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Dalla psicoanalisi freudiana alla daseinanalyse binswangeriana:
connessioni e contrapposizioni
Donatella Ghisu
Il discorso sulla Daseinanalyse della psichiatria antorpofenomenologica di Binswanger implica anche il dibattito intorno al suo discostarsi dalla psicoanalisi e, in particolar modo, da Freud, benché la stessa psicoanalisi freudiana abbia avuto una notevole influenza –iniziale- sullo sviluppo della teoria binswangeriana della presenza dell’uomo nel mondo.
Per tale ragione sarà importante comprendere quanto le teorie sull’esistenza dell’uomo, siano esse filosofiche o prettamente psicologiche, abbiano influito sul pensiero di Binswanger psichiatra-filosofo.
Bisogna, inizialmente, fare una netta distinzione fra la daseianalyse e la psicoanalisi laddove soprattutto con a prima, si suole riferirsi all’analisi dell’esser-ci, della presenza dell’uomo nel mondo; un’analisi tutta antropologica e nel contempo fenomenologica, proprio perché inerente l’essere-nel-mondo; e con la seconda ci si riferisce essenzialmente ad un metodo psicoterapeutico che ha come scopo fondamentale la salute dei pazienti inerente, dunque, la pratica analitica.
La psicoanalisi però, insieme al suo maggiore esponente, Freud ebbe notevole influenza sulla formazione e sullo sviluppo successivo della teoria di Binswanger.
La teoria psicoanalitica fu edificata da Freud attraverso vari stadi.
Freud nasce come medico che, attraverso le iniziali ricerche neuroistologiche su animali inferiori, approda alla neurologia e, infine, alla psichiatria. Inoltre nei suoi studi psichiatrici, egli si rifece ai maggiori rappresentanti dell’alienistica tedesca secondo i quali il cervello altro non era se non una grandiosa centrale di stimoli e controstimoli che vengono generati dal contatto col mondo esterno e la psiche, un epifenomeno del cervello, senza autonomia e senza possibilità di scelta.
In questo senso essi potevano spiegare i fenomeni psichici solo in termini anatomo-patologici, intendendo così la malattia mentale come l’insieme delle modificazioni psichiche che derivavano dal disturbo di una delle funzioni fondamentali che potevano riguardare di volta in volta, l’intelligenza, la memoria, l’affettività e così via. E, l’indagine clinica propria della psichiatria, investiva non già la globalità psichica, ma le sue funzioni prese –appunto- singolarmente.
Sull’impronta dell’alienistica tedesca del tempo, Freud riteneva che l’attività cerebrale fosse costituita da pulsioni di tipo primordiale che muovono, moderano e indirizzano quelle stesse funzioni di cui si parla nella neurologia anatomo-clinica tedesca. Questi impulsi freudiani non sono altro se non la libido “un’indomabile forza della natura” (Freud in L'Io e l'Es, 1923) che va a sorreggere l’intero organismo psichico. È evidente, dunque, quanto la teoria freudiana sia impostata nei termini propri del naturalismo biologico e fisico all’interno del quale la psiche diviene espressione ultima dell’organismo che la sottende. Per Freud, allora, la realtà psichica è costituita da processi fisiologici e chimici. Traducendo così in termini fisici l’ordine dei significati psichici, Freud oggettivizza il soggettivo, riducendo il soggetto ad oggetto il quale, come tutti gli oggetti del mondo, viene studiato dalle scienze della natura.
La vita dell’uomo, oggetto specifico dell’indagine psicologica e che si risolve nella libido, viene così considerata in senso biologico poiché si riconosce all’essere umano, come unica, la capacità di tendere al soddisfacimento delle sue pulsioni istintive. Fra gli oggetti su cui la libido si posa vi è il corpo e le sue zone erogene, attraverso le quali trova il suo soddisfacimento o la possibilità di esso. Secondo la seguente teoria freudiana, quindi, il corpo non possiede nulla di psicologico né nel suo tratto, né nella sua espressione e, ancor meno, nella sua gestualità perché esso diviene “il campo da gioco dei fattori biologici” che gli sono propri.
Gli studi medici condotti da Freud e in particolare la fisica, lo portano a concepire le libido in senso quantitativo-energetico come se la libido fosse una forza che si trasforma nel corso delle sue manifestazioni. Pertanto se la carica libidica non riesce ad investire un oggetto, si rivolge ad un altro oggetto o rientra nel soggetto stesso, restando sospesa senza mai disperdersi. Quando questo non avviene e il dinamismo della libido si impunta senza procedere nella sua evoluzione, si hanno le manifestazioni psicopatologiche. Partendo dal naturalismo sul quale Freud basa la sua psicoanalisi, si procederà nella prassi analitica scomponendo lo psichico nei suoi elementi per ricostruirlo sempre sulla base di postulati biologici, che stanno alla base della sua formazione medica. Egli, infatti, riduce l’uomo autentico ad un “homo natura”, dove la sua storicità, il suo vissuto diviene null’altro che una manifestazione della storia naturale. Freud è convinto, infatti, che solo le scienze naturali possano fornire il vero sapere sull’uomo e sulle cose e, attraverso ciò, afferma che dietro quello che ci appare di ogni oggetto, vi è qualcos’altro che sfugge alla nostra percezione sensoriale. Inoltre egli stesso ritiene che nella vita psichica si hanno, da una parte, “l’organo materiale e lo scenario in cui esso svolge la sua attività” (il cervello), dall’altra gli atti coscienti.
In questi atti coscienti esiste però una lacunosità dalla quale egli trae l’inconscio che è poi lo psichico in sé; questo perché secondo la sua teoria, si manifestano sovente atti psichici che non possono essere spiegati se non come atti indipendenti dalla coscienza stessa. Nell’inconscio, che è incontrollabile, vengono dunque inseriti quei nessi causali privi di lacune che non vengono percepiti a livello cosciente e che, tuttavia, bisogna conoscere per spiegare la vita psichica secondo la metodologia propria delle scienze naturali. Spiegare, quindi, non già comprendere. In questo modo il rapporto col mondo è distrutto e l’inconscio è vissuto come entità a sé stante chiusa nel suo apparato psichico.
Le stesse idee di transfert e di conversione o somatizzazione sono inserite in una visione legata puramente alla fisica naturalistica tanto che, concependo con Freud le qualità psichiche come oggetti fisici, si potrà spostare un sentimento così come si sposta una cosa. Nel fenomeno della rimozione però, dove viene obliato, dimenticato, eliminato dalla coscienza tutto ciò che di “penoso, spaventoso, spiacevole o umiliante vi sia per la personalità”, come Freud stesso dice, si sottrae la malattia dal contesto fisico-biologico che finora aveva sorretto la teoria stessa. Egli infatti porta la prassi terapeutica su di un piano che diviene “personale, umano e moralmente significante”. Ora l’uomo non è più visto come un soggetto che vive in balia delle sue funzioni biologiche, ma come colui che si appropria delle possibilità di vita per assumerle o rifiutarle secondo un “atto libero di responsabilità personale”. Questo provoca una netta separazione tra la teoria e la prassi terapeutica propria della psicoanalisi freudiana. Solo così, comunque, Freud ritrova l’uomo inteso nella sua globalità e nella sua presenza, ponendo l’esistenza dell’analizzato di fronte a quella dell’analista e trasformando così l’analista stesso, da naturalista in antropologo, come afferma lo stesso Binswanger. In tal modo si darà importanza alla storia interiore, a quel continuum di “Erlebnisse” strettamente connessi l’uno all’altro che testimoniano lo sviluppo esistenziale di ogni individuo.
Lo stesso Binswanger però, che all’inizio si adeguò incondizionatamente a Freud e alla sua tecnica, dopo un lungo periodo di ripensamento, si mise in netto contrasto col padre della psicoanalisi. Un contrasto che culminò con la contrapposizione dell’ “homo natura” freudiano con l’ “homo existentia” tipicamente binswangeriano, col quale è sottolineata la fenomenicità dell’uomo e del suo essere-nel-mondo. Ed è proprio partendo da questo presupposto che Binswanger supera il dualismo soggetto-oggetto arrivando ad una nuova impostazione metodologica dell’analisi esistenziale attraverso la quale avere la possibilità di comprendere sia il malato di mente quanto la persona sana, poiché tutti fanno parte di quei “viventi che come unità psicofisiche sono elementi fondamentali della società” (Dilthey). In questo senso l’alienato non è più colui che vive fuori dal mondo, ma –invero- colui che nell’alienazione ha trovato l’unico modo per lui di essere-nel-mondo. Qui, dunque, l’alienazione è un estremo tentativo di esser-ci divenendo, nonostante tutto, se stesso.
L’antropologia fenomenologica supera l’antinomia sano-malato, anche perché si interessa dell’umano prescindendo da giudizi di “sanità” o “morbosità”. Inoltre, ritiene che i “mondi” del malato di mente siano rivelazioni, seppure tragiche, del possibile uomo e ciò al pari dei mondi del “sano”.
Per tale ragione qualunque malato di mente, in quanto uomo, non può non progettarsi nel mondo e tutte le malattie mentali, dalla schizofrenia alla mania, alla melanconia, alle perversioni, sono nella loro essenza, possibilità umane. Lo stesso Jaspers con la sua “Psicologia delle visioni del mondo” comprese quell’a-priori esistenziale secondo il quale vi sono variazioni che portano in taluni soggetti ad un appiattimento del mondo. Secondo questa teoria anche Jaspers, autore determinante per la formazione dello stesso Binswanger, ogni incomprensibilità dell’alienato potrà essere descritta attraverso la sua visione del mondo che se troppo costretta o appiattita, porta il soggetto stesso ad una situazione limite che gli fa vivere come quotidianamente incombenti e angoscianti la morte, il dolore, la colpa, la lotta che non vengono lasciate invece nelle loro dimensioni temporali e spaziali. È, infatti, per questo che l’antropoanalisi lascia alla psichiatria classica il compito di “giudicare” ciò che è sano e ciò che è morboso. Una psicologia siffatta, di conseguenza, non ha più nulla a che fare con l’homo natura della psicoanalisi, ma con un uomo la cui esistenza, la cui malattia è fatta salva e garantita nei confronti di qualunque riduttivo metodo scientifico. L’antropoanalisi indaga sui modi con cui si rivela la presenza umana nella sua globalità e nei suoi aspetti costitutivi. Ad ognuno di questi modi corrisponde una norma a cui i modi stessi si adeguano e, inoltre, ad essi corrisponde una particolare temporalità e spazialità ed un particolare linguaggio.
L’uomo quale essere multi categoriale non ha un solo linguaggio, anche se ha una sola lingua, ma usa il linguaggio stesso in tanti modi poiché questo si specifica a seconda dei Tu al quale si rivolte, a seconda del come si attua il colloquio interumano, a seconda dell’apertura in cui questo si svolge. In una parola, a seconda di come è la presenza di chi è nel mondo.
L’uomo attraverso il linguaggio attua l’intenzione di rivelarsi –che non cessa mai- anche se talvolta può apparire più o meno impedita nella sua strumentalità anatomo-fisiologica. Cambiando il modo di esprimersi, cambia lo stesso modo d’essere del soggetto. Per questa ragione il linguaggio è assunto dall’antropoanalisi come “rivelatore dell’umano” e rivelatore del progetto con cui l’esserci al mondo, si rapporta.
Ma se ogni progetto nel mondo è in relazione al proprio essere-gettato-nel-mondo, se cioè ogni presenza umana è legata alla situazione nella quale si esprime nel momento in cui l’essere-gettato-nel-mondo ha il sopravvento sul progetto nel mondo, allora il soggetto stesso vive una situazione in-autentica, perché non sua. Una situazione nella quale l’esistenza rassegna il suo poter essere ad una possibilità che è già data, che non è sua, ma che è fatta sua. In questo contesto l’e-sistenza rassegna il suo poter essere ad una possibilità che è già data, che non è sua ma che è fatta sua. In questo contesto l’e-sistenza non assume le cose nel suo progetto, ma si lascia intrappolare dalla attualità e allora la vita non scorre più.
Di conseguenza tutte le situazioni vengono subite e divengono schiaccianti per colui che ha perso l’autodominio. È l’esistenza che nega se stessa nel mondo dove tutto accade dove si crea la non-libertà di essere dominati.
La fenomenologia e l’esistenzialismo di Binswanger sono un tentativo di comprendere la struttura dell’essere umano e la sua esperienza, proprio per schiudere un valico a questi “mondi” che sembravano negati alla comprensione. E per poter penetrare in questo valico bisogna che la metodologia si impianti non sulla scissione Io-Mondo, propria dello scientismo naturalistico, bensì sulla globalità dell’umana presenza, sul suo essere, sul suo essere nel mondo.
È chiaro che non ci sarebbe stata la Daseinanalyse binswangeriana senza la psicoanalisi freudiana che ha posto l’uomo in genere, anche il neurosico e lo psicotico, in rapporto col mondo e i suoi simili. Partendo da ciò la psicoanalisi ha sottolineato l’importanza della storia interiore dell’uomo.
Ma, al contrario della psicoanalisi, la daseinanalyse col suo homo existentia binswangeriano, è multi categoriale e nella sua analisi prende in esame tutte le categorie umane: quella del poter-essere propria dell’essere accolto nella patria dell’amore e dell’amicizia; quella del permesso-di-essere del rapporto di reciprocità relazionale interumano; quella dell’essere-costretto-ad-essere.
Pertanto, l’individuo nella sua Erlebnisse trasforma la propria presenza nel mondo assumendo, di volta in volta, questa o quella categoria modale “cadendo” talvolta nella categoria dell’essere costretto ad essere, propria delle malattie mentali.
Per questo l’antropoanalisi nel campo psichiatrico ha voluto o ha cercato di indicare, il piano adeguato alla comprensione dell’uomo: un uomo-nel-mondo che si progetta in esso nei suoi vari modi. La psichiatria in senso binswangeriano –e jaspersiano- ha avuto il pregio di porre in crisi la psichiatria classica esprimendosi nella negazione della psichiatria stessa sia come scienza sia come prassi, poiché fondata su una ideologia paleo-positivistica e ridotta sul piano del biologismo.
Le malattie mentali vissute, fino ad allora, come malattie meramente cerebrali in una visione nosografica e destorificata, reificante la realtà umana e interpersonale sono così ricuperate nella loro significazione umana.
E questo riguarda non solo la psichiatria clinica ma anche quella sociale che, considerando l’esperienza psicotica come una delle possibilità umane facente parte del nostro comune mondo della vita, vedrà in essa quella “follia in cui talvolta emerge quell’aspetto del reale che l’uomo non deve vedere per rimanere sano” (Burkhardt).
BIBLIOGRAFIA:
Freud S., Al di là del principio di piacere, Bollati Boringhieri !977
Freud S., Introduzione alla Psicanalisi, Bollati Boringhieri 2009
Binswanger L., Per un'antropologia fenomenologica. Saggi e conferenze psichiatriche, Feltrinelli, Milano 2007
Binswanger L., Il caso Ellen West e altri saggi, Bompiani, Milano, 1973
Galimberti U., Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli 1979
Aa.Vv., Karl Jaspers e la psicopatologia, fascicolo monografico di «Atque», 2000-2001
N. Abbagnano, Introduzione all'esistenzialismo, Bompiani, Milano 1942
Heidegger M., Essere e tempo, Feltrinelli, 2005
Donatella Ghisu è psicologa dell'età evolutiva, dello sviluppo e dell'educazione; counsellor psicologico e socio-educativo; psicopedagogista; psicologa forense; specializzanda in Analisi Transazionale, specialista in child abuse, disturbi dell’apprendimento, problemi alcol correlati; Psicoterapia Breve Strategica.
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