Anna Ferruta
Ricordando Enzo Morpurgo
"Elogio della psicoanalisi" è il titolo del libro dedicato all'opera e alla figura di Enzo Morpurgo da amici, allievi, collaboratori nel 1996, a cura di Adriano Voltolin, edito da Franco Angeli. Il volume contiene una prefazione di Silvia Vegetti Finzi che ne ripercorre la storia umana e scientifica: a lei e al suo insegnamento universitario si deve un prezioso lavoro di documentazione e approfondimento del pensiero dei principali psicoanalisti Italiani. Contiene anche un profilo biografico e una completa nota bibliografica di Valeria Egidi Morpurgo e di Natascia Micheli: è grazie all'appassionato e attento lavoro di editing di Valeria, moglie e collega, che anche coloro che non hanno incontrato Enzo Morpurgo lo possono conoscere attraverso i suoi scritti. Il suo pensiero e la sua opera costituiscono un "elogio della psicoanalisi", come strumento di conoscenza e libertà, come pensiero critico interessato al punto di vista dell'altro, come rinascita della soggettività che nel momento in cui si libera dalla reificazione si apre all'alterità invece che ripiegarsi in uno sterile narcisismo. Ricordarne il percorso suscita un senso di smarrimento, di fronte alla complessità dei temi affrontati, al rigore teorico degli interessi filosofici, alla passione civile e sociale emergente e liberata dal contatto con il dolore sommerso nell'inconscio, al senso etico del suo lavoro teorico e pratico, al modo in cui ha saputo "abitare l'esperienza" di appartenere a una delle famiglie ebraiche che sono state attraversate dalla più radicale delle negazioni del soggetto umano avvenuta nel secolo scorso. La profondita' del suo sapere e del suo saper fare attinge un alimento essenziale dalla sua capacità di contatto con le abissali contraddizioni che abitano l'inconscio, che Morpurgo ha saputo attraversare, non arretrando mai di fronte alla difficoltà di unire chiarezza e rigore di pensiero con la scoperta di sconcertanti verità insite nella psiche umana, che costringono poi a ricercare ancora. Morpurgo ascolta il pensiero dell'altro, esponendosi continuamente al rischio di vedere contraddette le sue convinzioni e insieme condannandosi alla solitudine di chi non ricerca tranquillizzanti concordanze, ma si vuole avventurare nelle profondità dell'umana natura per potere operare nel mondo sociale con meno inadeguata capacità. Ha saputo unire in modo davvero unico un lucido sguardo sugli aspetti oscuri dell'umana natura con un'illuminata fiducia nell'utilità e nel valore e nel piacere di incontri trasformativi. Per questo la sua opera costituisce un "elogio della psicoanalisi", per la fecondità generata da un pensiero critico che affonda le sue radici nell'inconscio per trarne una linfa vitale. Per questo è importante che tutti coloro che sono interessati a incontrarlo lo possano fare, leggendo i suoi libri, che mettono a disposizione la ricchezza di un pensiero sempre in attesa di sviluppi ulteriori. Per ricordarlo, voglio citare un passo del suo ultimo libro "Chi racconta a chi?" (Angeli, 1998), un libro bellissimo, nel quale emerge con forza l'abissale profondità che "il problema dell'Altro" ha dispiegato nel suo pensiero, che arriva a confrontarsi con lucida audacia con la negazione della morte presente nella cultura del nostro tempo. Morpurgo qui traccia la differenza tra il dialogo mondano e il dialogo psicoanalitico: " 'l'interazione umana media", che io preferisco definire "dialogo mondano", con espressione di sapore heideggeriano; ritengo che questo sia radicalmente contrapposto al dialogo psicoanalitico. Che, per esser tale, implica una fondamentale epoché dell'analista nei confronti dei valori del mondo. Quale è la radice di questa impossibilità del dialogo moderno a diventare dialogo emancipativo, costruttivo, e 'terapeutico'? (...) C'è un dialogo mondano che si tiene costantemente in superficie, diciamo così, per paura di affrontare in gruppo i temi, le tematiche del sé profondo, e che si costituisce intorno a un comportamento del singolo convinto di avere un 'sé' stabile, definitivo e ben conformato e che rifugge dal confronto con l'immagine dell'altro quando appaia come l'immagine di portatore di un bisogno. Quale bisogno? Il bisogno di due cose: di mettere il male nell'altro e il bisogno di apparire come un individuo diverso dal se stesso abituale. (...) Di fronte ad una comunicazione 'perturbante' la risposta media e talora anche quella analitica o psicoterapica, tende ad essere il rifiuto che respinge l'emittente e il suo grido di dolore. (...) (Anche l'analista), che è meglio attrezzato del partner di vita, e protetto dal setting per affrontare l'espressione di dolore, è esposto comunque alla tentazione di respingerla. Magari con teorie raffinate (...) Il succo di queste sbrigative definizioni a mio parere era che l'analista non si sentiva di mettersi in questione o di sopportare ulteriormente le lamentele del paziente, così lesive per l'immagine di sé e comunque così faticose da sostenere. Utilizzava così la sua teoria - quale che fosse - per difendersi anziché più semplicemente, ma quanto più faticosamente, accettare, ricevere e tollerare il dolore del paziente. Dando al paziente e a se stesso il tempo necessario per capire o magari per non capire mai; o per capire e non potere fare niente per il disagio o la sofferenza espressi: che' anche questo significa accettare l'orizzonte della morte in seduta, come segno del limite, del non esserci garanzia certa di riuscita dell'impresa analitica." (p. 200-204). Dopo avere toccato queste profondità, per risalire al pur necessario dialogo mondano, utilizziamo uno dei piaceri della vita di Enzo Morpurgo, il gusto per l'aforisma, per la battuta di spirito (sta per uscire una raccolta di sue poesie e aforismi con il titolo "Un uomo a mare" , ed. Mazzotta). Ecco uno dei suoi aforismi: "La psicoanalisi: il seno di poi". |