Problematica psicosociale dei pazienti Alzheimer*Rose-Marie Dröes**(Traduzione di Daniele Toffoletto)** Copyright di Rose-Marie Dröes. |
1. Introduzione La malattia d'Alzheimer si caratterizza per i disturbi cognitivi e i cambiamenti di personalità e, inoltre, si manifesta con disturbi del funzionamento psichico e del comportamento; quest'ultimi sono considerati essere la conseguenza del reciproco rapporto tra fattori organici, psicologici e sociali. Tutti questi disturbi hanno delle conseguenze sul funzionamento della vita quotidiana. Una delle conseguenze riguarda l'interazione tra il paziente e il suo ambiente circostante, che viene in tal modo influenzata da mettere in rischio l'equilibrio esistente (Sipsma, 1973, 1988). Per mantenere un equilibrio il paziente dovrà cercare un modo per adattarsi ai cambiamenti; questo adattamento non è, però, sempre facile. Tipico della malattia d'Alzheimer è il progressivo deterioramento cognitivo; questo comporta che il più importante strumento che si usa per l'adattamento, il processo cognitivo, venga sempre più intaccato. In altre parole, mentre da una parte il processo demenziale impone al paziente la necessità di un adattamento, dall'altra diventano sempre più limitate le sue possibilità di riuscire ad adattarsi. La possibilità di raggiungere un buon adattamento diminuisce e il paziente diventerà sempre più dipendente, necessitando di accompagnamento e di un sostegno ambientale. L'accettazione della dipendenza varia da un paziente all'altro. L'insieme dei problemi psichici e comportamentali, legati al processo di adattamento ai disturbi e ai limiti funzionali, che la malattia comporta, va sintetizzato nella definizione di problematica psicosociale dei malati d' Alzheimer. A tutt'oggi non è stata fatta nessuna ricerca sistematica, che
indaghi su come un paziente con la malattia d' Alzheimer affronti e viva
la sua malattia e il ricovero. Descrizioni a riguardo, in letteratura,
fanno riferimento per lo più alle esperienze cliniche e alle interpretazioni
di osservazioni del comportamento. Queste interpretazioni sono, in parte,
determinate dalla prospettiva teorica usata e pertanto si riscontrano nei
diversi autori notevoli differenze nell'elenco delle difficoltà
presentate dal paziente. Non esiste ancora un quadro teorico generale sull'adattamento
alle conseguenze della malattia d'Alzheimer.
Nella teoria scientifica così strutturata - che va vista come un ipotetico quadro di riferimento - si parte dal presupposto che i pazienti con la malattia d'Alzheimer, ricoverati in casa di riposo, vivano una situazione di 'stress', dovuta al rapportarsi con la malattia e con le mutate condizioni di vita, questo stress può portare ad una rottura dell'equilibrio (crisi). Per mantenere o ristabilire l'equilibrio ciascun paziente dovrà eseguire alcuni compiti adattivi (vedi tabella 1), presi da Moos e Tsu (1977), che si ritiene vengano di solito utilizzati in casi di malattia grave o di crisi. Ciascuno di questi compiti può dar adito a problemi di adattamento. Partendo da questa teoria, la problematica psicosociale dei pazienti con la malattia d'Alzheimer può anche essere descritta come la difficoltà che si presente di fronte a questi compiti adattivi generali. Nella seconda parte di questo capitolo si è tentato, come prima
verifica di questa teoria, di scoprire se ciascun compito adattivo generale
può essere ritenuto idoneo anche per pazienti affetti dall'Alzheimer.
Prima, però, viene verificato se le strategie di coping e le manifestazioni
comportamentali nella demenza senile e nell'istituzionalizzazione, descritte
in letteratura, possano venire interpretate come strategie nel trattare
con i singoli compiti adattivi. Le strategie di coping a cui viene fatto
riferimento sono basate su principi psicodinamici e di psicologia sociale.
Successivamente si tenta una spiegazione dei disturbi del funzionamento
psichico e del comportamento, in termini di: comportamento di coping, comportamento
che puo essere considerato come sintomo che accompagna le strategie di
coping usate o comportamento che indica il fallimento del processo di coping
(crisi). E' auspicabile che ulteriori ricerche possano provare se questa
suddivisione si rivelerà utilizzabile nella diagnostica psicosociale.
2. Sull'adattamento e la crisi Il concetto di adattamento in psicologia indica come l'individuo si adegui alla vita e riesca a sopravvivere in un ambiente materiale e sociale in continuo cambiamento (Lazarus, 1976). Termini che in questo contesto incontriamo regolarmente sono 'equilibrio', 'adattamento' e 'crisi' (Sipsma, 1973, 1988; Linn, 1979; Van der Wulp, 1986). Sotto la voce adattamento incontriamo spesso in letteratura due concetti importanti: bisogni e mezzi. In generale viene operata una distinzione tra due tipi di bisogni di base, cui una persona necessita per sopravvivere. I bisogni interni, come, l'alimentarsi, il bere e avere una adeguata temperatura ambientale sono stabiliti dalla nostra struttura biologica. I bisogni esterni vengono determinati dall'ambiente materiale e sociale e sono in relazione con le nostre vulnerabilità. E' fondamentale non bruciarsi, non avvelenarsi o non morire di fame; poiché la maggior soddisfazione nella vita deriva da un clima sociale fatto di attenzioni positive, dobbiamo preoccuparci di ricevere sufficiente approvazione da altri. Per questi motivi l'ambiente sociale acquista potere su di noi, se non sottostiamo alle sue esigenze, può privarci della ricompensa, mostrare disapprovazione, infliggerci un castigo fisico o addirittura espellerci. Poiché la ricompensa è così importante, tutta una serie di esigenze sociali possono, dopo un certo periodo, diventare parte di noi stessi o, come viene detto, diventare "interiorizzate". Il fallire nel corrispondere a queste esigenze sociali può avere conseguenze dannose in senso psicologico. Le esigenze sociali, infatti, vengono considerate di grande importanza per comprendere la nostra vita emotiva (Lazarus, 1976). Per il nostro processo d'adattamento disponiamo di mezzi. L'ambiente ci offre acqua e cibo, ci riuniamo in gruppi per mettere insieme le nostre forze, impariamo da altri come comportarci in determinate situazioni e usiamo le cure degli amici o dei conoscenti se siamo malati. Quindi adattamento non significa solo sottostare alle esigenze del mondo materiale e sociale (accomodare), ma anche usare e cambiare quel mondo secondo i nostri bisogni (assimilare). La buona riuscita di questo processo dà la misura della nostra capacità d'adattamento. Il modo in cui lo realizziamo dipende, tra l'altro, dalla maniera in cui noi percepiamo soggettivamente l'ambiente (Thomae, 1983; Lazarus & Folkman, 1984; Eysenk & Martin, 1987). Non ha senso parlare delle esigenze dell'ambiente, senza tenere conto delle peculiarità della persona, che la rendono vulnerabile a certe influenze ambientali. Nel caso dell'adattamento sembra perciò più giusto parlare di relazione d'adattamento o d'interazione tra la persona e il suo ambiente. Lo scopo ultimo dell'interazione è descritto - da diversi autori - come reciproco accordo e mantenimento o raggiungimento di una condizione d'equilibrio (Sipsma, 1973; Linn, 1979; Van der Wulp, 1986). Il movente per mantenere costantemente attivo questo dinamico processo di armonizzazione viene cercato nell'impulso primario della soddisfazione dei bisogni e di conseguenza nella diminuzione della tensione o anche nella realizzazione e conservazione del Sé (Mischel, 1976). Van der Wulp caratterizza questo bisogno primario come 'il voler essere felici' (p. 220). Ci possono essere delle situazioni nelle quali le esigenze poste dall'ambiente
non sono più in equilibrio con i mezzi che l'individuo dispone o
sono talmente nuove che le reazioni abituali si rivelano inadeguate. In
casi simili c'è una grande possibilità che il processo di
adattamento venga perturbato. Se ciò accade veramente, allora si
parla di crisi o di disturbo dell'equilibrio. Come esemplificazione
citiamo qui alcune situazioni che possono causare negli anziani disturbi
di questo equilibrio (Ingebretsen, 1977; Van der Wulp, 1986):
Benché questi problemi presi uno ad uno possono essere superati,
potrebbero sorgere dei disturbi dell'equilibrio specialmente quando più
problemi si presentano assieme. Questo avviene frequentemente negli anziani.
Non si è ancora superata una perdita, che si presenta il successivo
problema. La riserva di mezzi viene così intaccata e l'interazione
con l'ambiente risulta talmente mutata che la possibilità di crisi
è molto grande (vedi anche Oberleder, 1970). La reazione alla modificazione
dell'equilibrio sarà, secondo il concetto d'adattamento descritto
sopra, rivolta a ristabilire un nuovo equilibrio. Qui di seguito analizzeremo
quali esigenze sono poste a una persona quando ha a che fare con una malattia
grave o, in generale, con una situazione di crisi e quali strategie di
adattamento vengano messe in atto in queste difficili condizioni nel tentativo
di ritrovare un nuovo equilibrio.
3. Coping durante una malattia grave e una crisi La condizione che si viene a creare quando l'interazione con l'ambiente diventa difficile o quando si ha la sensazione che le capacità di adattamento (mezzi) rischino di venir eccedute si definisce stress (Lazarus & Folkman, 1984). Uno dei risultati della ricerca psicologica dell'ultimo decennio sullo stress è la conoscenza della differenza tra le influenze oggettive dell'ambiente e la, consapevole o inconsapevole, valutazione cognitiva o interpretazione di queste (cognitive appraisal): lo stress non viene causato solo dalle influenze oggettive dell'ambiente, ma anche dalla valutazione soggettiva della situazione (Lazarus & Folkman, 1984; Thomae, 1970, 1983; Kaplan, 1983; Van der Wulp, 1986). Questa valutazione soggettiva sarebbe collegata con le vulnerabilità dell'individuo e con l'adeguatezza del suo sistema di difesa, in altre parole con la sua caratteristica struttura fisiologica e psicologica. Questo spiegherebbe perché certe situazioni siano vissute come stressanti da alcuni individui e perché in un periodo di crisi situazioni che normalmente sono considerate come poco gravi possano venire vissute come molto gravi. Il processo attraverso il quale l'individuo riesce a superare le situazioni giudicate come stressanti e le emozioni che da questo derivano è definito coping (Thomae, 1970; Lazarus, 1976; Haan, 1977). Una definizione dettagliata la danno Lazarus e Folkman (1984). Essi descrivono coping come 'constantly changing cognitive and behavioral efforts to manage specific external and/or internal demands that are appraised as taxing or exceeding the resources of the person' (p. 141). Coping viene qui considerato come un processo di adattamento cognitivo e comportamentale che richiede uno sforzo ed è rivolto ad affrontare le specifiche esigenze esterne e/o interne che vengono valutate come stressanti (indipendentemente dal risultato). In altre parole, secondo Lazarus e Folkman "coping" fa riferimento solo alle cosiddette reazioni d'adattamento non automatiche. Quando a causa di una malattia grave, l'equilibrio viene turbato e ne
consegue una crisi, allora, sulla base di questa definizione, dipenderà
dal singolo paziente quali aspetti verranno vissuti come più o meno
stressanti (per esempio il dolore, la casa di riposo, l'incertezza del
futuro) e da come, di fatto, egli vi reagirà (coping response).
Moos e Tsu (1977), riferendosi alle esigenze di adattamento poste ad un
paziente grave, hanno introdotto il concetto di compiti adattivi:
partendo dalla crisi per raggiungere un certo equilibrio, si dovranno adempiere
alcuni compiti basali. In caso di malattia e di crisi in generale, sarebbero
sette i compiti adattivi principali a giocare un ruolo nel processo di
adattamento (vedi tabella 1).
La maggior parte di questi compiti adattivi li ritroviamo in Van der Wulp (1986), che ha condotto una ricerca sul vissuto e la sua elaborazione nei pazienti somatici delle case di riposo. In questa ricerca sono stati identificati tre gruppi: 'ricoverati in equilibrio, ricoverati non in equilibrio e un gruppo con caratteristiche sia dell'uno sia dell'altro gruppo.' (p. 220). I gruppi risultavano differenziarsi sui seguenti punti: com'è vissuto l'handicap o la malattia, come è vissuta la differenza tra casa e casa di riposo, modo di affrontare la casa di riposo e come sono vissuti il passato e il futuro. Van der Wulp concludeva che questi punti sono, quindi, importanti nel ritrovare un equilibrio. Anche la necessità di mantenere le relazioni sociali viene ricordata frequentemente nella letteratura geriatrica come un aspetto importante nella capacità di accettare le perdite dovute alla vecchiaia. In un senso più ampio viene usato anche il termine 'reti sociali', che si riferisce a un complesso di variabili, quali sostegno interpersonale, attività in cui si è coinvolti e ruoli sociali (Berger, 1979; Gallagher et al., 1985; Hartwigsen, 1987). Soprattutto il sostegno sociale funzionerebbe come una protezione contro lo stress e avrebbe un'influenza positiva sulle possibilità di sopravvivenza, sul benessere psichico e fisico e sul morale (Conner et al., 1979; Gallagher et al., 1982; Lindzey e Aronson, 1985). L'importanza relativa che l'individuo attribuisce ai singoli compiti adattivi, la forma utilizzata di coping e le risposte emotive (quali ansia, tristezza, vergogna e collera) che sono causate dai compiti adattivi verrebbero secondo Moos e Tsu determinati dalla valutazione cognitiva, ossia dal significato che viene attribuito alla malattia (questa per esempio può essere sentita come minaccia, perdita o punizione, ma anche come sfida, vantaggio secondario o sollievo). Questa valutazione cognitiva verrebbe a sua volta influenzata da fattori personali, legati alla malattia, materiali e sociali (vedi fig.1; vedi anche Lipowski, 1983; Lazarus e Delongis, 1983; Lazarus e Folkaman, 1984; Moore e Christenson, 1988). Per fattori personali intendiamo risorse fisiche, quali salute ed energie, risorse psicologiche, quali sviluppo emotivo, precedenti esperienze di coping, convincimenti filosofici o religiosi e competenze, quali abilità sociali e abilità nel risolvere i problemi (vedi anche Lazarus, 1980). Per fattori legati alla malattia ci riferiamo al momento nel corso della vita in cui la malattia ha avuto luogo, i sintomi specifici e il loro significato per la persona. Esempi di fattori ambientali materiali e sociali sono: spazio a disposizione, quantità di stimolazione sensoriale e qualità estetica dell'ambiente, relazioni sociali, sostegno sociale e norme e aspettative socioculturali. Durante il processo di coping secondo Lazarus e Folkman avrebbero luogo regolari rivalutazioni (reappraisals), perché con l'andar del tempo s'impara meglio a conoscere la situazione e si sperimenta (processo di apprendimento) l'efficacia della strategia di coping scelta. Moos e Tsu non danno importanza nel loro modello a queste rivalutazioni; nonostante ciò sono presumibilmente un importante anello di congiunzione nel processo di adattamento, perché attraverso il feedback sono possibili correzioni e adattamenti del comportamento di coping (ciclo interno). Secondo noi queste rivalutazioni hanno come conseguenza cambiamenti concreti nei compiti adattivi (vedi figura 1). Questi cambiamenti possono a loro volta portare alla modifica del comportamento di coping.
Figura 1:
Il modello 'adaptation-coping': un modello teorico per capire l'adattamento
e il coping in caso di mallattia e in generale in situazioni di crisi.
Il modello è basato sul modello di crisi di Moos e Tsu (1977) e
sulla teoria di coping di Lazarus e Folkman (1984). I collegamenti segnati
da linee trateggiate sono stati da noi aggiunti al modello di Moos e Tsu
(vedi testo).
Un altro aspetto che nel modello di Moos e Tsu viene trascurato è
la costante interazione con l'ambiente durante il processo di coping (ciclo
esterno). I risultati (provvisori) del processo di adattamento, hanno irrevocabilmente
un effetto sull'ambiente, per cui si verificano cambiamenti dei fattori
ambientali sia materiali, che sociali. Questi cambiamenti (per esempio,
commento positivo o negativo ad un adattamento riuscito o meno) avranno
a loro volta influenza sul coping del paziente ecc. ecc.. Un'aggiunta,
vale a dire un feedback tra il risultato dell'adattamento e i fattori ambientali,
a questo modello sembra perciò auspicabile, specie se consideriamo
il coping come un processo dinamico e interattivo.
Nella maggior parte delle situazioni viene utilizzata una combinazione di strategie di tipo emotivo e di tipo operatorio, ma quando la situazione di stress viene giudicata incontrollabile o non influenzabile (come nel caso di una malattia grave) si tende di solito a forme di coping di tipo emotivo. Per l'adattamento queste forme sembrano meno efficaci del coping di tipo operatorio, tipo la raccolta d'informazioni (Lazarus e Folkman, 1984; vedi anche Lohr et al., 1988; Jaspers et al., 1989). In situazioni che si considerano suscettibili di cambiamento si tende a scegliere forme di coping di tipo operatorio. Se partiamo dal presupposto che i pazienti con la malattia d'Alzheimer vivono come stressante la demenza e le cambiate condizioni di vita, allora non è impensabile, viste le analogie con i pazienti con gravi malattie somatiche (situazione di crisi, invalidità cronica, istituzionalizzazione, dipendenza), che i compiti adattivi di base - nominati da Moos e Tsu - svolgano un ruolo nel processo di adattamento, anche per i malati di Alzheimer che vivono in casa di riposo. Tanto più che da numerosi autori nella letteratura geriatrica viene sottolineata l'importanza di questi aspetti per l'adattamento. Perciò noi utilizzeremo la teoria del coping durante malattie e crisi gravi, qui presentata, come una teoria sperimentale nello studio dell'adattamento di questi pazienti. Nei prossimi paragrafi proveremo a verificare fino a dove i compiti adattivi siano applicabili ai pazienti con la malattia d'Alzheimer e se certi compiti diano problemi nel funzionamento psicosociale. La nostra base di partenza sono le osservazioni sul comportamento di questi pazienti e altri dati ricavati dalla letteratura. Poiché dobbiamo tenere conto che l'equilibrio di questi pazienti può essere determinato da numerosi, diversi ed eventualmente più importanti aspetti, che non sono stati qui nominati, le descrizioni che verranno date andranno considerate come un primo modesto inizio di classificazione della problematica psicosociale. La conoscenza di questo ambito dovrà essere ampliata in ricerche future. Qui di seguito vengono presi in esame:
4. Affrontare le conseguenze della malattia d'Alzheimer La malattia d'Alzheimer provoca disturbi che compromettono il funzionamento della vita quotidiana. Nella sua quotidianeità il malato d'Alzheimer non è più in grado di funzionare autonomamente e diventa dipendente dagli altri. Parteciperà, inoltre, sempre meno alla vita sociale, anche perché col progredire della demenza le capacità di comprensione e di comunicazione saranno progressivamente intaccate. 4.1. Stress causato dalla malattia Non si può dire con certezza in che modo questa invalidità progressiva, la necessità di aiuto, la perdita dell'autonomia e la limitazione delle possibilità di contatto che l'accompagnano, vengano vissuti dall'anziano. Di solito 'sembrano' non pienamente coscienti delle deficienze legate all'interazione con l'ambiente. In generale dimostrano di avere scarsa idea della malattia, il che non vuol dire che questa sia completamente assente. Una volta un paziente di novantadue anni mi confidava: "Ho dovuto pensare troppo ... risolvere troppi problemi. Per questo la testa non lavora più bene." Un'altra - con le lacrime agli occhi -mi diceva: "Da quando ho 'sta cosa in testa (e si picchiava con un pugno la testa) non son più in grado di far niente." Sono solo due esempi di una lunga serie che potrei citare. I pazienti in qualche modo sono in grado di provare che qualcosa non funziona nella loro testa (vedi anche Wells, 1977; Cox, 1985; Åkerlund e Norberg, 1986). In una recente ricerca, su pazienti ad un primo grado di demenza, era stata trovata una correlazione positiva tra il peggioramento osservato dai famigliari e dagli infermieri e il peggioramento vissuto dai pazienti (Little et al., 1986). Durante osservazioni e colloqui avuti con questi pazienti ho constatato che il non essere in grado di adempiere alle attività quotidiane spesso comporta sentimenti di insicurezza, impotenza, confusione, rabbia, dispiacere, delusione e diffidenza (vedi anche Diesfeldt, 1984). Reazioni d'ansia e comportamento depressivo sono frequentemente interpretati in letteratura come reazioni all'invalidità (McLean, 1987; Lipowski, 1985; Diesfeldt, 1984; Reifler, 1986; Lazarus, 1987; Group for the Advancement of Psychiatry, 1988; Claus, 1989). L'esperienza e i dati sulla presenza dell'ansia e della depressione tra questi pazienti sembrano indicare che gran parte dei malati di Alzheimer provano come stressante le deficienze del funzionamento. Attualmente non possiamo dire molto di più, eccetto che la quantità di stress vissuta dipende, tra l'altro, da fattori personali, da disturbi specifici e dal sostegno sociale e materiale che si riceve. La ragione per cui questi pazienti (realmente) comunicano così poco riguardo ai problemi nei quali si dibattono, è probabilmente legata al fatto che essi sperimentano la loro situazione talmente pericolosa e irreversibile, che scelgono strategie di coping rivolte soprattutto a reprimere l'ansia e a venire il meno possibile a confronto con i propri deficit (vedi anche Wells, 1977). Lazarus e Folkman osservano che in questo tipo di situazioni di stress è privilegiato l'uso di strategie di tipo emotivo rispetto a quelle di tipo operativo, come, per esempio, informarsi o discutere sulle conseguenze della malattia. Questo è ancor più forte nei pazienti con la malattia di Alzheimer, in quanto sono danneggiate la valutazione cognitiva delle situazioni, come pure la capacità analitica, il processo più importante nel coping di tipo operatorio. In altre parole, quando un paziente demente viene messo di fronte a dei problemi non avrà soltanto difficoltà ad averne conoscenza, ma anche a darne una definizione e a trovarne una soluzione. Strategie di tipo operativo, che non siano basate sulla capacità analitica, ma che impieghino piuttosto la motivazione (tipo: limitazione delle aspirazioni), potranno dal paziente essere utilizzate con successo per un periodo più lungo. Così lo stress, causato dall'impossibilità di gestire da soli il governo della casa, diminuirà, se viene accettato un aiuto esterno. Anche il rinunciare agli hobby, che a causa dei disturbi cognitivi non sono più una distensione, ma una tensione, può aiutare a diminuire lo stress. 4.2. Strategie di coping utilizzate Per capire il comportamento di questi pazienti e il possibile significato
di certi sintomi comportamentali dovremo sapere di più riguardo
le strategie di coping che i malati di Alzheimer utilizzano nell'adattarsi
alle conseguenze della demenza. L'unico autore che tratta ampiamente il
coping nella demenza senile è Verwoerdt (1976, 1981). Egli descrive
da un punto di vista psicodinamico le diverse strategie di coping
che sono utilizzate dai pazienti con una demenza senile; tra i fattori,
che possono influenzare la scelta delle strategie, l'Autore nomina: i fattori
personali (aspetti premorbosi della personalità; vedi anche Lazarus,
1980; Feil, 1985; Heck e Vingerhoets, 1989), lo stadio della demenza e
il sostegno o reazione dell'ambiente (Cohen, 1989).
Strategie rivolte a padronanza e controllo
Strategie per mantenere la minaccia fuori della coscienza
Strategie regressive
Verifichiamo adesso quali delle strategie di coping qui descritte possono essere interpretate come strategie per realizzare alcuni dei compiti adattivi nominati da Moos e Tsu. Successivamente cercheremo di spiegare i disturbi nel funzionamento psichico e del comportamento come manifestazioni di queste strategie di coping, in modo da avere (possibilmente) una certa comprensione di come i pazienti con la malattia d'Alzheimer affrontano le conseguenze della loro malattia, vale a dire l'invalidità, le emozioni, la mutata immagine di sé e l'incertezza del futuro. 4.3. Affrontare l'invalidità Da Verwoerdt vengono nominate diverse strategie con le quali si cerca di tenere sotto controllo le situazioni problematiche determinatesi a causa della demenza. Secondo noi il comportamento ossessivo e compulsivo può venire visto come coping di tipo operatorio con la propria invalidità attraverso un cambiamento motivazionale. Per esempio, concentrandosi completamente su alcuni dettagli delle faccende di casa uno cerca di mantenete l'equilibrio e la sensazione di controllo; anche la ripetizione di movimenti stereotipati e la coercizione a camminare possono venire spiegati, secondo questo punto di vista, come comportamento compulsivo finalizzato al controllo. La regressione negli stadi avanzati può anche essere interpretata come coping di tipo operatorio con la propria invalidità e i cambiamenti ambientali (es. istituzionalizzazione). Se si è in grado di partecipare solo limitatamente a diverse attività, l'abbassamento del livello di aspirazione e la limitazione del proprio ambito vitale possono contribuire a mantenere una sensazione di controllo e di equilibrio. Attraverso un atteggiamento di dipendenza si può dare un segnale di richiesta di aiuto e che si è (da un punto di vista psicologico) in grado di ricevere questo aiuto. La diminuzione d'interesse e iniziativa, la passività motoria e l'aumento dell'egocentrismo hanno probabilmente a che fare con questa strategia di coping. Certi comportamenti, che sono disturbanti per l'ambiente (per esempio inveire contro i caregivers o richiedere continuamente attenzione), sono probabilmente collegati con le sensazioni d'incertezza, che si accompagnano con la regressione e con l'esigenza, da questa aumentata, del reality testing (vedi Van der Zee, 1990). Anche la diminuzione delle abilità sociali e l'aumento dell'incontinenza (non dovuta a cause fisiche) vengono probabilmente indotte dal coping regressivo. Mentre l'evitare situazioni di confronto può essere visto come coping di tipo operatorio con le proprie carenze, la negazione dei disturbi cognitivi e la confabulazione, che l'accompagnano, sono piuttosto forme di coping di tipo emotivo con la propria invalidità. Evitando il confronto con la propria invalidità o tenendo quest'ultima fuori dalla coscienza possono essere prevenute le sensazioni di inadeguatezza. Gainotti (1975), confrontando un gruppo di pazienti che confabulavano con un gruppo che non lo faceva, constatava che il confabulare era in relazione con la personalità premorbosa e con il modo di affrontare lo stress. Risultava che pazienti che erano stati scrupolosi e coscienziosi e che nel passato avevano dato grande importanza a indipendenza, prestigio e superiorità confabulassero di più. Egli considerava pertanto la confabulazione come un indice di riorganizzazione piuttosto che di disintegrazione. Se, attraverso queste (o altre) strategie di coping, non viene raggiunto il risultato sperato si verrà confrontati, a causa del decadimento cognitivo, con l'incontrollabilità delle situazioni (vedi anche Diesfeldt, 1984; Salzman e Shader, 1979; Verwoerdt, 1981). Certe depressioni, nei pazienti con la malattia di Alzheimer, come pure l'ansia (reazioni catastrofiche) e un umore malinconico possono venire spiegati in questo modo. La constatazione di Lazarus et al. (1987) - secondo cui pazienti con la malattia d' Alzheimer depressi hanno un alto punteggio su quegli item della Hamilton Depression Rating Scale, che si riferiscono ai sentimenti interiori di depressione e di disperazione - sembra indicare che certe depressioni sono effettivamente reazioni emotive alla situazione problematica in cui ci si trova (vedi anche Lazarus, 1989). L'ipotesi che i sintomi depressivi nei pazienti con la malattia d'Alzheimer siano causati da cambiamenti strutturali nel cervello sembra non sostenibile. Tanto più che le depressioni risultano in gran parte trattabili con psicofarmaci, psicoterapia e strategie psicosociali e che diminuiscono con il progredire della demenza. Anche il sapere che in altre malattie gravi compaiono depressioni reattive in non irrilevante quantità (20-25%) (Reifler et al., 1982; Myers, 1985; Salzman e Shader, 1979) e che la combinazione di minaccia e incontrollabilità di solito produce frequenti sintomi depressivi (Thoits, 1983), fa pensare che qui si abbia a che fare sostanzialmente con reazioni emotive e con meccanismi fallimentari di coping. 4.4. Mantenere l'equilibrio emotivo Possiamo considerare come strategie per mantenere l'equilibrio emotivo, le strategie che in primo luogo sono finalizzate ad affrontare l'incertezza e l'ansia causate dall'invalidità e dalla mutata situazione sociale. Verwoerdt cita a questo proposito: ipercompensazione, comportamento controfobico, rimozione, proiezione e ritirarsi in se stessi. Agitazione, violenza e altri comportamenti aggressivi, come insulti,
rifiutare con irritazione comportamenti richiesti e opposizione o, ancora,
comportamenti ostili possono, secondo noi, essere riferiti, a seconda del
paziente e della situazione, all'ipercompensazione o avere il significato
di comportamenti controfobici. Il girovagare senza chiaro scopo (per quanto
non abbia a che fare con un comportamento compulsivo, vedi anche Hiatt,
1987) potrebbe avere a che fare con la sensazione di ansia e di insufficienza
che viene causata dalla demenza. I disturbi nel ciclo sonno-veglia sono
forse la conseguenza dell'irrequietezza notturna con cui il paziente ha
a che fare a causa del venire meno nelle ore notturne del meccanismo di
rimozione. Il vagabondaggio notturno (e altri comportamenti disturbanti;
vedi anche Koopman et al., 1988) può essere spiegato come una forma
(benché disturbante per l'ambiente ) di coping con le sensazioni
di ansia e di solitudine, che soprattutto di notte, a causa delle limitate
stimolazioni sociali e sensoriali, si fanno vive (Lazarus, 1980; Verwoerdt,
1981). Anche il disturbo depressivo può essere interpretato, in
alcuni casi, come un coping di tipo emotivo. Sintomi depressivi, quali
l'appartarsi, l'isolamento e l'apatia (vedi anche Epstein, 1976; Hanley,
1984) non necessariamente sono di per sé reazioni a meccanismi di
coping fallimentari, ma possono anche essere visti come strategie per limitare
i sentimenti d'inadeguatezza e di vergogna che sorgono a causa di un funzionamento
problematico. Le depressioni, invece, che si caratterizzano per il comportamento
coercitivo, agitato o ostile, possono essere valutate come strategie proiettive,
dove la causa della situazione e dei sentimenti indesiderati sono attribuiti
ad altri. Così un soggetto è messo in grado di dar sfogo
al suo dolore e alla sua rabbia dovuta al proprio peggioramento (e alle
altre perdite). Non è del resto improbabile che l'attribuire agli
altri una situazione indesiderabile e le reazioni veementi, che da qui
ne conseguono, siano basate su un'errata valutazione (incomprensione) della
situazione come conseguenza dei disturbi cognitivi (vedi anche Diesfeldt,
1984; Haugen, 1985). In tal caso la collera dovrà essere vista come
una (inadeguata) forma di coping di tipo operatorio; non parliamo più
quindi in questo caso di proiezione.
4.5. Mantenimento dell'immagine positiva di sé Le strategie di coping, che sembrano poter offrire un contributo al
mantenimento dell'immagine positiva di se stessi, sono: la negazione, la
proiezione e il ritirarsi in un proprio mondo fantastico.
Certi deliri paranoidi sembrano andare assieme con la proiezione della causa (le proprie disabilità) degli stati d'ansia (vedi anche Van der Zee, 1990). Proiettando (esternalizzando) la minaccia, viene non soltanto ristabilita la sensazione di controllo, ma anche aumentata la possibilità di mantenere un'immagine positiva di sé ("Io sono a posto, l'agitazione che provo è causata da altri"). Anche il ritirarsi nel mondo della propria fantasia, può venire interpretato come una strategia per prevenire l'immagine negativa di sé: ci si isola dalla realtà per cui l'immagine familiare di sé, nonostante l'invalidità, può essere mantenuta. A causa dei disturbi nel reality-testing, inoltre, possono facilmente sorgere dei deliri, che vanno a supportare il mondo fantastico. Le allucinazioni potrebbero venire interpretate anche come un sintomo che accompagna il chiudersi alla realtà (vedi anche Wragg e Jeste, 1989). Sintomi depressivi possono correlarsi con il non riuscire a mantenere intatta l'immagine di sé danneggiata dall'invalidità. In certi casi, grazie al comportamento depressivo, si riesce ad ottenere ancora l'attenzione che è necessaria per ristabilire la propria immagine. Questo dipende ovviamente anche dall'ambiente. Il comportamento depressivo funge allora da strategia di coping di tipo operatorio per ottenere quell'attenzione, che è necessaria per mantenere intatta l'immagine di sé. Per lo più il paziente raggiunge il risultato opposto a causa della strategia depressiva scelta: col richiudersi in se stesso o con l'agitazione vengono resi difficili i contatti sociali e con questo diminuisce il potenziale sostegno emotivo e di conseguenza l'immagine di sé rimane negativa. E' grande la possibilità di cadere in un circolo vizioso (Van Tilburg, 1985). 4.6. Prepararsi al futuro incerto Verwoerdt non nomina nessuna strategia, eccetto il rinunciare, che sia rivolta a prepararsi a un futuro incerto (privo di prospettiva). I disturbi della vita istintuale, quali i disturbi del mangiare e i disturbi della motivazione, come pure la preferenza per l'allettamento, sarebbero un segnale della rinunzia alla volontà di vivere. Il rifugiarsi nella fantasia e il 'vivere nel passato', che spesso incontriamo in questi pazienti, starebbero ad indicare che una gran parte di loro evita il confronto con il presente e il futuro, perché questo, forse, è privo di prospettive e causa di ansia o perché l'autostima ne viene troppo danneggiata (Verwoerdt). Anche la negazione può indicare che non si è ancora in grado di guardare verso il futuro. E' da domandarsi quanto il negare il proprio deterioramento cognitivo, per esempio, sia in rapporto con i disturbi cognitivi (quali i disturbi della memoria e i disturbi del pensiero astratto) o non piuttosto con il minimizzare la paura del futuro, tenendolo fuori della coscienza. 4.7. Conclusioni Da quanto sopra scritto risulta che, secondo il punto di vista dell'adattamento e del coping, i disturbi del funzionamento psichico e del comportamento possono essere interpretati, in parte come coping verso le conseguenze della malattia d'Alzheimer, in parte come sintomi che accompagnano le strategie scelte e in parte, infine, come manifestazioni del fallimento delle strategie di coping e dell'alterazione dell'equilibrio. Utilizzando la distinzione tra coping di tipo emotivo e di tipo operatorio colpisce che la maggior parte delle strategie (per lo meno quelle descritte da Verwoerdt) siano di tipo emotivo. La nostra ipotesi, precedentemente enunciata, che nell'affrontare le conseguenze della malattia si ricorra principalmente a strategie di tipo emotivo, viene qui nuovamente rafforzata. Dal momento che non avevamo mirato ad una completa classificazione del comportamento di coping (questo sarebbe anche impossibile, vista la limitata ricerca finora effettuata) dobbiamo però essere cauti nel trarre conclusioni. Diversi disturbi del funzionamento psichico e del comportamento risultano essere correlati con il coping nei compiti adattivi 1, 4 e 5 (vedi tabella 1), nominati da Moos e Tsu. Come per altre malattie gravi, anche per questi pazienti sembra essere molto importante il riuscire a controllare le emozioni per ritrovare un equilibrio. Questo vale anche per quanto riguarda il poter accettare un aiuto nell'affrontare la propria invalidità e il riuscire ad utilizzare le strategie che salvaguardano l'autovalutazione e l'immagine di sé. La nostra conclusione provvisoria sostiene che una parte delle problematiche psicosociali dei pazienti malati d'Alzheimer sarebbe causata dai problemi che si hanno nell'eseguire questi compiti adattivi. Ci riferiamo a: strategie di coping inadeguate, interazioni problematiche con l'ambiente, alterazioni dell'equilibrio e sintomi che l'accompagnano. Per quanto riguarda la preparazione all'incertezza del futuro (l'ultimo
compito adattivo nominato da Moos e Tsu), dobbiamo concludere che sembrerebbe
esserci una chiusura al futuro. L'unica strategia, che ha a che fare con
la preparazione mentale all'avanzante disabilita, è il rinunciare.
Una delle ragioni per non accettare il presente (la condizione d'invalidità)
e il futuro è, probabilmente, che l'immagine di sé è
talmente cambiata, che comporterà solo emozioni negative. Se un
paziente conserva l'immagine di sé, di prima della malattia, si
genera - secondo Van der Wulp (1986) - un altro conflitto: se la propria
immagine, per qualsiasi ragione, non viene rivista, se, in altre parole,
l'invalidità non è elaborata, può sorgere una discrepanza
tra passato, presente e futuro, che viene vissuta come un conflitto con
la continuità e un disturbo dell'identità. Van der Wulp constatava,
nella sua ricerca sui malati fisici di una casa di riposo, che questo conflitto
nel processo di ricerca di un nuovo equilibrio viene vicendevolmente affrontato
e evitato. E' da chiedersi quanto questo sia vero anche nel caso dei pazienti
con la malattia d'Alzheimer. Certi autori (Butler, 1974; Feil, 1985) considerano
il rivivere il passato come un tentativo di rielaborazione della vita trascorsa,
che ha come fine l'integrità e la preparazione alla morte. Secondo
queste deduzioni non è impensabile che il ritirarsi nel passato,
il non riconoscere il presente e il chiudersi al futuro siano manifestazioni
dell'elaborazione (problematica) della propria invalidità e dell'incapacità
di prepararsi al futuro. Visto che in base alla mia esperienza personale,
la maggior parte dei pazienti affetti dalla malattia d'Alzheimer non si
rifugiano (frequentemente) nel passato e non lasciano indiscusso il presente
e il futuro; ritengo, pertanto, improbabile che le manifestazioni del comportamento
siano semplicemente la conseguenza del deterioramento cognitivo. Sembra
più logico interpretare questo comportamento, come un modo per affrontare
l'incertezza del futuro e come l'espressione dei problemi che in questo
processo si incontrano. In breve, anche l'ultimo compito adattivo sembra
applicabile ai pazienti con la malattia d'Alzheimer.
5. Affrontare le conseguenze dell'istituzionalizzazione Quando gli anziani con turbe cognitive vengono ricoverati in una casa di riposo la loro aspettativa di vita sembra diminuire drasticamente; oltre ad un'aumentata mortalità si riscontra una più elevata morbosità rispetto ai pazienti dementi non istituzionalizzati. Una possibile spiegazione di questo fenomeno è che (oltre alla gravità dell'invalidità) le cambiate condizioni di vita provochino un aumento di stress e non si sia in grado, a causa della demenza, di affrontarlo in modo adeguato. La possibilità di una crisi grave è, pertanto, maggiore. Per cambiate condizioni di vita intendiamo l'ambiente materiale, il personale, la possibilità di mantenere i ruoli sociali e di curare e sviluppare i contatti con la famiglia, gli amici e gli altri ricoverati. 5.1. Stress causato dall'istituzionalizzazione In letteratura vengono nominati diversi fattori che possono far sì
che un ricovero in casa di riposo possa venire vissuto come stressante.
Secondo Zarit (1988), la causa dello stress negli anziani ricoverati va
ricercata soprattutto nella combinazione tra fattori legati alla malattia
e fattori ambientali. A causa del deterioramento cognitivo si incontrano,
tra l'altro, problemi ad acquisire nuove informazioni e di conseguenza
diminuisce la capacità d'adattamento, proprio quando il ricovero
in un ambiente completamente nuovo richiede al paziente un'alta capacità
di adattamento. La possibilità di crisi, pertanto, aumenta (vedi
anche Lawton, 1981).
5.2. Strategie di coping utilizzate dopo il ricovero Non conosciamo alcuna ricerca dove si sia analizzato specificamente
come i pazienti affetti dalla malattia d'Alzheimer affrontino le conseguenze
della loro istituzionalizzazione; mentre negli ultimi quindici anni sono
apparse ben diverse pubblicazioni che trattano il modo con cui gli anziani,
in generale, reagiscono al ricovero in casa di riposo. Da queste emergono
delle tendenze di comportamento generale. Alcune verranno discusse qui
di seguito.
5.3. Affrontare l'ambiente della casa di riposo e gli interventi riabilitativi Abbiamo sottolineato sopra come le condizioni di vita del paziente demente
cambino radicalmente con il 'trasferimento forzato' in casa di riposo.
Oltre che con l'ambiente nuovo il paziente ha a che fare anche con diverse
forme d'interventi riabilitativi, che sono offerti nella casa di riposo,
come trattamenti medici, fisioterapia, ergoterapia, terapia psicomotoria,
logopedia e terapia occupazionale. L'affrontare questi aspetti dell'istituzionalizzazione
viene considerato da Moos e Tsu come un importante compito adattivo. Dal
momento che le manifestazioni comportamentali dopo il ricovero, descritte
da Bloemendal et al., sono reazioni all'esperienza stressante del 'trasferimento
forzato', le consideriamo come forme di coping con l'ambiente della casa
di riposo. Le prenderemo successivamente in considerazione.
5.4. Sviluppare un adeguato rapporto con il personale Quando i pazienti affetti dalla malattia d'Alzheimer vivono in una casa
di riposo sono dipendenti in gran parte dal personale di sorveglianza,
di assistenza e di cura. Per (poter) ricevere l'aiuto e il sostegno necessari
è quindi importante che essi intrattengano con loro rapporti adeguati.
Uno dei problemi in cui generalmente s'imbattono i pazienti ricoverati
è il quotidiano turnarsi del personale (Moos e Tsu, 1977). Questo
rende difficile al paziente poter sviluppare un rapporto stabile e di fiducia
con chi lo assiste. Si matureranno, allora, strategie di comportamento
finalizzate ad assicurarsi l'aiuto e il sostegno di cui si ha bisogno.
5.5. Sviluppare e mantenere le relazioni sociali Quando una persona si ammala gravemente c'è la possibilità
che, a causa della sua nuova identità di paziente o invalido, si
senta socialmente isolato. Questa sensazione d'alienazione, nonché
la separazione fisica dovuta all'istituzionalizzazione, spesso disturbano
le relazioni sociali esistenti con la famiglia e gli amici. E' estremamente
difficile in questo caso mantenere aperti i canali di comunicazione.
5.6. Conclusioni Sulla base delle precedenti considerazioni possiamo concludere che i
compiti adattivi, nominati da Moos e Tsu in riferimento all'istituzionalizzazione
di persone gravemente malate, sembrano essere applicabili anche ai pazienti
affetti dalla malattia di Alzheimer. Se cerchiamo di interpretare i disturbi
del funzionamento psichico e comportamentale dei pazienti con la
malattia di Alzheimer, seguendo le strategie di coping descritte in 4.2.
e in 5.2., è chiaro che una parte dei disturbi può essere
interpretata come coping con l'istituzionalizzazione. Sembra che, in questo
caso, si utilizzino soprattutto le strategie di coping regressive. Questo
riguarda sia l'adattamento al nuovo ambiente e alle cure, che lo sviluppare
rapporti adeguati con il personale e lo sviluppare e mantenere le relazioni
sociali. Determinati disturbi comportamentali sembrano avere a che fare
con la protesta dei pazienti contro l'aumentata dipendenza, che il ricovero
in casa di riposo comporta. Naturalmente dobbiamo anche qui, vista la limitata
ricerca finora condotta, essere cauti nel trarre conclusioni. Anche sulla
base di dati ricavati dalla letteratura, riguardanti l'adattamento delle
persone in un contesto istituzionale, ritengo che le strategie regressive
di coping debbano essere interpretate in parte come di tipo emotivo e in
parte come di tipo operativo. Poiché in tutti i casi la regressione
viene determinata dalle cambiate condizioni di vita, è probabile
che il ricovero in una casa di riposo, per pazienti che utilizzano strategie
regressive di coping, abbia un effetto catalizzante sulla regressione,
che si verifica come conseguenza del processo di demenza. Che queste strategie
regressive di coping non siano sempre adeguate per il mantenimento dell'equilibrio
emotivo, emerge tra l'altro dall'apparire, in pazienti regrediti, di reazioni
di panico, depressione, ansia e della sensazione di sentirsi minacciati.
Inoltre, la regressione si accompagna spesso con altri sintomi (per esempio
isolamento sociale, comportamento aggressivo), che possono essere essi
stessi causa di disturbi dell'equilibrio (vedi Jasper et al., 1989).
6. Discussione L'ipotesi di lavoro sull'adattamento alle conseguenze della malattia
d'Alzheimer e all'istituzionalizzazione, presentata in questo capitolo,
prende origine da alcuni presupposti di base. Li riassumiamo qui brevemente:
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