PSYCHOMEDIA Telematic Review
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Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA
Area: Psicodiagnosi
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L'integrazione clinica di psicopatologia, diagnosi e psicoterapia:
Il nuovo Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM)
Di Cesare Albasi e Claudia Lasorsa
Introduzione
In un momento in cui c'è grande fermento nella psichiatria americana per il ripensamento dei fondamenti del DSM, testimoniato dalla numerose agende per il DSM-V pubblicate negli ultimi sei anni (Beach et al., 2006; Helzer et al., 2008; Kupfer et al., 2002; Narrow et al., 2007; Saunders et al., 2007; Sunderland et al., 2007; Widiger et al., 2005; 2007), dal mondo psicoanalitico giunge un manuale diagnostico radicalmente differente che concepisce la diagnosi in senso dimensionale e volta a comprendere la singolarità del paziente, la sua soggettività individuale, la sua psicopatologia ma anche le sue risorse.
Il PDM (1) (Manuale Diagnostico Psicodinamico), uscito negli Stati Uniti nel 2006, è il frutto del lavoro di una task force costituita da un ampio gruppo di psicoanalisti, coordinati da S.I. Greenspan (presidente), N. McWilliams e R.S. Wallerstein, appartenenti a: American Psychoanalytic Association, International Psychoanalytic Association, Division of Psychoanalysis (39) of the American Psychological Association, American Academy of Psychoanalysis and Dynamic Psychiatry, National Membership Committee on Psychoanalysis in Clinical Social Work (www.pdm1.org). Ci sembra di grande rilievo constatare la partecipazione degli psicologi alla realizzazione di un manuale diagnostico così importante.
L'edizione italiana del manuale ora disponibile è stata curata da Vittorio Lingiardi e Franco Del Corno (per l'editore Raffaello Cortina, www.raffaellocortina.it), con un comitato scientifico composto, oltre che dai due curatori, da Massimo Ammaniti e Nino Dazzi, nella traduzione di Francesco Gazzillo.
Come affermano Lingiardi e Del Corno nella Presentazione dell'edizione italiana "Il PDM si propone di organizzare le scoperte empiriche ottenute dagli strumenti diagnostici (É), le ipotesi nate dalla pratica della psicoanalisi clinica e le suggestioni della diagnostica tradizionale in un sistema coerente e relativamente integrato che possa essere impiegato per diagnosi clinica, la formulazione dei casi e la progettazione degli intereventi" (p. XXIII).
La psicoanalisi ha in genere nutrito sentimenti di diffidenza nei confronti della diagnosi nosologica intesa come mera lettura dei segni e dei sintomi (Freud ci ha insegnato che il sintomo ha un significato), giungendo addirittura ad utilizzare alcune categorie nosografiche con una storia consolidata nella clinica psichiatrica per definire fasi fisiologiche dello sviluppo (come il concetto di autismo normale) o assetti mentali (come nel caso delle posizioni kleiniane). Gli obiettivi dichiarati del PDM sono quelli di pervenire ad una diagnosi clinica che permetta di raggiungere una comprensione del funzionamento globale dell'individuo, alla formulazione dei casi e alla progettazione degli interventi psicoterapeutici.
L'impianto teorico del PDM si basa sulle evidenze empiriche delle ricerche nel campo delle neuroscienze, in quello degli esiti dei trattamenti, volti alla valutazione della loro efficacia, e di altri numerosi studi empirici finalizzati alla operazionalizzazione dei costrutti psicoanalitici e allo loro misurazione. Una simile rivoluzione "metapsicologica" è stata possibile grazie alla progressiva apertura della psicoanalisi, che si è sviluppata prevalentemente grazie alla ricerca concettuale, alla ricerca empirica e ai modelli evidence-based.
Come vedremo nello specifico, infatti, il PDM propone una diagnosi dimensionale che si articola su tre assi: 1) le configurazioni di personalità sane e disturbate (Asse P); 2) i profili individuali del funzionamento mentale (Asse M); 3) i pattern sintomatici, compresi i loro significati soggettivi per i pazienti (Asse S).
Nonostante l'apparente somiglianza della struttura "multiassiale", i tre assi del PDM non hanno concettualmente nulla a che vedere con quelli del DSM, in quanto non sono da intendere e applicare nel ragionamento clinico in modo categoriale nosografico, ma dimensionale. Il termine "asse" indica qui una dimensione, o prospettiva osservativa, della realtà del paziente che va sempre integrata con le altre dimensioni per la formulazione clinica della diagnosi; quindi, non bisogna ragionare come se si fosse in cerca di malattie o disturbi da inquadrare e classificare in contenitori differenti. Così, viene favorita sia la molteplicità di sguardi sia l'integrazione degli stessi come due momenti necessari per il ragionamento clinico e l'osservazione diagnostica. Il processo diagnostico diviene compiutamente un operazione conoscitiva sostenuta e orientata in modo sistematico dal manuale.
Oltre all'impostazione dimensionale, il PDM mostra originalità e specificità epistemologica inserendo un asse specifico dedicato al profilo di funzionamento mentale (Asse M), e le sezioni interamente dedicate alla psicopatologia dell'infanzia e dell'adolescenza.
Il PDM si propone come ortogonale per scopo e struttura, ai precedenti sistemi diagnostici nosografico-descrittivi per "completare gli sforzi di catalogazione dei sintomi promossi negli ultimi trent'anni dal DSM e dall'ICD" (PDM Task Force, 2006, p. LV); di fatto le differenze sono molte. Sintetizziamone alcune delle principali:
- Il DSM si presenta come una tassonomia di patologie o di disturbi psichici, mentre il PDM come una "tassonomia di persone" (PDM Task Force, 2006, p. 3), cioè è orientato alla comprensione del funzionamento del singolo individuo.
- Il DSM ha un impianto di tipo categoriale, e assegna gli individui alla rubrica diagnostica appropriata, mentre il PDM, pur servendosi di categorie ampie, mantiene un approccio dimensionale su tutti gli assi, e richiedendo di specificare su quale livello di funzionamento si collochi il soggetto: sano, nevrotico, borderline.
- Il DSM propone cluster di sintomi evitando una qualsivoglia attribuzione di significato, con il preciso intento di rimanere ateorico. Il PDM si colloca, invece, esplicitamente all'interno della cornice teorica psicoanalitica, con l'intento di ascrivere significati ai fenomeni osservati e descritti dopo averli identificati e formulati.
- Il DSM propone cluster distinti di sintomi e attributi in cui un paziente può essere collocato se supera la soglia cut-off, per cui i problemi patologici che sono espressione del modo in cui si è organizzato il funzionamento del paziente (e così sono intesi nel PDM) vengono invece descritti come condizioni di comorbilità, cioè come se fossero problemi differenti accidentalmente compresenti nello stesso paziente (2) (infatti, il DSM è retto dall'idea che i problemi psichici sono malattie mediche, cagionate da disfunzioni biologiche le cui eziologie sono ancora in larga parte sconosciute) (per una sintesi dei problemi del DSM, oltre alle citate agende ufficiali, cfr. Lingiardi, 2004; Albasi, 2008b).
In definitiva, come affermano Lingiardi e Del Corno: "(É) il DSM è un esempio di diagnosi multiassiale, categoriale e politetica: le sindromi sono intese come categorie presenti/assenti, reciprocamente indipendenti e definite da un numero minimo di criteri. La valutazione del PDM può invece essere considerata multiassiale, multidimensionale e prototipica in quanto cerca di prendere in considerazione sia le sindromi cliniche sia l'esperienza soggettiva del paziente; il profilo globale del funzionamento mentale e le sue singole funzioni, lo stile di personalità, le sue basi strutturali e la sua funzionalità globale nel contesto di vita del soggetto" (2008, p. XXX).
é, così, evidente come il DSM e il PDM svolgano funzioni e perseguano obiettivi molto diversi: il DSM si è originariamente proposto come fondamento per la ricerca empirica, per fini epidemiologici o per il trattamento psicofarmacologico. Il PDM, invece, è pensato eminentemente per la formulazione del caso e la pianificazione del trattamento psicoterapeutico o di tutte le altre forme di terapia "che si rivolgono all'intera gamma e profondità del funzionamento cognitivo, emotivo e comportamentale" (PDM Task Force, 2006, p. 4).
Struttura del PDM
Il PDM si articola in tre sezioni: una prima parte dedicata alla Classificazione dei disturbi mentali degli adulti che occupa circa un quinto del manuale. Una seconda parte divisa invece in ulteriori due sezioni: la prima, dedicata alla Classificazione dei disturbi mentali di bambini e adolescenti, la seconda relativa alla Classificazione dei disturbi mentali e dello sviluppo in neonati e bambini piccoli. I confini tra le diverse fasce di età di questa seconda parte non sono stati specificati in modo netto. Alla fine della prima parte e alla fine della prima sezione della seconda parte vengono riportate delle esemplificazioni di casi clinici che illustrano i profili del PDM sia di adulti sia di bambini e adolescenti, ed ogni capitolo termina con una ricca bibliografia. La terza parte invece, intitolata Basi concettuali ed empiriche per una classificazione psicodinamica dei disturbi mentali è molto vasta, e nell'edizione originale occupa oltre la metà dell'intero manuale: per la versione italiana sono stati scelti i cinque capitoli più significativi e originali (dei dodici) in cui vengono forniti alcuni dei principali contributi teorici e metodologici che sono alla base del sistema diagnostico proposto (consultando il sito ufficiale del PDM all'indirizzo URL www.pdm1.org è possibile reperire l'indice completo dei capitoli presenti soltanto nell'edizione originale).
Descriviamo articolatamente, qui di seguito, alcuni aspetti delle sezioni dell'edizione italiana del PDM.
Disturbi mentali degli adulti
L'Asse P: Pattern e disturbi di personalità
Gli autori del PDM scelgono di inserire per primo questo Asse nella sezione degli adulti (nella sezione dei bambini e adolescenti compare prima l'Asse M) considerando (come sottolineato in molti scritti di Drew Westen, autore che partecipa insieme alla McWilliams, con ruolo di presidente, a Kernberg, Shedler, Caligor e Herzig al work group di questa sezione) la personalità come il contesto per comprendere il significato dei sintomi presentati.
L'ordine in cui sono esposti gli assi ci sembra, comunque, che vada considerato più sul piano delle ragioni argomentative e come guida per la formulazione del ritratto diagnostico del paziente, che non su quello delle rigide indicazioni per la pratica della valutazione. I pazienti possono colpire il clinico per ragioni differenti, che possono evocare prioritariamente dimensioni (assi) differenti, e questo dato della pratica diagnostica andrebbe conservato per la sua valenza euristica anzichè immediatamente ricondotto ad una severa disciplina "pdmmistica".
La personalità va valutata secondo due prospettive: l'organizzazione di personalità e il tipo di configurazione, sana o disturbata. La prima, seguendo il modello di Kernberg (1984), è indirizzata a individuare tre livelli di organizzazione che, invitando a mettere a fuoco lo sviluppo e l'articolazione delle sue caratteristiche, permette di comprendere la gravità dei disturbi:
1) "personalità sana" indica l'Assenza di disturbo;
2) "disturbi di personalità di livello nevrotico", caratterizzati da una certa rigidità, per esempio nell'uso ristretto di una particolare gamma di meccanismi di difesa, o da funzionamenti disturbati solo in alcune specifiche aree di funzionamento (sessualità, autonomia, rabbia ecc.);
3) "disturbi di personalità di livello borderline" caratterizzati di difficoltà relazionali ricorrenti, incapacità di provare un'intimità profonda e autentica nelle relazioni, sensazioni intense di angoscia e grave depressione, alta vulnerabilità alle dipendenze di vario tipo.
Viene omesso il livello psicotico di organizzazione di personalità, discusso da Kernberg (ma anche da Bergeret, 1974, e che era diventato patrimonio della prospettiva psicoanalitica), omissione sostenuta da argomenti di tipo clinico ed empirico.
Questi tre livelli di gravità di funzionamento della persona sono considerati come trasversali a tutti i quindici disturbi di personalità proposti dal manuale: per collocare un paziente su uno di questi livelli di gravità gli autori propongono la valutazione delle seguenti capacità:
- vedere se stessi e gli altri in modi articolati, stabili e precisi (identità)
- mantenere relazioni intime, stabili e soddisfacenti (relazioni oggettuali)
- fare esperienza dentro di sé, e percepire negli altri, l'intera gamma degli affetti appropriati a una certa età (tolleranza degli affetti);
- regolare impulsi e affetti in modi che favoriscono l'adattamento e la soddisfazione, con un ricorso flessibile a difese o strategie di coping (regolazione degli affetti)
- funzionare secondo una sensibilità morale coerente e matura (integrazione del Super-io, dell'Io ideale e dell'ideale dell'io);
- comprendere, anche se non necessariamente conformarsi a, le nozioni convenzionali di ciò che è realistico (esame di realtà);
- rispondere in modo positivo agli stress e riprendersi sa eventi dolorosi senza difficoltà eccessive (forza dell'Io e resilienza).
Il PDM propone quindici tipi di configurazioni e disturbi di personalità per alcuni dei quali specificandone i sottotipi individuati anche grazie alle ricerche condotte con strumenti come la SWAP-200 (Westen, Shedler, Lingiardi, 2003) e alla pratica clinica: disturbi schizoidi di personalità; disturbi paranoidi di personalità; disturbi psicopatici (antisociali) di personalità, con due sottotipi: passivo/parassitario e aggressivo; disturbi narcisistici di personalità con due sottotipi: arrogante/che crede di avere tutti i diritti e depresso/svuotato; disturbi sadici e sadomasochistici di personalità con un sottotipo manifestazione intermedia: disturbi sadomasochistici di personalità; disturbi masochistici di personalità con i due sottotipi masochista morale e masochista relazionale; disturbi depressivi di personalità, con i tre sottotipi introiettivo, anaclitico, manifestazione opposta: disturbi ipomaniacali di personalità; disturbi somatizzanti di personalità; disturbi dipendenti di personalità, con i due sottotipi passivo-aggressivo e manifestazione opposta: disturbi controdipendenti di personalità; disturbi fobici (evitanti) di personalità, con il sottotipo manifestazione opposta: disturbi controfobici di personalità; disturbi ansiosi di personalità; disturbi ossessivo-compulsivi di personalità, nei due sottotipi ossessivo e compulsivo; disturbi isterici (istrionici) di personalità nei due sottotipi inibito e eccessivamente espansivo o esuberante; disturbi dissociativi di personalità (disturbo dissociativo dell'identità/disturbo di personalità multipla); misti/altro.
Per ciascun disturbo di personalità proposto, il PDM offre una descrizione riassuntiva e schematica delle principali caratteristiche, che sono sintetizzate attraverso i sei seguenti aspetti: Pattern costituzionali-maturativi; Tensione/preoccupazione principale; Affetti principali; Credenza patogena caratteristica relativa a se stessi; Credenza patogena caratteristica relativa alle altre persone; Modi principali di difendersi.
Soprattutto nella concettualizzazione dei disturbi di personalità è riservato un importante rilievo al modello sviluppato fin dagli ottanta da Blatt e collaboratori (cfr. Blatt, 2006) centrato sul continuum introiettivo-anaclitico (self-definition relatedness).
Come abbiamo detto, il concetto di disturbo nel PDM è sostanzialmente differente da quello del DSM e quindi anche quello di disturbo di personalità differisce. Le categorie descritte vanno intese come sorte di prototipi utili per rappresentare il funzionamento della personalità del paziente, anche quello sano: infatti possiamo descrivere qualcuno con termini clinici per enfatizzare come la sua configurazione di personalità abbia dei tratti che sono clinicamente significativi ma che possono rappresentare, se compensati, anche le specifiche risorse per dare una forma al proprio carattere e alle sue relazioni nel modo più funzionale al suo benessere.
Evidenziamo la nota a pagina 24, dove si osserva che nel manuale viene evitato l'uso delle iniziali maiuscole e di acronimi per sottolineare che la comprensione della personalità del paziente non è un processo reificante di individuazione di una malattia
In ogni caso, possiamo avanzare, a titolo esemplificativo, alcune riflessioni di confronto sul piano dei contenuti descrittivi l'Asse II del DSM con l'Asse P e notare che quest'ultimo, a differenza del DSM, inserisce le clinicamente note personalità depressive, masochistiche, sadiche, e introduce in modo innovativo le personalità dissociative, somatizzanti, ansiose; mentre non considera quelle schizotipiche e, soprattutto, non tratta il borderline come un semplice disturbo ma come un range di organizzazione della personalità. Nella descrizione della personalità schizoide vengono descritte le possibili articolate fantasie che il paziente vive; il narcisismo viene colto anche nella sua dimensione depressiva di svuotamento interno e vergogna (raccogliendo l'ampia letteratura su questa patologia, comprese le schematizzazioni di Gabbard, 1989; Rosenfeld, 1989; Akhtar, 1989); alcuni disturbi che il DSM colloca in Asse I (come il disturbo di ansia generalizzato, di somatizzazione, dissociativo dell'identità) sono concepiti come caratteristiche di personalità.
L'Asse M: Profilo del funzionamento mentale
L'Asse M nel PDM si prefigge di orientare il clinico nella valutazione del profilo del funzionamento mentale del paziente sulla base di nove funzioni di base (funzioni mentali o capacità di base):
1. Capacità di Regolazione, Attenzione e Apprendimento
2. Capacità di Relazioni e Intimità (Profondità, Range e Coerenza)
3. Qualità dell'Esperienza Interna (Livello di Sicurezza e Rispetto di Sé)
4. Esperienza, Espressione e Comunicazione degli Affetti
5. Pattern e Capacità Difensive
6. Capacità di Formare Rappresentazioni Interne
7. Capacità di Differenziazione e Integrazione
8. Capacità di Auto-osservazione (Mentalità Psicologica)
9. Capacità di Costruire o Ricorrere a Standard e Ideali Interni (Senso Morale).
Queste nove sotto-dimensioni dell'Asse M sono il frutto dell'elaborazione di concetti psicoanalitici rivelatisi di grande importanza per la psicoanalisi clinica, alcuni in stretta relazione con le intuizioni di Freud e della psicoanalisi classica (per es. le funzioni dell'Io, il Super-io per la nona dimensione) e fanno pensare all'impostazione di Hartmann delle strutture come set di funzioni (Dunn, 2008), altri, invece, di più recente formulazione (per es. la regolazione degli stati interni, la vitalità dell'esperienza interna e la confidenza in essa come fonte di orientamento per le relazioni, ecc.).
Questi concetti hanno, quindi, una loro storia psicoanalitica differente e sono stati scelti dagli autori coinvolti nell'elaborazione del PDM come le nove categorie necessarie e maggiormente rappresentative per poter valutare il profilo del funzionamento mentale del paziente.
Sulla base della valutazione di queste nove categorie è possibile arrivare a tracciare un profilo del funzionamento mentale della persona e collocarlo sulla seguente scala di otto livelli di gravità del funzionamento con capacità mentali: ottimali e appropriate alla fase; adeguate, appropriate all'età; adeguate, appropriate all'età con conflitti fase-specifici o sfide evolutive transitorie; lievi limitazioni e rigidità, moderate limitazioni e alterazioni, gravi limitazioni e alterazioni, lacune nell'integrazione e nell'organizzazione e/o differenziazione delle rappresentazioni del sé e degli oggetti, gravi lacune.
L'Asse S: Pattern sintomatici: l'esperienza soggettiva
La particolarità di questo Asse (che riporta anche le classi del primo Asse del DSM-IV-TR) è data dal fatto che non vengono qui proposte solo le categorie diagnostiche sulla base della sintomatologia, ma vengono formulate delle ipotesi per guidare l'indagine sull'esperienza soggettiva, sempre considerata come unica e peculiare, che il paziente, con la sua storia individuale e irripetibile, ha del sintomo. La cornice per la valutazione della esperienza soggettiva connessa alla sintomatologia è costituita dai seguenti termini: gli stati affettivi del paziente, i suoi pattern cognitivi, gli stati somatici e infine i pattern relazionali.
Qui di seguito riportiamo le tredici categorie diagnostiche enucleate nel manuale (dove si possono notare le categorie del DSM non contemplate, come il disturbo d'ansia generalizzato, il disturbo da panico, la distimia, ecc.):
disturbi dell'adattamento; disturbi d'ansia (traumi psichici e disturbi post-traumatici da stress, fobie, disturbi ossessivo compulsivi); disturbi dissociativi; disturbi dell'umore (disturbi depressivi e disturbi bipolari); disturbi somatoformi (di somatizzazione); disturbi dell'alimentazione; disturbi psicogeni del sonno; disturbi sessuali e dell'identità di genere (disturbi sessuali, parafilie, disturbi dell'identità di genere); disturbi fittizi; disturbi del controllo degli impulsi; disturbi da uso/dipendenza da sostanze; disturbi psicotici; disturbi mentali basati su una condizione medica generale.
Disturbi mentali di bambini e adolescenti
L'Asse MCA: Profilo del funzionamento mentale di bambini e adolescenti
Questo Asse (le lettere CA nell'acronimo, poste dopo la M la P e la S che corrispondono ai nomi dati agli assi dedicati agli adulti, sono le iniziali di Children e Adolescents) è inserito come primo dei tre, diversamente dalla scelta operata nella sezione dedicata ai disturbi mentali degli adulti, in quanto, secondo gli autori, i bambini e gli adolescenti non hanno ancora strutturato una configurazione stabile di personalità, per cui il funzionamento mentale di questi soggetti, che vivono costanti cambiamenti fisiologici, orienta maggiormente nella comprensione del loro funzionamento globale.
Anche per i bambini e gli adolescenti vengono proposte le nove categorie mentali o capacità di base prima descritte per gli adulti e la medesima scala a otto punti per la valutazione complessiva del livello di gravità del funzionamento mentale. Una specificità è collegata alla prima categoria capacità di regolazione, attenzione e apprendimento: in calce alla descrizione delle nove categorie viene infatti proposta una sorta di glossario composto da tredici termini che articolano in modo complesso e approfondito i concetti di attenzione apprendimento e regolazione (attenzione, capacità sequenziale, deficit cognitivi, disabilità dell'apprendimento, elaborazione uditiva, elaborazione visuo-spaziale, eloquio, funzioni esecutive, integrazione sensoriale, intelligenza, linguaggio, memoria, pianificazione motoria).
L'Asse PCA: pattern e disturbi di personalità di bambini e adolescenti
In modo innovativo per un manuale psicodiagnostico, il PDM tratta specificatamente la personalità dei bambini e adolescenti come un problema clinico, anche in questo caso rimanendo vicino all'esperienza di chi si occupa di bambini e adolescenti, oltre che seguendo la tradizione psicoanalitica, fino ai recenti contributi che hanno affrontato direttamente il problema della personalità sotto il profilo diagnostico e nosologico (per esempio quelli, noti anche in Italia, di Paulina Kernberg et al., 2000; ed Efrain Bleiberg, 2001).
Il PDM definisce questi pattern come quelli attraverso i quali bambini e gli adolescenti si mettono in relazione con il mondo ("tendenze della personalità", PDM Task Force, 2006, p. 191). I pattern di personalità in formazione, come quelli già strutturati, possono essere collocati lungo un continuum di gravità che va da quelli sani e "normali" a quelli più compromessi (nello specifico: lievemente, moderatamente e gravemente disfunzionali). Gli autori propongono per la valutazione di tale livello di gravità, l'uso delle nove categorie dell'Asse MCA oltre che di altri fattori considerati appropriati per l'età fra cui:
- la profondità, l'ampiezza e la flessibilità delle relazioni;
- l'esperienza, la comprensione e l'espressione delle emozioni;
- il range e la struttura delle fantasie interne, dei pensieri e degli affetti correlati;
- la flessibilità e l'appropriatezza delle strategie di coping e di difesa;
- la profondità e la stabilità dei livelli dell'esame di realtà;
- la capacità di regolare gli impulsi, le proibizioni interiorizzate e i valori;
- la capacità di autosservazione e di osservazione, nonché di comprensione della vita emotiva delle altre persone.
Vengono individuati quindici disturbi di personalità, corrispondenti a quelli proposti nella sezione degli adulti (tranne la quattordicesima categoria) ma descritti con una fine attenzione alle dimensioni e alle problematiche specifiche dello sviluppo, a partire dalle differenti categorie utilizzate: disturbi di personalità timorosi della vicinanza/intimità (schizoidi); disturbi sospettosi/diffidenti di personalità; disturbi antisociali (sociopatici) di personalità; disturbi narcisistici di personalità; disturbi impulsivi/esplosivi di personalità; disturbi autopunitivi di personalità; disturbi depressivi di personalità; disturbi somatizzanti di personalità; disturbi dipendenti di personalità; disturbi evitanti/coartati di personalità, con il sottotipo disturbi controfobici di personalità; disturbi ansiosi di personalità; disturbi ossessivo-compulsivi di personalità; disturbi istrionici di personalità; disturbi di personalità su base disregolatoria; misti/altro.
L'Asse SCA: pattern e disturbi di personalità di bambini e adolescenti
In questo Asse vengono descritti i più comuni pattern sintomatici osservati nei bambini, alcuni dei quali erano già presenti nel DSM-IV-TR ma senza il prezioso riferimento all'esperienza soggettiva degli stessi. Si è deciso di dedicare una sezione diversa rispetto a quella degli adulti, in quanto gli autori ritengono che i processi evolutivi in cui sono immersi i bambini e gli adolescenti influenzano la sintomatologia e il modo con cui essa viene vissuta.
Sono state qui individuate le seguenti nove macro categorie diagnostiche, (all'interno della quali sono riportati ulteriori sottotipi sindromici): Risposta sana; Disturbi d'ansia; Disturbi dell'umore/affettivi; Disturbi da comportamento dirompente; Disturbi reattivi; Disturbi del funzionamento mentale; Disturbi psicofisiologici; Disturbi dello sviluppo; Altri Disturbi.
I disturbi mentali dell'età neonatale e della prima infanzia
Questa sezione consta di cinque assi, ed è stata organizzata sulla base del modello di Greenspan descritto nel nuovo manuale di diagnosi infantile Interdisciplinary Council on Developmental and Learning Disorders Diagnostic Manual for Infancy and Early Childhood (ICDL-DMIC Work Group, 2005) che identifica tre ampie categorie di disturbi: 1) disturbi interattivi; 2) disturbi regolatori dell'elaborazione sensoriale; 3) disturbi neuroevolutivi della relazione e della comunicazione.
Nel PDM queste tre categorie generali vanno a costituire la diagnosi primaria dell'Asse I. Gli altri quattro Assi, che influiscono e influenzano il primo Asse, sono i seguenti:
Asse II: Capacità evolutive funzionali ed emotive;
Asse III: Capacità di regolazione dell'elaborazione sensoriale;
Asse IV: Pattern bambino-caregiver e familiari;
Asse V: Altre diagnosi mediche e neurologiche.
Basi concettuali ed empiriche per una classificazione psicodinamica dei disturbi mentali
Questa parte del manuale è molto ricca e corposa e nell'edizione italiana possiamo leggere la traduzione di cinque dei dodici articoli compresi nell'edizione originale; il fatto che occupi più di metà del manuale (nell'edizione originale) testimonia come, a differenza delle posizioni sedicenti ateoretiche del DSM, il PDM affermi anche implicitamente il necessario approfondimento continuo dei fondamenti teorici ed empirici che sostengono una prospettiva psicodiagnostica.
Nel primo contributo, La diagnosi della personalità con la Shedler-Westen Assessment Procedure (SWAP) di Shedler e Westen, vengono descritti i limiti più importanti dell'Asse II del DSM ma viene anche illustrato e proposto l'uso della SWAP-200 come uno strumento capace di integrare la diagnosi con l'apporto del giudizio clinico, rafforzandone l'attendibilità e la validità, e utile per la valutazione dell'efficacia delle psicoterapie psicoanalitiche.
Il secondo contributo, di Dahlbender, Rudolf e DPD Task Force, dal titolo Struttura psichica e funzionamento mentale presenta l'uso di un altro importante strumento di valutazione diagnostica, l'OPD (Diagnosi Psicodinamica Operazionalizzata): anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una importante linea di ricerca empirica in psicoanalisi, sia sulla valutazione della psicopatologia sia dei trattamenti psicoterapeutici.
Il terzo contributo, Le ricerche empiriche a favore dell'approccio diagnostico symptom-based del DSM, di Herzig e Licht, fornisce un articolato ragionamento sui limiti delle nosologie ateoretiche e delle rigide categorizzazioni fondate su cluster di sintomi con criteri di inclusione ed esclusione.
Nel quarto contributo, Lo statuto empirico delle psicoterapie validate empiricamente, di Westen, Novotny, Thompson-Brenner, leggiamo una disanima molto dettagliata dei maggiori contributi empirici per la valutazione delle terapie dei diversi orientamenti.
Il quinto ed ultimo contributo, di Fonagy, dal titolo Psicoterapie psicodinamiche evidence-based, come il precedente espone i più importanti contributi empirici nel campo della ricerca in psicoterapia ma con uno sguardo di più ampio respiro, spostandosi anche sulla letteratura esistente fuori dagli Stati Uniti.
Riferendosi all'edizione originale, Dunn (2008) fa notare che la terza sezione può risultare sovradimensionata per alcune ragioni: una prima, meramente pratica, appesantisce un volume che richiederebbe di essere facilmente trasportato per accompagnare il clinico; inoltre, le connessioni tra gli articoli ivi contenuti e le categorie diagnostiche proposte non sono esplicitati nel dettaglio; infine, crea l'impressione fuorviante che il manuale abbia un fondamento empirico dimostrato, mentre, ovviamente, questo si potrà validare nei prossimi anni, grazie al suo utilizzo clinico e alle ricerche a cui darà vita.
Alcune considerazioni.
La valutazione diagnostica del paziente è sempre sostenuta da un ragionamento clinico (Del Corno, Lang, 1998), che come ogni ragionamento può essere sotteso da logiche differenti (Albasi, 2008b). La logica dell'inquadramento nosografico dei disturbi di un paziente, come quella richiesta dall'utilizzo del DSM, implica un ragionamento categoriale, dal singolare al generale e fondato su principi statistici (base della costituzione in sindromi delle collezioni di sintomi co-occorenti): invita, cioè, a passare dal caso singolo alla classe, a guardare ciò che il paziente condivide con tutti gli altri che sono diagnosticati in una particolare categoria nosografica, descritta da una lista di poche affermazioni. La diagnosi ex DSM è così inutilizzabile per impostare un trattamento psicoterapeutico psicoanalitico, che è volto all'inseguimento della soggettività del paziente, in quanto egli non viene definito per qualcosa che lo distingue e lo rende unico, ma da una lista di poche affermazioni uguali per tutti quelli che sono inseriti nella sua classe.
La logica che sostiene una diagnosi dimensionale punta alla definizione, la più articolata e precisa possibile, della singolarità dell'individuo. Questa diagnosi non può dirsi ateoretica, deve anzi essere molto carica della teoria che, sviluppata al meglio, informa le dimensioni scelte per un'osservazione del paziente più approfondita e una sua comprensione ricca di significato, per definirne un profilo unico e lasciar spazio alle sue risorse (fondamentali per i trattamenti psicologici), al suo funzionamento mentale, alla sua organizzazione di personalità. Questa diagnosi permette di impostare il trattamento psicoterapeutico.
Il lavoro sulla teoria è quindi necessariamente fondante la diagnosi dimensionale. Nel PDM possiamo osservare alcune scelte importanti in merito alla teoria che ci indicano vigorosamente la direzione che sta prendendo una certa psicoanalisi, quella più attenta alla ricerca, quella sensibile al confronto, quella che ha come priorità l'offerta di aiuto ai pazienti e quindi le problematiche cliniche più che quelle di scuola o di ortodossia, quella che accetta i compromessi necessari per la stesura di un manuale che si prefigge "l'impossibile" compito di rappresentare un universo attualmente variegato e ricco di infiniti stimoli concettuali, non sempre coerenti tra loro, come quello psicoanalitico.
Per esempio, nella lettura del manuale si nota uno sforzo verso un linguaggio non gergale ma comprensibili alla comunità allargata, e di conseguenza l'utilizzo dei molti concetti psicoanalitici è spesso reso con sinonimi o perifrasi (esempio importante è l'Asse M, che può essere inteso come una sintesi di teoria psicoanalitica, ma dove non è citato il concetto Io, la categoria nove non cita il concetto di Super-io, il concetto di difesa non viene reso con il termine "meccanismo di difesa", così come in altre parti del manuale come di operazione difensiva o strategie difensive, ecc.).
La scelta di questo linguaggio conferma anche l'obiettivo di redigere un'opera che non richiedesse continue inferenze a livelli di astrazione troppo alta ma che fosse vicino al clinico al lavoro, si ponesse al suo fianco nel risolvere i problemi delle valutazione delle situazioni affrontate nella pratica, sostenendolo tramite l'offerta, contemporaneamente, di flessibilità e sistematicità (cioè un ampio arco di punti di osservazione tutti da prendere in considerazione per integrare un immagine articolata e sfaccettata del paziente).
In questi due anni, dall'uscita del manuale, che ci hanno visti impegnati nella didattica e nella formazione con allievi di scuole di specializzazione di vario orientamento e nelle équipe di alcune ASL, abbiamo riscontrato l'interesse di colleghi di differente orientamento per il PDM.
Ma l'impressione che se ne ricava è anche un'altra. Infatti, come abbiamo già notato, la presenza di una parte (quantitativamente la più rilevante) esplicitamente dedicata alla teoria e alla ricerca, suggerisce (metacomunica) come gli autori non vogliano offrire un'opera senza esplicitare e arricchire il percorso teoretico che ha condotto a svilupparla. Al contrario, l'idea di valutazione del paziente che il PDM implica rimanda ad un atteggiamento orientato fortemente dalla conoscenza approfondita delle teorie. Quindi, anche la scelta di non riferirsi a termini tradizionali della psicoanalisi viene colto dal lettore come una precisa scelta teorica: la volontà di passare ad una nuova terminologia e ad un nuovo quadro di riferimento per i concetti psicopatologici psicoanalitici.
Sempre sul piano delle scelte teoriche, appare di grande rilievo quella di discutere sinteticamente la teoria dell'attaccamento (PDM Task Force, 2006, p. 23); ci sono importanti ipotesi basate sulla teoria dell'attaccamento che riguardano i livelli di organizzazione della personalità, anche se poi non si trovano dei tentativi di svilupparne le implicazioni nello stilare le categorie diagnostiche vere e proprie. Ma la presenza della teoria dell'attaccamento ha molte implicazioni. Innanzitutto implica la precisa scelta di collocarsi in un paradigma relazionale della psicoanalisi (Greenberg, Mitchell, 1983; Mitchell, Aron, 1999), e infatti non si trova nessun riferimento alle pulsioni né nessuna ipotesi eziopatologica che possa rimandare alla metapsicologia freudiana. Questa decisa rottura di paradigma con Freud operata da un manuale ufficiale psicoanalitico ci conforta sulla libertà operativa e sulla maturità di questo gruppo di lavoro (immaginiamoci quanto sotto pressione) e sull'autenticità della sua istanza nel voler essere prossimi al clinico. Inoltre, vediamo ricucirsi sempre di più la linea che contemporaneamente univa e separava la psicoanalisi "ufficiale" e la "psicoanalisi bowlbyana", cioè la teoria dell'attaccamento (Fonagy, 2001; Albasi, 2006).
Rimanendo sul piano dell'analisi concettuale, una nota critica riguarda il fatto che nel PDM i concetti si moltiplicano a dismisura, anche in modo non necessario (ma propriamente psicoanalitico..), per esempio passando da un Asse all'altro. Questo complica la fruizione del manuale, che è uno dei problemi che in questi due anni in cui lo stiamo discutendo, come abbiamo detto, abbiamo riscontrato.
La scelta delle categorie teoriche per guidarci nel definire il profilo del funzionamento mentale del paziente (l'Asse M), testimonia ancora la volontà di partire dal livello della pratica clinica esprimendo un elenco di concetti senza precisare i rapporti teoretici che li possono legare in un modello coerente di funzionamento mentale (un modello di mente). Questa aderenza all'operare del clinico pone però problemi rendendo meno limpido il modello e alla fine ricadendo sul clinico in quanto si demanda a lui di studiare l'Asse M e di farsi la sua mappa cognitiva dei concetti medesimi per poterli utilizzare in modo economico ed efficace per il suo ragionamento clinico sul paziente.
Anche per cercare soluzioni a questi problemi di utilizzo e per tentare di contenere la deriva di moltiplicazione di concetti tra i diversi assi abbiamo proposto di formulare ipotesi sull'organizzazione di personalità del paziente sulla base della valutazione compiuta con l'Asse M, e per facilitare questa valutazione abbiamo elaborato uno strumento, il QFM-27 (Questionario sul Funzionamento Mentale, versione a 27 item) (Albasi, 2008a; 2008b; Albasi, Lasorsa, Porcellini, 2008; cfr. www.pdm-qfm.com).
La fortuna del PDM in Italia.
Il PDM è ora disponibile nella pregevole edizione italiana curata da Lingardi e Del Corno.
Su di esso si è cominciato a lavorare anche in Italia fin dalla sua uscita nel 2006. Il puntuale e lucido articolo di presentazione del PDM di Paolo Migone (2006) su Psicoterapia e Scienze umane ha rappresentato un'importante via di introduzione, sia per la consueta ricchezza e puntualità di documentazione offerta dall'autore sia per il prestigio e la diffusione della testata.
Su POL.it è comparso un articolo di presentazione di Rossi e Rosso (2007).
Il Manuale di psichiatria biopsicosociale di Fassino, Abbate Dega e Leombruni (2007), riporta una piccola sezione dedicata al PDM.
Intanto, Vittorio Lingiardi e Franco Del Corno avevano cominciato, con Raffaello Cortina, il complesso lavoro di curatela dell'edizione italiana ora disponibile.
L'A.R.P di Milano, il 19 aprile 2008, ha organizzato una giornata dal titolo Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM). Applicazione clinica e riflessioni critiche, a cui hanno partecipato come relatori: Cesare Albasi, Franco Del Corno, Margherita Lang, Francesco Gazzillo, Vittorio Lingiardi, Guido Taidelli (www.arpmilano.it/DOCaperti/venti/locandina.pdf).
Nel prossimo congresso dell'Associazione Italiana di Psicologia (AIP) - Sezione Clinica, che avrà luogo a Padova dal 12 al 14 settembre 2008, Franco Del Corno, Margherita Lang e Vittorio Lingiardi coordineranno una Sessione Plenaria dal titolo Un nuovo sistema diagnostico multiassiale psicodinamicamente orientato: il Manuale Diagnostico Psicodinamico (Psychodynamic Diagnostic Manual: PDM) a cui, insieme a loro, parteciperanno Cesare Albasi, C. Donzelli, Francesco Gazzillo, Laura Parolin, S. Piantoni, Anna Maria Speranza, Alessandro Zennaro, e nella quale saranno discusse alcune attività di ricerca a cui il PDM sta dando vita.
Da questo punto di vista, il gruppo di Vittorio Lingiardi a Roma ha iniziato un'attività di ricerca empirica sui costrutti dell'Asse P, anche generando: il Questionario sulle Preoccupazioni Principali (QPP; Lingiardi Gazzillo, 2007), il Questionario sulle Credenze Patogene (QCP; Gazzillo, Lingiardi, 2007) e i Prototipi Diagnostici di Personalità (PDP; Gazzillo, Lingiardi, Cordero, 2008).
Per quanto ci riguarda, l'adozione del manuale negli insegnamenti universitari, nelle scuole di specializzazione e nelle attività di formazione e supervisione sta cominciando a darci delle informazioni di feedback sui suoi punti di forza e di debolezza. Anche dal punto di vista della ricerca, come accennato sopra, abbiamo costruito uno strumento, il QFM-27, che stiamo utilizzando in alcune ricerche, una delle quali in collaborazione con il Servizio di Psicologia Clinica e della Salute diretto Paola Cuniberti dell'ASL 19 di Asti. Nel sito www.pdm-qfm.com è possibile trovare altre informazioni, e compilare lo strumento per provarlo.
In conclusione, c'è molto investimento su questo nuovo manuale, che cattura l'attenzione di clinici e ricercatori impegnati in ambiti differenti e che viene salutato con la speranza di poter contare su di un riferimento autorevole che permetta di lavorare e fare ricerca sulla diagnosi e sulla psicoterapia con una ritrovata centralità per il paziente.
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Note
1) PDM Task Force (a cura di), PDM. Manuale Diagnostico Psicodinamico. Presentazione all'edizione italiana di Vittorio Lingiardi e Franco Del Corno. Introduzione alla Parte II di Massimo Ammaniti. Introduzione alla Parte III di Nino Dazzi. Trad. di Francesco Gazzillo, Riccardo Pacifico, Angela Tagini. Milano: Raffaello Cortina, 2008, pp. LXVI+739, euro 75,00 (ediz. orig.: Psychodynamic Diagnostic Manual [PDM]. Silver Springs, MD: Alliance of Psychoanalytic Organizations, 2006)
2) Per Paolo Migone la questione della comorbidità rappresenta il vero tallone d'Achille dei DSM (2006, p.766).
Cesare Albasi
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