PSYCHOMEDIA Telematic Review
|
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA
Area: Psicopatologia
|
Coscienza ed inconscio dal punto di vista fenomenologico
Intervista a Georges Charbonneau
a cura di Anna Marrello dell'Istituto di Psicologia Università degli Studi di Urbino
Domanda 1
Nel dossier dedicato all'inconscio fenomenologico Lei afferma che parlare dell'inconscio fenomenologico significa parlare "di quella incoscienza oscura della coscienza, sufficientemente oscura da abolire la distinzione tra la coscienza e l'inconscio". Lei intende dire che i confini tra l'una e l'altro si confondono oppure l'inconscio è proprio compreso nella coscienza?
Risposta
Il discorso sull'inconscio fenomenologico concerne un momento dell'incontro con le cose, collocato prima di ogni cosa in quella tappa preparatoria alla possibilità di essere di noi stessi e delle cose. Nel mondo comune fatto di individualità (che hanno coscienza di esistere) e di cose (temi, idee, ecc.) quest'inconscio non appare. Esso è già acquisito ed è quindi silenzioso nel suo funzionamento. La psicosi è il luogo privilegiato nel quale questo inconscio fenomenologico può apparire. La dislocazione dell'unità del reale (equivalente alla perdita dell'evidenza naturale) che la psicosi costituisce, evidenzia il lavoro fenomenologico preliminare dell'essere che noi siamo (della nostra mente nelle scienze cognitive; la scorciatoia è un po' rapida ma effettiva). Questo lavoro sottolinea fondamentalmente due proprietà ontologiche: l'unità di noi-stessi / l'unità del mondo esterno e la Meità. Queste due determinazioni dell'essere che noi siamo sono già sufficienti a caratterizzare un qualcuno, un "chi", una pura ipseità. In tal senso questa idea di inconscio fenomenologico riprende contemporaneamente l'ontologia medievale (intesa da Heidegger come analisi della presenza) ed il lavoro trascendentale di Kant, che è un lavoro di configurazione preparatoria del mondo affinché questo sia intelligibile. E, per essere più preciso, riprendo questo concetto dalla filosofia di Ricoeur (da un'idea dell'inconscio trascendentale, un lavoro soggiacente della coscienza, che Ricoeur utilizza). Riprendo il concetto anche da una critica ispirata dall'ermeneutica della nozione di senso nascosto (la cui origine è riferibile senza dubbio ad U. Eco). Non c'è mai senso assolutamente manifesto, né assolutamente nascosto: di conseguenza, non possiamo dividere il cosciente (manifesto?) ed il nascosto (immanifesto?). Ciò passa attraverso una critica del naturalismo e del positivismo. Il problema dell'inconscio fenomenologico passa attraverso diversi livelli:
1) Ad un primo livello si tratta di dimostrare che la coscienza stessa è incosciente sotto diversi aspetti (potremmo dare a questo livello il nome di inconscio percettivo). Questo permette di discutere sotto una luce completamente nuova la distinzione tra coscienza e inconscio che, secondo la nostra analisi, è sovradeterminata. Questa distinzione è troppo marcata rispetto ai criteri fenomenologici. Possiamo definire l'incoscienza dell'inconscio quanto la coscienza della coscienza, non nel senso che non ci sarebbe un inconscio, ma nel senso che la coscienza non è mai distinguibile dal suo inconscio. La fenomenologia husserliana evidenzia che anche la coscienza non è interamente "cosciente"di ciò che si è determinata a vedere. Inoltre, nulla è davvero puramente cosciente. Non esiste un "pro-scenio"(la coscienza), dove si definirebbe una realtà indiscutibile delle cose o del mondo che potrebbe opporsi ad un "retro-scena"(l'inconscio?), che potrebbe conferirgli il suo senso nascosto. Il senso non è nascosto (incosciente?) né manifesto (cosciente?); il lavoro della coscienza consiste sempre nel mettere in luce attivamente qualcosa che non può avere senso naturalmente. Non c'è un senso naturale assoluto che si opporrebbe ad un senso nascosto (detto inconscio?).
2) Ad un secondo livello la questione dell'inconscio è relativa alla costituzione ipseica di noi-stessi (ipseica: modo ontologico della costituzione di sé, che si differenzia dall'identità Idem; proprio delle proprietà, dei caratteri, dei ruoli; l'idem è il proprio di quest'identità che noi possiamo impegnare ed in seguito abbandonare). E' proprio di questo polo di auto-riferimento ontologico del nostro essere che si tratta. In francese l'espressione "si tratta"esprime l'idea di raggruppare una problematica in modo che ci sia una unità ed una continuità di qualche cosa. Questo secondo punto possiamo isolarlo da quello dell'inconscio percettivo.
Domanda 2
Lei mette in relazione il preconscio freudiano con l'inconscio fenomenologico. Potrebbe dire qualcosa in più a questo riguardo? Che cosa intende dire esattamente quando parla di "struttura di ipseità"dell'inconscio fenomenologico che mancherebbe nel preconscio freudiano?
Risposta
Pongo poche cose in comune con l'inconscio freudiano che è un inconscio psicologico fatto di desideri, di rappresentazioni. Credo che si tratti di un'altra questione, totalmente differente, non necessariamente opposta. L'inconscio freudiano, anche per il solo fatto di utilizzare delle strutture d'azione ed il principio delle cose, richiederebbe anche esso queste strutture dell'inconscio fenomenologico. Penso che il sogno rappresenti la dislocazione parziale di alcune trame di questo inconscio. Se il sentimento di meità persiste nel sogno (inquadra il vissuto del sognatore che può ritrovarsi in qualunque ruolo ed avere il sentimento di essere proprio lui), il sentimento dell'unità del mondo esterno rimane ugualmente ma è continuamente minacciato. Ciò che è strano nel sogno è che lo stupore del sognatore è ridotto al minimo, mentre i contenuti del sogno sono formicolanti d'incoerenza; come mai il sognatore non diventa pazzo? Freud ha compiuto una parte di lavoro di delucidazione fenomenologica della condizione onirica, ma gli ha attribuito troppo in fretta dei contenuti precisi.
Per quanto riguarda il preconscio io penso che non siamo poi tanto lontani dall'inconscio percettivo. Ho lavorato un po' su questo concetto; ho avuto degli scambi con Laplanche, ma non conosco molto bene l'argomento dal punto di vista freudiano. Ciò che mi è sembrato mancare in questo preconscio è il luogo della coscienza di sé. La psicoanalisi sembra farne una sorta di macchina per vedere impersonale. Ma l'idea del preconscio è stata troppo trascurata dalla psicoanalisi.
Domanda 3
Come vede il rapporto tra l'inconscio fenomenologico e l'inconscio cognitivo? Hanno dei punti in comune? Se è sì quali? E quali differenze?
Risposta
Molti lavori sono stati compiuti a questo riguardo. In Fancia un esponente che ha elaborato una tesi su quest'argomento è Bernard Pachoud. Quest'ultimo è certo che modelli cognitivi (strutture di azioni di hardware?) possono riprendere in parte il discorso. Ciò che si può riprendere maggiormente di quest'inconscio è la formattazione dell'azione in strutture logico-sintattiche, che produce una sorta di struttura di evidenza della realtà. Il lavoro di riconoscimento dell'azione ed il trattamento dell'informazione (di tipo preconscio) può modellarsi in un modo cognitivo. Per quanto riguarda la struttura di ipseità io non vedo come potrebbe essere modellata nel paradigma delle scienze cognitive. La mia coscienza di continuità è qualcosa che nessuna macchina potrà acquisire per conto suo. Questa coscienza di sé non si può delegare.
Domanda 4
Lei parla di "una problematica"dell'inconscio fenomenologico: la costituzione "del"reale e non di "un"reale. Potrebbe dire qualcosa di più su questa "problematica"?
Risposta
Utilizzo un senso particolare del termine "una problematica". Una problematica è qualcosa che non è ancora raccolto intorno a se-stessa, che non ha ancora costituito un'entità definita. E' quello che accade anche nell'inconscio che lavora all'unificazione del polo (topoi) di ciò che noi siamo. Questo la contrappone chiaramente ad "una tematica"nella quale l'oggetto è definito. L'inconscio fenomenologico produce due cose: l'unità dell'esperienza (cioè, contemporaneamente l'unità del soggetto che costituisce l'esperienza e il carattere evidente ed insostituibile della realtà; in altre parole, la realtà della realtà) e l'appartenenza al Sé (Meità); nient'altro. Quest'inconscio fenomenologico non ha altri oggetti, né temi tranne che questa struttura di esperienza la quale permette che qualcosa appaia per qualcuno. E' prettamente prepsicologico poiché ogni esperienza di qualunque cosa richiede che le strutture prepsicologiche siano sistemate.
Notiamo che questa opposizione del problematico/tematico non fa che confermare quella del fenomenologico (pressappoco le strutture prepsicologiche) e dello psicologico. Questo richiede di ritornare ad una definizione più precisa del livello psicologico; è psicologico ciò che è nell'ordine dei contenuti, dei motivi, dei desideri, delle cause. Ed affinché ci sia questo gioco di relazione tra cause ed effetti c'è bisogno di una grammatica (la struttura fenomenologica, la struttura temporale) soggiacente.
Parigi, 10 Aprile 2001.
|