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PSYCHOMEDIA
SETTING INDIVIDUALE
Psicoanalisi

La psicosi, la relazione corpo-mente
e il vincolo al funzionamento dell'Io.

Riccardo Lombardi

Contributo ad una discussione apparsa sulla Rivista di Psicoanalisi.



Il recente articolo di Pierluigi Rossi "Vedere e non vedere. Considerazioni sull'autismo e la regola fondamentale" (2000) sollecita l'interesse, sia per il tema affrontato, la psicoanalisi delle psicosi, che per il dialogo e lo scambio di opinioni che ne è seguito sulla Rivista di Psicoanalisi (De Masi 2001, Rossi 2001). Rossi parla di "autismo" come un "tipo di percezione di sé avuta attraverso la sensorialità"(2000, 645), inquadrandolo nell’ambito di "una difesa dall'assalto megalomanica della parte 'pazza', in favore dell'Io"(2001, 162). Ritengo molto rilevante l’enfasi sul non patologico, ovvero sugli aspetti funzionali e costruttivi del livello autistico, da cui deriva "un vincolo per il funzionamento dell'Io, con doppio senso di limite e di possibilità che intorno ad un vincolo si stabilisce"(ibid, 162): tale vincolo è quanto, per esteso, tratto in un mio recente scritto (Lombardi 2000), sviluppando una tematica per cui la mente deriva direttamente dal corpo, trovando la sua funzione nel contenere e far progredire la spinta sensoriale che da qui origina.
Alla luce di quanto ho esposto in quella sede mi sembra che alcuni aspetti dello scritto di Rossi, che “non ambisce ad alcuna forma di completezza” - come egli stesso sottolinea, possano essere ulteriormente correlati in senso significativo. Cercherò allora di riordinare alcuni aspetti di questo caso, consapevole del rischio che esiste nell’accentuare una prospettiva e lasciando al lettore la possibilità di valutarne il risultato. Le nostre costruzioni sono infatti sempre, che lo si voglia o no, gravate dal pericolo di trainare la scienza verso la penombra oscura dell’ideologia: ma tale rischio è inevitabile, se vogliamo confrontarci con la crescita delle nostre conoscenze teoriche. Ciò premesso, ho l’impressione che, nell’esposizione del caso in questione, i frammenti tendano spontaneamente ad autocostruirsi, donando particolare interesse alla presentazione della psicoanalisi di un paziente psicotico, certamente priva di qualsiasi pregiudiziale teorica a sbilanciarsi verso una enfatizzazione di un vertice centrato sulla relazione corpo-mente.

Rossi descrive un livello molto primitivo dominato da un ambito sensoriale, che il suo paziente indica con il nome di "fissazione". La situazione clinica poi evolve verso ciò che il paziente chiama "emozione", in cui una cosa pensata riceve una conferma. L’emancipazione dall’assillo della fissazione corrisponde ad un vissuto centrato su una espansione respiratoria nel corpo, grazie al quale una giornata o una seduta promette bene. In questo passaggio il paziente trova una modalità per accedere alla rappresentazione di una corporeità altrimenti irrappresentabile, ed essa coincide con il vissuto concreto che egli sperimenta nel suo petto: questa evoluzione permette al paziente di emanciparsi da un "aggrapparsi a qualcuno”: il toccare" che, per contiguità, gli trasmetteva un senso di esistenza, in mancanza di un riferimento senso-percettivo a sé stesso.

Ma cosa prepara un passaggio così determinante?
Mi guida l’osservazione dell’autore che l'esperienza del sanguinamento delle gengive fu "la prima cosa rappresentata e vista di una difficile situazione". Se il corpo sanguina e bisogna andare dal medico per curarsi questo significa: il corpo esiste. E tale percezione per un paziente psicotico è un impatto con la realtà da non sottovalutare affatto, dato che essa può costituire la chiave di volta della successiva evoluzione clinica in analisi (vedi ad esempio Lombardi 1992). L'uso percettivo che il paziente fa del sanguinamento delle gengive mi sembra allora effettivamente centrale per l'attivazione di una prima relazione corpo-mente.
L'uscita dalle fissazioni autoprodotte dal paziente può corrispondere a ciò che Ferrari (1992) chiama una "eclissi del corpo" attraverso la percezione dello stesso: in questo caso il corpo si fa avanti con il sanguinamento delle gengive, e l'apparato percettivo di dotazione corporea del paziente, catalizzato dall'intervento di una reverie analitica capace di connessione tra fenomeni corporei ed esperienze mentali, inizia a vedere il corpo. Il corpo si farà avanti ancora in altro materiale, come la cyclette che gli conferma l'esistenza delle gambe, e la cacca nei pantaloni. Dall'avvio dell'eclissi del corpo deriva la messa in moto di una “funzione asimmetrica” (Matte Blanco 1975) in grado di articolare le distinzioni necessarie per una prima comprensione del sistema delle "fissazioni" del paziente: ed infatti Rossi nota che "da qui fu possibile entrare in analisi nel suo problema autistico" (2000, 651).

A questo punto il paziente iniziò anche a sognare. E sognò quella che appare, a mio modo di vedere, come la sua relazione disarmonica tra corpo e mente, per cui egli oscilla tra un domino incontrastato delle sensazioni (il sogno al mare con luce e sole in abbondanza) ed un monopolio estremistico del pensiero (l'oratore megalomanico della conferenza che viene travolto dalla sua arroganza, ovvero da un pensiero avviluppato su sé stesso ed estraneo ai bisogni del vivere). Mi sembra infatti, che fuori da questa prospettiva, i due sogni restino rispettivamente poco coerenti.

L'esperienza del sogno porta ai tre sogni sulla propria morte, a cui viene dato molto rilievo nel testo. Credo che essi sviluppino direttamente l'esperienza di "strappo o lacerazione", come la chiama Rossi, vissuta dal paziente a fine seduta. L’autore sottolinea soprattutto nella discussione l'importanza dell'esperienza del finire la seduta, utilizzando anche un riferimento ad un lavoro di Ferenczi del 1914. Inoltre egli da un'enfasi particolare, verso la fine dell'articolo, al problema della temporalità, sottolineando come l'entrata del soggetto nella temporalità si ponga esattamente all'opposto del suo persistere nella situazione psicotica.

Se i sogni della morte registrano ed elaborano l'esperienza della temporalità vissuta dal paziente, soprattutto in occasione della fine delle sedute, la rappresentazione della morte è allora utilizzata come la scoperta di una "cesura temporale", che si colloca a rappresentante dell'intera classe del limite. Utilizzando il linguaggio di Matte Blanco (1975) potremmo dire che la morte condensa ed infinitizza tutti gli attributi della classe del limite e del limitato. La classe del limite si contrappone allora alle varie forme in cui si manifesta la caduta del paziente nell'infinito: la psicosi, la sensazione pura o "fissazione", il pensiero puro ed arrogante. In questo modo il confronto con il limite traina lo sviluppo di un pensiero integrato col mondo di sensazioni ed emozioni (vedi per esempio Lombardi 1985).

Il confronto con il limite che il paziente realizza nello spazio pensante del sogno certamente scatena l'odio; ma quest’odio, quando viene elaborato, è la condizione realistica per una tolleranza del limite in presenza di emozioni (Bion 1962). Il paziente, infatti, non è più cieco, semmai è guercio, o Guercioni; ed il suo interno non è più "il vuoto ed informe infinito" (Bion 1965), ma un "piccolo burrone". Le categorie dello spazio e del tempo, filtrate attraverso la determinante esperienza della corporeità, diventano allora le condizioni di una esperienza che porta alla costruzione di uno spazio mentale, in cui corpo e mente possano dialogare nel rispetto della differenza. In questo senso l'aspetto della figurazione (Darstellung), di cui parla Rossi, mi sembra declinarsi non come tale, ma con una precisa specificità in rapporto alla ricerca di parametri spazio-temporali su cui costruire un orientamento interno ed una capacità di pensare.

Andando alla discussione di De Masi (2001), egli parla di una "distruzione della capacità di pensare (e di sognare)" dello psicotico, che si esprimerebbe soprattutto attraverso le difese psicotiche delle fissazioni, come contrapposte al "mondo delle percezioni ordinarie". Per quanto ho detto più sopra mi sembra che la percezione del livello sensoriale (le fissazioni) da parte del paziente sia da considerare non un fatto patologico, bensì un elemento determinate per il suo successivo sviluppo, dato che non potrebbe esserci alcun futuro per un uso della mente che prescinda da un legame con la sensorialità. La lettura di De Masi sembra inoltre contraddittoria rispetto ad una citazione di Freud, riportata nell’ “Internet discussion review” (D. Cunnington Roberts 2000) del suo lavoro sull’inconscio e la psicosi: “..la rimozione nelle nevrosi narcisistiche - scrive Freud ad Abraham nel 1914 - consiste nel ritiro della libido dalla inconscia presentazione di cosa, che è certamente un disturbo molto più profondo”. Freud enuncia dunque un legame tra disturbo psicotico e l’area concreta della rappresentazione di cosa, riferibile ad evidenza al mondo delle sensazioni corporee: in quest’ottica il ripristino del legame della libido con le rappresentazioni di cosa sembrerebbe orientare verso una prima emancipazione dalla psicosi.

Rossi (2001) segnala che nella discussione con De Masi emergerebbero due diversi modi di concepire il ruolo della sensorialità. Questi due modi mi sembrano coincidere anche con due diversi modi di intendere il contributo di Bion. Nel caso di De Masi, Bion viene avvicinato all’ambito più generale del filone post-kleiniano, ovvero Rosenfeld, Segal e Meltzer: per quanto legittima, questa attitudine mi sembra rischi di indebolire la forte caratterizzazione ed autonomia del pensiero di Bion rispetto al resto della corrente post-kleiniana. Citando la Tustin, Rossi implicitamente sembra intendere il contributo di Bion (appunto non citato) in un modo diverso, in cui sembra determinante il legame con Freud, come accade per gli sviluppi bioniani di Ferrari, anch’essi molto vicino alle posizioni della Tustin.

Anche se non abbiamo, come giustamente segnala De Masi, una teoria sufficiente per abbracciare la complessità dei fenomeni psicotici, credo sia, però, importante, per un vertice psicoanalitico, guardare alla psicosi potendo distinguere la fenomenologia del fatto psicotico (in cui il dominio degli aspetti di disintegrazione è indubbio) dalla funzione che viene svolta dalla psicosi nel contesto più generale della personalità.
Esistono infatti difetti di pensiero molto arcaici in cui l’elaborazione attraverso il pensiero trova un drammatico punto di arresto. La funzione di alcune psicosi potrebbe allora essere vista come una possibile prima apertura ad un cambiamento, sia pur secondo modalità catastrofiche, là dove si rischierebbe di ristagnare in una paralisi o addirittura in una irrimediabile morte psichica. Anni addietro ho descritto, per esempio, la crisi acuta in una paziente che soffriva regolarmente di episodi epilettici resistenti alla terapia: in quell’occasione le manifestazioni psicotiche presero il posto dell’attacco convulsivo, lasciando trasparire la manifestazioni psicologiche di conflitti altrimenti non rappresentabili (Mazza e Lombardi, 1986). In altri termini mi sembra importante non perdere di vista la funzione evolutiva che può avere, qualora si intervenga psicoanaliticamente, l’attivazione marasmatica di aree non integrate rimaste fortemente concrete, che, attraverso esplosività ed azione, possono giocare la loro carta di accesso ad una evoluzione (Bonanome e Lombardi 2001).
Mi sembra che su questi presupposti diventi possibile pensare all’intervento psicoanalitico nella psicosi come l’occasione per costruire una relazione interna ed esterna in grado di potenziare gli aspetti non psicotici della personalità, che cercano la strada per l’esperienza e la vita, realizzando, nel tempo, la costruzione di un tessuto mentale nell’analizzando, in grado di svolgere una importante funzione di contenimento nei confronti di emozioni, che, anche dopo lunghe analisi, non perdono mai i loro connotati di precaria e difficile trasformabilità.

Bibliografia:

Bion, W.R. (1962). Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando.
(1965). Trasformazioni. Roma, Armando.
Bonanome, N., Lombardi, R. (2001). Concrétude et action dans le langage du changement d’adolescents et de psychotiques. Letto al 42° congresso IPA di Nizza, luglio 2001.

Cullington Roberts D. (2000). Internet discussion review. “The unconscious and psychosis: some considerations on the psychoanalytic theory of psychosis” by Franco De Masi. Int. J. Psychoanal. 81, 625- 635.

De Masi (2001). Considerazioni sulla terapia psicoanalitica della psicosi. In margine ad un articolo di Pier Luigi Rossi. Riv. Psicoanal. XLVII, 1, 147-158.

Ferrari. A.B. (1992). L’eclissi del corpo. Roma, Borla.
& Stella (1998). L’alba del pensiero. Roma, Borla.
Lombardi, R. (1985). Lutto e psicosi: nota clinica. In: Orlandelli, E. De Risio S., Ferro, F.M. (Ed.). La psicosi e la maschera. Roma, Ies Mercury, pp. 303-313.

(1992). La psicosi e il corpo. In: Ferrari, A.B., L’eclissi del corpo. cit. pp.177-206.
2000). Corpo, affetti, pensieri. Riflessioni su alcune ipotesi di I.Matte Blanco e A.B.Ferrari. Riv. Psicoanal. XLVI, 4, 683-706.

Mazza, S., Lombardi, R. (1986). Phenomènes épileptiques et événement protomentaux. Perspectives psychiatriques. XXV, 2, 155-161.

Rossi P. (2000). Vedere e non vedere. Considerazioni sull'autismo e la regola fondamentale. Riv. Psicoanal. XLVI, 4, 645-661.
(2001). Risposta a Franco De Masi. Riv. Psicoanal. XLVII, 1, 159-163.


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