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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psichiatria e psicologia dell'emergenza

Psicologia dell'emergenza e formazione
(tratto dalla mailing list "psicologi-psicoterapeuti")

Luca Pezzullo
(fondatore di Psicologi per i Popoli)



To: psicologi-psicoterapeuti@yahoogroups.com
From: LP <luca.pezzullo@gmail.com>
Mailing-List: list psicologi-psicoterapeuti@yahoogroups.com
v Date: Thu, 23 Apr 2009 09:21:15 +0200
Subject: Re: [psicologi-psicoterapeuti] Quarto psicoreportage dall'Abruzzo: primi interventi psico

Come scrive giustamente e apprezzabilmente Marco Longo, la cui opera instancabile sta fornendo un servizio importante alla popolazione dei luoghi in cui è attivo da molti giorni, in un momento di grande complessità organizzativa è necessario ed opportuno che tutti i colleghi che intendono fornire la loro opera professionale volontaria nel contesto dell'emergenza siano: A) qualificati e B) coordinati. Senza eccezione.

"Qualificati" significa che ovviamente, data la specificità tecnica ed operativa del tipo di interventi che vengono svolti, non ci si possa basare solo su una generica competenza clinica "standard", ma che tale competenza dovrebbe essere anche specificatamente articolata sulle dimensioni dell'emergenza: competenza di intervento sulla crisi, competenze cliniche in assenza di "setting strutturati", competenza di lavoro psicosociale e di comunità, conoscenze di base del sistema di protezione civile (con i suoi delicati aspetti organizzativi, normativi, funzionali). Bisogna averle prima, non si improvvisano sul campo - soprattutto, non si improvvisano nel bel mezzo della più grande situazione di emergenza degli ultimi 30 anni.

Più in generale, lo psicologo dell'emergenza deve ricordarsi che, prima di essere psicologo, è "operatore dell'emergenza". Se non ha una competenza da "operatore dell'emergenza", potrà svolgere solo molto male il suo ruolo di psicologo, in un contesto di crisi. Molti colleghi invece pensano - seppur in buona fede - che basti essere armati di competenza psicologica standard e di un pò di buona volontà. Questo è ovviamente necessario, ma non è sufficiente. Così come gli ingegneri che prestano la loro opera per la valutazione della statica degli edifici, non sono "ingegneri generici che vanno per i fatti loro" animati da buona volontà in giro per L'Aquila, ma devono necessariamente essere ingegneri con già una competenza specifica nella valutazione della statica, organizzati e coordinati centralmente dalla Protezione Civile nazionale per lo svolgimento quotidiano della loro attività sul territorio. E lo stesso concetto vale per i sistemi sanitari, e per il supporto psicologico.

"Coordinati" significa quindi che non si può, e non si deve, partire "all'avventura": in ogni emergenza, tutti i tipi di volontari (di qualunque "specialità tecnica") devono necessariamente essere inquadrati (formalmente e funzionalmente) nel Sistema di Protezione Civile nazionale, che coordina per Legge tutti gli interventi di soccorso. Questo sia per motivi formali (autorizzazione ad operare nei COM), sia per motivi assicurativi, sia per motivi di coordinamento efficace delle risorse.

Quanto alla formazione: lo standard formativo medio consigliato dalle associazioni di volontariato professionale di settore (come Psicologi per i Popoli) è laurea, abilitazione (specializzazione in psicoterapia consigliata), corsi di formazione post-lauream possibilmente pubblici (master universitari, perfezionamenti) di durata annuale / biennale in psicologia dell'emergenza, e possibilmente anche una qualificazione / brevetto di base come operatore di protezione civile o soccorritore sanitario (PC, CRI, ANPAS). A questa formazione di base vanno aggiunte le esercitazioni regolari di psicologia dell'emergenza, e corsi di aggiornamento. Non è un percorso che si improvvisa.

Allego, per chiarire meglio alcuni punti, un paio di testi esplicativi, tratti da due email fatti girare nei giorni scorsi anche su altra lista.

1) Nella comprensibile confusione di queste ore, inviterei tutti i colleghi interessati a dare una mano a tenere sempre presenti due criteri operativi dell'attività in emergenza: si distingue in emergenza una fase "calda" ed una "fredda". Nella fase calda, è necessario per tutti i soccorritori - che siano medici, psicologi, ingegneri, volontari di PC, etc., - per non aumentare la confusione, operare sempre in stretto contatto e *solo* sotto le direttive dei CCS/COM del Dipartimento di Protezione Civile. E' pericoloso il "fai da te" di chi si presenta sul posto senza connessioni, senza supporto logistico (ogni gruppo in partenza di solito riceve l'ordine di essere in grado di autosupportarsi con tende/vettovagliamento per 24/48 ore), e senza esperienza di lavoro effettivo in contesti emergenziali. Per questa fase "immediata", solitamente servono gruppi di operatori che abbiano già esperienza o competenza operativa "sul campo" (sapersi muovere in sicurezza, operare in un campo-base, comunicazione e coordinamento radio, basi di BLS, etc.). Insomma, volontari-psicologi con buone competenze specifiche di protezione civile, e non solo di psicologia dell'emergenza. Questo, almeno nelle prime ore/primissimi giorni. In tale fase, inoltre, è del tutto insensato parlare di "primi colloqui gratuiti" o "tariffe ridotte": non si va per lavorare, si va per fare soccorso in emergenza. Punto.

Nella fase fredda, che abitualmente avviene dopo giorni/settimane, col ripristino della "normalità", entra in gioco un altro tipo di intervento, che può essere invece più diffuso a tutti i colleghi del territorio. Il supporto e sostegno, gli interventi psicologici, eventuali terapie, sono da organizzare con criteri e modalità adeguate, e devono ovviamente essere molto più diffuse nel territorio, utilizzando tutte le risorse professionali disponibili.

Inoltre, una breve nota. Va molto di moda parlare di "emergenza=PTSD". No. C'e' anche il PTSD, certo; ma ha una incidenza molto bassa, sul totale della popolazione affetta. Non confondiamo le gravi difficoltà emotive e relazionali che possono seguire a questo evento, con l'automatica etichettatura diagnostica. Gli effetti psicologici a lungo termine di un evento di tale magnitudine non si esauriscono nel solo PTSD, anche se adesso va tanto di moda parlarne.

Gli effetti sono di ben altro tipo, complessità e richiedono interventi integrati: pensate ad esempio al senso di sradicamento territoriale, la perdita dei referenti simbolici dell'abitazione, l'interruzione della regolarità e prevedibilità della vita quotidiana (con annessi sensi di perdita di agency e mastery), la perdita della strutturazione sociale e relazionale, la potenziale perdita di posti di lavoro, case e strutture di servizio ed i relativi effetti psicologici dei problemi economici; le future "lotte burocratiche" prolungate, sia col Pubblico (ma lo Stato è con me o contro di me ?), che col Privato (Assicurazioni, etc.). Per non parlare (succedono sempre anche queste), ad un livello di psicologia di comunità, dei fenomeni di conflitti tra comunità territoriali vicine (per il controllo delle risorse, per le asimmetrie di distribuzione degli aiuti, per gli emergenti conflitti di territorializzazione, etc.). Insomma, un lavoro psicologico complesso, a lungo termine, su più livelli, con una forte ottica che esce dalla dimensione "individuale" e si sposta nettamente sull'asse "comunitario". L'emergenza è un lavoro che integra più che mai le dimensioni psicosociali, culturali, cliniche, comunicative.

Quindi, su questo, come categoria professionale dobbiamo tenere uno sguardo al contempo molto "pragmatico" (non si va all'avventura, ma in maniera consapevole, organizzata, coordinata); ma insieme anche "complesso", che non si limiti a "riduzionismi" solo psicopatologici e non si dimentichi del contributo tecnico di tutte le altre "psicologie" non cliniche, ora più che mai essenziali.

2) Sulla formazione:

Non mandi un medico neolaureato in un ospedale da campo. Nè mandi un architetto generico e senza preparazione specifica ad operare una serie di valutazioni rapide di tenuta statica di edifici. Nè si dovrebbe mandare in una situazione con setting anomali e completamente diversi dall'ordinario, esigenze organizzative complesse e situazioni di massa di magmaticità emotiva destrutturata e destrutturante un neolaureato in psicologia senza qualificazioni specifiche.

Se si vuole che un aiuto sia efficace, in situazioni di emergenza (e parlo non solo degli psicologi, ma di ogni figura professionale), serve l'aiuto di tutti i professionisti *preparati* e, nella fase iniziale dell'intervento, possibilmente già *esperti* di emergenza. Perchè si tratta di muoversi in scenari non sempre sicuri; di trovarsi in mano una radio e saperla usare correttamente; di sapersi montare la propria tenda pneumatica da soli e senza essere di peso ad altri; di sapere come muoversi e cosa significano (a livello linguistico, ma soprattutto di "logica operativa") concetti e strutture come PMA - Posti Medici Avanzati, CME - Centri Medici di Evacuazione, Norie piccole e grandi, BLS, e quant'altro.

Perchè lo psicologo dell'emergenza deve aiutare le persone disorientate a costruirsi una rappresentazione coerente e significativa di ciò che succede, ma se è lui il primo ad essere "disorientato e confuso" da sigle, procedure e modalità operative per lui "aliene", di certo non può aiutare i cittadini nella maniera che serve. Se non è integrato nel sistema di soccorso, non può aiutare gli altri dis-integrati.

Essere esperti di emergenza non significa conoscere solo qualche concetto teorico di psicologia dell'emergenza: significa anche avere quelle competenze logistiche ed operative necessarie per operare in sicurezza, in maniera efficace, e soprattutto coordinata con il resto del sistema di Protezione Civile. Essere prima "operatore del soccorso", e solo poi "psicologo". Ovvero, occuparsi di psicologia dell'emergenza nel complesso, e non solo di psicotraumatologia d'urgenza (sono due cose molto diverse).

Altrimenti si rischia di partire con molta buona volontà, ma di fornire un servizio di insoddisfacente livello professionale, o peggio, di tornare "facendosi del male", in senso psicologico (il trauma vicario è un rischio professionale forte per gli operatori di "disaster mental health", e richiede supervisioni specifiche post-intervento per *tutti* coloro che hanno operato con il materiale emotivo dei pazienti coinvolti), e, a volte, anche fisico (non si va a fare una passeggiata, abbiamo colleghi in tende non riscaldate sotto grandine e neve a 1500 metri da giorni).

Molti pensano che l'emergenza sia più semplice da gestire delle situazioni ordinarie. Al contrario: variazioni di setting, complessità comunicative, magnitudine dell'investimento emozionale anche per i soccorritori, dinamiche controtransferali particolari... lo rendono un ambito in cui, per fornire il servizio specialistico e di qualità che la cittadinanza ha sacrosanto diritto di avere, serve una preparazione molto maggiore. Ed è nostro dovere deontologico e professionale fornirlo.


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