a
quel modo di fare e di essere pur temendolo anche se non erano d'accordo.
Di questo e da diversi mesi che ci sta pensando ma sembra non riuscire
più a capire e ad uscirne fuori. I pensieri finiscono con l'essere
sempre presenti.
Nelle prime battute dell'incontro percepisco che è disponibile
nonostante il suo schermirsi ma anche schermarsi, difendersi dietro
definizioni svalutative di sé. La sua problematica di aiuto conscia
sottintende altri aspetti del sé. La richiesta, la sua motivazione,
i non so che affiorano esprimono la necessità di essere capita
di entrare con lei nel suo dialogo interiore.
Riguardo alla paura si sente bloccata incapace di rispondere e reagire
e racconta un altro episodio.
Ultimamente frequenta degli amici di famiglia, una coppia, con cui si
trova bene, sente la compagnia e la possibilità di parlare, va
frequentemente a casa loro.
Nell'ultimo incontro il marito, quando non era presente il coniuge,
ha dimostrato attenzioni nei suoi confronti, avvicinandola e cercando
di baciarla. Lei ha reagito alla violenza ed è scappata via.
Non ha raccontato nulla ai suoi genitori. Mi comunica che non ha dimostrato
nei confronti di quella persona atteggiamenti personali che la inducessero
a fare quello che ha fatto. Si ferma in silenzio.
Sento la mortificazione del suo sé violato e penso ad un bambino
quando cerca l'aiuto in qualcuno, in un altro genitore che gli possa
offrire quanto non ha potuto avere, per gli scambi affettivi mancati.
Quando manca la figura importante o quando non avendo corresponsione
affettiva corretta il bambino non incontra la mente e gli stati d'animo
del genitore avverte una dislocazione incomprensibile e sé incontra
un nuovo modo di ricevere ben diverso da quello che si aspettava non
è in grado di capire perché ciò avviene. La fiducia
tradita è una violenza psichica che irrigidisce gli scambi affettivi,
l'assenza di fiducia diventa un vuoto incompreso.
Attendo a comunicare tutti i miei pensieri e ascolto il silenzio carico
di paura e vergogna per avere svelato qualcosa di profondo. Penso alla
sua ricerca per uscire dalla solitudine, mi viene alla mente che un
bambino cerca sempre un padre o una madre quando i propri sono stati
vissuti assenti. Le chiedo che cosa pensa di fare. Niente risponde.
La informo, che è molto importante per lei, non frequentare assolutamente
più da sola gli amici di famiglia, perché è possibile
che si ripeta di nuovo l'abuso e la invito a parlarne ai genitori perché
il silenzio non aiuta ma rende lei colpevole di quanto è successo.
Altresì le comunicò che può rivolgersi all'autorità
per denunciare l'accaduto. Le offro la possibilità, se lo ritiene,
di incontrare la sua famiglia. Non risponde.
Riprendo la comunicazione sul sentirsi spaventata e impaurita. Lei mi
comunica di esserlo e io le rimando la sensazione emotiva che è
anche presente quando vive la compagna aggressiva e il gruppo escludente.
Rimane in silenzio.
Le mie associazioni si dirigono alla strategia più opportuna
perché non si allontani ulteriormente per paura che io possa
fare qualcosa, attraverso azioni o comunicazioni esterne: sento che
se le affermassi che sarebbe opportuno convocare i genitori anch'io
confermerei un ulteriore disconferma, incompresa, della fiducia e rinnoverei
il senso di abbandono e di tradimento. Sento ed accetto la mia impotenza
nel non potere temporalmente fare altro.
Laura necessita di un percorso che le permetta di conoscersi meglio
e percepisco che non ha ancora realizzato aspetti sufficientemente consci
del suo mondo interno. Valuto quindi non avendo conferme indirette attraverso
derivati di altri contenuti e non avendo a disposizione altro, di aspettare.
Dopo un po' Laura mi chiede come potere fare per non sentirsi così
male e così sola. Richiamo la comunicazione sul punto relativo
a come fare per sentirsi meno confusa, come lei ha detto, dato che è
da diversi mesi che ci sta pensando e pare non abbia ancora trovato
una soluzione. Altro silenzio.
Dopo un po' comunica che vorrebbe capire che cosa le succede. Penso
che sia ora il momento di potere proporre alcune indicazioni che ritengo
opportune. Riferisco che ho avvertito il suo bisogno di potere parlare
liberamente ma anche che ho potuto notare che ci vuole tempo, che è
faticoso e difficile per lei.
Le comunico che cosa intendo: è la possibilità di iniziare
a pensare a lei, di recuperare le energie mentali che lentamente stanno
scaricandosi, di capire il senso del suo stare male, del suo chiudersi
e ritirarsi. Lo sforzo fatto oggi è il primo passo per "salire
una scala" in senso metaforico dell'equilibrio e del benessere
psichico. Ha appoggiato il primo piede sul gradino di questa scala ed
è riuscita a farlo, è in grado di potere continuare con
la guida di qualcuno. Rivolge lo sguardo attento e triste, chiedendo
in che modo. Rimando la domanda, e mi risponde con uno psicologo. Le
indico che può rivolgersi per una psicoterapia ad uno psicoterapeuta
presso i colleghi che hanno aperto un centro d'ascolto per adolescenti
in A.S.L e che può trovare tutte le indicazioni appese in bacheca.
Risponde che andrà subito a prendere i numeri di telefono. Prima
di concludere l'incontro, rinnovo la disponibilità, se lo ritiene
opportuno, per un ulteriore consulenza. Dopo alcuni giorni incontrandomi
in Istituto mi comunica con un'espressione contenta che ha sostenuto
il primo colloquio in A.S.L. Da allora non l'ho più rivista.
ESEMPIO COUNSELING: 2
A fine febbraio di quest'anno, vengono a parlarmi tre allieve riguardo
ad una loro compagna. Sono molto preoccupate perché hanno l'impressione
che faccia uso di stupefacenti. Mi comunicano che è strana, e
mi raccontano che la madre non la lascia più uscire perché
ha paura. Sospettano che frequenti delle amicizie poco affidabili. Mi
chiedono come fare per aiutarla. Gli spiego che sé la loro compagna
vuole, può rivolgersi allo sportello d'ascolto. Premono perché
sia io ad andare a parlarle e rispondo che questo modo non è
possibile, perché violerei la fiducia che ha riposto in loro.
Sono molto preoccupate e riprendono il discorso dell'uso degli stupefacenti:
con una di loro si è confidata afferma che ha fumato eroina e
che ogni volta che sta con gli amici la fuma. Comunicano anche che la
loro amica ha un piccolo risparmio che la madre non le lascia usare,
ma che in qualche modo riuscirà a sbloccare per comprarsi la
roba. Capisco lo stato d'animo e la preoccupazione che stanno vivendo
e le invito a ragionare con la compagna su che cosa sta facendo piuttosto
che imporle di venire da me Spiego loro che è importante che
sia proprio la loro compagna a prendere l'iniziativa. Dopo qualche ora
ritornano accompagnando la compagna. Congedo le ragazze e fisso un appuntamento
a Carla per il giorno dopo, venerdì alle ore nove in antibiblioteca.
Ho percezione che quest'incontro, non nasce sotto i migliori auspici
in merito alle regole di base, ma segnala in partenza una situazione
di inaffidabilità che si è generata nei miei confronti.
Il fatto stesso che l'allieva sia stata accompagnata in breve tempo
dalle compagne e che siano state loro a "portare" lei, mi
informa che s'inizierà con una probabile situazione di diffidenza,
da verificare, che io mi appunto come nota "stonata".
Carla è una ragazza di 15 anni di corporatura normolinea. Ha
capelli biondi, lunghi, un viso ovale, occhi celesti. E una ragazza
carina e sa di esserlo. Veste jeans, maglione e scarpe da ginnastica.
Si siede sulla sedia con la schiena curva, piegata leggermente in avanti,
gambe accavallate e braccia conserte.
Il suo non verbale mi comunica chiusura in difensiva.
Inizio il colloquio comunicandole che avrà una durata di quarantacinque
minuti e che quanto lei mi dirà rimarrà nel riserbo del
segreto professionale. Inizio con la domanda "in che cosa posso
essere utile? e quali sono i suoi problemi? Risponde che io lo so già.
Percepisco una prova immediata di forza della ragazza nei miei confronti
per capire come mi muovo, come reagisco emotivamente e che cosa vuole
che io le dica. Avverto la sua opposizione. Rispondo che mi è
stato comunicato la preoccupazione delle compagne nei suoi confronti.
Desidero attendere, lei mi guarda dal basso verso l'alto con un percepibile
sorriso. Rimane in silenzio, così anch'io. E un silenzio
carico di non voglio parlare, non voglio dire, carico di no.
Dopo poco modifica l'atteggiamento di sfida e con voce tremula e con
varie sospensioni durante il discorso inizia a raccontare che ha conosciuto
degli amici più grandi di lei che fumano eroina e che ha provato
una volta poi le è piaciuto ed ha continuato, ma solo poche volte,
e solo quando s'incontra con loro, ma non si è mai bucata.
Mentre racconta ho la sensazione, attraverso il suo tono della voce
che sembra preoccupata, ma non lo è. Ho l'immagine di un registratore
che ripete la stessa canzone. Il clima non è cambiato. Mentre
parla mi guarda trasversalmente per capire che reazioni posso offrirle.
Rimando a Carla il senso di piacere nel fumare qualcosa di proibito.
Lei risponde che ha iniziato perché qualche mese prima il padre
si è ucciso sparandosi un colpo di pistola. Rimane in silenzio.
Ho la sensazione che la risposta sia una giustificazione ma anche elaboro
il senso di lutto e di dolore per la perdita. Continua comunicando che
verso il padre non ci teneva ma che ora che non c'è più
sente la sua mancanza. Le rispondo che sembra lei stia ripensando a
ciò che avrebbe potuto dire o fare con suo padre. Annuisce, poi
risponde che si è così e che adesso vorrebbe potere riprendere
delle cose che al tempo non erano capite, che loro due non si capivano,
poi rimane in silenzio.
Non ho ancora la possibilità di trarre delle considerazioni ma
sino a questo momento ho l'impressione, non giustificata, che Carla
stia cercando il modo di giocare con me e di farmi credere quello che
dice. Avverto nel suo racconto qualcosa di strano: recupero lo stato
emotivo con cui racconta la perdita, che non si rivolge ad un vissuto
di dolore né di mancanza, ma nello stesso tempo c'è un
senso di disattenzione presente come non avesse sufficiente attenzione
per quello che ha vissuto e per come lo ha vissuto. Focalizzo la percezione
sulla disattenzione per capire questa mia immagine di lei che non ha
sufficiente attenzione.
Rimando al suo essersi sentita sola e rilancio la difficoltà
nel capirsi. Risponde che anche sua madre è una persona che non
capisce che è lontana e con cui non parla volentieri. Rimetto
in gioco il non parlare volentieri per riprendere il tema iniziale del
fumare eroina che abbiamo lasciato in sospeso ricordando che all'inizio
del colloquio pareva non avesse voglia di parlarne.
Le mie associazioni mi portano a riflettere che anch'io per lei non
sto capendo che cosa mi dice e/o che cosa sta dicendo di sé a
sé. Carla appare colpita di questa virata, come non si aspettasse
che avrei ripreso il tema iniziale.
Avverto l'essersi sentita sorpresa.
Riprende a parlare degli amici di come stanno bene insieme di un mondo
giovanile che è idealizzato, ripetendo le cose già dette,
ma aggiungendo anche, che sa che non lo dovrebbe fare. Le chiedo se
sua madre sa che cosa fa. Non risponde.
Penso di avere capito attraverso quello che Carla ha detto con i suoi
silenzi enigmatici: utilizza sia la fantasia sia la bugia. Ho compreso
la sua continua necessità di attirare l'attenzione attraverso
le diverse rappresentazioni dei soggetti trattati nel creare comunicazioni
con contenuti ad effetto, che sono barriere per evitare il contatto
con la realtà.
Non ho voluto offrire, fino a questo punto, a Carla la possibilità
di colludere con il suo psichismo non affrontando il materiale che presentava
evitando il senso di blocco che genera angoscia.
Durante il colloquio Carla ha rappresentato anche una realtà
psichica che racconta bugie a sé.Propongo a Carla di pensarci
su nel riprendere il dialogo con sua madre che potrebbe essere utile
anche per affrontare con qualcuno in un secondo momento un aiuto per
smettere di fumare, e la invito a capire insieme come fare per superare
le difficoltà. Accetta la disponibilità ad un nuovo incontro
e le fisso l'appuntamento per lunedì prossimo alle 8.30 sempre
nello stesso posto.
Lunedì mattina Carla arriva puntuale saluta e si siede. Le chiedo
che cosa le è venuto in mente dall'ultima volta. Risponde che
sarebbe d'accordo nel provare a parlare con qualcuno, come è
avvenuto con me. Le chiedo come pensa di poterlo fare. Non risponde.
Di nuovo avverto il suo no interno. Silenzio.
Le comunico che può essere un problema non sapere come fare per
aiutarsi e lei risponde che se c'è qualcuno che la può
aiutare nel dire come fare forse cambia qualcosa. Sorride. La informo
sullo spazio adolescenti organizzato dall'A.S.L e sulla possibilità
dei giovani di rivolgersi per essere ascoltati. Annuisce ma con scarsa
partecipazione
Non sento un clima di fiducia e avverto nuovamente l'incertezza. Carla
sta fuggendo da me e sta sfuggendo a sé. Sono interdetto su come
voglia portare avanti la relazione. Da un lato avverto che afferma che
non vuole fare niente dall'altro sento una debole possibilità
nel fare qualcosa. Voglio ancora esplorare, questo suo aiutarsi.
Rilancio il significato di come lei si aiuta; risponde che utilizza
un diario dove scrive le cose, le comunico che è importante il
diario perché permette di rileggere nel tempo le proprie emozioni,
sentimenti, idee e fatti. Mi esprime che lo tiene nascosto perché
non vuole che sia scoperto. Penso nuovamente alla paura di scoprire
a sé qualcosa, del genitore che può scoprire. Anch'io
sto scoprendo con lei qualcosa e lei mi sta comunicando che non vuole.
Rilancio che tutto questo, anche tra noi, è uno scoprire che
può fare paura: che io venga a scoprire qualcosa. La comunicazione
perde di intensità, d'altronde avevo notato durante il precedente
incontro, le cadute progressive di tono. Carla cerca che sia io a proporre
la soluzione su come fare. Sento la frustrazione di essere nuovamente
arrivato al punto iniziale di partenza e di non essere riuscito a indicare,
con Carla, una possibilità per ricercare una strada che desse
risposte diverse. Carla ha deciso già dal giorno precedente,
di assegnare sé consegnando dentro di me la decisione che fossi
io a comunicare, alla madre, quanto lei stava vivendo.
Le comunico che farò convocare la madre per comunicare quanto
mi ha detto perché ho la responsabilità di salvaguardare
la sua salute. La convocazione sarà fatta da un altro collega
psicologo perché successivamente al nostro incontro sarò
poi assente per circa venti giorni e non potrò essere presente
per nessun allievo o genitore. Le chiedo cosa pensa. Risponde con velocità
sé non è meglio che sia lo psicologo a farlo. Subito non
comprendo quale sia lo psicologo che deve comunicare ma desumo si riferisca
alla figura cui dovrebbe rivolgersi o indirettamente in terza persona
a me Lo stato generale del rapporto non è teso, tantomeno avverto
conflitto o opposizione, non avverto la preoccupazione per la madre
né tanto meno mi comunica la sua. Avverto, contemporanea alla
decisione la percezione di una nuova bugia. Le chiedo se ha qualche
domanda, lei risponde che potrebbe iniziare con me un percorso per potere
capire meglio tutto. Le spiego che non è possibile svolgere da
parte mia una psicoterapia all'interno dell'Istituto e che proprio per
i giovani è stato creato un centro apposito di ascolto, che se
lo vuole può prendere tutte le informazioni in bacheca.
Concludo l'incontro salutandola e prima di uscire lei contraccambia
sorridendo e porgendomi la mano per la stretta di saluto. La comunicazione
mi conferma
Lasciato passare qualche giorno decido di non agire subito e di fare
convocare la madre dal collega perché raccolga tutte le informazioni
sull'esame di contesto e sulle relazioni famigliari.
Riporto qui di seguito i tratti salienti: emerge dal colloquio con il
genitore, che la ragazza da un po' di tempo ha iniziato a leggere il
libro Noi, ragazzi dello zoo di Berlino riportando le notizie su un
diario che la madre ha scoperto e ha iniziato a leggere. Compare nel
documento, che Carla si è immedesimata in una delle protagoniste
presenti nel romanzo. Il padre è attualmente vivente e lavora
in qualità di impiegato. Carla è figlia unica e le relazioni
con i genitori sono persone che hanno delegato la sua educazione e la
comprensione dei problemi che si presentavano in famiglia. La ragazza
è seguita da oltre un anno da uno psicologo privato.
CONSIDERAZIONI
Desidero riprendere questo secondo esempio clinico per la complessità
con cui si presenta. Distinguo una triplice caratteristica:
1. la prima è la rappresentazione di un mondo interiore carico
di fantasie ma anche di bugie che alimenta con il mentire con nuovi
significativi personaggi o storie che devono essere credibili a sé
e per gli altri. Tale mondo è specchio di affetti limitati e
probabilmente parzialmente vissuti in cui Carla ha la necessità
di creare nuovi sostituti. Quando è individuato e scoperto l'oggetto
a cui lei si riferisce deve necessariamente e nuovamente crearne un
sostituto. Vi è in questo senso una scissione del sé sottostante.
La verità per Carla è difficile a viversi perché
e considerata espressione di follia. Preferibile è rappresentare
la bugia, quale prodotto dell'azione del mentire rendendola credibile
attraverso l'assunzione di credibilità dell'altro. Vivere gli
affetti, essere sincera, dichiarare la verità è profondamente
doloroso per lei.
2. La seconda caratteristica e il prodotto delle sensazioni emotive
e affettive che Carla vive nei personaggi che crea, ponendoli fuori
di sé, per suscitare la risposta nell'altro che poi, attraverso
la reazione esternata, vive come parte da lei prodotta.
3. La terza caratteristica e il senso di frustrazione e di illusione
che mi poneva e che ha permeato le fasi dell'incontro. Percepire il
suo creare bugie che diventavano espressione della sua realizzazione
potente. Lei conosceva la verità ma non la diceva producendo
continuamente messe in prova di credenze patogene.
DISCUSSIONE
Gran parte delle persone che si rivolgono al counseling scolastico sono
giovani che richiedono un intervento in grado di potersi ri-orientare,
a causa della confusione e della condizione di sofferenza psichica.
Richiedono a volte un intervento per curiosità, gioco, moda,
altre per riuscire realmente a riaffiorare dal loro stato di malessere
e disorientamento. Emerge in ogni modo un'attenzione alle problematiche
psichiche, rivolta all'autodafé, ed una paura di fondo al considerarsi
o all'essere considerato "matto" per i problemi di cui si
soffre, accompagnati da una resistenza generalizzata, comprensibile,
ad iniziare realmente ad occuparsi di sé. Vi è una scarsa
educazione al dialogo interiore ed alla capacità di comunicazione
eterorivolta. La comunicazione, nel suo insieme, flette secondo i livelli
socioculturali d'appartenenza ed è sempre più apprezzabile
un livello di linguaggio composto di parole semplici o scarsamente dotato
di terminologia in grado di descrivere gli stati d'animo (affetti, emozioni),
idee, pensieri, fantasie, astrazioni.
Altresì il livello di capacità di comprensione: (induzione
- deduzione), d'analisi e collegamento non sempre presente, a volte
in fieri, sottostà all'abitudine di ricevere oralmente, pronto
e confezionato, il risultato solutivo da potere applicare. L'indice
evidenzia una scarsa capacità verso il processo della ricerca
e l'acquisizione d'abitudini cognitive consolidate, pre-confezionate,
pre-cristallizzate.
Tutti questi indicatori sottolineano al counselor che l'operazione,
che andrà apprestando, il counseling, è complessa quanto
un primo colloquio e presenta dei fattori nocivi che esplorerò
tra poco.
Altre persone si rivolgono al counseling presentando problemi di violenza
psicofisica, tossicomania, alcoolismo etc. Si rivolgono quasi sempre
allo psicologo all'ultimo, riguardo alle condizioni esperite, ponendo
l'operatore di fronte alla necessità di un serio esame di realtà,
ad un rigoroso impegno e ad un corretto riposizionamento di tutti gli
aspetti incidenti il problema. La questione solleva spunti di dibattito
interessanti riguardo al che cosa fare? Come fare? Quando i contenuti
riportano il clinico all'assunzione di responsabilità precise.
Ad esempio riguardo al caso sopra esposto ritengo di non essere intervenuto
rispetto a future possibilità di abuso. Molti di voi l'avranno
sicuramente pensato: si poteva riprendere in un successivo incontro
il problema del tentato abuso, sarebbe stato necessario convocare la
famiglia oppure altro.
Si, anch'io, ho avvertito la necessità di focalizzare l'evento
portato e di assegnare priorità d'intervento, ma mi sono anche
accorto che non avrei risolto con un intervento di proposizioni direttive.
Ero particolarmente attento che Laura comprendesse la sua fragilità
e la potesse riconoscere come momento per partire verso delle scelte;
che il tentato abuso confermava la distanza affettiva esperita e avrebbe
proposto l'angoscia dell'isolamento, il sentirsi impreparati per nuovi
confronti con la realtà. Sicuramente la mia è stata una
scelta, come una scelta sarebbe stata la convocazione della famiglia
e tutto quanto comportava la relazione con il mondo interno di Laura.
Una prima difficoltà che emerge nel counseling è la reale
sintonizzazione con i processi psichici del consultato. Lavorare con
i dati psichici di superficie e di profondità in continuo scambio,
con poco tempo a disposizione, impone al counselor capacità d'allenamento,
nel passaggio dalla rappresentazione di dati cognitivi a quelli significanti
lo stato affettivo emotivo presente.
Una seconda difficoltà è acquisire esperienza con le tematiche
adolescenziali collegate alla crisi dell'adolescenza presente nel processo
di trasformazione. Saper riconoscere le fantasie e le illusioni che
si mescolano con i bisogni nella realtà in un continuum proprio
del mondo adolescienziale: essere pazienti e mediativi alle spinte pulsive
e alle sollecitazioni che sono trasmesse. Acquisire una visione ampia
della problematica e nel frattempo delle specifiche caratteristiche
della realtà esterna ed interna, con cui opera l'adolescente,
con attenzione alla seconda.
Realtà interna fatta di paure, ansie, angosce, fobie, ma anche,
di mancanza d'oggetti interni, di parziali organizzazioni del sé:
incomplete guastate, arrestate, di agiti continui e violenti, del rifiuto
del corpo sessuato, di un Io scarsamente pronto a contenere le spinte
inconsce, di ripercussioni invasive ed identificatorie materne e paterne.
Il mondo interno e gli agiti sollecitano continuamente il counselor
che ha la necessità di riuscire a dialogare con la problematica
dell'adolescente. Più l'adolescente permane nella sfera dei sintomi
e dell'economia del malessere senza che questa possa essere comunicata,
tanto più egli rimane vittima di sé (vedere Jeammet P.,
1992 e 1995).
Segnalo ancora alcuni fattori che ritengo nocivi procurati dal counselor
alla relazione con il sul consultato riportando un breve elenco:
* Scarsa se non assente capacità d'alleanza del counselor genera
vissuti d'incomprensione e di allontanamento del consultato,
* Il fattore tempo limitato ad alcuni incontri può imporre restrizioni
del focus e di voci collegate alla tematica parzializzando una responsabilità:
il soggetto può rimanere interdetto o nelle medesime condizioni
emotive con cui si è presentato. Altresì possono generarsi
pressioni a causa dei continui agiti dell'adolescente che potrebbero
spingere il counselor a modificare il suo intervento, con a sua volta
agiti direttivi.
* Eccessive domande e verbalizzazioni del counselor possono creare uno
sbarramento nei confronti del consultato, oppure, sottrarre tempo e
possibilità di comunicare in un proprio modo. Può segnalare
lo stile difensivo del clinico alle problematiche proposte e può
contribuire al disadattivo evolversi della relazione.
* Improprie o scarse capacità del counselor di utilizzare la
teoria e la tecnica può generare fuga, allontanamenti repentini
del soggetto: segnala scarsa affidabilità del professionista.
* Ambiguità del ruolo del counselor con scambi dal comprensivo-analitico
al direttivo confonde la posizione dello specialista al consultato che
lo reputa inaffidabile, da evitare. Altresì una scarsa precisazione
del proprio ruolo e delle funzioni con le componenti istituzionali dirigente
scolastico, insegnanti, altro, tende a definire di fronte a terzi e
a veicolare un'immagine carica di diffuse ambiguità.
CONCLUSIONI
Credo di avere rappresentato uno stile nell'operare counseling, teso
alla ricerca dei meccanismi di azione e reazione presenti nei soggetti
nella dinamica della relazione di consultazione.
La riflessione non aveva la pretesa di rendere esaustiva la complessa
mappa teorica e tecnica del far counseling né mi sono posto tale
intenzione. Ho cercato solo di rendere chiaro e leggibile i diversi
passaggi teorici e tecnici che sono presenti nel setting del counseling
Lo spirito che mi ha guidato e mi guida è la ricerca continua
di ogni aspetto psico-genetico propri di ogni persona che quando sì
approccia al terapeuta, nel suo tempo, è anch'esso alla ricerca
dell'equilibrio del suo psichismo. Spero di avere in tal modo stimolato
anche altri nel continuare insieme il lavoro.
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NOTE
1 - Intervento letto il 23 Giugno 2001 al Corso di Formazione in Psicologia
Scolastica, IX° modulo organizzato dall'Ordine degli Psicologi della
Regione Piemonte e dall'Università degli Studi di Torino, Dipartimento
di Psicologia.
2 - Psicologo-Psicoterapeuta, Ordine degli Psicologi Consiglio regionale
piemontese n°1169, Commissione Psicologia Scolastica. Membro affiliato
alla sez. italiana. della Society Psychoterapy Research. Torino - Italia
E.mail: guidoarno@tiscalinet.it
3 - Hough M. (1996),
4 - Galimberti U. 1992-99, Dizionario di Psicologia, Garzanti
5 - Galimberti U. ibidem.
6 - Rogers C. (1942), Counseling and Psychoterapy, Houghton, Mifflin
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7 - Galimberti U.,ibidem.
8 - Carkhuff R. R., (1987), The art of helping VI^ ediction USA, Human
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9 - Kernberg O., (1984), Severe Personality Disorders, Yale University
Press.
10 - Migone P. (1998), Il problema della "validazione scientifica"
della psicoanalisi pp.175-197, in Terapia Psicoanalitica, ed. F. Angeli,
Milano.
11 - Migone P. (1996), La ricerca in psicoterapia: storia, principali
gruppi di lavoro, stato attuale degli studi sul risultato e sul processo,
Rivista sperimentale di Feniatria , vol CXX, n°2 pp. 182-328
12 - "Nell'accezione più generale del termine, un individuo
è un'entità singola e particolare, e come tale possiede
le caratteristiche dell'unitarietà e dell'unicità. L'unitarietà
ci dice che si tratta di una realtà singola, ossia non molteplice;
l'unicità ci dice che si tratta di una realtà particolare,
ossia dotata di un'identità distinguibile da quella delle altre.
Le caratteristiche complessive di un individuo sono riconoscibilmente
diverse da quelle di un altro, anche se i due sono simili (e anche se
sono gemelli identici - ciò che costituisce un caso speciale).
Riconoscere i due distinti significati di "individuo" - unitarietà
e unicità - è importante, perchè nel processo di
sviluppo le due proprietà non insorgono contemporaneamente. Lo
stesso può dirsi di diversi altri aspetti dell'individualità
che, quando discutiamo dello status degli adulti, noi diamo per scontati.
Qui metterò a fuoco sei aspetti separabili dell'individualità
che insorgono durante una storia di vita:
genetico, evolutivo o relativo allo sviluppo, funzionale, comportamentale,
psichico e sociale.
1) Per individualità genetica intendo l'unicità ereditaria,
dove per "ereditaria" deve intendersi "suscettibile di
essere trasmessa da una generazione all'altra".
2) Per individualità evolutiva o relativa allo sviluppo intendo
il conseguimento dell'unicità e delle sue conseguenze.
3) Per individualità funzionale intendo l'insieme delle attività
essenziali alla sopravvivenza.
4) Per individualità comportamentale intendo il complesso delle
attività integrate dell'insieme in relazione all'ambiente.
5) Per individualità psichica intendo le esperienze interiori
che accompagnano il comportamento.
6) Per individualità sociale, infine, intendo le interazioni
consapevoli all'interno di una comunità di individui." 12Grobstein
C. (1988), Science and the Unborn, ed. Basic Books, New York; (1998)
Quando si costituisce l'individuo, ed. Le Scienze, Quaderni n° 100
febbraio 1998.
13 - Stern D. (1985) The interpersonal world of the infant, Basics Books,
New York.
14 - Stern D. (1985), ibidem
15 - Stern D. (1985), ibidem.
16 - Stern, D., ibidem.
17 - Stern D., ibidem..
18 - Darwin C. (1872), The expression of the emotion in man and animals;
(1998), Third edictionwithan introduction, afterword and commentaries
by Paul Ekman, Harper Collins, London.
19 - Stern D., ibidem.
20 - Langs R. 1988 A primer Psychotherapy, Gardner Press, New York.
21 - Bollas 1987 The shadow of the object Free Association Book, London.
22 - Il counselor è uno Psicologo-Psicoterapeuta, un medico,
con una preparazione post-laurea specifica ed un training rispondenti
alle leggi presenti in ogni paese dove svolge l'attività. In
Italia è necessario per uno Psicologo aver compiuto il corso
di studi universitario in psicologia, o in medicina, aver sostenuto
un esame di stato come regolamenta l'Ordinamento della professione dello
Psicologo Legge n° 56 del 18 Febbraio 1989, ed un corso specialistico
post-universitario.
23 - Codice deontologico degli Psicologi italiani: approvato dal consiglio
Nazionale dell'Ordine 27-28 Giugno 1997
24 - Codice deontologico degli Psicologi italiani, ibidem.
25 - Codice deontologico degli Psicologi italiani, ibidem.
26 - Codice deontologico degli Psicologi italiani, ibidem.
27 - Codice deontologico degli Psicologi italiani, ibidem.
28 - Codice deontologico degli Psicologi italiani, ibidem.
29 - Codice deontologico degli Psicologi italiani, ibidem.
30 - Codice deontologico degli Psicologi italiani, ibidem.
31 - Gli allievi e gli insegnanti, sin dall'inizio dell'anno, sono informati
dell'esistenza dello sportello d'ascolto e degli Psicologi presenti
a cui rivolgersi.
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