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PSYCHOMEDIA
GRUPPALITÀ E CICLO VITALE
Infanzia



L'esperienza relazionale nella prima infanzia

di Elisabetta Greco



Questo lavoro nasce come un tentativo di raccogliere e sintetizzare i numerosi studi compiuti nell'ambito dell'infant research ed in particolare quelli che descrivono i primi mesi di vita del bambino e il ruolo che l'ambiente d'accudimento ha sull'organizzazione psichica del neonato.
L'interesse per quest'area della psicologia dello sviluppo nasce dalle vaste possibilità offerte dai risultati di queste ricerche all'evoluzione di concetti psicoanalitici tradizionali ed alla conseguente applicabilità clinica.
In passato concezioni antiquate dello sviluppo infantile si basavano su di un sistema teorico facente riferimento ad un modello intrapsichico; l'assunto dominante di gran parte della letteratura psicologica e psicoanalitica dell'età evolutiva considerava il bambino come un organismo relativamente passivo, le cui azioni e reazioni apparivano finalizzate primariamente alla riduzione degli stimoli.
Dalla formulazione freudiana di una sequenza di fasi di sviluppo, centrata sulla costellazione edipica e sul passaggio da una condizione infantile di assoluta dipendenza dall'oggetto ad una progressiva maturità del soggetto, relativamente autonomo rispetto ai suoi oggetti primari, si è passati ad una concezione evolutiva relazionale che implica la necessità di osservare il bambino all'interno della rete interattiva che lo circonda.
Il bambino non è un essere indifferenziato; piuttosto, possiede tutta una serie di competenze innate che promuovono lo sviluppo di un sistema interattivo che si realizza nelle relazioni d'accudimento significative.
Fin dai più precoci momenti dello sviluppo l'oggetto non può più essere considerato, come per Freud, l'unico potenziale strumento per una scarica pulsionale, bensì l'essenziale regolatore di reciproche interazioni volte a promuovere e a favorire lo sviluppo di un senso di Sé.
Attualmente, nell'osservazione del bambino si indaga sul tipo di esperienza che il neonato fa nel momento stesso dell'acquisizione di nuove competenze e cioè l'esperienza soggettiva del neonato durante le interazioni sociali, quando e come sperimenta affetti, comprende gli altri e sé stesso.

Sameroff propone un'ottica secondo cui lo sviluppo di ogni persona è configurabile come un sistema regolato su due versanti principali, interno ed esterno, biologico e sociale. La componente biologica, espressione di un genotipo che fornisce la base per l'organizzazione comportamentale, domina alcune fasi dello sviluppo e dello svolgersi dell'esistenza, quali lo stadio prenatale e postnatale, la pubertà e la vecchiaia. Nei periodi intermedi sembra svolgere una regolazione silente.
Il sistema sociale interagisce con la medesima intensità in tutte le fasi della crescita e per tutta la vita di un individuo, incarnato progressivamente dalle figure genitoriali, dalla famiglia, dalla società, operando con l'individuo per la formazione di modelli adattativi di funzionamento. Le relazioni hanno quindi un ruolo di primaria importanza, essendo lo strumento con cui si attuano le regolazioni evolutive che modificano le esperienze infantili in sintonia con le trasformazioni corporee e comportamentali. Attraverso scambi con i sistemi di regolazione i bambini acquisiscono via via competenze di autoregolazione biologica e comportamentale, rimanendo comunque per l'intero corso della vita ancorati a contesti interni ed esterni.
Esistono vari livelli di regolazione, quelle che più ci interessano ai fini di questo lavoro sono le microregolazioni. Sono quei fenomeni descritti da altri studiosi tra cui Stern come "sintonizzazioni", di cui parleremo in seguito. Si tratta di eventi in gran parte automatici, al di fuori della consapevolezza che riguardano momenti interattivi tra il bambino e le figure di accudimento.
"Nella prima infanzia il percorso comune di queste regolazioni è attraverso il comportamento delle figure parentali, e soprattutto le prime figure di accudimento nelle loro relazioni con l'infante. Così le prime relazioni diventano cruciali nello sviluppo degli adattamenti normali o anormali dell'infante." (Sameroff 1989, p. 40)

In un'analoga prospettiva sistemica o organizzativa si pone Sander, la cui opera affronta le principali questioni della psicologia dello sviluppo, proponendo ipotesi evolutive in grado di spiegare il processo di emergenza del Sé nel neonato e di comprenderne il ruolo formativo delle relazioni sociali.
All'ipotesi di un Sé neonatale organizzatore di atteggiamenti, aspettative e sensazioni in un neonato il cui SNC è ancora in pieno sviluppo, Sander sostituisce l'idea che il nucleo organizzante fin dalla nascita sia da rintracciare nel sistema diadico madre-bambino, organizzato su comportamenti di regolazione reciproca che gradualmente, con una partecipazione del bambino sempre crescente, permettono l'emergenza di funzioni autoregolative.
In altre parole l'organizzazione diadica madre-bambino precede e dà origine a quell'insieme di comportamenti, sensazioni, aspettative e significati che costituiscono il Sè del neonato. Il progressivo sviluppo dell'autoregolazione influenza successivamente l'adattamento, l'esperienza ed il comportamento sociale del bambino.
Secondo l'ottica di Sander il bambino e le figure di accudimento che lo circondano costituiscono un sistema vivente la cui coerenza è mantenuta da un reciproco ed ininterrotto flusso di scambi. La tendenza all'interazione che permette l'effettuarsi degli scambi tra "l'individuo ed il suo ambiente" è considerata una motivazione innata (primary activity) e necessaria al mantenimento della vita stessa. L'organizzazione e l'evoluzione del sistema sono garantite da continue trasformazioni e modificazioni degli individui costitutivi del sistema, mediate da processi di regolazione reciproca.
Infatti, la maturazione del SNC del bambino consente la costante introduzione nel sistema diadico di nuove configurazioni comportamentali e capacità funzionali. Le progressive competenze dell'infante, quale individuo determinante le proprie azioni, pongono la madre in condizioni di modificare parallelamente il proprio comportamento in sintonia con quello del bambino e di sperimentare risposte diverse alle sue attuali necessità.
Ciascun sistema diadico assume delle specifiche modalità di trasformazione, caratteristiche solo di quella coppia madre-bambino e tutti i cambiamenti e gli equilibri conquistati sono il frutto di una mediazione riuscita.

Stern si è dedicato a costruire una teoria che tenesse conto dell'esperienza soggettiva del bambino, ha tentato di descrivere l'emergenza e lo sviluppo normale del senso di Sè del bambino quale principio organizzatore dell'esperienza.
La premessa è che fin dai primi giorni, e forse anche prima della nascita, molto prima quindi dell'autoconsapevolezza e del linguaggio, esista nel neonato una qualche forma di senso di Sé e dell'altro. Un Sé, diciamo, preverbale.
Per "senso" Stern intende una semplice coscienza, da distinguere dalla consapevolezza autoriflessiva; non pensiero formulato ma esperienza vissuta. Parlando del "Sé", Stern fa riferimento ad "uno schema stabile di consapevolezza che si presenta solo in occasione di azioni o di processi mentali dell'infante" . Ad esempio l'esperienza di essere agenti, di avere un'intenzione, il senso di coesione fisica, di continuità temporale. Si tratta di sentimenti di Sé fondamentali nel mondo interpersonale normale del bambino.
Stern sostiene che già durante le prime settimane di vita, il bambino può sperimentare un'organizzazione in via di formazione.
Il bambino, nelle prime settimane di vita è un essere molto attivo, con una ben delineata tendenza alla ricerca di stimolazioni sensoriali, tale da giustificare l'ipotesi di una spinta motivazionale organizzata.
E' stato infatti dimostrato che il neonato trascorre parte del proprio tempo in uno stato di veglia vigile. Durante questi momenti, il neonato sembra impegnato ad apprendere i rapporti tra le esperienze sensoriali. Esplora l'ambiente e discrimina le stimolazioni che predilige fra tutte quelle che gli vengono offerte, (visive, gustative, olfattive, di intimità corporea, ecc.), adoperandosi poi per ripeterle, il che suggerisce che sia in grado di formarsi schemi organizzati.
Il neonato dimostra una tendenza innata a formulare ipotesi sul mondo che lo circonda ed a verificarle, da cui gli deriva la capacità di confrontare esperienze diverse ed individuarne le caratteristiche comuni. La componente affettiva dell'esperienza è fondamentale ed inscindibile da quella percettiva. In altre parole non è possibile separare i processi cognitivi da quelli affettivi con i loro caratteri costanti e variabili.
Ci si potrebbe domandare se, ed in che modo, il bambino sia capace di integrare ed associare esperienze sensoriali distinte.
La scoperta più rilevante ai fini di una comprensione della capacità del neonato di formare rappresentazioni riguarda la sua abilità di ricevere informazioni in una modalità sensoriale specifica e di tradurle in modalità sensoriali diverse. Questa capacità, chiamata percezione amodale, comincia con la vita mentale ed indica la necessità di formare rappresentazioni astratte delle qualità primarie della percezione.
I bambini sono in grado di percepire con ogni modalità sensoriale le qualità amodali di un comportamento umano espressivo, di rappresentarle astrattamente e trasferirle in altre modalità. Cogliere le caratteristiche più globali delle modalità sensoriali diverse, ridurle in forma di modelli è la capacità emergente del bambino che attribuisce così un ordine alle cose e acquisisce una consapevolezza circa le caratteristiche di forma, intensità e schemi temporali.
L'ipotesi di Stern è che a livello preverbale e presimbolico, al di fuori quindi di ogni consapevolezza, l'esperienza di riscontrare coincidenze tra modalità percettive diverse produca una sensazione di familiarità. L'esperienza presente e quella già vissuta sono messe in relazione. Questo permette al bambino di costruirsi un'esperienza integrata di Sé e degli altri ed in queste prime settimane di vita il processo stesso dell'integrazione delle percezioni contribuisce alla formazione del senso di Sé.

Fra i due ed i sei mesi di vita, il bambino ha già formato le basi per un basilare senso di Sé. E' necessario prendere in considerazione quattro aspetti dell'esperienza presenti in questo periodo per poter parlare di Sè in senso clinico.
Ci riferiamo al sentimento di avere un Sé agente, di avere un Sé coeso, al senso di continuità e, in ultimo, al senso di una propria affettività.
Questi sono gli elementi essenziali per la formazione di un senso di Sé nucleare non verbale e l'ipotesi presentata da Stern è che si costituiscano tutti nei primi sei mesi di vita.
Cosa si intende esattamente per ognuno di questi elementi?
Il Sé agente si riferisce all'esperienza che il bambino fa di essere l'autore delle proprie azioni; il senso di coesione è la sensazione di essere un'entità fisica intera, provvista di confini e sede di un'azione integrata; per continuità si intende il senso di durata, la continuità con il proprio passato e l'esperienza di continuare ad essere Sé stessi, pur cambiando; per senso di una propria affettività, infine, si intende la capacità di sperimentare stati intimi con qualità affettive.
Insieme, le quattro componenti del Sé nucleare forniscono il senso di fare esperienza degli eventi ed è per questo motivo che una compromissione del normale sviluppo di ognuno di questi sensi può provocare danni di notevole rilevanza clinica.
Un fragile senso del Sè agente può portare alla formazione di pensieri paranoidei riguardanti il controllo della propria mente e delle proprie azioni. La vulnerabilità nel sentimento di coesione favorirà l'insorgenza di una sintomatologia con crisi di depersonalizzazione e dissociazione ed intense paure di frammentazione. Un difettoso senso di continuità può essere all'origine di episodi psicotici di scissione e di fuga ed la carenza di un solido senso di affettività esporrà l'individuo a disturbi affettivi, ad anedonia, ecc.

Tra i nove e i dodici mesi si verificano diversi cambiamenti nelle capacità motorie, mnestiche, percettive, che portano il bambino alla scoperta di avere una mente, o meglio alla percezione di una propria vita interiore, di propri contenuti che possono essere condivisi con gli altri.
I bambini, in questa fase dello sviluppo, mostrano di voler condividere con la madre o con altri adulti significativi tutta una serie di stati mentali, quali l'attenzione, le intenzioni e gli stati affettivi, che non necessitano di un linguaggio verbale per poter essere comunicati, né di autoconsapevolezza o autoriflessione.
Possiamo descrivere la condivisione di stati affettivi servendoci dell'esperimento di Emde del finto percipizio.
Si fa camminare carponi un bambino su una superficie che mostra in un punto una discontinuità visiva, cioè un finto precipizio, appunto. La madre è presente e guarda tranquillamente il figlio. Il bambino avanza fino a quando non si trova in prossimità del "precipizio", interrompendo la sua marcia e mostrando segni di timore ed incertezza. A questo punto guarda la madre e, se legge sul suo viso un'espressione tranquilla, rassicurante o incoraggiante, prosegue in avanti superando l'ostacolo. Se la madre, su richiesta dello sperimentatore, mostra un atteggiamento apprensivo o contrariato quando il bambino si strova sul ciglio del finto burrone, questi reagirà esitando, assumendo un'espressione angosciata e mettendosi a piangere. Il bambino si serve dell'emozionalità della madre per regolare la propria ed è in grado di rilevare una discrepanza tra il proprio stato affettivo e l'emozione presente sul viso dell'altra persona.

Quando, intorno ai quindici-diciotto mesi, compare l'uso del linguaggio, il bambino comincia ad usare simboli e ad oggettivare sé stesso, indicandosi quando si vede allo specchio, utilizzando pronomi personali per autodefinirsi ed entrando nel mondo del gioco simbolico. Successivamente, verso i tre anni, il bambino acquisisce anche una funzione narrativa.

Parliamo adesso di qui fenomeni che permettono ad un individuo di conoscere lo stato psichico di un altro. Si tratta, quindi, di una comunicazione di tipo non verbale che permette a due persone coinvolte in un rapporto di scambiarsi reciproche informazioni sul proprio esperire psichico.
Quando uno dei due individui coinvolti nell'evento è un lattante risulta evidente che questo processo non è mediato dall'uso del linguaggio.
Questo fenomeno, chiamato "sintonizzazione affettiva", è fondante nella relazione genitore-bambino ed è alla base di quell'altro processo descritto dagli psicoanalisti come "empatia", che richiede però la mediazione successiva di processi cognitivi.
Le sintonizzazioni avvengono in gran parte al di fuori di ogni consapevolezza, al contrario l'empatia consta di diversi stadi sequenziali di cui solo il primo, la risonanza emotiva, è in comune con il fenomeno della sintonizzazione. Gli altri (l'astrazione della conoscenza empatica dall'esperienza della risonanza emotiva; l'integrazione della conoscenza empatica astratta in una risposta empatica; una transitoria identificazione di ruolo), sono processi che necessitano di una elaborazione cognitiva per arrivare verso la conoscenza ed una risposta empatica.
Il mezzo universale perchè un soggetto conosca lo stato psichico di un altro, ed è costituito prinicipalmente dalle interazioni affettive.
E' così che si possono spiegare una serie di fenomeni che si osservano comunemente nelle interazioni tra individui, indice di scambi e di influenze psichiche reciproche, quali appunto l'empatia, la condivisione di stati d'intimità o le interazioni fantasmatiche reciproche.
L'esperire psichico di una persona deve manifestarsi per mezzo di un comportamento e questo deve, poi, tradursi per risultare comprensibile ad un altra persona.
In che modo quindi avviene quella comunicazione per cui è possibile "entrare dentro" l'eperienza soggettiva di un altro e farglielo sapere?
Stern sottolinea che l'imitazione di un comportamento non basta per il raggiungimento di questo obiettivo, non garantisce lo scambio intersoggettivo degli stati affettivi.
L'attenta osservazione della costituzione delle interazioni e dei dialoghi sociali tra madre e bambino nei primi nove mesi di vita ha dimostrato che il comportamento della madre trascende, in genere, la semplice imitazione e ripropone, invece, una forma di corrispondenza transmodale. Non è la manifestazione comportamentale esterna ad essere corrisposta ma un qualche aspetto di essa che ne riflette lo stato d'animo. In altri termini, il referente sembra essere lo stato interno dell'individuo, inferito o direttamente appreso.
Per sintonizzazione affettiva si intende quella "realizzazione di condotte che esprimono la qualità corrispondente al sentimento di condivisione di uno stato affettivo, senza che ci sia imitazione dell'espressione comportamentale esatta dello stato interno." (Stern 1989c, pp. 164-178)
Le sintonizzazioni consentono dunque di spostare l'attenzione da un comportamento esterno, manifesto, allo stato d'animo che sottende quel comportamento.
Analizzando quali aspetti di un comportamento sia possibile corrispondere senza che avvenga un'imitazione formale, Stern propone di considerare tre categorie descrittive principali: l'intensità, la forma e la durata, ognuna con le rispettive variazioni di contorno, (parametri utilizzati nella descrizione di fenomeni fisici cinematici).
Abbiamo già descritto, nel bambino, la capacità di percezione e di trasferimento di una percezione sensoriale specifica ad una diversa modalità sensoriale, cioè le qualità della percezione amodale. E' per mezzo di un meccanismo simile che può verificarsi un fenomeno di sintonizzazione degli affetti. Le caratteristiche descrittive di un comportamento, quali la forma, la scansione temporale e l'intensità, vengono percepite in maniera amodale. La percezione dello stato psichico di un altro non può avvenire, tuttavia, in termini di intensità, tempo e forma; piuttosto, sono le qualità affettive degli eventi che vengono percepite: il vigore di un gesto, l'ampiezza di un movimento, l'intensità di una risata, gli affetti vitali di un comportamento.
Quindi, le qualità percettive vengono convertite in qualità affettive.
E' un processo per la maggior parte inconsapevole ed ininterrotto, che si verifica grazie alle qualità sensibili dell'esperienza che possono essere viste in termini di esplosioni, ritiri, precipitazioni, ecc., e non solo per categorie affettive discrete.
E' difficile raccogliere esperienze dirette di un'avvenuta sintonizzazione osservando una normale interazione madre-bambino, poichè la sintonizzazione affettiva è un processo silente, che non provoca reazioni emotive evidenti né nel bambino, né nella madre, se non nei momenti in cui risulta perturbata od impedita. Queste affermazioni sono valide in tutti i casi in cui i comportamenti di sintonizzazione sono la norma; insieme ad altri aspetti dinamici della regolazione reciproca essi sono i paramentri con cui valutare la funzionalità di una relazione.
La comunione interpersonale creata da ripetuti comportamenti di sintonizzazione, consente al bambino di riconoscere che gli stati d'animo interni sono esperienze affettive condivisibili.

Nei primi mesi di vita il neonato è in grado di individuare ed analizzare le caratteristiche di uno stimolo percepito attraverso modalità sensoriali diverse; cerca differenze, coglie analogie tra le percezioni e le mette in relazione tra loro. La capacità di estrapolare le caratteristiche di un evento percettivo fornisce al bambino la possibilità di organizzare la propria esperienza secondo rudimentali aspetti di ordine, stabilità ed invarianza.
Le competenze percettive e mnestiche dei neonati depongono a favore dello sviluppo di tali capacità rappresentative già durante il primo anno di vita.
Attualmente, sono emerse diverse evidenze circa la costituzione di una capacità di rappresentazione presimbolica.
L'ipotesi più diffusa è che il bambino, percependo uno stimolo, possa astrarne un modello, memorizzarlo e rievocarlo come termine di confronto quando lo stimolo si ripresenta.
E' probabile che i bambini utilizzino queste iniziali capacità rappresentative all'interno di contesti interattivi, sviluppando aspettative rispetto ai primi eventi sociali.
Dopo la seconda o la terza volta che un evento o un momento d'interazione si ripete, il bambino può identificarne gli aspetti invarianti. Sviluppa cioè delle aspettative in base a regole evinte dalla ricorrenza o meno di un evento in un determinato contesto.
In altre parole, prima di accedere al pensiero simbolico, il bambino è capace di formare rappresentazioni dei diversi caratteri che distinguono un'interazione: l'andamento temporale dei comportamenti propri ed altrui, la presenza o l'assenza di corrispondenze e di reciprocità, le caratteristiche spaziali dei movimenti interattivi, (avvicinamento-avvicinamento, avvicinamento-ritiro), le espressioni affettive del volto.
Si forma la rappresentazione dell'intera struttura interattiva, cioè del modello di una regolazione reciproca organizzato secondo paramentri temporali, spaziali ed affettivi.

Stern parte dal presupposto che le rappresentazioni dei modelli di relazione siano il frutto di interazioni reali fra due o più persone, cioè originino da qualcosa che realmente è avvenuto tra due persone.
Ciò è in netto contrasto con le concezioni psicoanalitiche classiche che ne attribuiscono l'origine ad una realtà fantastica, cioè ad un retaggio psichico innato. E' probabile che l'esperienza soggettiva sia costruita ed interpretata dal neonato, ma all'interno di una relazione reale madre-bambino, "senza distorsioni significative dovute all'ontogenesi intrinseca della fantasia." (Stern 1989d, p.65)
Stern cerca di individuare le unità di base dell'esperienza soggettiva che possono essere organizzate in rappresentazioni.
La prima unità è il momento interattivo vissuto, un evento oggettivo ed un'esperienza soggettiva discreta che sono insieme codificati e memorizzati come ricordo di un'esperienza autobiografica nell'area degli eventi interpersonali. Si formano quindi delle tracce mnestiche di specifici eventi esperiti soggettivamente, cioè memorie episodiche.
La memoria attua il ruolo fondamentale di formare prototopi astratti dalla molteplicità di eventi interattivi reali; in altri termini costruisce modelli per classi di eventi e consente così la definizione delle unità esperenziali.
Le prime rappresentazioni consistono in momenti vissuti, memorizzati ed organizzati in categorie funzionali che aiutano il bambino ad interpretare il flusso interattivo e gli forniscono una guida per l'azione ed i sentimenti. Attraverso il costituirsi di categorie generali d'interazione, il bambino crea quindi delle aspettative sulla base di generalizzazioni piuttosto che di eventi discreti.
E' dunque probabile che ogni nuovo momento interattivo confermi o modifichi leggermente la generalizzazione, senza dover essere conservato in memoria come evento specifico.
L'organizzazione per categorie porta alla formazione di memorie protototipiche, rappresentazioni dei caratteri invarianti che costituiscono vari momenti vissuti e ricordati. L'insieme di vari momenti porta alla formazione di sequenze, anch'esse memorizzate. Ci saranno dunque sequenze che riguardano il gioco, i momenti in cui vengono nutriti, lavati, messi a dormire, ecc.
Il risultato è la costituzione di una sorta di codice interno formato dall'integrazione di molti momenti e sequenze centrati su un unico tema significativo, per esempio l'area motivazionale dell'attaccamento o di alcune esigenze fisiologiche o altri sistemi motivazionali (vedi Nota). Il bambino si costruisce così un modello operativo interno per ogni area motivazionale, organizzandone le rappresentazioni e non i contenuti.

[Nota: sistema motivazionale.
Utilizziamo il termine "sistema motivazionale" con il significato proposto da Lichtenberg J.D. (1989) Psicoanalisi e sistemi motivazionali. Tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 1995.
Lichtenberg scrive: "La mia tesi è che la motivazione sia (...) concettualizzabile come una serie di sistemi volti a promuovere la realizzazione e la regolazione dei bisogni di base. Ho delineato cinque sistemi (Sameroff, 1983) ognuno dei quali comprende aspetti motivazionali e funzionali distinti. Ogni sistema motivazionale è un'entità psicologica (con probabili correlati neurofisiologici). Ogni sistema è costruito attorno a un bisogno fondamentale. Ogni sistema è basato su comportamenti chiaramente osservabili, che inziano nel periodo neonatale. I cinque sistemi motivazionali sono: 1) il bisogno di regolazione fisica di esigenze fisiologiche; 2) il bisogno di attaccamento-affiliazione; 3) il bisogno esplorativo-assertivo; 4) il bisogno di reagire avversivamente attraverso l'antagonismo o il ritiro, e 5) il bisogno di piacere sensuale e di eccitazione sessuale. Nel corso dell'infanzia ogni sistema contribuisce alla regolazione del Sé, in interazioni mutualmente regolate con le persone che si prendono cura del bambino. Nei diversi periodi della vita, i bisogni fondamentali e le richieste, i desideri, le mete e gli obiettivi che derivano da quei bisogni all'interno di ogni sistema motivazionale possono essere riorganizzati in differenti gerarchie indicate da preferenze coscienti e inconsce, da scelte e da tendenze differenti. Momento per momento, l'attività di ognuno dei sistemi può intensificarsi tanto da costituire l'aspetto motivazionale prevalente del Sé. (...) le motivazioni hanno origine soltanto dall'esperienza vissuta. Basate sulla particolare esperienza vissuta, le motivazioni possono, o meno, raggiungere la vitalità ottimale. Indipendentemente dai bisogni biofisiologici e dai modelli innati di risposta neurofisiologica sottesi alle motivazioni psicologiche, la vitalità dell'esperienza motivazionale dipenderà inizialmente dalle modalità degli scambi affettivi tra il bambino e la persona che lo accudisce. In seguito, lo sviluppo della rappresentazione simbolica rende possibile, in misura maggiore, la riorganizzazione flessibile, individuale dell'esperienza vissuta." (pp. 7-8). "In ogni sistema gli affetti ricoprono un ruolo fondamentale ampliando le esperienze motivazionali nel loro dispiegarsi, fornendo obiettivi esperienziali alle mete motivazionali. Così, per essere esatti, ogni sistema non è un sistema motivazionale ma un sistema motivazionale-funzionale (Stechler, comunicazione personale, 1985). Le motivazioni inevitabilmente fanno appello alle funzioni strumentali guidate dagli affetti. Le possibilità funzionali con amplificazione affettiva fanno appello alle motivazioni. Per semplicità di liguaggio, parlerò di sistemi motivazionali anziché di sistemi motivazionali-funzionali." (p. 13). La teoria di Lichtenberg rappresenta un contributo importante alla revisione delle tradizionali teorie della motivazione, che considerano ogni motivo umano riconducibile, in ultima analisi, al gioco dinamico di due pulsioni fondamentali antinomiche. Lichtenberg prevede che la motivazione umana sia sì innata, ma di natura emotivo-conoscitiva e non energetico-pulsionale, basata su bisogni di base. In quest'ultima affermazione Lichtenberg si discosta dalle teorie evolutive motivazionali di Emde, poichè le condidera centrate sulle capacità funzionali dell'individuo e non intorno ai bisogni di base. Risulta comunque evidente, ad un'attenta lettura, che le teorie motivazionali di Lichtenberg e di Emde presentano molti punti di contatto ed a volte si sovrappongono. Entrambi, infatti, ritengono che l'essere umano sia dall'inizio motivato a percepire, sentire, agire, apprendere ed impegnarsi, attravarso la regolazione del Sé, in un mutuo sistema di regolazione dell'interazione. La teoria motivazionale di Emde, specificamente riferita alle prime fasi dello sviluppo infantile, verrà esposta in dettaglio più avanti.]

Non solo esistono modelli operativi interni differenti per ciascuna area motivazionale, ma perfino all'interno dello stesso sistema si ritrovano modelli diversi a seconda delle varie figure d'accudimento; il bambino può dunque sviluppare modelli operativi interni diversi con la madre, con il padre, con il nonno o la nonna, ecc.
L'organizzazione rappresentazionale successiva è la creazione di un modello narrativo, che emerge intorno al terzo anno di vita e costituisce il racconto che l'individuo è in grado di costruire a partire dal proprio modello operativo interno. I due modelli si discostano per la rispettiva, differente natura intrinseca. Il modello operativo interno è inconscio, non verbale, privato e costituito di eventi esperiti soggettivamente; il modello narrativo è generalmente conscio, verbale, sociale e costituito di parole riferite all'esperienza.
Il modello operativo interno e quello narrativo coesistono per tutta la vita in maniera parallela per ogni sistema regolativo. Possono trovarsi in armonia o in disarmonia e nella clinica dei nostri pazienti è frequente il riscontro di casi in cui la traduzione verbale si discosta completamente dalla rappresentazione inconscia.
Nel modello narrativo possono integrarsi elementi che non fanno parte dell'esperienza diretta dell'individuo e provengono invece da storie raccontate, quasi sempre derivanti dall'ambiente familiare. Le esperienze dirette ed indirette si fondono in un'unica costruzione e creano quelle fantasie di strutture interattive mai vissute nella realtà.
Il modello narrativo differisce dal modello operativo interno anche per la diversa regolazione che fornisce; nel raccontare esperienze interattive vissute, la storia che ne emerge può agire sulla rappresentazione degli stessi eventi, operando una regolazione od una modifica. E' quello che avviene normalmente nel contesto di qualsiasi trattamento psicoterapico.

Sembra quindi che le prime rappresentazioni riguardino le modalità di reciproca interazione che il bambino sperimenta con la propria madre.
Le strutture precoci di regolazione reciproca, cioè le interazioni con cui ogni partner influenza il comportamento dell'altro, creano delle aspettative nel bambino. Le modalità di interazione ricorrenti che il bambino impara a conoscere e quindi a prevedere, divengono strutturanti per sua psiche e partecipano alla formazione di "rappresentazioni di interazioni". Le prime rappresentazione del bambino sono rappresentazioni di processi interattivi: l'esperienza di un Sé agente in relazione ad un altro agente, piuttosto che rappresentazioni di un Sé o di un'altro separati. Un tale modello di rappresentazioni interattive implica che in un contesto sociale l'esperienza di Sé e dell'altro emergano insieme, simultaneamente ed inestricabilmente legate.
Le osservazioni con telecamere analizzate da Beebe e Lachmann che filmano le interazioni faccia-a-faccia di bambini di pochi mesi con le loro madri dimostrano che sia la madre che il bambino modificano inconsapevolmente la durata dei propri comportamenti o delle pause per instaurare un "ritmo condiviso", descritto da Stern come una sorta di danza interattiva.
E' assai probabile che la reciprocità riscontrata nelle interazioni permetta la trasmissione delle emozioni e la percezione degli stati emotivi altrui.
Il bambino sembra quindi poter ricreare dentro di sé lo stato interno della madre e partecipare al suo stato soggettivo. Questo fenomeno avviene in ogni correlazione, sia essa positiva o negativa, e forma precoci rappresentazioni di esperienze di sincronizzazione che daranno origine a future rappresentazioni simboliche di Sé, dell'altro e di "Sé con l'altro". I casi di condivisione armonica sono fonte di stati affettivi di piacere.
Nei casi di cattiva regolazione il bambino deve far fronte ad una stimolazione materna non ottimale. Le interazione si stabiliscono secondo modelli di "inseguimento-evitamento" generati da un iperstimolazione materna che provoca manovre elusive nel bambino. E' osservabile un alto livello di influenza reciproca che provoca, tuttavia, stati affettivi connotati negativamente ed impedisce al bambino di sperimentare la figura d'accudimento come l' "altro regolatore del Sé". La relazione è sempre in atto; quello che non può verificarsi in questi casi è una buona sintonia che permette di sviluppare rappresentazioni di regolazioni armoniche. Nei casi in cui il deragliamento sia il modello predominante nella relazione diadica, il bambino astrarrà dalle rappresentazioni presimboliche un Sé con l'altro non in sintonia.

Lo studio particolareggiato dei movimenti espressivi del neonato permette di formulare ipotesi circa i meccanismi motori connessi al coordinamento degli affetti ed i loro processi evolutivi. Fin dalla nascita il bambino sembra capace di compiere tutti i movimenti elementari relativi alle espressioni umane e molti pattern espressivi.
Tali osservazioni evidenziano il ruolo della comunicazione affettiva nella formazione e nel mantenimento delle relazioni sociali attraverso numerosi comportamenti di modellamento e controllo reciproco. Tra le principali funzioni svolte dalle emozioni c'è quindi quella di promuovere e regolare le relazioni interpersonali.

Ma l'apporto innovativo degli studi sull'infanzia è stato quello di considerare gli affetti non solo come segnali intermittenti di situazioni traumatiche ma come strutture stabili a livello intrapsichico, presenti nella vita del bambino come in quella delle sue figure d'accudimento, in grado di guidare l'esperienza soggettiva ed il comportamento all'interno dei contesti interattivi.
Gli affetti, per la loro funzione comunicativa interpersonale, sono reputati elementi adattativi essenziali per la sopravvivenza e lo sviluppo e forniscono al bambino la possibilità di stabilire ed incentivare le interazioni sociali con il mondo adulto. Non diventano segnali conseguentemente ad eventi di socializzazione, ma rappresentano essi stessi i segnali che permettono alla socializzazione di avere inizio.
La stretta connessione tra affetti ed esperienze interattive formulata da Emde consente la formulazione di nuove ipotesi motivazionali circa lo sviluppo del bambino.
Emde propone un'ampia revisione della motivazione del Sé prerappresentazionale e del suo nucleo affettivo, ponendo in primo piano le capacità funzionali riscontrabili in ogni individuo dalle epoche più precoci della vita.
Esistono nell'infanzia aspetti motivazionali di base verso attività, auto-regolazione, adattamento sociale, monitoraggio affettivo, considerati funzioni regolatrici specie-specifiche, preprogrammate biologicamente in senso evolutivo. Quando un bambino esprime queste spinte motivazionali nel contesto di una relazione con una figura d'accudimento emotivamente disponibile, egli avrà la possibilità di sviluppare importanti strutture psicologiche nei primi tre anni di vita.
Emde ha attribuito un'importanza particolare alle emozioni, ipotizzando lo sviluppo di un nucleo affettivo del Sé in ognuno di noi. Le emozioni sono universalmente rappresentate, precocemente identificabili e persistenti durante tutta la durata della vita. Forniscono un nucleo di continuità dell'esperienza del Sé durante la crescita, che permette di mantenere il sentimento di essere sé Stessi nonostante tutti i cambiamenti maturativi. Ma l'esistenza di un nucleo affettivo comune all'intera specie umana consente anche di capire gli altri e di essere empatici.
La disponibilità emotiva delle figure di accudimento significative negli scambi affettivi con il bambino sembra essere il fattore che maggiormente promuove la crescita nelle prime fasi di vita e si manifesta attraverso funzioni di regolazione che assicurano l'equilibrio emotivo del bambino, impediscono stati emotivi estremi e garantiscono l'esplorazione ottimale in un contesto di sicurezza.
Scambi soddisfacenti di segnali emotivi tra il bambino e la propria madre hanno la funzione di comunicare bisogni, intenzioni e soddisfazioni e favoriscono funzioni di apprendimento ed esplorazione.
Quando la disponibilità emotiva della figura d'accudimento non è ottimale, il ruolo organizzativo dell'affettività, nel controllare i segnali emozionali propri ed altrui, può provocare disturbi evolutivi. Per esempio, un'esperienza troppo dolorosa, può provocare un'esclusione difensiva dell'informazione, specialmente nei casi in cui la figura d'accudimento disconfermi la sofferenza del bambino.
Il nucleo affettivo biologicamente organizzato del bambino comincia quindi a funzionare all'interno della relazione con la figura d'accudimento e risulta influenzato dalla disponibilità emotiva di quest'ultima.
In un contesto di disponibilità il bambino sviluppa un senso di sicurezza e di efficacia nell'espressione di interessi, curiosità e desideri di esplorazione, e si dimostra in grado di padroneggiare le esperienze.
Gli scambi emotivi, la condivisione di significati, l'interiorizzazione di un senso di reciprocità con gli altri permettono anche lo svipuppo del sentimento dell'empatia.
Pur avendo una componente maturazionale indipendente dall'apprendimento, è assai probabile che l'empatia sia favorevolmente influenzata dalla qualità delle esperienze empatiche durante l'accudimento. Anche l'empatia, come la disponibilità emotiva da parte delle figure d'accudimento significative, è un processo di regolazione affettiva ed è soggetta, in quanto tale, a disturbi di regolazione (sottoregolazione, iperregolazione, regolazione incostante o inconsistente).
Secondo Emde è evidente la funzione sociale che gli affetti svolgono nell'infanzia partecipando al processo epigenetico ed evolutivo. Egli afferma che le emozioni infantili si sono evolute non soltanto allo scopo di manifestare stati di bisogno, ma anche al fine di aumentare le interazioni sociali. Il neonato umano, senza dubbio, è pre-programmato in modo complesso, grazie alla sua dotazione genetica, alla segnalazione sociale affettiva, alla reciprocità sociale affettiva e all'apprendimento sociale in generale. Hamburg (1963) ha ipotizzato che "le emozioni umane si siano evolute in quanto hanno presentato un vantaggio selettivo nel facilitare i legami interindividuali e la partecipazione alla vita di gruppo. (...) egli considera la vita di gruppo come un potente meccanismo adattativo, che ha operato durante il corso dell'evoluzione, in modo tale da far avvertire ai primati come piacevole la formazione di legami interindividuali e come spiacevole la rottura di questi legami; in effetti la rottura di questi legami si accompagna a profonde modificazioni psicofisiologiche e alla messa in atto di comportamenti finalizzati alla ricostruzione di relazioni strette." (Hamburg 1963, pp. 300-315)

Concluderei qui dicendo che gli studi sull'infanzia hanno portato alla formulazione di un modello evolutivo che reputa il bambino, alla nascita, un essere altamente organizzato, dotato di capacità osservabili soggette a maturazione.
L'emergere dell'organizzazione interna è strettamente considerato in termini di relazioni e di processi, la complessità dei quali rivela la presenza di strutture motivazionali innate preprogrammate.
La prospettiva organizzativa-relazionale rintraccia infatti le origini del Sé nell'organizzazione e nella regolazione del sistema diadico: madre e bambino sono motivati ad impegnarsi in regolazioni del Sé conformi alle esigenze di reciproca regolazione di un sistema interazionale.
Un'esperienza di disturbo nella regolazione reciproca provoca forti allarmi affettivi nel sistema diadico di accudimento. Gli affetti rappresentano quindi un codice di segnalazione emotiva e permettono lo stabilirsi e la regolazione del coinvolgimento interpersonale.
"Risulta chiaro che ciò che conta perchè il bambino possa sviluppare una fiduciosa partecipazione all'esistenza e all'attività sono la qualità e la fiducia del controllo affettivo in una relazione con uno o più adulti significativi." (Trevarthen 1990, p.107)
Inoltre i modelli emergenti di autoregolazione sono strettamente connessi ai successivi modelli di adattamento sociale. Il modo in cui il bambino organizza, interpreta e crea l'esperienza, ed il modo in cui forma nuove relazioni sono quindi il prodotto delle precedenti relazioni.

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