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INDIVIDUALE Psicoterapia Analitica |
Il libro di Freud sull’afasia è noto solo ad una piccola cerchia di esperti. Non disponibile per molti anni, è stato considerato finora nient’altro che un voce nell’elenco delle pubblicazioni “pre-psicoanalitiche” di Freud e senza nessuna importanza per il suo lavoro successivo. Freud stesso, essendosi volto allo studio delle nevrosi, quasi mai si riferì ai suoi scritti precedenti. Tuttavia, il periodo in cui essi ebbero origine fu un periodo di intensa e fruttuosa attività. Freud non solo diede validi contributi alla neurologia ma pose anche le fondamenta della psicanalisi. È stato sempre più riconosciuto negli ultimi anni che i lavori anatomici, neurologici e psicoanalitici [di Freud] costituiscano un continuum. Il lavoro sull’afasia lo dimostra chiaramente1. Fu il primo lavoro in cui l’autore si è occupato delle le attività mentali stabilendo così una connessione tra due periodi apparentemente separati della sua vita lavorativa. Oggi esso è degno di una seria attenzione non meno di quanto lo fosse sessantadue anni fa. Il neurologo lo troverà non solo interessante storicamente, ma anche pieno di idee stimolanti e originali che concernano problemi fondamentali tanto oggi quanto allora. Lo psicanalista e lo psichiatra lo considereranno come il precursore più significativo del successivo lavoro dell’autore.
Come contributo ai problemi dei disturbi del linguaggio dovuti a lesioni cerebrali, il trattato di Freud spicca tra i corposi scritti del tempo. Comparve quando i neurologi erano molto interessati alla localizzazione delle funzioni cerebrali. Le scoperte di Hitzig e Ferrier erano ben presenti nelle loro menti. Broca e Wernicke avevano dimostrato scientificamente la relazione di alcune lesioni del cervello con specifici tipi di afasia, e l’esatta localizzazione di tutte le funzioni del linguaggio sembravano essere a portata di mano. Freud fu il primo nel mondo di lingua tedesca a sottoporre ad un’analisi critica sistematica la teoria corrente del localizzazionismo. Nello sfidare sia una potente tendenza scientifica sia i suoi più influenti rappresentanti, egli mostrò di essere un pensatore indipendente di notevole coraggio.
Freud era stato stimolato allo studio dell’argomento da uno scritto di Exner e Paneth2; era una relazione su un ricerca sperimentale, con la quale i due fisiologi furono in grado di dimostrare che l’isolamento chirurgico di un’area corticale nei cani aveva avuto lo stesso effetto della sua escissione. Essi attribuirono ciò a due fattori: l’interruzione delle fibre associative e il “traumatismo”, in tal modo chiamando in causa una lesione localizzata così come un disturbo funzionale. La stessa combinazione di fattori fu considerata da Freud responsabile delle peculiarità di alcuni tipi di afasia. Non c’è dubbio che anche il suo contatto con Charcot contribuì alla scelta dell’argomento. Ma questi furono solo fattori accidentali; fu pressoché inevitabile per un neurologo come Freud, così profondamente interessato ai processi mentali, essere attratto dallo studio delle afasie.
Benché il libro sia per molti versi uno scritto datato, contiene ancora informazioni utili per i neurologi di oggi. L’insistenza di Freud sulla compatibilità dell’approccio funzionale, cioè dinamico, con l’approccio localizzazionista, ancora non sufficientemente preso in considerazione da molti. Nella sua visione del problema della localizzazione egli seguì Hughlings Jackson. Rifiutò la localizzazione stretta non solo per quanto riguarda la funzione del linguaggio ma anche per quanto riguarda i singoli muscoli. In ogni caso, l’“apparato del linguaggio”, che benché non identico ai substrati strutturali del linguaggio è in qualche modo ad essi collegato, è un concetto freudiano. La differenziazione tra un’area centrale del linguaggio e i cosiddetti centri del linguaggio confinanti con le aree corticali recettive e motorie funzionalmente correlati ad essi, è una teoria molto interessante che si è dimostrata molto fruttuosa.
La proposta di una suddivisione delle afasie in tre gruppi fu un tentativo coraggioso di stabilire un sistema psicologico solido basato sulla teoria delle associazioni applicata al linguaggio. Considerando che la classificazione corrente era allora, e ancora lo è, un miscuglio confuso di concetti anatomici, fisiologici e psicologici, il sistema di Freud era il più affidabile. Tuttavia era troppo strettamente legato ad un quadro teorico opinabile per essere accettabile dai clinici, benché una sua parte sia sopravvissuta. È stato un precursore della classificazione di Head che era anch’essa basata su criteri psicologici.
Nessuna delle autorità di spicco nel campo dell’afasia sfuggì alle critiche di Freud, con l’evidente eccezione di Hughlings Jackson per il quale l’autore non ebbe altro che lodi e che identificò come il suo spirito guida nello studio dei disordini del linguaggio. Apprezzò anche i contributi di Bastian, senza tuttavia accettare i suoi punti di vista sui centri fisiologici del linguaggio. Egli riportò il monito di Jackson contro la confusione dell’aspetto fisico con l’aspetto psichico e si dichiarò un seguace della “legge della concomitanza” adottata da Jackson. Citò alcuni tra gli esempi più chiarificativi di Jackson di “espressioni ricorrenti” alla cui origine i fattori emotivi avevano giocato una parte notevole; al fine di sottolineare l’importanza di tali fattori in situazioni di stress egli riportò un’interessante osservazione personale.
È ovvio che Hughlings Jackson aveva profondamente impressionato Freud. Il passaggio che segue mostra quanto egli avesse fatto del tutto sua la dottrina fondamentale di Jackson sull’evoluzione e sulla dissoluzione della funzione: «Per valutare la funzione dell’apparato di linguaggio in condizioni patologiche, proponiamo la tesi di Hughlings Jackson, secondo cui tutti questi modi di reazione rappresentano casi di involuzione funzionale3 (Dis-involution) di un apparato altamente organizzato, e corrispondono quindi a stati precedenti del suo sviluppo funzionale. In tutti i casi andrà perciò perduto un ordinamento associativo superiore sviluppatosi tardi, e se ne manterrà uno più semplice acquisito prima. Questo punto di vista spiega un gran numero di fenomeni dell’afasia» (p. 112).
Qui, dunque, troviamo per la prima volta negli scritti di Freud il principio della regressione che è alla base di tutte le asserzioni genetiche della psicanalisi. Freud si era probabilmente imbattuto in questo principio, in una forma o nell’altra, già precedentemente, probabilmente negli scritti di Meynert; ma da nessun’altra parte esso era stato asserito così chiaramente e le sue applicazioni alla psicopatologia erano state evidenziate così tenacemente come negli scritti di Hughlings Jackson, che li aveva tratti da Erbert Spencer, il filosofo psicologo dell’evoluzione. La stretta relazione tra psicanalisi e teoria dell’evoluzione era stata notata già da tempo da Ernest Jones.4
Il ruolo importante giocato dallo studio di Freud sulle afasie nella fondazione della teoria psicoanalitica è stato pienamente riconosciuto da L. Binswanger. Egli ritiene che, la conoscenza di Freud della dottrina genetica di Hughling Jackson ebbe un’influenza decisiva sul pensiero di Freud, e si spinge fino ad affermare che senza la conoscenza di questo libro è impossibile una comprensione storica completa degli insegnamenti di Freud. Lo studio dei due articoli di Hughling Jackson cui Freud fa riferimento, convincerà il lettore che l’opinione di Binswanger non è un’esagerazione. In questi scritti Jackson non solo applica la dottrina di Spencer ai disordini del linguaggio, ma fa anche intravedere la loro importanza per lo studio della “follia”. Egli espresse anche il punto di vista per cui certi stati psichici e certe espressioni erano il risultato di scariche nervose conflittuali. Tutto ciò doveva essere stato di forte interesse per Freud che aveva familiarità con i concetti della psicodinamica attraverso Herbart, Fechner e Brücke.
L’idea che disturbi della funzione, simili a quelli causati da lesioni del cervello, sopraggiungano nella persona sana in certe condizioni di stanchezza e mancanza di attenzione, era implicita nella teoria dell’evoluzione e della dissoluzione. Essa si dimostrò essere di enorme importanza in psicopatologia. Non è perciò sorprendente trovare in questo libro osservazioni che presagiscono importanti scoperte psicopatologiche. Ciò che Freud disse sulla parafasia, cioè l‘uso erroneo di parole, può essere letto come un preludio al capitolo sugli errori e sui lapsus nella “Psicopatologia della vita quotidiana”. Le osservazioni di Freud sulla parafasia sono ancora valide. Questo problema cruciale dell’afasia da allora ha fatto a stento qualche progresso.
L’“apparato del linguaggio” è il fratello maggiore dell’“apparato psichico” al cui funzionamento furono dedicate la maggior parte delle successive ricerche di Freud. Entrambi i termini ovviamente originano dagli scritti di Meynert. Essi dimostrano il durevole attaccamento di Freud ai concetti di fisiologia.
Il libro contiene un certo numero di altri termini che sono diventati parole familiari in psicologia e psichiatria. “Proiezione” e “rappresentazione”, che dovevano assumere una parte così importante nella teoria psicoanalitica, sono qui usate nel loro senso originario. Il termine “Besetzung” e “besetzen” (occupazione, occupare; cathexis, investire) erano stati usati da Meynert per indicare il processo ipotetico di investimento delle cellule corticali non attive con una nuova funzione. Benché Freud rifiutasse l’ipotesi di Meynert egli in seguito usò questi termini per indicare il meccanismo dell’investimento degli oggetti mediante libido.
Anche il concetto di “sovradeterminazione” fu definito per la prima volta in relazione alle funzioni del linguaggio che si supponeva fossero salvaguardate dal crollo mediante un insieme di meccanismi complementari.
La preferenza di Freud per i concetti che implicano processi dinamici, piuttosto che condizioni statiche, è evidente in tutto il libro. Essa è espressa nella maniera più chiara nel notevole passaggio che riguarda i ricordi (pp. 78-79). Questo tipo di considerazioni devono avere avuto la loro parte nella scoperta dei meccanismi inconsci che doveva divenire il più importante contributo di Freud alla psichiatria e alla psicologia.
Il libro sembra aver ricevuto una scarsa attenzione immediata e le sue vendite furono insoddisfacenti5. L’autore stesso considerò questo lavoro con un certo orgoglio e in una delle sue lettere6 ne parlò come di qualcosa di “veramente buono”, lamentando allo stesso tempo che fosse stato a mala pena notato. Ciò non doveva meravigliare; Freud non occupava alcuna posizione ufficiale come quella tenuta da coloro le cui teorie egli criticava così severamente. Egli non aveva scritto sull’afasia precedentemente né in seguito si occupò dell’argomento. Inoltre il libro non conteneva nuove osservazioni cliniche e fu pubblicato come monografia che subito uscì dal circuito editoriale. Forse il destino di questo studio sarebbe stato differente se fosse stato pubblicato in una delle riviste più importanti. Tuttavia ciò accadde non molto prima che la marea delle teorie della localizzazione stretta si abbassasse, e nella prima decade di questo secolo le idee di Freud furono riprese da alcuni studiosi dell’afasia. Storch7 basò su di esse la sua interessante teoria del linguaggio interno. Egli fu seguito da Kurt Goldstein8 che tornò ad Hughlings Jackson e a Freud nell’elaborare la moderna concezione più coerente e fruttuosa dell’afasia. La sua differenziazione delle afasie centrali dai disordini del linguaggio dovuti ai disturbi degli dei mezzi del linguaggio deriva direttamente da Freud. Anche alcuni altri autori si sono riferiti a lui. Il concetto di afasia agnosica incontrò un notevole interesse e il termine “agnosia” fu generalmente accettato. Ancora ora il libro di Freud è citato con rispetto in alcuni studi generali sull’afasia. Thiele9, in un’importante monografia, spesso si riferì ad esso e sottolineò come fosse rimasto anche oggi un lavoro di interesse centrale. Nielsen10 nel suo studio storico gli dette il giusto posto.
Il libro sembra aver fatto una scarsa impressione ai neurologi francesi ed è rimasto sconosciuto alla maggior parte degli autori inglesi ed americani. Jeliffe, e recentemente Ernest Jones, rimproverarono Head11 per aver completamente ignorato il libro di Freud quando egli pronunciò la sua generale condanna dei neurologi per aver trascurato Hughlings Jackson. Ovviamente, Head non aveva mai letto il libro, benché egli citasse Freud come il creatore del termine “agnosia”. Non c’è dubbio che al tempo della sua pubblicazione Freud si trovò da solo nel suo entusiastico apprezzamento di Hughlings Jackson. Non fosse altro che per questo fatto storico, il libro merita di essere salvato dall’oblio. Ma c’è un’altra ragione, di maggior peso delle considerazioni di giustizia storica, che rende auspicabile che questo libro non resti sconosciuto nel mondo di lingua inglese: sembra che il diretto contatto di Freud con le teorie evoluzionistiche che si diffondevano dall’Inghilterra fu un evento altamente significativo per lo sviluppo della psicoanalisi. Il libro reca testimonianza di questo incontro.
Traduzione di Gemma Zontini.
Note:
1 In questa introduzione ho attinto dagli scritti dei seguenti autori che discussero il significato del libro da vari punti di vista: Dorer M. (1932), Histrorische Grundlagen der Psychoanalyse. Meiner, Leipzig; Binswanger L. (1936), “Freud und die Verfassung der klinischen Psychiatrie”, Schweiz. Arch. Neur. Psychiat., Vol. 37, p. 177 (trad. it.: “Freud e la costituzione della psichiatria clinica”, in Per un’antropologia fenomenologica, Feltrinelli, Milano, 1970, pp. 253-278); Brun R. (1936), “Sigmund Freud’s Leistungen auf dem Gebiete der organischen Neurologie”, Schweiz. Arch. Neur. Psychiat., vol. 37, p. 199; Jeliffe E.S. (1937), “Sigmund Freud as a Neurologist. J.”, Nerv. Ment Dis., vol. 85, p. 696; Bernfeld S. (1944), “Freud’s earliest discoveries and the School of Helmholtz”, Psychoan. Quarterly, vol. 13, p. 24 (trad. it.: “Le prime teorie di Freud e la scuola di scuola di Helmholtz”, in Bernfeld S., Cassirer Bernfeld S., a cura di, (1981), Per una biografia di Freud, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, pp. 41-59) ;Bernfeld S. (1949), “Freud’s scientific beginnings”, Amer. Imago, vol. 6, p. 156, Yearbook of Psychoanal., vol. 6, p. 24 (trad. it.: “L’esordio scientifico di Freud”, in Bernfeld S., Cassirer Bernfeld S,. a cura di, (1981), Per una biografia di Freud, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, pp. 84-113); Kris E. (1950), “The significance of Freud’s earliest discoveries”, Int. J. Psychoan., vol. 31, p. 1 (trad. it.: “Il significato delle prime scoperte di Freud”, in Kris E. (1977), Gli scritti psicoanalitici. Boringhieri, Torino, pp. 292-305); Riese W. (1952), “Concepts of evolution and dissolution of functions in psychopathology”, Proceedings First Internat. Congress on Psychiatry 1950, Vol. 1, p. 501, Paris.
Jones E. (1953), Sigmund Freud: life and work, vol. 1, London (trad. it.: Vita e opere di Freud, il Saggiatore, Milano, 1966); Sono debitore verso il dr. Ernst Jones per il prestito di una copia in tedesco del libro di Freud e di una copia del libro di Dorer.
2 Exner S., Paneth J. (1887), “Über Sehstörungen nach Operationen am Vorderhirn”, Pflüg. Arch., vol. 4, p. 62.
3 Il termine usato nel tedesco originale è “Rückbildung”. La traduzione scelta per questo termine è “retrogressione” piuttosto che “regressione”. Quest’ultima sarebbe ugualmente corretta ma è stata scartata poiché avrebbe potuto creare l’impressione che la parola tedesca usata da Freud fosse “Regression”. Infatti, quest’ultimo termine fu usato per la prima volta ne L’interpretazione dei sogni (1899).
4 Jones E. (1912), “Preface” to Papers on psycho-analysis, Bailliere, Tindall & Cox, London (trad. it.: in Teoria del simbolismo. Scritti sulla sessualità femminile e altri saggi. Astrolabio, Roma, 1972, pp. 7-8).
5 Furono vendute nel primo anno 142 copie e 115 nei nove anni successivi. Devo questa informazione al dottor Ernest Jones.
6 Freud S. (1950), Aus den Anfangen der Psychoanalyse, (trad. ingl.: The Origins of Psychoanalysis, Basic Books, New York, 1954, p. 94, (trad. it.: Le origini della psicoanalisi, Boringhieri, Torino, p. 81).
7 Storch E. (1903), “Der aphasische Syntomenkomplex”, Manatsch. Psychiatrie and Nervenkrankh., 13.
8 Goldestein K. (1012), “Die zentrale Aphasie”, Neurol. Centralblatt, 12, p. 1.
9 Thiele W. (1928), Die Aphasien, Handb. d. Geisteskr., Allgem. Teil, vol. 2, Berlin, p. 242.
10 Nielsen J.M. (1947), Agnosia, Apraxia, Aphasia, Hoeber, New York and London, 1947.
11 Head H. (1926), Aphasia and kindred disorders of speech, vol. 1, Cambridge University Press, Cambridge.