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PSYCHOMEDIA
SETTING INDIVIDUALE
Psicoanalisi



Fattori terapeutici tra simmetrie immaginarie e asimmetrie reali
(Freud tra Jung e Sabina)

Franco Scalzone



“Vivere vicino alle persone è sempre difficile, davanti ad altri occhi.”
(J.G. Rosa 1963, p. 148)


 

Antefatto

In questo lavoro vorrei trattare dei pericoli insiti nella terapia psicoanalitica utilizzando l’affare Jung-Freud-Spielrein dal vertice osservativo della diade concettuale simmetria/asimmetria, quale importante fattore per evidenziare alcuni aspetti che caratterizzano le dinamiche intra-soggettive e le relazionali inter-soggettive tra le persone, rinvenibili anche nei rapporti terapeutici. Il sottotitolo del lavoro scambia l’ordine degli attori rispetto a quello del lavoro di Carotenuto; ciò allo scopo di evidenziare un maggiore interesse per la centralità della figura di Freud.

Inizierò dalla lettura del libro Diario di una segreta simmetria (1999) di Aldo Carotenuto, un analista di scuola junghiana il quale alcuni anni orsono venne in possesso di un diario di Sabina Spielrein e di alcune sue lettere a Jung che giacevano nell’archivio di Édouard Claparède, sito negli scantinati dell’Istituto di Psicologia di Ginevra. Egli li pubblicò facendoli precedere da una sua Introduzione e da un lungo saggio dal titolo Diario di una segreta simmetria. In seguito Bruno Bettelheim scrisse un saggio critico sull’argomento intitolato Scandalo in famiglia al quale Carotenuto replicò con un altro saggio dal titolo Ancora su Sabina Spielrein, tutti pubblicati nello stesso volume.

In tal modo, utilizzando i commenti di più autori, ne risulterà una sorta di invenzione a più voci tra loro armonicamente intrecciate: una polifonia che comporterà per il lettore uno piccolo sforzo di attenzione.


Premessa

Mi limito per ora a dare una definizione dei termini “simmetria”, “asimmetria” (o “complementarità”), limitatamente a ciò che attiene alla comunicazione umana. Applicherò in seguito questi concetti agli aspetti delle relazioni interpersonali e in particolare a quelle che intercorsero tra i tre protagonisti della nostra storia.

Seguendo gli autori della Pragmatica della comunicazione umana (1967) chiamiamo “interazione simmetrica” quella caratterizzata dall’uguaglianza e dalla “minimizzazione” della differenza, mentre il processo opposto caratterizza l’“interazione complementare”, quella in cui si hanno due diverse posizioni: un partner assume la posizione che è stata descritta in vario modo come superiore, primaria o one-up, mentre l’altro tiene la posizione corrispondente: inferiore, secondaria o one-down. Inoltre in una relazione simmetrica è sempre presente il pericolo che si inneschi la competitività; questa è una tendenza a cui si deve la qualità tipica di escalation dell’interazione simmetrica una volta che si sia perduta la stabilità del sistema e che sia sopraggiunta una cosiddetta runaway, dovuta all’amplificazione incontrollata di una deviazione. Possiamo pertanto dire che tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.

Il problema della simmetria/asimmetria, però, non riguarda soltanto le relazioni tra le persone, ma anche le relazioni interne tra le parti del Sé. Un esempio dell’asimmetria interna al soggetto è quella determinata dalla bisessualità (Fliess-Freud) per l’esistenza della coppia dissimmetrica femminilità/mascolinità, o quella del puro elemento maschile/puro elemento femminile (Winnicott, 1971) se non altro perché per Freud l’elemento rimosso è sempre il femminile e la libido è solo maschile. Segnalo anche, poiché parliamo di Jung, il suo concetto di Animus (maschile) e di Anima (femminile); essi però conservano poco della sessualità psicobiologica, così come la intendeva Freud, e sono piuttosto figure controsessuali archetipiche, l’una collegata al Logos e l’altra ad Eros. Possiamo utilmente ricordare come, secondo Matte Blanco (1975), esistano due modalità di funzionamento mentale nei rispettivi sistemi psichici: uno presente nell’inconscio in cui vigge una logica simmetrica, l’altro presente nella coscienza dove vigge una logica asimmetrica espressa nella peculiare attività del pensare per simboli. Pertanto, se vogliamo dire qualcosa dell’inconscio (simmetrico), il quale funziona secondo il processo primario, dobbiamo necessariamente tradurlo in pensiero espresso in linguaggio simbolico (asimmetrico) che funzionano secondo le leggi del processo secondario. Per questo motivo l’uomo ha una doppia natura, simmetrica/asimmetrica o, per adoperare dei termini a noi più familiari, conscia/inconscia. (cfr. op. cit., p. 234).

Voglio qui ricordare che la coscienza asimmetrica emerge dalla matrice simmetrica dell’individuo, e che questo processo è anche un modo particolare per costruire una autorappresentazione della propria identità attraverso un processo auto e etero-referente, nonché una rappresentazione del proprio ruolo mediante un processo di rispecchiamento nell’altro, in primis nelle parole e nel volto della madre (vedi Winnicott, 1971; Lacan, 1966). Per tali ragioni il venir meno alle regole del ruolo, nel nostro caso del ruolo analitico del terapeuta, impone sempre l’interrogarsi sulle implicazioni tecniche e etiche dei propri comportamenti; tutte cose che vanno prese molto sul serio e che non sono liquidabili con una superficiale “comprensione” giustificativa né evitabili con un diniego o una rimozione, se non altro per la loro ricaduta su tutto il sistema. Non solo, ma come ci ricordano anche Gabbard e Lester (1995) sappiamo che spesso si verifica una trasmissione intergenerazionale degli atteggiamenti degli analisti e dei relativi punti ciechi e, inoltre, quando evitiamo di “ricordare” la storia tende a “ripetersi”.


Una relazione a tre

Nella vicenda Jung-Freud-Spielrein, e solo al fine di essere schematici, possiamo considerare alcuni aspetti delle relazioni tra i tre attori; relazioni che peraltro si svilupparono ai differenti livelli di complessità e in cui, come sempre accade, coesistevano aree di relazione simmetrica con aree di relazione asimmetrica funzionanti in parallelo contemporaneamente:

1) la relazione tra Jung e Spielrein si articolava ad un livello di relazione complementare di tipo medico/paziente; in subordine in una relazione di tipo maestro/allieva, e infine ad un livello di relazione simmetrica dominata da una fantasia fusionale onnipotente con un oggetto primario;

2) la relazione tra Freud e Jung, il “principe ereditario”, che possiamo differenziare in vari livelli: quella complementare di padre/figlio, quella maestro/allievo e medico/paziente e, in ultimo, nella relazione simmetrica tra colleghi in posizione paritaria;

3) la relazione tra Freud e Spielrein che fu, forse, meno ambigua perché soprattutto del tipo maestro/allieva, come variante di un rapporto padre/figlia.

Ricordiamo che Freud, a differenza di Jung, assumeva immediatamente un atteggiamento protettivo di tipo genitoriale con le giovani donne che si rivolgevano a lui per un aiuto.

Dovremmo poi aggiungere l’esistenza di una relazione di tipo triangolare tra gli attori inscritta in una relazione più ampia formata da loro tre e dal gruppo di appartenenza, cioè la comunità psicoanalitica che era divisa all’epoca in due sotto-gruppi a loro volta in competizione: i “viennesi” e gli “svizzeri”.

Diamo per noti, almeno nelle grandi linee, gli eventi storici che coinvolsero i tre protagonisti e passiamo a rilevarne alcuni aspetti dal vertice osservativo che abbiamo scelto.

Nel saggio di Carotenuto intitolato Diario di una segreta simmetria (Sabina Spielrein tra Jung e Freud), già dal sottotitolo si vede che la relazione era triadica e non diadica, e che la simmetria poteva al più essere presente in aspetti delle relazioni tra coppie di personaggi ritagliate all’interno della triade. Questa tipo struttura già configura la possibilità di una circolarità autoreferenziale.

Una prima testimonianza dell’asimmetria tra Jung e Freud ci appare quando Carotenuto scrive:

“Nel complesso delle lettere che Jung e Freud si sono scambiate è generalmente Jung, per motivi non difficili a comprendersi, che si scopre con Freud e non viceversa. Con molte sue affermazioni, ‘godere della Sua amicizia non come di un’amicizia fra uguali, ma come dell’amicizia tra padre e figlio’, Jung si mette letteralmente nelle mani del suo illustre collega, sviluppando però in tal modo quei sentimenti di ambivalenza che in genere costellano ogni vero e proprio trattamento analitico.” (pp. 52-53).

Qua si vede l’esistenza di un’asimmetria, più precisamente di una complementarità, articolata sulle tre varianti del rapporto Freud-Jung che viene assimilato sia al rapporto padre/figlio sia al rapporto maestro/allievo sia a quello, in un certo senso, medico/paziente.

Winnicott dirà nella Recensione dell’edizione inglese a Ricordi, sogni, riflessioni (1961) di Jung: “Una cosa possiamo dire sulla relazione tra Freud e Jung: essi dovevano incontrarsi, ma Freud non avrebbe potuto rivolgersi a Jung come analista perché Freud aveva inventato la psicoanalisi e doveva lasciare da parte l’area della follia nel suo lento cammino verso l’applicazione dei principi scientifici dello studio della natura umana; Jung, peraltro, non avrebbe potuto essere analizzato da Freud perché Freud in effetti non era in grado di condurre un’analisi del genere, che avrebbe implicato aspetti che solo ora, mezzo secolo dopo, stanno cominciando a emergere nella metapsicologia psicoanalitica. In altre parole, questi due uomini, ciascuno posseduto da un demone, potevano solo incontrarsi, comunicare senza alcuna comprensione di fondo e poi separarsi. Il modo in cui si incontrarono e poi si separarono è di qualche interesse, ma di scarso significato.” (1964, p. 510).

Per inciso dobbiamo ricordare che, a dire di Winnicott, Jung, che all’epoca dei fatti avena 30 anni, aveva sofferto di un episodio psicotico a quattro anni, e un altro verso i dodici anni:

“In altre parole, [Jung] era minacciato da una disintegrazione dell’Io (depersonalizzazione), da un’inversione del processo maturativo e le sue difese si strutturarono in una scissione della personalità, correlata, ad un certo livello, alla separazione dei genitori.” ([1964], in 1989, p. 511).

A sua volta Sabina Spielrein, che all’epoca aveva 19 anni, fu diagnosticata come affetta da un’isteria psicotica, cosa che ci fa pensare che ambedue fossero persone molto fragili e ci fa capire il loro agito perché, come ci ricorda Carotenuto: “Così la psicoanalisi, questo rito della parola, è un agone, una lotta del pensiero. La sua crudeltà è cerebrale.” (p. 110).

Carotenuto continua:

“Spesso, per resistere alla prova, si cerca aiuto nel linguaggio dei corpi, più semplice, più dolce, meno crudele. È una fuga, una resistenza, certo. Ma forse è solo consolamentum, una piccola consolazione, un reciproco darsi calore e farsi coraggio per riuscire ad affrontare la crudeltà dell’astinenza e dell’insoddisfazione.” (p. 110).

Dobbiamo però ricordare che l’“astinenza” fa parte, come regola tecnica del metodo psicoanalitico, del regime di frustrazione del desiderio che caratterizza la corretta conduzione della terapia analitica, così come prescrive Freud. Essa serve anche a rendere possibile il fatto che il paziente trovi soddisfazioni sostitutive ai suoi sintomi. Perciò l’analista deve evitare di soddisfare i desideri del paziente rifiutando di interpretare i ruoli che egli gli vuole imporre.

Torniamo a Freud e Jung. Sempre Carotenuto scrive più avanti:

“Ad esempio abbiamo già citato, un passo dell’epistolario tra Freud e Jung nel quale questi si lascia andare a una richiesta sentimentale. ‘L’immeritato dono della Sua amicizia rappresenta per me in un certo qual modo un vertice della mia esistenza [...]. Il cenno, certamente non casuale, ai suoi rapporti con Fliess mi spinge a pregarLa di permettermi di godere della Sua amicizia non come di un’amicizia fra uguali, ma come dell’amicizia fra padre e figlio’.” (p. 135). (Carotenuto si riferisce alla lettera di Jung a Freud del 20 febbraio 1908, nell’Epistolario, p. 131).

Jung sembra non tener conto però di come finirono i rapporti con Fliess, e cioè con una rottura. D’altra parte tutta la vita di Freud fu segnata da amicizie fortemente idealizzate e da rotture insanabili, anch’esse fortemente connotate da determinanti transferali e controtransferali.

Ma cinque anni più tardi l’atteggiamento di Jung è mutato, perché scrivendo a Sabina e spiegandole il motivo di una risposta mancata, le comunica:

“Ero del tutto scoraggiato, poiché allora tutto mi crollò addosso e inoltre ebbi la certezza che Freud non mi avrebbe mai compreso e che avrebbe lasciato cadere il rapporto personale con me. Egli vuole darmi amore, io desidero comprensione. Io voglio essere una amico alla pari, mentre egli desidera avermi come figlio. Per questo egli giudica tutto quello che faccio e che non entri negli schemi della sua vita, un’azione retta da un complesso”. (lettera di Jung a Sabina del 11 aprile 1913). [...] “L’esigenza di essere un figlio viene a cadere, si fa strada l’esigenza di essere trattato alla pari ma, inflessibile, ci sarà la risposta di Freud: ‘Le propongo dunque di cessare completamente i nostri rapporti privati’.” (pp. 135-136). (Carotenuto si riferisce alla lettera di Freud a Jung del 3 gennaio 1913, nell’Epistolario, p. 580).

Anche Winnicott è del parere che:

“In un certo senso Jung e Freud si rivelano complementari, sono come testa e croce in una moneta. Una volta conosciuto Jung come ora ci è possibile fare, si capisce perché lui e Freud non riuscirono a comprendersi l’un l’altro nei primi anni del secolo, quei primi anni in cui Freud stava cercando di costruire una scienza che potesse avere una sua graduale diffusione e Jung stava cominciando a “conoscere”, ma era ostacolato dal suo stesso bisogno di avere un Sé con il quale poter conoscere.” (1964, p. 509).

Tornando alla Spielrein, Carotenuto scrive:

“Credo invece più probabile che si sia andato creando un profondo intreccio, una segreta simmetria, in cui Sabina cercava in Jung un’imago paterna rassicurante e amorevole, mente Jung, a sua volta chiedeva a Freud l’appoggio, il consiglio e la complicità di un padre.” (p. 70).

Ma, aggiungo, lo chiedeva in modo ambivalente, cioè carico di competizione. Questa ambivalenza era anche in Sabina tanto che Freud nella lettera a Jung del 21 marzo 1912 scrive:

“È una donna molto intelligente; tutto quanto dice ha un significato, la sua pulsione distruttiva mi piace poco, perché la ritengo condizionata personalmente. Mi sembra che essa abbia più ambivalenza di quanta sarebbe normale.” (p. 70), (Epistolario, p. 532).

Ritroveremo questa tragica distruttività, che Freud acutamente colse, allorché, forse, si consegnerà volontariamente con la figlia ai nazisti.

Lo stesso Carotenuto dice:

“Ora, nella situazione analitica non può esistere, in particolar modo all’inizio, alcuna simmetria. Come è facilmente intuibile, non può servire la volontà dell’analista di porsi su un piano di parità, a cancellare l’asimmetria del rapporto, perché la realtà è nelle cose stesse.” (p. 101).

Altrimenti, aggiungiamo, sarebbe una pseudosimmetria e cioè una relazione in cui A consente a B di adottare un comportamento simmetrico, o lo costringe a farlo.

E Carotenuto continua:

“Il patto analitico dovrebbe essere mantenuto, nonostante la ricerca dell’Altro, anche se questa situazione è dolorosa e frustrante. Molte analisi hanno questa caratteristica. L’importante è capire che spesso le forme affettive sono una difesa rispetto all’impegno professionale.” (p. 112).

E spesso, aggiungo io, sono un attacco inconsapevole alla comunità analitica a cui si appartiene, sebbene misto a spinte fortemente autolesive.

“Ora l’errore di Jung, non consapevole della situazione, è stato quello di uscire dal patto analitico. Si può dire che anche questo aspetto attiene al problema della morte.” (p. 112). “Nessuno infatti può negare il diritto a una paziente di innamorarsi del proprio analista; da parte sua l’analista ha un solo dovere: affrontare il problema.” (p. 121).

Ancora una volta si evidenzia l’asimmetria.

Ascoltiamo ora Bruno Bettelheim. Egli entra rapidamente sul tema del libro di Carotenuto rilevando che, a suo parere: “[...] il libro porta alla luce più di una simmetria e [...], un’asimmetria ancora più importante.” (p. 8).

Egli rinviene la simmetria tra l’evoluzione della Spielrein e quella di Jung, e sottolinea: “solo che, mentre [egli] era ancora il suo terapeuta, essi divennero amanti.” (p. 8).

Ma poi Bettelheim, criticando l’analisi di Carotenuto, aggiunge che:

“[...] secondo me, l’elemento di maggiore interesse non è costituito dalle simmetrie [...] quanto da un’asimmetria che si generò quando la Spielrein si accostò professionalmente a Freud mentre Jung si avviava verso la rottura con lui e col suo tipo di psicoanalisi.” (p. 9).

Qui vorrei far notare l’intreccio gordiano esistente tra i problemi transferali e contro-transferali analista/paziente, le dinamiche interpersonali Freud-Jung e le dinamiche che si svolgono anche a distanza di anni tra scuole di pensiero differenti: quella freudiana e la junghiana. Purtroppo credo che in tutto ciò le questioni strettamente teoriche, benché per noi fondamentali, restino relegate sullo sfondo sommerse continuamente da elementi emozionali che cercano a loro volta di indossare travestimenti intellettuali accettabili. Come ci ricorda lo stesso Bettelheim:

“Come nel caso di Freud e Jung, le differenze nascono più spesso dalle stravaganze e dalle complicazioni delle relazioni personali e dell’ambivalenza, che da veri disaccordi teorici, anche se sono questi che vengono accentuati allo scopo di occultare le troppo umane inclinazioni.” (p. 30).

Intendo che anche il dibattito Bettelheim-Carotenuto, del tutto marginale, non ne resta esente, come dire che la stessa materia di cui si tratta è di per sé una miscela di “forze altamente esplosive” (cfr. Freud 1914b, p. 373).

Anche i tentativi continui che si fanno per disinnescarli sono spesso destinati a fallire: il rimosso d’altra parte, sappiamo, tende a ritornare e perciò tanto vale interrogarsi per capirci ogni volta qualcosa di più. Per porre termine ai conflitti non basta operare una rimozione temporanea, ma tutte le parti in conflitto dovrebbero assumersi ufficialmente le proprie responsabilità nei confronti delle controparti.

Tralasciamo ora questi problemi e privilegiamo l’aspetto che attiene ai rapporti tra la simmetria e l’asimmetria, o tra il modo di essere simmetrico e il modo di essere asimmetrico, sia nell’intra-personale che nell’inter-personale.

Ci sono alcuni aspetti su cui interrogarsi. Ad esempio non c’è accordo sull’importanza o meno degli agiti sessuali tra Jung e Sabina; a questo proposito Betteleheim dichiara:

“Ovviamente, uno psicoanalista non dovrebbe avere rapporti sessuali con le sue pazienti.” (p. 12).

Questi agiti, benché non testimoniati direttamente da nessuno, trovano espressione, molto probabilmente, nelle lettere di Sabina allorché utilizzava i termini ‘conseguenze’ e Poesie, così come Swann e Odette parlavano di fare cattleya per esprimere l’atto fisico del possesso (cfr. p. 13) nella Ricerca del tempo perduto (Proust, 1913-1927).

E poi aggiunge:

“È chiaramente evidente che Jung si comportò con la Spielrein in un modo scandaloso.” (p. 12). Credo che il modo scandaloso sia stato peggiorato dal diniego opposto da Jung circa l’esistenza della relazione con Sabina e dal suo cercare di coprire il tutto riducendone la causa alla malattia di Sabina, come troppo spesso avviene in questi casi. A volte, invece, la linea difensiva viene organizzata sui vizi di forma, vizi di procedura, cavilli legali ecc. come in ogni processo “che si rispetti”. Nel nostro caso Jung si difese addirittura dicendo che per la terapia egli non percepiva compensi in danaro dalla paziente.

Ora possiamo riascoltare Winnicott quando scrive dell’importanza di una bugia che Jung disse a Freud a proposito di “segreti desideri di morte” celati in un suo sogno:

“Nella vita di Jung, il racconto di questa bugia è il momento più vicino a un Sé unitario, prima che fosse in grado, ormai vecchio, di scrivere la sua autobiografia. Quando mentì deliberatamente a Freud, Jung divenne un’unità con una capacità di nascondere segreti, invece di essere una persona scissa senza nessun posto per nascondere alcunché. In questo modo forse Freud rese un servizio a Jung, pur senza rendersene conto. [...] Jung doveva comunque mentire a Freud, altrimenti si sarebbe trovato a cominciare un’analisi con lui che probabilmente non l’avrebbe guarito, perché avrebbe portato a una fuga dalla psicosi nella sanità o nella psiconevrosi.” (1964, pp. 513-514).

Jung quindi era propenso alla bugia, anche in campo scientifico, mentre invece questo era l’unico campo in cui Freud non le giustificava e diceva che:

“Questa concordanza con il mondo esterno reale, da noi chiamata “verità”, continua a essere la meta del lavoro scientifico anche quando si prescinda dal suo valore pratico.” (1932, p. 274).

Ma diceva anche:

“Infine non bisogna dimenticare che la relazione analitica è fondata sull’amore della verità, ovverosia sul riconoscimento della realtà, e che tale relazione non tollera né finzioni né inganni.” (1937, p. 530).

Da un certo punto di vista, la bugia circa la relazione con Sabina introdusse una perturbazione, un elemento di disordine nel sistema le cui conseguenze alla lunga furono devastanti. Infatti il sistema relazionale Jung-Spielrein entrò in una serie di effetti amplificati a cascata che finirono per disorganizzarlo rompendo anche le relazioni sulle quali si era retto fino a quel momento. Non avvenne la stessa cosa per l’affare Ferenczi-Gisela-Elma in cui almeno la relazione fu ammessa e perciò divenne nota; ciò perché Ferenczi credeva comunque nella “verità”, anche se in modo diverso da Freud.

Sappiamo che un certo grado di perturbazione può essere assorbita da un sistema; ma un eccesso di perturbazioni lo disorganizza. Gli agiti sessuali in corso di terapia introducono un’instabilità che in un primo tempo intensifica le fantasie fusionali rinsaldando il rapporto ma, in seguito, conducono alla rottura delle fantasie di relazione simmetrica all’interno del rapporto analitico, e finiscono poi per scompaginare del tutto il sistema mediante la rottura dei precedenti vincoli restrittivi quali la rinuncia alla regola dell’astinenza, fino a giungere alla rottura del setting; vincoli che rendevano possibile e caratterizzavano il rapporto, costringendo il sistema alla la ricerca di nuovi equilibri che però non sono più conciliabili con il prosieguo della terapia stessa secondo ciò che si intende correntemente per terapia psicoanalitica. Inoltre è vero che la rottura delle simmetrie favorisce il riconoscimento delle differenze interne e esterne, promuove la temporalizzazione, stimola un processo creativo all’interno del determinismo psichico e fornisce una spinta alla creatività del Sé; ma se la rottura avviene in modo troppo violento l’effetto traumatico, al contrario, può ostacolare l’accesso al pensiero secondo il processo secondario e indurre un eccessivo dinamizzarsi del processo analitico che diventa non più conciliabile con uno sviluppo emozionale armonico. Capiamo una volta di più perché Freud affermava con perentorietà che:

“[...] l’unione fra l’analista e la paziente è dunque una vera assurdità” (1914a, p. 369).

Lo stesso Winnicott ci ricorda che:

“[…] ben più importante è arrivare alle forze fondamentali della vita individuale e io sono certo che se la base reale è la creatività, la cosa immediatamente successiva è la distruzione.” (1964, p. 518).

Come ben si nota Winnicott non si pronuncia sul punto di vista morale della faccenda “bugia” di Jung, né lo avrebbe fatto Freud al quale l’etica in un certo senso era ‘estranea’ né, ovviamente, lo faremo noi che ci poniamo dalla parte di Freud, in tutti i sensi.

Come poi ci ricorda Forrester:

“Freud affiancava due grandi principi: scienza e amore. Nella scienza, la verità è il valore più alto; non così nell’amore, che può essere del tutto indipendente dalla verità.” (1997, p. 49).

Penso che quando trattiamo la vicenda Sabina-Jung, e quelle simili, dobbiamo sempre prendere in considerazione un aspetto scientifico che richiede la verità, e un aspetto amoroso privato che richiede la discrezione: ma non il diniego.

Torniamo a Carotenuto e a ciò che scrisse dopo il commento di Bettleheim al suo saggio:

“Secondo Bettleheim io mi adopero per dimostrare che Jung e Sabina Spielrein non ebbero rapporti sessuali. In realtà questo problema non mi ha mai molto interessato, per il semplice motivo che non esiste una sola evidenza nel materiale pubblicato e delle lettere di Jung in mio possesso che rapporti sessuali ci siano stati.” (p. 34).

Purtroppo questa dichiarazione ci pare strana perché, per prima cosa, non è vero che non ci sia una sola evidenza: vedi i riferimenti alle Poesie, e poi perché questo rilievo non sarebbe sufficiente ad inibire un interesse per una questione così significativa. Se non ci fosse stato alcun agito sessuale molto probabilmente non sarebbero nati tanti problemi, o almeno non in questa forma tanto clamorosa, perché nei rapporti tra uomini e donne, per quanto ne so, le relazioni sessuali mantengono ancora una loro peculiare significatività.

Torniamo ora a Sabina e al suo transfert amoroso. Ella si trovò in una posizione caratterizzata da una fantasia di fusione con l’oggetto d’amore primario col quale stabilì una relazione simmetrica, almeno ad un livello fantasmatico, e si pose lei stessa narcisisticamente in una dimensione esistenziale di tipo simmetrico: funzionando cioè secondo il processo primario e, perciò, secondo il principio di piacere.

Vorrei qui brevemente ricordare che la psicoanalisi deriva dalla pratica dell’ipnosi, e che perciò non ci si deve meravigliare se alcune sue caratteristiche siano state ereditate come “residui”: penso ad esempio al “bronzo della suggestione diretta” (Freud, 1918, p. 28). Molti elementi di dedizione quasi incondizionata all’amante nell’innamoramento rassomigliano a quelle del bambino verso la madre, come nell’ipnosi avviene da parte dell’ipnotizzato verso l’ipnotizzatore. La differenza è che nella suggestione ipnotica esiste un aspetto seduttivo intenzionale volto, almeno in Breuer e Freud, a differenza di Charcot, a facilitare il recupero dei ricordi (cfr. Grubrich-Simitis 1997), mentre altre volte l’elemento seduttivo può essere del tutto inconsapevole perché collegato alla confusione delle lingue (Ferenczi, 1933) e alla comunicazione inconscia all’interno di un rapporto dissimmetrico tra analista e paziente, così come tra adulto e bambino, in cui passano messaggi con significati sessuali inconsci che sono percepiti come enigmatici dal paziente (vedi Laplanche, 1995).

Scrive sempre Carotenuto:

“Si ricordi infatti che, oltre a non brillare per la sua trasparenza nei rapporti sentimentali, Jung era stato anche vittima di un episodio di violenza. Sebbene egli non ne abbia mai parlato apertamente (fatta eccezione per un breve accenno epistolare a Freud), sappiamo che in età precoce subì una violenza sessuale da parte di un uomo di cui lui si fidava e che faceva le veci del padre.” (p. 66).

Inoltre la stessa Sabina aveva subito più volte umilianti percosse “seduttive”, ma comunque “eccitanti”, da parte di suo padre. Come sappiamo la seduzione paterna, a differenza di quella materna, realizza il vero e proprio evento sessuale traumatico violento capace di indurre risposte patologiche; ad esempio lo sviluppo di una nevrosi. Ambedue i partner allora erano inclini, perché già vittime di abusi, a vivere all’interno di dinamiche traumatiche di tipo seduttivo e a “ripeterle” in successivi agiti.

Di certo la seduzione entra comunque nella determinazione del transfert, dice infatti Freud:

“Quanto allo psicoanalista, egli sa bene di lavorare con forze altamente esplosive e di dover procedere con le stesse cautele e la stessa coscienzialità del chimico” (1914b, p. 373) anche, aggiungo, per non rinunciare ad una psicoanalisi non addomesticata.

E Laplanche: “Di più, in questa dissimmetria, la psicoanalisi introduce il complemento essenziale, cioè che questo ‘più’ è un più-di-sapere-inconscio sia nel seduttore che nel sedotto” (1987, p. 124).

In questo modo si introduce un aspetto di simmetria in una relazione asimmetrica.

La seduzione è un rapporto dissimmetrico, il cui prodotto è dato dalla coppia adulto-bambino (vedi Laplanche, 1991). Tutti questi messaggi sono percepiti come enigmatici e premono per essere tradotti. Laplanche pone qui un squilibrio sincronico in cui individua il vero motore immobile del movimento di temporalizzazione iniziato con la rottura delle simmetrie, il quale dà origine ai vari tentativi di traduzione nell’effetto aprés coup lasciando dietro sempre un residuo intradotto che costituisce uno dei primi rudimenti dell’inconscio.

È all’interno di una relazione simmetrica che possiamo inquadrare anche il desiderio di Sabina di partorire un figlio-eroe. Dice Carotenuto:

“Sigfrido [il fantastico figlio di Sabina e Jung] rappresenta un vero e proprio ‘oggetto narcisistico’ nella definizione che ne darà Freud [...] ma come simbolo del destino eroico rappresenta anche un’incarnazione dell’Ideale dell’Io a cui ella non può assolutamente rinunciare.” (pp. 172-173). L’amore di Sabina era di tipo narcisistico, non oggettuale, senza voler dare alcun connotato negativo alla cosa, ma certamente un preciso connotato psichico.

Come ci dice Matte Blanco a proposito dei bambini:

“Inoltre l’‘altro’ è, allora in questa prima esperienza, semplicemente il suo proprio sentire, cioè, il suo proprio modo di essere simmetrico in uno stato di purezza totale (senza delle contaminazioni asimmetriche) e che, contemplato adesso, retrospettivamente appare (per la prima volta) come due cose diverse. (1975, p. 226). […] Cioè la distinzione consiste solo in due differenti ‘sentire’ inconsapevolmente l’altro o come presenza o come assenza. Il soggetto avverte solo le modificazioni del proprio stato interno registrate dalla propria mente e non la distinzione tra Io e non-Io. […] Il bambino frustrato dalla mancanza del seno si ‘guarda’ asimmetricamente per la prima volta e confonde con l’altro – la madre – qualcosa che in fondo è egli stesso, sebbene allo stesso tempo è anche l’altro: la madre, la quale è, a sua volta, il suo aspetto simmetrico, il suo sentire. Ma il modo di essere simmetrico è omogeneo e indivisibile, mentre che la realtà fisica, il suo corpo, è per noi, divisibile in parti. Il pensare, il quale divide (stabilisce delle relazioni) vede il suo modo di essere simmetrico come se fosse un corpo, come se fosse divisibile in parti” (op. cit. p. 269).

Si può capire ora il desiderio che ci sia una fantasia di fusione psico-fisica, agita nella sessualità, che rimandi alla fantasia di fusione tout court con l’oggetto primario materno.

Continua Matte Blanco:

“In queste fasi si propone un problema centrale dell’uomo, quello della confrontazione dei suoi modi di essere e dei poli tra i quali si trova la soluzione, che ognuno colloca in qualche punto della linea che unisce questi poli. Da una parte sta l’incantesimo, l’illusione, l’innamorarsi di questa realtà misteriosa, estranea al pensiero, ieratica e irraggiungibile. All’estremo opposto sta l’analizzare questa realtà fino al punto di ‘disfare l’incantesimo con la ragione’.” (1975, p. 272).

Scrivere un diario, come fece Sabina, fu un tentativo di interrogarsi sulle cose, oltre che di raccontarle. Noi non sappiamo se Sabina riuscì mai a vedere veramente Jung come “altro” attraverso il dolore provocato dalla frustrazione per non essere amata, sappiamo per certo però che ella non tradì mai i suoi sentimenti per Jung, la sua passione (Kress-Rosen, 1994), al contrario di quanto fece quest’ultimo, cosa che ci fa supporre che il transfert amoroso di Sabina non fu per niente risolto. Ella non tradì neanche i suoi sentimenti per Freud, anzi scrive Bettelheim:

“Mentre Jung e Freud permisero ai loro impulsi distruttivi di separarli, la Spielrein rimase fedele fino alla fine all’impulso creativo che, ella sperava, avrebbe condotto Freud e Jung insieme in una comune impresa per il beneficio dell’umanità.” (p. 30).

Sabina non tradì mai i suoi maestri e caldeggiò sempre una loro riconciliazione: anche ciò rende questa sfortunata giovane donna degna della nostra ammirazione.


Considerazioni conclusive

Per concludere segnalo un ultimo punto importante che si collega alla vicenda Jung-Spielrein: la presunta “guarigione di Sabina”. Riporto alcune frasi di Bettleheim per commentarle:

“Quale che possa essere il giudizio sul comportamento di Jung verso la Spielrein, probabilmente la sua prima paziente psicoanalitica, non si può trascurare la sua conseguenza più importante: egli la guarì dal disturbo per cui era stata affidata alle sue cure. [...] Può essere una buona cosa che la storia della Spielrein ci ricordi che, contrariamente alla nostra ottimistica convinzione di sapere come curare psicologicamente persone molto malate, ci sono più cose in cielo e sulla terra di quante ne sognino le nostre filosofie.” (p. 29).

Ma dice anche:

“Certo, a causa del modo particolare in cui fu curata, la Spielrein pagò un alto prezzo in termini di infelicità, confusione e disillusione, ma dopotutto ciò capita spesso con malati mentali gravi come lei.” (p. 29).

Freud fu più cauto e, come riferisce Carotenuto:

“In una lettera del 20 agosto 1912, Freud, informato che Sabina Spielrein si era sposata con il dr. Scheftel, interpreta questo fatto molto positivamente: ‘Ciò significa per me una mezza guarigione dal Suo attaccamento nevrotico a Jung’. [e commenta] Ecco quindi anche Freud buttare giù la maschera e suggerire a Spielrein una modalità perversa a proposito del suo amore.” (p. 127).

Rileviamo come Freud fu chiamato in causa come terzo esterno sia da Jung che dalla Spielrein, allorché si accorsero di non poter più governare la loro relazione. Doveva essere una sorta di psicoterapeuta che fosse in grado di apportare un cambiamento nel sistema e tentare comunque di “chiudere il gioco”. Ma Freud, che per diversi motivi era coinvolto anche lui nella dinamica relazionale, non potette che ottenere una “mezza guarigione” limitandosi a facilitare la separazione tra i due amanti.

Non possiamo, pertanto, essere d’accordo con la lettura dei fatti di Bettelheim. Non so perché egli abbia pensato che Sabina fosse stata guarita dalla terapia con Jung e credo che Freud, molto semplicemente, vide il matrimonio di Sabina come una “mezza guarigione” e se ne rallegrò perché in questo modo la vicenda si poteva chiudere con una sorta di compromesso, piuttosto che proseguire verso mali peggiori. Egli stesso, come abbiamo già viso, aveva scritto a Jung riferendosi a Sabina della sua “pulsione distruttiva” che gli piaceva poco.

Penso che Freud aveva visto bene, come sempre, e in ogni caso la morte-suicidio di Sabina nella quale coinvolse anche le figlie allorché si consegnò volontariamente ai nazisti, sebbene questa versione dei fatti sia molto dubbia, allude ad un modo fallace e tragico di “uscire dal sistema”, ma un modo che le permise di “entrare” nella storia del movimento psicoanalitico e della psicoanalisi tout court, seppure pagando un prezzo davvero eccessivo; ma ciò non ci meraviglia visto le dinamiche agenti nell’applicazione di quello che con felice espressione Kerr (1993) chiama un metodo molto pericoloso, quale è la psicoanalisi.

Sappiamo che Freud, benché non fosse interessato all’‘etica’, al moralismo, teneva a stabilire regole tecniche per proteggere l’analista e il gruppo psicoanalitico, oltre che ovviamente il paziente, dagli agiti sessuali e dalle relative conseguenze, e che a tale fine pensava che conviene che il terapeuta faccia affidamento sulla propria “equazione personale”, che cerchi di mantenere sempre il setting con le sue regole, in primis la regola dell’astinenza, e che senta l’impegno verso il paziente mantenendo il contratto terapeutico, oltre all’impegno verso il proprio gruppo di appartenenza.

È comunque difficile stare in una relazione, simmetrica o asimmetrica che sia, perché come dice lo scrittore brasiliano J.G. Rosa nell’esergo: “Vivere vicino alle persone è sempre difficile”.

 

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