Eros melanconico e perversificazione
Riccardo Dalle Luche
Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, Riproduciamo in anteprima il testo di un intervento del dr. Riccardo Dalle Luche ad un Congresso tenutosi a Parma nel 2000. Un ringraziamento particolare al prof. Carlo Maggini per averci permesso di riprodurre il testo di un capitolo del volume degli Atti in corso di pubblicazione: Malinconia d’amore. Frammenti di una psicopatologia della vita amorosa, a cura di Carlo Maggini (Edizioni ETS,Pisa, 2001, pp 207-247).
Mario Rossi Monti e Antonella Di Ceglie 1.Immagini
“(...)
quello che serve a noi è qualcosa di forte, che spacchi ” (Max Renn,
visionando un film soft-core per una Tv privata in “Videodrome” di David
Cronenberg)
Le immagini dicono sempre molto di più delle parole
che sollecitano per interpretarle. In vista di questo intervento su un argomento di cui, nel
momento in cui si crede di sapere tutto, non si sa in effetti nulla –si
è sempre dei debuttanti quando si deve parlare d’amore come quando ci si innamora (l’amore ci trascende e ci spiazza, ci vanifica
come individui)-, mi sono tornate in mente le immagini della sequenza onirica
che Ingmar Bergman ha posto come introduzione ad uno dei suoi film più
belli e psicopatologicamente significativi, “Persona” 1: al termine di un incubo,
popolato da immagini di morte e di cadaveri, un bambino cerca con il palmo
della mano di toccare il volto di una donna (la madre?) proiettato su uno
schermo. Un gesto concreto, rivolto a sentire o, forse, a risentire le sensazioni legate ad un rapporto vivificante, un gesto ripetuto e protratto, che va a vuoto,
perché cerca di afferrare qualcosa che non c’è, che
è assente, non tanto perché l’imago materna è sepolta dalla rimozione, ma
perché nessuna immagine ha corpo. Si potrebbe discutere a lungo su chi rappresenti questo enorme volto
di donna, sullo schermo su cui il bambino fruga lentamente, sacralmente, in
effetti si tratta solo dei volti delle due attrici protagoniste che qui si
succedono insensibilmente, mentre nel film, per esprimere la natura simmetrica
e fusionale del loro rapporto, Bergman li farà sovrapporre. Che si
tratti della madre, o della madre in quanto prima femmina cui si rapporta il
piccolo d’uomo, o di ogni donna adulta che rinvia all’immagine
della madre, cambia poco. Più interessante è la sensazione che
trasmette il gesto di questo bambino, la matrice angosciosa della sua ricerca
che cerca di dare corpo ad
un’immagine esterna perché dentro di sé ha solo immagini
morte. Rivedendo alcuni film in vario modo legati al tema delle perversioni
sessuali e soprattutto delle relazioni perverse, sono stato colpito dal fatto
che in ciascuno di essi, negli amori impossibili, negli amori fusionali e nelle
storie di sesso perverso che raccontano, c’è una mano di un adulto
che cerca, allo stesso modo, con la stessa necessità e con la stessa
disperazione, sul e nel corpo del partner, di concretizzare quell’immagine: vediamo alcuni fotogrammi tratti
da “Bitter Moon (Luna di fiele)”, da “Crash”, da “La femme a côte (La signora della
porta accanto)”2.
Ciò che distingue un amore perverso da uno che non lo è, ammesso
che si possa fare questa distinzione, è, forse, proprio il farsi
dramma di un’immagine che non ricongiunge ma che separa
dall’oggetto d’amore;
contro questo diaframma oniroide, che il “normale” riconosce e
rispetta, il “perverso” ingaggia una lotta strenua, concreta,
ossessiva, coattiva, indifferente ai mezzi ed agli strumenti necessari per
infrangerlo o per coltivare l’illusione che ci sia qualcosa al di
là di esso, anche a costo di crearlo. L’infrazione di questo
schermo, al di fuori della creatività artistica che consente di
ri-simbolizzare l’angoscia del vuoto esistente tra l’assenza e l’allucinazione,
implica un diniego delle strutture (spazio, tempo, memoria) che formano le
immagini interne; la realtà deve essere percepita nella sua concretezza,
sia pure limitatamente alle relazioni erotiche, ed in questa intolleranza simbolico-rappresentativa
la perversione, come l’incubo, è vicina al delirio, seppure
paradossalmente ne difenda dovendo fare i conti con pezzi di realtà, per
adoperarli.
2. Introduzione
“(…) l’immaginazione
sessuale è illimitata
quanto a prospettiva e a forza metaforica
e non potrà mai essere davvero repressa (…)
Specialmente adesso che il sesso sta
diventando
sempre più
un’azione concettuale, intellettualizzata, lontana sia dall’affetto che dalla
fisiologia, si devono tenere ben
presenti i meriti delle perversioni sessuali.”
(Ballard J.G., La
mostra delle atrocità)
La nozione di “perversione”
è tra le più complesse, confuse e controverse dell’intera
psico(pato)logia, a causa dell’impossibilità di svincolarsi dal
riferimento ad una “norma sessuale” socialmente condizionata e
rapidamente variabile, cioè, in ultima analisi, di sottrarsi al campo
doxico (26). Il termine si colloca in una perenne ambiguità tra
deviazione e sovversione della norma, tra incapacità di adeguarvisi e
volontà di spostarne i limiti consensualmente ammessi, tra malattia e
fenomeno sociale e di costume innovatore, infine tra comportamenti disgiunti o
contigui alla normalità affettiva ed erotica. Alle influenze sociali si
sovrappongono in una continua circolarità quelle culturali: la
psicoanalisi ha monopolizzato la discussione scientifica nell’area dei
comportamenti perversi trasformandone lo statuto da vizio, devianza, indice di
degenerazione o di costituzione morbosa –paradigmi dominanti alla fine
del secolo diciannovesimo (42, 21, 61, 44) - psicologizzabili nei limiti del
concetto di Binet di “accident agissant sur un sujet
predisposèe” (15), in
una visione che valorizza in ogni comportamento perverso la componente
fantasmatica e il significato di difesa. Nel corso della sua evoluzione, la psicoanalisi
è tuttavia progressivamente slittata da una concezione delle manovre
perverse come difese dai derivati istintuali ad una che le riferisce al rapporto con l’oggetto del desiderio (56, 31) ed ha
spostato il suo assetto epistemologico dalla metabiologia alla metapiscologia
al campo relazionale transfert-controtransferale, nel quale il termine viene
usato in modo sovente idiosincrasico e senza alcun riferimento alla vita
sessuale (22). Nello stesso tempo l’area dei comportamenti perversi (o parafilici,
se si vuole - 5) ha guadagnato una progressiva visibilità sui diversi
canali mass mediali, creando un suo diffuso immaginario e un variegato mercato
(dai fumetti, alle videocassette, a Internet, ai club privèe) al quale è del tutto estranea ogni considerazione
di ordine psico(pato)logica. I comportamenti perversi possono essere
semplicemente considerati fenomeni antropologici legati al fatto che in
determinati periodi storico-culturali “certi modi di pervenire
all’orgasmo (o di tentare di pervenirvi)” siano più o meno
eccezionali, divenendo in questo caso “ripugnanti” per coloro che
fruiscono di modalità più diffuse e abituali (44). Banali excursus psicostorici ed un semplice sguardo alla letteratura
e l’arte libertina dei secoli scorsi (36) conferisce alla visione
psicopatologica delle perversioni una dimensione del tutto relativa,
storicamente e socialmente determinata. Scorrendo le liste delle pubblicazioni
più recenti su una qualsiasi Medline si coglie una tendenza a recuperare alla ricerca
clinico-biologica i comportamenti sessuali anomali e devianti (38,50); che tuttavia, se non sono
sottoposti al vaglio di rigorosi criteri euristici e definitori, danno
l’impressione di rappresentare un mondo variegato, eterogeneo e un
po’ folkloristico, non molto diverso dalla casistica di Krafft Ebing
(42), nella quale, ora come allora, è difficile cogliere il legame con i
fenomeni psicopatologici (vedi anche 44). In effetti il rilievo clinico delle
parafilie è relativamente raro nella pratica di ogni psichiatra (a partire
da Freud, che, forse per questo, privilegiò le fantasie perverse –34,35)3; se esse non si associano
ad altri disturbi psicopatologici, ha luogo soprattutto per mandato sociale o
forense (9), mentre se co-occorrono con altri disturbi sono per lo più transitorie,
poco esplorabili e decifrabili. Con
tutte queste riserve e nella convinzione che forse il termine perversione non
dovrebbe essere usato affatto, come del resto già fanno i principali
manuali diagnostici internazionali (5,69) e, in ogni caso, dovrebbe comunque
esserlo in modo connotativo e mai denotativo, l’immenso lavoro degli
psicopatologi della vita sessuale, e soprattutto degli psicoanalisti lungo
tutto il ventesimo secolo ha consentito di costruire una sensibilità
particolare nello psichiatra che con notevole frequenza si trova ad affrontare
dinamiche e modalità relazionali di tipo perverso nel contesto di
relazioni erotiche nelle quali possono o meno emergere comportamenti
parafilici. Nonostante la consapevolezza di trovarsi in un’epoca epistemologica
di passaggio, che mette bene in evidenza non solo l’apodittticità,
l’autoreferenzialità, l’inconsistenza,
l’oscurità e perfino la bizzarria di gran parte della letteratura
psicoanalitica, un secolo di psicoanalisi non può essere cancellato in
pochi anni. Su un tema come quello delle relazioni perverse, in assenza di
modelli esplicativi realmente nuovi, appare possibile solo introdurre
slittamenti discreti di significato rispetto alla matrice psicoanalitica a
favore di una riformulazione linguistica e concettuale improntata alla
chiarezza e all’aderenza alla clinica (che costituiscono i doveri di ogni
psicopatologia). Sia nell’ottica psicoanalitica che in quella
clinico-nosografica, l’amore perverso del titolo che mi è stato assegnato non esiste;
esistono infatti comportamenti sessualmente perversi (“parafilie” o “disturbi delle
preferenze sessuali”, con tutte le difficoltà definitorie relative
–24), che dell’amore non hanno la caratteristica essenziale,
cioè quella di essere una relazione, essendo piuttosto condotte anonime
e stereotipe a-relazionali se non antirelazionali (31). Esiste invece, e forse
sempre di più, in relazione al dis-ordinamento e alla liberalizzazione
garantista della morale sessuale ed all’omologazione dei comportamenti
sessuali maschili e femminili, la perversificazione dell’amore, vale a dire la distorsione ed il sovvertimento della
sua naturalezza legati all’amalgamarsi con le situazioni erotiche di
istanze relazionali e modalità difensive arcaiche e regressive.
3. Due esempi d’Autore
Per motivi che meritano attenzione e
stimolano le interpretazioni, il cinema d’Autore abbonda di riferimenti
alle pratiche e alle dinamiche perverse: sugli schermi sono state portate le
più diverse variazioni sul tema amore/morte o, se si vuole
Eros/Thanathos, non soltanto come “ingredienti” di genere, ma come
vicende narrative o apologhi di notevole fascino per lo sguardo accorto di uno
psicopatologo (29)4. In questa sede ho scelto due esempi
d’Autore che illustrano con grande chiarezza il senso psicopatologico del
feticismo e del sadomasochismo. Il primo esempio è tratto da “Belle
de Jour” (17) uno dei film
scandalosi di Luis Buñuel (un Autore nel cui cinema amour fou, feticismo e sadomasochismo sono ubiquitari e
straordinariamente verosimili tanto da rappresentare un materiale di studio di
enorme interesse per chi voglia occuparsi di perversioni e relazioni perverse
–24); il secondo è costituito dal melodramma “Bitter
Moon-Luna di fiele” di Roman
Polanski (57), un Autore anch’esso che più volte si è
cimentato sui temi del sadomasochismo, del feticismo e della psicosi (26) e che in questo suo film mette in scena
compiutamente la trasformazione di un innamoramento in una relazione
sadomasochistica simmetrica e irreversibile
a) Bella di giorno: il “sole nero” del
Duca necrofilo
L’avvenente moglie di un medico, Séverine
(Catherine Deneuve), seguendo una sua disposizione masochistica ed espiativa
che probabilmente le deriva dall’aver subito una seduzione infantile da
parte di un operaio, si prostituisce volontariamente in una casa di
appuntamenti parigina ogni pomeriggio. Diviene rapidamente la prediletta di
numerosi clienti perversi che sono attratti più dalla sua aria
impacciata e remissiva che dalla sua conturbante bellezza. In questo contesto
accetta l'invito mercenario di un misterioso e raffinato Duca (Georges
Marchal), che afferma, con un’espressione di fissa e cupa melanconia,
"nulla mi allieta come il sole d'autunno, il sole nero", una frase a
cui Severine fa eco, come condividendola, balbettando "il sole nero".
Séverine gli serve per una messa in scena necrofila in sostituzione
della moglie morta (forse uccisa da lui). Il Duca
la conduce nella sua residenza sontuosa sulla carrozza che simbolizza in tutto
il film il percorso autoterapeutico delle reveries masochistiche della donna. “Uomo d'altri tempi,
in cui era ancora vivo il culto dei morti”, la fa spogliare dal
maggiordomo e la fa stendere, immobile, nuda, con indosso una corona e un velo nero, in una cassa da morto5. Il rituale necrofilo appare un po’ confuso nella
versione ufficiale del film in cui l’impianto complessivo della scena
risente palesemente dei tagli della censura; l’episodio comprendeva
infatti originariamente una messa funebre nella cappella di famiglia su cui
troneggiava l’immagine di un Cristo di Grünewald (18). Non è possibile interrompere un perverso nel
bel mezzo della sua pantomima (in precedenza anche un ginecologo masochista si
era già arrabbiato quando dovette interrompere il suo rituale per
l’imperizia di Séverine). Così il Duca, che afferma di aver
posseduto una gatta di nome "Bella di notte", si arrabbia quando il
maggiordomo chiede se debba “introdurre i gatti” nel bel mezzo
rituale necrofilo, quando, Sèverine stesa nella bara, era già
immerso nelle sue recriminazioni rituali: "Ti
ho portato qualche asfodélo, ti piacevano tanto. Come sei bella! La tua
pelle è ancora più bianca, e i tuoi capelli ancora più
morbidi. Mia povera cara, che visino freddo, ricordi che appena ieri abbiamo
giuocato insieme, abbiamo riso e abbiamo cantato, e adesso sei qui e non dici
niente, immobile...spero tu mi abbia perdonato, non è colpa mia, ti
amavo troppo...". L’allestimento ha comunque buon fine, il Duca
può giungere al suo soddisfacimento facendo tremare la bara sotto cui
finisce a masturbarsi mentre continua il suo dialogo con la
“morta”: “adesso i tuoi occhi non si apriranno più, le
tue membra sono rigide e i vermi ti rodono il cuore, e questo odore di fiori
morti, questo odore ubriacante di fiori morti...i vermi ti rodono il
cuore..!”. Il rituale necrofilo funziona quindi in due tempi: una
prima parte che riattiva il ricordo nostalgico di un oggetto d’amore
morto, negandone la morte mediante la sostituzione con un feticcio, la seconda
che erotizza quegli aspetti ripugnanti (la decomposizione, la putrefazione
della carne) legati alla morte, in una sorta di libera aggressione al morto,
nella persona, si potrebbe dire, del suo feticcio; questo secondo aspetto mette
bene in evidenza il legame esistente, sia pure in una polarità
antinomica, tra perversioni ed ossessioni, essendo i temi della morte, degli
addobbi funebri, della putrefazione della materia tipici contenuti delle fobie
ossessive mentre l’attrazione per lo sporco, il decomposto e
l’amorfo una delle sorgenti di eccitamento più tipicamente
perverse (27,28) 6. Per la sua perfetta collusione masochistica e feticistica col rituale, Severine ne è affascinata e vorrebbe poterlo ripetere, ma il maggiordomo la liquida bruscamente dicendo che il Duca vuole che le ragazze reclutate vengano sempre sostituite. Perché possa funzionare il rituale deve escludere l’instaurarsi di una relazione continuativa; l’oggetto d’amore non può nè deve essere sostituito, deve mantenere il suo statuto feticistico perchè solo così può assolvere la funzione di alleviare concretamente il dolore depressivo garantendo l’illusione della negazione di un lutto e facendo da bersaglio per la rabbiosa aggressività del sopravvissuto.
b) Bitter Moon (Luna di fiele), o il destino degli universi fusionali“Luna
di fiele”, film tratto dal notevole romanzo di Pascal Bruckner “Lunes
de fiel” (16) nel quale
l’elemento “perverso” è maggiormente dettagliato e
sottolineato (26), mette invece in scena una situazione apparentemente reale e
normale, quella dell’innamoramento di uno scrittore (Oscar, Peter Coyote)
per una giovane ballerina (Emanuelle Seigner) “uno sconcertante miscuglio
di maturità sessuale e innocenza infantile”. Ben presto
nell’esplosiva situazione emotiva ed erotica che si produce, si immettono
comportamenti perversi (sadomasochisti, esibizionistici, scatofili) rivolti a
mantenere intatta l’apicalità emotivo-affettiva fusionale. Ma
è proprio nel corso di uno di questi rituali recitati collusivamente che
i due si rendono conto dell’insufficienza della funzione rappresentativa
(del play acting) a suscitare e
evocare l’acme fusionale e improvvisamente piombano nella noia (una
perversione non può integrarsi con le dinamiche relazionali, essendole
antinomica; la sua iteratività infatti funziona solo in una dimensione
di distacco che evita ogni coinvolgimento affettivo). A rivitalizzare la
relazione sono allora agiti rabbiosi e aggressivi (litigi furibondi, sentimenti
di gelosia e aggressioni delle possibili rivali da parte di Mimì, falsi
abbandoni, il ricorso da parte di Oscar a rapporti mercenari esterni alla
coppia etc.). Imprigionati dalla impossibilità di separarsi e, nello
stesso tempo, dalla necessità di mantenere in vita una relazione
agonizzante rispetto alle loro esigenze emotive, i due possono solo instaurare
dinamiche sadomasochistiche nelle quali Oscar fa la parte del sadico e
Mimì quella della vittima umile e compiacente (“posso sopportare
tutto pur di stare con te...ti prego, non mandarmi via, anche se non mi
ami!”). Ma anche questa soluzione non è stabile perché
comporta un progressivo incremento del sadismo di Oscar che giunge a far
abortire e liberarsi brutalmente della ragazza abbandonandola su un aereo
diretto ai Carabi. Oscar potrà così dedicarsi ad un
dongiovannismo sfrenato che ritrova nella quantità di effimeri incontri
sessuali un equivalente quantitativo dell’infinità emotiva
qualitativa dell’innamoramento per Mimì. La ragazza ricomparirà,
rovesciando a suo favore la relazione sadomasochistica in virtù dello
stato di impotenza in cui Oscar si ritrova a seguito di una lesione midollare
che lei gli provoca. Sessualmente impotente, incontinente e totalmente
dipendente dalle cure di lei, Oscar, suo malgrado, diviene il partner
masochista ideale per ogni sorta di vessazioni che lei gli infierisce:
“sei prezioso per me, più prezioso di quanto non lo fossi
prima”, gli dice. Ma anche quest’assetto sadomasochistico
rovesciato non è stabile perchè nella sua necessità di
essere agito (nella componente erotica) al di fuori della coppia, richiede la
collusione dei due nel coinvolgere altri partners e, consumata anche questa
possibilità, non resta loro altro da fare che mettere in atto un omicidio/suicidio. Questa vicenda, così perfetta
nella sua doppia simmetria di trasformazione dell’amore in odio e della
capacità della perversione di comporre l’uno e l’altro
facendoli coesistere, è emblematica di tutti gli amori nati sotto
l’egida saturnina della mutua riparazione narcisistica (di un lutto
preesistente ed originario); se l’innamoramento, col suo giuoco di
identificazioni proiettive ed il suo assetto fusionale, assolve perfettamente
questa funzione, molto problematica diviene la gestione della fase di
differenziazione e defusione dei partners che, dovendo gestire una ferita
narcisistica rabbiosa, necessariamente si immettono nel gioco sadomasochistico
di uccisione reciproca rituale, per riscoprirsi, nel sopravviverne, ancora
innamorati, cioè fusi; ma questa temporalità rituale e circolare
si avvolge su se stessa come una spirale che implode non lasciando più
alcun spazio di movimento relazionale imprigionando i due in un baratro
claustrofobico intollerabile. La perversificazione sadomasochistica che,
paradossalmente, serve a dimostrare che la relazione è ancora viva e
vivibile, in realtà finisce per strangolarla. Si giunge così alla
inevitabile separazione, poi alla ricongiunzione con una struttura
sadomasochistica vendicativamente invertita che, proiettando la coppia in un
futuro da trascorrere necessariamente uniti, la richiude in effetti in una spirale
destinata nuovamente all’implosione, cosa che nessuno dei due partner, di
fatto, può tollerare.
4. Gli universi perversi nelle teoresi psicoanalitiche
Oltre ai già citati problemi di obsolescenza
linguistica e concettuale, la precarietà dei modelli naturalistici
relativi a disturbi comportamentali il cui significato psicopatologico è
continuamente rimodellato dal variare della morale sessuale, com’è
avvenuto per l’omosessualità, trattata comunemente come una
malattia fino a pochi anni or sono (33,24,22), rende oggi fatico il pur
imprescindibile esame della letteratura psicoanalitica. In essa risaltano
peraltro contributi che conservano un notevole spessore fenomenologico e
teorico (Masud Khan, Bak, Chasseguet Smirgel, Lussier, Bach, Adair) e sono ben
evidenziabili alcuni leit motiv
che mantengono il loro valore nelle trasformazioni terminologiche succedutesi
nel tempo. Tentando di realizzare una revisione dotata di una qualche coerenza, gli elementi essenziali alla concettualizzazione psicoanalitica delle perversioni possono essere così riassunti:
a) “«Chi
scrive» diceva il testo del dottor Nathan «è arrivato alla
conclusione che il paziente metta in opera una peculiare relazione con gli
oggetti, basata su un continuo e irresistibile desiderio di fondersi con
l’oggetto stesso in una massa indifferenziata. La psicoanalisi, per
quanto non possa giungere a padroneggiare il meccanismo arcaico primario del
‘riavvicinamento’, è però in grado di occuparsi della
sovrastruttura nevrotica, guidando il paziente verso la scelta di oggetti
stabili e significativi. Nel caso in questione, bisognerebbe tener conto della
precedente carriera del paziente (pilota militare), e del ruolo inconscio delle
armi termonucleari nel processo di fusione totale e di indifferenziazione di
tutta la materia. Ciò contro cui il paziente reagisce è
semplicemente la fenomenologia dell’universo, l’esistenza specifica
di oggetti ed eventi indipendenti e separati, per quanto banali essi possano
apparire. Un cucchiaio, per esempio, lo offende per il solo fatto di esistere,
di occupare una porzione di spazio e di tempo (…) ” (J..Ballard, La mostra delle
atrocità)
Il perverso è, fin dalla prima infanzia,
incapace di separarsi dai suoi oggetti d’amore: né dal seno, né dalla madre, dal pene,
dall’amore super egoico (1), pertanto non può accedere alla
problematica edipica oppure, se lo fa, non può elaborarla, finendo per
disconoscere le differenze di genere e di generazione (20) e per essere
incapace di armonizzare il proprio sviluppo fisico-sessuale con una definita
identità di ruolo sessuale adulto. Il carattere arcaico, fusionale,
legato alle matrici psicofisiche della relazione d’oggetto, rende il
futuro perverso incapace di distaccarsi da tutti gli oggetti parziali e totali,
pena una sofferenza atroce e insostenibile; l’altro è sempre una
parte di sé conglobata o rispecchiata narcisisticamente, pertanto la
sua perdita è sofferta fisicamente come un’amputazione; l’assenza di distanza affettiva (e sovente
anche fisica) dai suoi oggetti rende impossibile il lavoro del lutto, spesso sostituito direttamente da gesti suicidiari o
da comportamenti equivalenti (ad esempio tossicodipendenze) (29). Il futuro perverso finisce per crearsi una
realtà fittizia in cui non devono esistere né perdite né
ansie di separazione o di castrazione, un mondo intermedio tra la soddisfazione
allucinatoria e l’accettazione della realtà garantita
dall’investimento masturbatorio dell’erotismo con un partmer
colludente (1). In questo mondo tutti gli oggetti sono intercambiabili e
scarsamente distinguibili l’uno dall’altro e niente è mai
definitivamente perduto (6,29). Purtroppo se niente si può davvero mai
perdere, niente può essere veramente ottenuto. Il prezzo che il perverso
paga per negare la castrazione, la perdita e la morte è quello di
rimanere imprigionato in uno stile di vita stereotipo che è condannato a
ripetere. Dove non c’è perdita, lutto e rinuncia non
c’è possibilità di uscita da un assetto ambivalente (6). I testi
di Sade, nel loro complesso (“La philosophie dans le boudoir”e “Les cent-vingt journèes du
Sodoma” nel modo più
completo e teoricamente avvertito –58,59) sono ritenuti paradigmatiche
esemplificazioni della strutturazione perversa, della sistematica e totale
equiparazione e confusione di ruoli e oggetti erotici, di un universo anale
indifferenziato nel quale gli orifizi erogeni si equivalgono, in cui non esiste
il divieto dell’incesto, né la distinzione tra il dentro ed il
fuori del corpo, tra la vita e la morte (20,6). Il perverso sostituisce un
universo pregenitale, fondamentalmente di marca anale, al mondo erotico dei
genitori, riduce al caos originario la legge del padre, che proibisce
l’ibridazione e la violenza (hybris) e che istituisce la barriera dell’incesto (20, 30). Tuttavia l’opera di Sade, come le più
recenti saghe degli universi perversi resi possibili dall’integrazione ai
corpi di ogni sorta di protesi o feticcio tecnologico (di cui gli esempi
maggiori sono dati dal cinema di David Cronenberg – 29- e Shinya
Tsukamoto -68), non sono che opere di fiction, nelle quale l’indistinzione tra realtà
ed immaginario rispetta ancora un ordine simbolico7. Le
concretizzazioni di questo mondo, nelle relativamente rare evenienze criminali
e, come intuì Pasolini (54), nella logica mortale dei campi di sterminio
(“Salò o le centoventi giornate di Sodoma”), traducono un cedimento delle funzioni simboliche
(41), ma, nonostante la loro esemplarità e clamorosità,
concernono solo occasionalmente l’attività psichiatrica (20, 9).
b) Ero scontento
delle
ragazze a pagamento così
ne inventai una meccanica
potevo
accenderla potevo
spengerla
con
lei mi sentivo molto
volitivo ma
ora di notte son tanto malinconico
era
soprattutto di plastica con
una bella pancia elastica e
il tono di voce monotono elettronico
aveva
una graziosa fessura che
adoperavo con disinvoltura
la
trattavo con molta indifferenza per
evitare una mia dipendenza ma
ora di notte son tanto malinconico
io
l’avevo costruita e
io l’avrei demolita se
non rispondeva all’apparecchio telefonico
un
brutto giorno il cuore le ho spezzato e
il pezzo di ricambio l’ho perduto
e
ora che lei m’ha detto addio in
pezzi ci sono andato io e
così di notte son tanto malinconico
(“54”,
in “Mi ami?”, di R.D.Laing)
Utilizzato come una protesi per aggirare i conflitti
preedipici o le angosce di morte e disintegrazione del sé (29), l’oggetto
perverso è un feticcio
impersonale frapposto tra il desiderio e il partner, ridotto a complice
collusivo (48): un feticcio non solo nel senso di un oggetto parziale inanimato
(morto) (anche corpo-oggetto o parte del corpo-oggetto) che ne evoca
magicamente un altro (un oggetto d’amore totale e vivo) 8 ma
anche di oggetto composito (48) (feticcio-oggetto
sé –29) nel quale si
giustappongono, come in un patchwork,
in un collage (48) componenti pregenitali
e genitali, parti di sé e degli oggetti di attaccamento (la madre e le
sue parti) ed anche modalità relazionali arcaiche9.
Grunberger (37) sottolinea la regressione anale implicata nella creazione de
feticcio che un inglobamento narcisistico secondario rende idoneo, come gli
oggetti sacri e le reliquie, ad essere adorato ed esaltato, ma anche a divenire
oggetto e strumento di attacchi aggressivi; più recentemente
l’oggetto perverso è stato piuttosto valorizzato nella sua componente
orale costituendo, come le sostanze di abuso, una mammella-pene dotata di
grande potere calmante, un balocco feticistico in grado di sostituire le
dinamiche affettive profonde con “accadimenti sensoriali immediati”
(46); è un oggetto che, differenziandosi dal partner in quanto figura
reale e presente, può essere tenuto a distanza, usato e manipolato, ma
che, una volta perduto o sottratto, rivela il suo potere strutturante il
sé del manipolatore. All’oggetto perverso (il feticcio) sono state
attribuite insomma una messe di funzioni diverse. Per Lussier (cit. in
30): 1) trionfa sulla castrazione,
salvando il proprio pene e quello della madre; 2) protegge
dall’esperienza di perdita depressiva e dell’angoscia di separazione
3) mette al riparo dall’omosessualità; 4) blocca l’accesso
alle ferite del corpo; 4) difende dall’aggressività pur
esprimendola; 6) nega la disintegrazione fecale affermando l’esistenza
dell’oggetto parziale; 7) offre il possesso del seno e il pieno dominio
sulla madre; 8) permette di autoilludersi; 9) si struttura come semidelirio per
proteggere dal delirio, 10) serve da chiave di volta della struttura della
personalità, proteggendo quindi dalla frammentazione. Per De Martis (30) le funzioni dell’oggetto
perverso (oggetto composito) sono: 1) E’ garanzia di stabilità
narcisistica; 2) Consente l’adempimento di una ritrovata
fusionalità (superando le angosce di castrazione e separazione); 3)
E’ altamente idealizzato; 4) E’ altamente sfidante; 5) E’ la
testimonianza di una duplice regressione, fallico-narcisistica e
sadomasochistica, poiché assicura il piacere di dominare e
dell’essere dominato; 6) E’ trasformista (le oche si tramutano in
cigni –scriveva Glover); 7) E’ conglutinante, riuscendo a cucire le
laceranti scissioni di base. In generale il perverso utilizza i suoi oggetti per
attuare manovre erotizzate difensive, riparative o vendicative rivolte al
diniego di parti conflittuali della realtà ed al ribaltamento magico
della minaccia della propria identità psichica o sessuale in un trionfo
di godimento (63, 19). In ogni caso il feticcio è un oggetto che si
presta a essere inventato, usato, abusato, saccheggiato, scartato e idealizzato
(48), garantendo l’illusione di autosufficienza rispetto alla dipendenza
oggettuale. Finchè c’è, l’oggetto perverso
rappresenta uno strumento difensivo formidabile, onnipotente, che garantisce la
piena integrità narcisistica del sé, ma quando viene meno lascia
un vuoto ineliminabile, un vissuto di apatia, di tedio indifferente (48), di
“morte psichica (deadness)”
(53), insomma la ballardiana “morte degli affetti” (10), oppure
diviene un persecutore, quando la frammentazione della funzione simbolica
(della pellicola-schermo della rappresentazione) e dei confini dell’Io,
aprono la strada a veri e propri scompensi paranoidi (29). Implicando un diniego parziale della realtà,
l’oggetto perverso può esistere soltanto come illusione, come
“quasi delirio che protegge dal delirio” (30, 49, 22, 9); la sua
manipolabilità gli assicura una fruibilità, sebbene solo sul
piano intermedio della sovrapposizione della rappresentazione alla percezione,
cioè del giuoco, o, meglio, del giuoco agito (del playacting -6). Questo statuto, che accomuna oggetto perverso e
oggetti della creazione artistica, facendo stabilire parallelismi tra
l’una e l’altra attività (49), rende ragione del carattere
spesso onirosimile della scena degli agiti perversi, e della confusività
masturbatoria in essa tra zone erogene e mete del soddisfacimento. Il passaggio
all’atto dei comportamenti sadomasochistici avviene infatti sovente in
uno stato di restringimento crepuscolare della coscienza, in una “foschia
erotica (erotic haze)” (6). Se
indubbiamente vi è nella ricombinatoria perversa un necessario
potenziale creativo (neosessualità secondo McDougall –49-, per la cui esemplificazione rimandiamo
ancora una volta all’opera cinematografica di David Cronenberg -29)10
e può dare vita, nei gruppi che condividono particolari pratiche, a vere
e proprie estetiche, mode e filosofie di vita (come nell’ambito dei
sadomasochisti consensuali –60,64- e nei cultori del tattoo e del piercing –pratiche che ritualizzano le infrazioni dei confini corporei-, e
del bondage –che
sostituiscono il legare al legame- etc.),
diversi autori (30) hanno sottolineato alcune caratteristiche anticreative della
scena perversa, quali la stereotipia, il concretismo e la povertà
simbolica, la coattività. E’ abbastanza ovvio che la ricerca e la
dipendenza fisica da un oggetto esterno indichi un difetto nel mondo interno,
“uno scacco della simbolizzazione”, “un vuoto nell’Io (Moi)” che deve essere “riparato o
padroneggiato nella scena sessuale perversa” (49). Anche Balier (9), in
un vasto campione criminologico di perversi (soprattutto esibizionisti), sottolinea la presenza più che
di angosce di castrazione di vere e proprie angosce di non esistenza e la
necessità di un riconoscimento da parte dell’altro che ha le sue
radici in gravi deficit integrativi del sè.
c) "Ciascuno uccide le cose che
ama/ alcuni uccidono l'amore da giovani/
altri quando sono vecchi/ chi lo strangola con la passione/ e chi
con l'oro/ i più gentili usano il coltello/ perchè il cadavere si raffreddi prima./ Ciascuno uccide le cose che ama/ alcuni amano poco altri troppo a lungo/ alcuni lo vendono altri lo comprano/ alcuni lo fanno piangendo/ altri senza neppure un sospiro/ così ogni uomo uccide le cose che
ama/ eppure nessun uomo muore."
Lysiana (Jeanne Moreau) in "Querelle de Brest" (1982) di Rainer Werner Fassbinder
-E’ stato ripetutamente sottolineato come la relazione
oggettuale del perverso soddisfi
l’esigenza di fusionalità e di intimità, di controllo
tecnico totipotente, presimbolico, arcaico e fascinatorio. L’oggetto
perverso può essere “idoleggiato” (48), vale a dire
idolatrato e feticizzato, ma al contempo anche disumanizzato e reso
inconsapevole strumento delle proprie esigenze narcisistiche (“tecniche
dell’intimità” secondo Masud Khan); non vi è
reciprocità nella relazione perversa, ma un coesistere di istanze
fusionali e distruttive, cioè un’ambivalenza diversamente modulata,
sia nel senso della seduttività (52), che della fascinazione
(51) che della collusione (del
contratto perverso –41), che rapidamente possono infrangersi per una
distruttività impulsiva. Per chi tenti di relazionarsi col perverso non
vi è alternativa tra i ruoli di complice o di persecutore, entrambi funzionali a difendere da insopportabili
angosce destrutturati oppure da una normalità che, privata di ogni
istanza grandiosa e magnificente, non può apparire che “scialba e
insipida” (41). La relazione perversa, nel suo precario equilibrio tra
narcisismo primario e dipendenza oggettuale, soprattutto quando riesce ad
aggirare o liquidare ogni divieto normativo e ogni limitazione, ad essere
cioè legittimata da una situazione sociale che minimizza o non riconosce
affatto l’ordine edipico, a creare, come l’artista, un universo
morale personale (4) di qualità superiore a quello normativo, ha una
funzione “baricentrica” rispetto alle due strade impercorribili
della psicosi e della normalità (29). Ciò che caratterizza queste
relazioni e le connota come perverse (differenziandole da quelle nevrotiche)
sono i mezzi e gli artifici che consentono di mettere in atto le fantasie
sovrapponendole alla realtà; la strada più facilmente
percorribile è quella della feticizzazione dell’altro, oltre a
rappresentare l’oggetto primario, è di fatto reso inumano per
poter essere “controllato, immobilizzato, messo in condizione di non
poter mai sorprendere” (41) e di non essere mai perduto. Nell’“ordine
feticistico” l’altro è un supporto indispensabile per la
sopravvivenza dell’Io (9). Ma anche nei pazienti nevrotici le difese
perverse, indipendentemente dal fatto di essere sessualizzate o no, hanno un
valore vitale nella gestione degli affetti, dell’autostima e delle
relazioni intersoggettive (22) e rappresentano meccanismi fondamentali per
creare i “rifugi della mente” evidenziati ubiquitariamente nella
patologia da Steiner (62).
d) SAINT-ANGE:
“Per cortesia, un po’ di ordine in queste orge; ne occorre anche nel delirio e
nell’infamia. ” (Sade, La philosophie dans le boudoir)
-perversione e ossessioni: Quando la sovversione perversa si dà un
proprio ordinamento stabile, preserva dall’ansia e dalla depressione, e
quindi si sottrae allo sguardo indiscreto e sanzionante (dal punto di vista del
perverso) dello psicopatologo. Nelle parole affascinanti di Baudrillard ( 12)
il perverso “sfugge alla legge per abbandonarsi alla regola (…)
è la regola, non la sregolatezza” che accomuna i due membri del
patto perverso, all’interno del quale è possibile ogni
trasgressione, ma non “l’infrazione della Regola”. La regola
instaura una serie di segni convenzionali, una logica artificiale e iniziatica
estranea al mondo reale, un giuoco che si sottrae sia al principio del piacere
che a quello della realtà.
E’ nell’impianto ossessivo che sostituisce la Regola (la
codifica, le enumerazioni etc.) alla Legge, ben evidente, oltre che
nell’opera di Sade (58,59), in quella cinematografica di Peter Greenaway
(27,28), che la perversione evoca forti analogie con l’universo anale
deanimato e simbolicamente impoverito dell’ossessivo-compulsivo. La
ripetizione e la ritualità, i cerimoniali e la cura dei dettagli
caratterizzano entrambi, tuttavia il mondo erotico dell’ossessivo è
totalmente asservito alla legge e ai divieti, così come quello perverso
vi si sottrae, più che trasgredendoli, negandoli. Non casualmente i temi
ossessivi, quando sono sessuali, sono perversi e, non potendo essere agiti,
costituiscono l’oggetto delle più tenaci difese (28). Queste
affinità fenomeniche, ed alcune segnalazioni di una risposta agli stessi
trattamenti farmacologici hanno suggerito di includere le parafilie nello
spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi (38, 50, 28). Il perverso può anche conservare tratti
ossessivi scindendosi in due mondi: nel primo accetta il sistema di regole del
giuoco perverso, nell’altro si attiene alla legge ed alle norme
convenzionali (31). Vi sarebbero quindi due tipi di perversi, uno che si
dichiara e si ostenta pubblicamente in modo esibizionistico. narcisistico e
grandioso, l’altro che invece mostra una facciata di assoluta
normalità (e spesso di moralismo), come il ministro vittoriano che fu
trovato a flagellare le prostitute nei bordelli (ed è forse questo il
vero perverso, sadico e crudele tanto più quanto più innocua e
insospettabile è la sua “facciata”, tanto più
ossequiosa e scrupolosa la sua moralità ostentata).
e) Sei insostituibile. Per questo è dannata Alla solitudine la vita che mi hai dato. E non voglio essere solo. Ho un’infinita fame D’amore, dell’amore di corpi
senz’anima.
(Pasolini P.P., Supplica a mia madre, da
“Poesie in forma di rosa”, 1961-4)
-perversione e melanconia: Nel lavoro chiave per la comprensione psicoanalitica
delle perversioni, “Il feticismo” (35), Freud parla del meccanismo di scissione e diniego
parziale della realtà sia in relazione alle angosce di castrazione
(assenza del pene nella madre), sia, in due esempi minori, in relazione al
lutto per la perdita del padre. E’ curioso che lo stesso Freud e la
letteratura psicoanalitica successiva abbiano trascurato a lungo questa doppia
funzione del feticismo, in quanto operazione mentale comune alla perversione e
alla melanconia. Grunberger (37) ne ha forse per primo sottolineato
l’assoluta aspecificità in quanto “l’intera vita
psichica è governata da un incessante movimento dialettico tra la
percezione e la non percezione (…) il sogno e la realtà, il
razionale e l’irrazionale, la visione oggettiva e la prospettiva
narcisistica” Ogni adulto, ad esempio, sa di essere mortale ma si
comporta come se fosse immortale, e lo stesso processo del transfert implica la
convinzione simultanea dell’identità reale e simbolica del proprio
analista (37). La letteratura più recente ha reso giustizia a questa
universalità dimostrando come castrazione e separazione possano entrambe
essere aggirate mediante il meccanismo della Verleugnung feticista (1, 30, 47). “In certi casi si
può pensare che la nullità dei genitali (della madre) sia una
metafora corporea di una serie di perdite evolutive culminate nella paura che
non ci sia nessuno da amare o da cui essere amato (…) dietro lo schermo
del rapporto (relatedness)
tecnico.” (6). Appare sempre più scontato che meccanismi di tipo
feticistico siano impiegati per rendere accettabili alcuni fatti universali
della vita, quali “il riconoscimento del seno come oggetto massimamente
buono, del rapporto sessuale tra i genitori come atto massimamente creativo,
dell’ineluttabilità del tempo e, alla fine, della morte”
(Money Kyrle, cit. in 62). L’identificazione delle dinamiche melanconiche e feticistiche è stata raffinatamente sviluppata da Giorgio Agamben (2) in un’analisi -nella quale le teoresi psicoanalitiche sono viste nella loro continuità psicostorica ed antropologica con la psicologia patristica, scolastica e neoplatonica: “l’ambizione specifica dell’ambiguo progetto” del malinconico consiste nella “capacità fantasmatica di far apparire come perduto un oggetto inappropriabile”. Infatti, “ricoprendo il suo oggetto coi funebri addobbi del lutto, la malinconia gli conferisce la fantasmagorica realtà del perduto; ma in quanto essa è il lutto per un oggetto inappropriabile, la sua strategia apre uno spazio all’esistenza dell’irreale e delimita una scena in cui l’io può entrare in rapporto con esso e tentare un’appropriazione che nessun possesso potrebbe pareggiare e nessuna perdita insidiare”. Concepita come “un processo erotico impegnato in un
ambiguo commercio coi fantasmi”, la strutturazione (difensiva)
melanconica ha dunque la funzione di rinviare all’infinito il lavoro del
lutto mantenendo l’oggetto d’amore nell’ambiguo statuto di
vivo e morto nello stesso tempo (33, 6). In questo, la malinconia,
nell’analisi di Agamben condivide la Verleugnung col feticismo: come l’assenza del pene materno
viene, secondo Freud (35), simultaneamente negata ed affermata
dall’assunzione di un feticcio, così, nella malinconia,
l’oggetto non è nè reale nè irreale, nè
affermato nè negato, nè ”appropriato nè perduto, ma
l’una e l’altra cosa nello stesso tempo” (2). Pur nella completa sovrapposizione formale dei meccanismi fantasmatici, perversione e melanconia si differenziano per il fatto che solo nella prima si manifestano obbligatoriamente nella sfera erotica, rendendole particolarmente “visibili” nei comportamenti. Gli psicoanalisti si trovano costretti a postulare l’evenienza di una “sessualizzazione” immaginaria infantile (a seguito di “attenzioni erotiche di adulti o per una particolare eccitabilità personale” –31)11. Ma si può forse pensare al ruolo quantomeno favorente di elementi presenti nella vita adulta, quali, molto banalmente, la bellezza fisica (secondo lo stereotipo del bello/a e perverso/a), o particolari fattori educativi o situazionali, che consentono o facilitano la messa in opera della “sessualizzazione” (o “erotizzazione”) di dinamiche melanconiche. La sessualizzazione è una strategia di potere che richiede una predisposizione, delle potenzialità (tra cui un adeguato “physique du rôle”) e l’acquisizione di abilità tecniche il cui raggiungimento rappresenta una fonte di gratificazione narcisistica. Non è altro che un processo tipicamente premelanconico di iperidentificazione ad un ruolo, di riduzione di sé a feticcio, del proprio agire a tecnica. Com’è particolarmente evidente nelle cosiddette “perversioni femminili” (39) il primo feticcio-oggetto sé del perverso è infatti il proprio corpo, distanziato ed usato intenzionalmente come strumento privilegiato di piacere e di potere, curato, abbigliato, idolatrato e idoleggiato, ma anche manipolato, aggredito, abusato e mutilato. Vi sono,
ovviamente, perversioni del tutto indipendenti dai processi melanconici (post
traumatiche, legate ai disturbi dell’identità di genere, a
specifiche problematiche sessuali o anche solo uro-genitali), ma la differenza,
formalmente e fenomenologicamente, viene meno quando il processo melanconico
nasce o si esprime nel contesto di relazioni erotiche. L’utilizzo della
“sessualizzazione” delimita un’area di confine, una nicchia o
enclave all’interno dei
disturbi dell’umore e dei suoi precursori, parzialmente sovrapposta a
condizioni personologiche di tipo narcisistico, istrionico, borderline.
5. Dalla normalità alla patologia: l’innamoramento, l’ amore ed i suoi fallimenti
(Lui): vedo che ti interessi alle
notizie, a cosa accade nel mondo. (Lei,
ricoverata in clinica psichiatrica per una depressione): No! Ascolto le canzoni
perchè dicono la verità. Più
sono stupide e più sono vere, e poi non sono stupide. Che dicono? Dicono:
“Non devi lasciarmi” “Senza di te non c’è
vita” “Senza di te sono una casa vuota” o “Lascia
che diventi l’ombra della tua ombra”, oppure “Senza
amore non siamo niente”
Da
“La femme a côtè (La signora della porta accanto)” di
F-.Truffaut
Su un
piano strutturale esiste quindi un ampio margine di sovrapposizione tra
modalità relazionali perverse e strategie difensive antidepressive che
viene sottovalutato dagli psichiatri sia perché non lo esplorano, sia
perché lavorano sempre a posteriori, ricostruendo gli eventi antecedenti
il tipo di manifestazione sintomatologica, mentre gli psicoterapeuti si trovano
più spesso a seguire gli eventi durante il loro svolgimento,
concettualizzandoli su un piano personologico. Nel tentativo di integrare
psicodinamica e clinica denominiamo l’astratto soggetto preclinico, il
typus ideale che non può tollerare le separazioni, “melanconico” e vediamo che cosa gli succede quando si
innamora. Come ogni essere umano egli dovrà soggiacere al decorso di
ogni amore degno di questo nome: -la fase della scoperta di essere innamorato, un evento sempre discreto cui
ben si applica la dizione di “colpo di fulmine”; -la fase fusionale dell’innamoramento nella quale l’identificazione proiettiva sembra
annullare le differenze tra i partners e la diffusione dei confini corporei
estende le potenzialità erogene della coppia; per il suo carattere
regressivo, arcaico, immerso nella matrice pulsionale indifferenziata che
fornisce l’energia per trasformare e rivoluzionare le relazioni
preesistenti ricostituendone di nuove (“stato nascente” secondo
Alberoni –3-, “Being in love” secondo Bak -7), l’innamoramento ha
caratteristiche ben descrivibili, ricorrenti ed in ultima analisi comuni a
tutti gli uomini. -la progressiva defusione che porta allo stabilirsi di
una relazione duratura in cui i due partners si riconoscono diversi e
separati anche se uniti da sentimenti
fondamentalmente positivi e coesivi; è in questa fase di
differenziazione che i diversi individui ritrovano ed evidenziano le loro
peculiarità personologiche; il passaggio dall’innamoramento
all’amore richiede la capacità di stare soli, di vivere i
sentimenti in assenza dell’oggetto e indipendentemente dalla componente
sensuale, insomma di tollerare la frustrazione e il rarefarsi dei momenti
emozionali apicali; -infine, prima o poi, la separazione, evento ineluttabile se non altro perché la
coincidenza della morte è un evento naturale decisamente raro. Non
diversamente dalla fase successiva all’innamoramento, ma in modo
più intenso e definitivo, il lavoro del lutto testimonia della
potenzialità personologiche dell’individuo (si potrebbe dire dimmi
come elabori il lutto e ti dirò chi sei).
La
sequenza, pur nell’indeterminatezza della durata delle diverse fasi
successive ai momenti puntiformi della scoperta di essere innamorati e della
separazione dall’oggetto d’amore, mostra come ogni dinamica amorosa
si svolga secondo una temporalità lineare rispetto alla quale il
soggetto “normale” si sincronizza evitando così ogni
complicanza psicopatologica. Al contrario la temporalità vissuta dal
melanconico è fin dall’inizio distorta: per il melanconico,
plasmato su una peculiare strutturazione emotivo-affettiva costituzionale,
spesso rinforzata da perdite, abbandoni, incuria genitoriale (reali o
fantasmatizzati nel corso dell’infanzia), ogni amore ha a che fare col
restauro di un oggetto morto (restauro nel senso di ridare vita ad un oggetto
perduto evocato da quello ritrovato –vedi anche Bak, 7) e successivamente
con la necessità di tenere in vita un oggetto che lentamente perde
lucentezza e muore. La scoperta di essere innamorato è per lui non un
fatto nuovo, ma un ricordo, una reminiscenza: è il ritrovamento e la
concretizzazione di un’immagine interna di un oggetto d’amore
totale, vissuti con assoluta certezza soggettiva, come una percezione
delirante; questo comporta l’attribuzione proiettiva all’amato di
qualità che egli evoca ma che difficilmente possiederà totalmente
e l’esigenza illusoria di poter condividere con lui ogni oggetto del
proprio mondo interno, ogni costituente nucleare del sè. Questa fase di rispecchiamento narcisista ed
idealizzante, comune a gran parte degli innamorati (nell’innamoramento
l’oggetto d’amore è totalmente buono –3), è,
per il “melanconico”, completante ed abbagliante e non può
incrinarsi se non a prezzo di una discontinuità catastrofica. Se
l’oggetto d’amore non è tutto, allora è niente: re
Mida alla rovescia, il “melanconico” rischia di togliere ogni
valore a ciò che tocca, se solo questo si mostra nella sua imperfetta
veste umana. Ma poichè il
melanconico agisce quello che fondamentalmente è un processo interno
autoterapeutico, l’”uccisione rituale” dell’oggetto
d’amore equivale ad un atto autolesionistico e comporta lo svuotamento e
l’annichilimento del sè. Il
grande nemico del “melanconico” è il tempo che, consumando
ogni investimento e spengendo la brillantezza emotiva e sensuale della fase di
innamoramento nella quotidianità dell’abitudine, introduce
inesorabilmente la dimensione della separazione all’interno delle coppie
più fusionali. La perversione melanconica in ultima analisi nasce da un
problema di omeostasi narcisistica, cioè di impossibilità di
passare dal tempo dell’innamoramento a quello della convivenza, dal tempo
della festa a quello dei giorni feriali, da quello della fusione al tempo della
differenziazione13. I sentimenti di noia traducono l’iniziale
asincronia tra tempo oggettivo e soggettivo: questo, distaccandosi dal flusso
del presente, inizia un percorso di va e vieni tra passato e futuro: frasi come
“Com’era bello quando…” che traducono la nostalgia dolorosa del ricordo, e
non il suo piacere (47), oppure “Tutto sarà come prima..” che pretende di ricomporre in un futuro impossibile
un passato perduto, la ricerca di rassicurazioni -la domanda lainghiana (43),
tanto banale quanto essenziale, “Mi ami?” “Mi ami
davvero?”- una domanda che in
fondo non ha alcuna risposta-, improvvise idee di gelosia che, per quanto
immotivate, traducono la percezione di un’evenienza impossibile nella
fase di innamoramento (3), ed invece ora divenuta possibile, rappresentano le
avvisaglie di una separazione emotivo-affettiva che va evitata ad ogni costo.
Costretto all’illusione di un tempo eterno non può vivere il
presente ma solo l’alternativa tra la nostalgia e la demoralizzazione;
per evitarla è costretto ad inventarsi una temporalità
artificiale che soggiace e sostiene la perversificazione della relazione
d’amore considerabile un sistema antidepressivo e antievolutivo
organizzato (51), una titanica
(narcisistica) lotta contro il divenire. Le figure di questa continua
ricostruzione nella distruzione, di questa ricostituzione nella
destrutturazione sono proprio le figure portanti di ogni perversione, il sadomasochismo e il feticismo.
a)
Le dinamiche sadomasochistiche
ritualizzano il gioco degli investimenti e della loro distruzione: si attacca
l’altro per ogni minima mancanza per poterne percepire la presenza, la
consistenza e l’integrità; il passaggio all’atto delle
dinamiche sadomasochistiche è un evento catastrofico tutto o nulla che
ristruttura la temporalità del melanconico facendo riapparire come
presente qualcosa che sembrava perduto. Detto in altri termini il melanconico
si trova nella situazione paradossale di dover uccidere l’oggetto
d’amore ogni volta che non assolve la funzione di oggetto totale della
quale necessita e da cui dipende, per poterne constatare
l’indistruttibilità, risentirlo vivo e potersi riunire a lui.
Queste paradossali modalità di attaccamento del melanconico una volta
estroflesse ed accolte dal partner instaurano un regime sadomasochistico. Tipicamente, come scrive Bach (6), il partner che incarna il ruolo di masochista dice: “«Farò quello che tu vuoi, ma non lasciarmi» e il «quello che vuoi» è sentito come piacevole perchè significa che il partner è sempre con lui. (...) da parte sua il sadico proclama «Posso fare tutto quello che voglio e tu sarai sempre qui». Il sadico nega i bisogni del suo oggetto sopravvalutando l’importanza delle sue scariche istintuali, mentre il masochista nega i suoi bisogni pulsionali sopravvalutando l’importanza del suo attaccamento all’oggetto. Poichè il sadico e il masochista spesso sono la stessa persona (...) il sadomasochismo può essere visto come un’oscillazione patologica tra la sopravvalutazione delle pulsioni e la sopravvalutazione dell’oggetto. Sia nel masochista che nel sadico, aggrapparsi all’oggetto ha tipicamente la meglio rispetto al lasciarlo andare a causa dello stadio di incompleta separazione a cui il sadomasochista è fissato: lasciare andare significa lasciare non solo l’oggetto ma anche una parte di se stessi. E’ per evitare questa perdita che il sadomasochista fugge dal mondo reale della dipendenza a quello immaginario dove può giuocare il falso giuoco dell’oggetto e del sè idealizzati.” (6)12. Il
reiterarsi di queste dinamiche introduce nella coppia discontinuità
discrete (40) nella discontinuità analogica della defusione, finendo per
provocare sul piano reale quello che cercano di evitare su quello fantasmatico,
cioè la separazione. Dalla
continua instabilità tra separazioni e riunioni si giunge alle fase in
cui né l’una né l’altra sono più possibili:
uno stallo, una giustapposizione di momenti temporalmente inconciliabili ben
descritto dall’enunciato paradossale “Né con te né
senza di te”. E’ questa
la fase in cui, non essendoci più le condizioni di possibilità di
una relazione tra i due partners, è facile il passaggio ad agiti esterni
alla coppia, ad esempio mediante il coinvolgimento di altri partners,
strumentale a ristabilire un equilibrio narcisistico al prezzo di continui
attacchi distruttivi; il vissuto di completezza e totalità un tempo
garantita da un unico partner viene ad essere sostituito da una
molteplicità potenzialmente illimitata di relazioni momentanee con altri
partners. Il paradosso delle dinamiche sadomasochistiche è dato dal
fatto che non è più l’eros a garantire una riunione, ma
l’aggressione, secondo l’enunciato: “Sei ancora mio/a
perché solo io posso farti così male”; il piacere dell’odio ha la stessa
funzione di ricostituzione fusionale del piacere erotico, cambiato di segno
(infatti l’indice affettivo della fine di un amore non è
l’odio, ma l’indifferenza). Quando i comportamenti sadomasochistici si cronicizzano, assolvono la funzione paradossale di mantenere unita una coppia che altrimenti si separerebbe. Si può allora pervenire all’attivazione di dinamiche sadomasochistiche estreme che paradossalmente uniscano la coppia non più nella vita ma nella morte: tentativi di suicidio, suicidi a due, omicidi-suicidi, suicidi “legano” a vita coppie destinate alla separazione. La morte volontaria di uno dei partner è resa possibile dall’attualizzazione del fantasma di riordinare la temporalità pervenendo all’eternità mediante un gesto discreto e istantaneo. Nel suicidio il soggetto si identifica perversamente con l’oggetto e, uccidendosi, lo uccide nell’illusione (sorretta evidentemente da un deficit simbolico) di una fusione permanente con lui, che gli ridarebbe la vita.
b) Il feticismo evoca un’assenza e nello stesso
tempo provvede magicamente a sostituirla. Le dinamiche feticistiche di mantenimento in vita di un oggetto d’amore
morto sono facilmente comprensibili se si fa riferimento agli apparati
sepolcrali per il culto del morti. Nelle società arcaiche il defunto
veniva seppellito con le sue cose più preziose, come se ancora potesse
adoperarle e gli dovessero essere utili, in una illusione di vita eterna. Oggi
si pongono sui sepolcri, soprattutto sui sepolcri di bambini o giovani, oggetti
simbolici (giocattoli, soprammobili), oppure un motto simbolico caro al morto
che ne riassuma la filosofia di vita; ma è soprattutto l’uso dei
fiori recisi, l’immagine fotografica del defunto (spesso colto in un
momento di particolare vitalità), a garantire l’illusione di una
presenza nell’assenza (che taluni sopravvissuti, valorizzando il dato
immaginario rispetto al simbolico, sfruttano per realizzare monologhi
dialoganti). Un apparato simbolico concretizzato, un oggetto significante, un
feticcio, insomma, grazie all’attivazione immaginaria della memoria
affettiva, nega ritualmente e temporaneamente la perdita rendendola meno
dolorosa. Tutto questo non potrebbe realizzarsi su una tomba sciatta e
trasandata; il rituale feticistico necessita di una perfezione che favorisca
l’illusione percettiva concretizzando il diniego. Niente deve alludere
alla decomposizione, alla degradazione, all’entropia della morte. L’utilizzazione di questi meccanismi non
è effettiva ed efficace solo a perdita avvenuta (per morte, separazione
etc.) ma anche durante il corso di una relazione protratta che sarebbe vissuta
come morta se non ritrovasse periodicamente vita con modalità
feticistiche; di un amante svalutato/o si reinveste periodicamente il corpo o i
suoi attributi, alcune qualità parziali, alcune situazioni che si
possono vivere con lui/lei. Il feticismo riattiva la memoria affettiva
attraverso un procedimento rappresentativo immaginario: la ritualità e
la perfezione di questi momenti puntiformi (i “momenti perfetti”),
che evocano la completezza fusionale dell’innamoramento, rendendo, sia
pure momentaneamente presente un assenza, rappresentano modalità
essenziali per mantenere in vita una relazione che ha perduto la sua
naturalezza sincronica; ne sono una prova le crisi che si verificano quando
questi meccanismi rituali vengono dimenticati o trascurati o sbagliati nella
loro realizzazione, generando un effetto simile a quello della tomba
trascurata, che evoca la decomposizione piuttosto che l’integrità
del corpo, il nulla piuttosto dell’eternità per la quale è
costruita. La caratteristica delle relazioni erotiche perverse
è quello di richiedere un perfezionismo ed un’estrema esigenza
esecutiva dal punto di vista qualitativo che richiama alcuni tratti
caratteristicamente ossessivi (33,48). Ma anche le continue richieste
“isteriche” di attenzione traducono l’operare di un meccanismo
di feticizzazione di rapporto. Queste
coppie si reggono dunque non più tanto su un investimento reciproco,
operante e co-operante sul piano del reale, quanto sull’investimento di
oggetti o situazioni che, se attinte e realizzate con successo, hanno il potere
magico di riattivare nella sua completezza il fantasma dell’oggetto
d’amore totale della fase dell’innamoramento. Se le dinamiche sadomasochistiche, rendendo la vita
impossibile ai membri della coppia, e tendendo ad espandersi per mantenere la
loro efficacia, conducono di regola a ciò che in effetti,
paradossalmente, miravano ad esorcizzare, cioè la separazione affettiva,
quelle feticistiche al contrario mantengono in vita, in un universo costretto
continuamente all’artificio creativo, coppie che altrimenti si
separerebbero. Se tuttavia uno dei due partners si sottrae a questo giuoco
conservativo, l’altro prontamente pone in atto dinamiche
sadomasochistiche.
c) Una volta pervenuta alla separazione il melanconico
tende a ripeterla. Infatti vivrà secondo una ciclicità della
morte e della rinascita in
concomitanza del ritrovamento, dell’uccisione rituale, della sostituzione
e del rinnovamento degli oggetti d’amore, la cui componente mortifera e
ritualizzata è de-negata dalle dinamiche di “richiamo e di speranza
che contraddistinguono la tecnica dell’intimità” (48),
cioè dall’illusorio alibi di volervi porre fine. E’ questa
l’origine della cosiddetta instabilità affettiva che altro non
è che una forma perversificata di continuo cambiamento di oggetti che possano
almeno temporaneamente evocare l’oggetto d’amore totale; la
“quasi autonoma struttura difensiva dell’Io” in questi casi
rappresenta una “delle più inattaccabili resistenze al cambiamento
e alla cura” (48) ed il fatto questi pazienti non possano separarsi dai
propri oggetti si riflette sul piano endopsichico sulla loro incapacità
di differenziarsi e separarsi dai propri punti di vista e di sviluppare una
consapevolezza prendendo una prospettiva diversa sui propri processi di
pensiero (6). Questi
stili di vita affettiva, sono talora rivestiti di una giustificazione
ideologica (opzione libertina), più spesso sono coperti da
conflittualità nevrotiche frammiste ad un parziale diniego della
realtà (ad esempio viene ignorata sistematicamente la personalità
del/della partner).
d) C’è poi quella che è
classicamente ritenuta la forma atemporale par excellance della melanconia, e cioè l’astoricità
del blocco vitale delle fasi
clinicamente melanconiche, sia che esse si esprimano col blocco/arresto
psicomotorio (come soprattutto nelle epoche preterapeutiche), sia, come vediamo
oggi, con un’apatia/abulia che traducono l’arresto di ogni
vitalità e creatività: periodi in cui il tempo cronologico
è completamente disgiunto da quello interiore, che del resto è un
non-tempo, una radicale impossibilità di sincronia. E’ esperienza
comune che fasi di questo tipo siano scatenate da un lutto o dalla rottura di
un rapporto sentimentale, soprattutto quando il soggetto rinuncia a porre in
atto le difese perversificanti sopra descritte. L’individuo, rinunciando
ad ogni illusione, fa proprio l’insopportabile dato di realtà
ponendosene fuori in virtù dell’arresto del divenire vitale. Come il
lutto di chi si rifiuta di far uso degli espedienti simbolici funerari è
più protratto e doloroso, così la melanconia clinica ci indica
quali catastrofiche conseguenze possano nascondersi dietro il non-uso dei
meccanismi perversificanti. “Non è sbagliato paragonare
l’ambivalenza sadomasochistica a quella della persona con un lutto
patologico, che oscilla tra il credere che l’oggetto d’amore sia
morto e che sia ancora vivo, rendendo impossibile il lavoro del lutto”
(6).
Come tutti sanno, e come Alberoni (3)
bene sottolinea, l’innamoramento è un fenomeno destinato ad
estinguersi e a trasformarsi “nel regime di certezze quotidiane che chiamiamo
amore”, è uno luogo edenico da cui non si può che essere
continuamente scacciati (…) ogni innamoramento che dura a lungo (…)
non può che costruirsi nell’immaginario, non può che durare
nell’immaginario”14. Solo taluni sistemi
socio-culturali, tra i quali principalmente quello ebraico-cristiano, grazie ad
un complesso sostegno simbolico ed immaginario, ne propongono e ne impongono la
continuazione in una relazione monogamica duratura in cui devono convivere esigenze
di stabilità affettiva ed un soddisfacimento sessuale fondato e
fondatore del primato genitale e patriarcale (3). A questo modello
socioculturale aderisce di fatto l’intero pensiero psicoanalitico, non a
caso attaccato sistematicamente da ogni associazione di “devianti”
(in primo luogo gli omosessuali e le femministe) (25). L’innamoramento in fondo non è che una
“trappola della natura” che tutti gli individui subiscono, ed
è autolimitante, dura un tempo sufficiente ad assicurare la
riproduzione. I soggetti innamorati sono pertanto sottoposti alla
necessità di mantenere un legame sulla base di dinamiche e motivazioni
diverse da quelle dell’innamoramento, e non tutti sono in grado di
reperirne. Il prolungamento indefinito dello stato emotivo
dell’innamoramento, di fronte alla inevitabile percezione del suo
estinguersi, della sua assenza è assicurata dagli espedienti della
perversificazione, è, in ultima analisi, un’operazione di possesso
sadomasochistico e di continua creazione feticistica. Si garantisce
durevolmente lo splendore di una farfalla uccidendola e conservandola
impregnata di formalina. Paradossalmente siamo agli antipodi rispetto alla visione
psicoanalitica tradizionale: non è l’assenza del pene nella madre
a dover essere denegata e rimpiazzata da un feticcio, ma l’assenza di
valore affettivo del sesso
(femminile o maschile che sia), al di
là delle fasi di innamoramento, a dover essere sottoposta ai medesimi
meccanismi difensivi in chi non può vivere alcuna perdita, e quindi
neppure quella delle emozioni erotiche amorose che fanno di un oggetto un
oggetto d’amore totale. Semplicemente il “perverso” o, come
noi lo abbiamo chiamato, il “melanconico”, “non vuol
vedere” che l’innamoramento è una realtà transeunte, per cui è costretto a tenere in vita con ogni
tipo di espediente “tecnico”, un oggetto d’amore che
altrimenti sarebbe destinato a morire in quanto tale (e nella migliore delle
ipotesi a divenire un “compagno”, una figura protettiva,
rassicurante, insomma un marito o una moglie). Questo tipo di comportamenti
indica pertanto la presenza di una necessità di attaccamento intimo che
si tramuta in volontà di ottenerlo ad ogni costo: il
“perverso” (il “melanconico”) fanno esistere
l’amore come indefinito prolungamento dell’innamoramento
perché ne hanno necessità. Ma per il partner del “perverso” è compito
non facile mantenere le qualità richieste ad un feticcio perché
conservi le sue proprietà magiche, e quindi diviene facilmente oggetto
di riprovazione e disprezzo, cioè di una attacco sadico cui potrà
sottrarsi o riassumendo il ruolo di feticcio, o abbandonando il partner: deve
vivere costantemente l’alternativa tra l’essere feticcio e/o
vittima (o dominatore) oppure sottrarsi al patto, infrangere le regole del
giuoco. Perché una coppia con uno o entrambi i membri
sottoposti all’ordine melanconico del “sole nero”, non
pervenga ad una separazione (reale o anche solo affettiva) è quindi
necessario l’instaurarsi ed il mantenersi di una complicità che ha
tutte le caratteristiche del “contratto” o della
“collusione” attribuite dalla psicoanalisi alle coppie perverse
(41). Contraddicendo il sapere convenzionale bisogna concludere quindi, dicendo
che, almeno nell’universo della melanconia, in ultima analisi
l’amore, o è perverso (perversificato), o non è.
6. Alcune precisazioni cliniche
“Quello della perversione “è un mondo
dove niente è ciò che sembra essere, in cui il
confine tra sogno e realtà per un attimo si sfoca (..)”
(P-Orridge
in T.Sellers, La sadica perfetta)
Talora si osserva l’emergere di
dinamiche sadomasochistiche e perversificanti nel corso di una fase depressiva,
come se il disturbo di fondo dell’umore facesse emergere queste
modalità relazionali probabilmente riattualizzandole dalla memoria
affettiva dell’individuo in virtù di una destrutturazione della
temporalità; a volte tuttavia esse appaiono in assenza di ogni
riferimento biografico sia attuale che anamnestico, destituite di ogni senso
che non sia quello “sintomatologico”, rispetto al quale un
atteggiamento interpretativo risulta del tutto fuorviante. Come altre
formazioni sintomatologiche nella melanconia (ad esempio il lamento –65)
esse nascono forse da un cedimento simbolico e metaforico che preserva la
coerenza logica delle argomentazioni e degli agiti, che tuttavia operano su una
realtà neutralizzata, di cui è ritenuta solo la sembianza (65);
per questo a lungo andare non sono mai completamente efficaci e rivelano la
loro inconsistenza di fronte alla necessità di modificare la
realtà. Non bisogna mai dimenticare, trascinati dalle apparenze e dal
fascino dei racconti perversi, che la perversione è un gioco irreale e
che nel momento in cui qualcuno evoca la possibilità di porla in atto
significa che ha già neutralizzato il valore della realtà, è
già in parte fuori della realtà. Le avventure perverse sono
spesso parentesi confuse della vita, in cui l’individuo non si riconosce,
che si dissolvono nel nulla come dal nulla sembrano essere emerse. Anche la distinzione tra fantasia ed
agiti, ampiamente relativizzata dagli autori di formazione e credo
psicodinamico dovrebbe essere valutata criticamente; il fatto che una fantasia
sia agita avviene sovente in funzione della destrutturazione volitiva ed
inibitoria legata allo stato di malattia piuttosto che ad una particolare
“urgenza” espressiva, o forza pulsionale della stessa. In parole
semplici, una “perversione” può equivalere ad un deliriode
sotteso da un disturbo depressivodi fondo. Moltissimo resta dunque da indagare nel campo delle manifestazioni perverse e delle dinamiche perversificanti, e, niente sarebbe più fuorviante che considerarli sempre e comunque interpretabili psicologicamente perchè certamente non si sottraggono all’ambiguità difetto/ difesa, realtà/irrealtà, senso/non senso di ogni fenomeno psicopatologico.
7. Verso una definizione delle operazioni essenziali della perversione
Caro ed illustre
amico
ho
fatto una scoperta, o meglio sono arrivato ad una conclusione che
desidero comunicarti perché tu ne faccia l’uso che credi: LA
FICA NON ESISTE Non
si tratta che di un’immaginazione da parte del maschio, infine
di una trappola della natura. Che
fare pertanto? Come comportarsi? Rivedere
le nostre posizioni? Denunciare il ricatto? (…)
M.Maccari,
lettere a Flaiano (1947-1972)
Benchè ne
condividano la denominazione, le due figure essenziali della
perversificazione delle relazioni d’oggetto, il feticismo e il
sadomasochismo, non vanno dunque
confuse con i comportamenti parafilici che ne rappresentano una possibile
concretizzazione agita. Nei loro aspetti psicodinamici e fenomenologici vanno
piuttosto considerate meccanismi difensivi basici del funzionamento relazionale
umano, una sorta di yin e yang delle strutture melanconiche, che traducono
l’introdursi, nel contesto evolutivo di relazioni fusionali, di
un’aggressività narcisistica rabbiosa incontenibile sul piano
intrapsichico e dei successivi tentativi di riparazione dell’oggetto
d’amore. Connesse a intense perturbazioni della sfera emotivo-affettiva,
assolvono la funzione di proteggere da una destrutturazione del sè
mediante una manipolazione parziale della realtà ed una contaminazione
immaginaria che può o meno coinvolgere i comportamenti sessuali. Le dinamiche della perversificazione implicano la neutralizzazione
fantasmatica degli oggetti
d’amore: se il feticista (per Freud) la opera all’insegna di un
diniego percettivo (cognitivo), il melanconico fa altrettanto per poter
controllare il potenziale affettivo destrutturante insito nelle relazioni
erotiche. Sia il feticcio che l’oggetto d’amore del melanconico,
investito di tutta l’ambivalenza sado-masochistica attivata dal fantasma
della perdita (dell’assenza), contemporaneamente sono e non-sono, sono nello stesso tempo tutto e niente, non sono né reali nè irreali, nè
affermati nè negati, nè appropriati nè perduti, ma
l’una e l’altra cosa nello stesso tempo, ed in questo modo
divengono indefinitamente manipolabili. L’oggetto perverso e
l’oggetto d’amore del melanconico condividono lo statuto di essere
vivi e morti nello stesso tempo, e consentono a chi li mette in giuoco (nella
peculiare dimensione comportamentale del play-acting) di sostituire un ordine temporale artificiale alla
temporalità lineare che trascina inesorabilmente ogni relazione verso la
defusione e la differenziazione dei partners, spengendo la possibilità
di emozionalità apicali. Incapace di provare affetti intensi
indipendentemente dalle emozioni e dalle sensazioni erotiche, il perverso (o,
meglio, il perversificante) è colui che “gioca con i
sentimenti”, ma nient’affatto ludicamente, perché alla sessualità
richiede qualcosa che essa non può dare, se non in modo effimero e
puntiforme, vale a dire il compito di mantenere, se non
l’integrità del sé, quantomeno un tono dell’umore
orientato positivamente verso il mondo, di chiederglielo continuamente, ripetutamente,
coattivamente. E’ in questo senso che Masud Khan (48) definisce i
perversi coloro che fanno l’amore per intenzione piuttosto che per desiderio, potendo così eludere la reciprocità e
la mutualità non tanto perché non ne abbiano bisogno, ma
perché ne temono gli effetti. I meccanismi perversificanti sono quindi operazioni difensive paradossali rivolte al tentativo di contrastare la naturalità dell’amore e la sua temporalità, sostituendo la vitalità di ogni relazione amorosa con il giuoco agito dell’uccisione rituale dell’oggetto d’amore, o del mantenimento in vita di un oggetto d’amore agonizzante o morto o, infine, dell’infinita ripetizione del ciclo morte/rinascita dell’oggetto d’amore. Implicando una ristrutturazione percettiva e rappresentativa, una anonimizzazione e feticizzazione del partner, sono operazioni intermedie tra il reale e l’immaginario che consegnano l’individuo, al di là delle apparenze, ad una dimensione privata e intersoggettivamente difettiva. Costituiscono indici significativi di una vulnerabilità psicopatologica (depressiva e/o paranoide), oppure si strutturano in comportamenti erotici stereotipi e ben collaudati rivolti a contenere ed immobilizzare gli affetti sostituendoli con le sensazioni erotiche, cioè in “perversioni” in senso stretto.
NOTE:
1Lo stesso Bergman racconta come “Persona” l’abbia salvato da una delle peggiori crisi depressive della sua vita e addirittura dal suicidio, e sostiene che questo film tocchi “segreti senza parole, che solo la cinematografia può mettere in risalto” (14). 2Ovviamente sono state proiettate
durante l’esposizione congressuale del lavoro. 3Non si può ritenere lo
psichiatra un esperto di queste condizioni che hanno ben altri canali di
visibilità e reclamano sempre più una propria legittimazione
sociale (dopo gli omosessuali vi sono enclaves di sadomasochisti, di cultori del bondage etc.). Per questo molti dei contributi psicoanalitici
arricchiscono le casisitiche con esemplificazioni letterarie e cinematografiche
e nel loro complesso danno l’impressione di essere più
elaborazioni teoriche che ipotesi
di lavoro aderenti alla fenomenologia clinica. Alcuni tra i ricercatori
più innovativi, come Stoller, forse stanchi dei metodi speculativi, si
sono dedicati all’osservazione diretta di gruppi di perversi nel loro milieu rinunciando ad ogni pregiudiziale teorica (64). Personalmente, in quasi venti anni di
lavoro, ho visitato occasionalmente o trattato per brevi periodi 3
esibizionisti, una coppia di sadomasochisti consensuali, un’altra coinvolta
in rituali esibizionistici/voyeuristici (entrambe le coppie erano in fase di
separazione), alcune pazienti borderline tossicofile e promiscue (con poderosa
fantasmatizzazione perversa e comportamenti sessualizzati impulsivi), un
paziente psicotico feticista del cuoio, un altro psicotico frotteurista, due
padri incestuosi, un caso di disturbo ossessivo-compulsivo a tema pedofilo, su
cui ho riferito altrove (28), vari acting omosessuali in pazienti psicotici. Infine, ovviamente, moltissimi
fantasmi perversi in pazienti nevrotici e depressi. Alcuni colleghi, cui ho chiesto quanti
“perversi” avessero osservato nella loro pratica ambulatoriale mi
hanno risposto che non indagano sulla vita sessuale dei loro pazienti. 4 Per le problematiche che qui
affronteremo senza dubbio potevano esser utilizzati, oltre a numerosi altri
film di Buñuel, in primo luogo “Ensayo de un crimen/Estasi di
un delitto”, “Diario di una cameriera” e
“Tristana”), “La
femme a côte (La signora della
porta accanto)” e “La chambre verte (La camera verde)” di François Truffaut
(nel secondo, citando letteralmente il Buñuel di “Estasi di un
delitto”, viene mostrato il
fallimento del mecccanismo compensativo della feticizzazione), ma anche
“La donna che visse due volte” e “Psycho” (esempi clamorosi
di feticismo) e “La finestra sul cortile” (voyeurismo) di Alfred
Hitchcock; inoltre “Ultimo tango a Parigi” (perversione come
impasto di amore e morte) e “La luna” (incesto) di Bernardo
Bertolucci; “Il collezionista” di William Wyler (feticismo e sadomasochismo);
“Play «Misty» for me” di Clint Eastwood (seduttività distruttiva);
“Lezioni di vero (da “New York Stories)” e “Casino”
(sadomasochismo di coppia) di Martin Scorsese; l’intera filmografia di
Marco Ferreri, costituta in sostanza da una serie di apologhi sulla vita
amorosa in cui ampio risalto hanno il feticismo e il sadomasochismo (vedi
soprattutto “El pisito”
e “El cochecito”,
“Break up”,
“L’Harem”, “Marcia Nuziale”, “I love you”, “La cagna”, “La
carne”); “Cul de sac”
(sadomasochismo edipico), “Che?” (un trattatello ironico sulle
perversioni) e “L’inquilino del terzo piano” (travestitismo
feticista e psicosi paranoide) di Roman Polanski; l’intera filmografia di
Peter Greenaway, ed in particolare “Il cuoco, il ladro, sua moglie e
l’amante” e “The pillow book (I racconti del cuscino)” (entrambi veri e
propri trattati di sadomasochismo, feticismo ed altre perversioni);
l’intera filmografia di David Cronenberg, ed in particolare “Dead
Ringers/Inseparabili”, “M
Butterfly” e “Crash” (feticismo, neosessualità,
omnisessualità); “Breaking the Waves (Le onde del destino)” (sadomasochismo),
“Idiots (Idioti)”
(sadomasochismo, esibizionismo) ed a suo modo anche il recente “Dancer
in the Dark” (masochismo del
personaggio, sadismo del regista) di Lars von Trier, infine “Tetsuo
The Iron man” di Shinya
Tsukamoto (un campionario di perversioni cyborg). 5 L’episodio costituisce una
libera elaborazione di uno dei casi narrati da Sade in “Le centoventi
giornate di Sodoma”. 6L’attrazione perversa per
l’amorfo e l’indifferenziato, ben evidente nell’opera
letteraria di Sade, ed anche, più recentemente, di uno scrittore come
Ballard (10) e di cineasti come Cronenberg (23) e Tsukamoto (68), fonda e
si conforma alle idee psicoanalitiche sulla matrice anale degli impulsi perversi
e della formazione del feticcio (37): l’analità disindividualizza
e omogenizza gli oggetti che diventano meri prototipi che possono essere
fabbricati, padroneggiati , modificati, sostituiti e distrutti. 7 Lo statuto intermedio tra
realtà e fantasia, del feticcio fanno comprendere perchè le
perversioni proliferano su ogni tipo di supporto tecnologico (videocassette,
telefoni e GSM e soprattutto
Internet) che hanno una fruibilità fisica e percettiva concreta ma
difendono dal rapporto diretto con l’altro che in un certo senso è
reso esistente e non esistente nello stesso tempo. Le relazioni instaurate
mediante Internet si prestano ad un infinito giuoco di avvicinamento e
nascondimento che può nutrire fantasie e dinamiche difficilmente trasferibili
nella realtà. 8 Ne “La mostra delle
atrocità” Ballard (10) concepisce una sorta di feticcio ideale, un
“kit del sesso” che include, smembrate e deanimate, tutte le
componenti necessarie ai fini erotici di un corpo di donna: “Contiene
questi elementi: 1) Batuffolo di pelo pubico; 2)una maschera da viso di latex;
3)sei bocche staccabili; 4)un insieme di sorrisi; 5) una coppia di seni, col
capezzolo sinistro segnato da una piccola ulcera; 6) un insieme di orifizi a
prova di irritazione; 7) ritagli fotografici di una serie di situazioni
narrative, per esempio una ragazza che fa questo o quest’altro; 8) una
lista di esempi di dialogo, per lo più chiacchiere senza molto
senso; (…)
nell’insieme questo inventario fornisce il ritratto soddisfacente di una
donna;la si potrebbe addirittura ricostruire facilmente usando solo questi
elementi. Le dirò di più: una lista del genere potrebbe essere
ben più stimolante dell’originale.” 9 Bak (8) ha tentato di chiarire
le differenze esistenti tra i feticci infantili e gli altri oggetti
transizionali dell’età evolutiva, spesso confusi anche
terminologicamente, in vista della emergenza del feticismo
nell’età adulta. L’utilizzo degli oggetti inanimati con
varie funzioni difensive e maturative fa sì che di fatto il feticismo
infantile e adolescenziale sia molto più diffuso che
nell’età adulta. Già Winnicott ammonì però
sull’uso del termine di “oggetto feticcio”
nell’infanzia, suggerendo di limitarlo agli oggetti sostitutivi del fallo
materno in funzione difensiva dei timori di castrazione, ubiquitari quantomeno
nei maschietti. Tuttavia sono state numerose le osservazioni di “feticci
pregenitali” con una funzione di lenire la separazione, la perdita
dell’oggetto e le minacce all’integrità del corpo. Si tratta
in questi casi di distorsioni della normale funzione transizionale degli
oggetti che vengono scelti dal bambino in virtù di alcune
proprietà tattili-olfattive per esprimere l’esigenza di un
contatto fusionale con la madre piuttosto che per favorire l’acquisizione
di una distanza e di una parziale sostituzione del seno. In altri casi si
è parlato di “oggetti intermedi” scelti dalla madre in sua
sostituzione oppure di “oggetti protesici”, di qualità
sovente più dura e meccanica, o legata agli indumenti intimi della
madre, che assolvono funzione di rinforzo di rappresentazioni falliche o
clitoridee oppure di mantenimento dell’integrità del corpo,
sovente in situazione di deprivazione affettiva. Questi possono essere
considerati veri precursori del feticismo adulto. Vi sono poi veri e propri
oggetti-feticcio utilizzati da bambini psicotici, che però assolvono
piuttosto la funzione di differenziazione tra sé e non-sé. 10 Il perverso compie la stessa
operazione di molti artisti figurativi del novecento che, destrutturando
l’ordine rappresentativo, ritornano alle matrici stesse della
rappresentazione (forme elementari, colore, elementi matrici, lo stesso gesto
creativo) per ricostruire una nuova forma di espressione artistica. Così
il perverso, regredendo alle matrici indifferenziate della sessualità
può ricombinarle a piacimento in un giuoco rappresentativo agito che
è ben dimostrato nell’opera cinematografica di David Cronenberg
(neoformazioni genitali, nuovi sistemi riproduttivi, vagine ectopiche,
ani-vagine, peni-succhianti, fusioni di organi sessuali e elementi meccanici
etc.) (29). 11 De Masi (31) insiste sul fatto
che la sessualizzazione, piuttosto che una difesa, costituisca “una
tecnica di eccitamento (…) il cui nucleo è rappresentato dal
piacere di dominare o possedere un altro o, viceversa, di essere dominati o
abusati”, una vera “struttura psicopatologica antirelazionale e
antiemotiva che monopolizza e domina il mondo psichico (..) un ritiro della
mente, un mondo privato basato sulla distorsione sessualizzata delle percezioni,
che sostiene tutte le forme di perversione”; “lo stato sessuale
perverso” che su di essa si struttura, alla lunga porterebbe ad una
destrutturazione dell’Io, indebolito “nella sua vitalità
attraverso la dipendenza tossicomania del piacere sessuale”. Questa visione –che in ultima analisi richiama
in forma sofisticata la teoria della degenerazione- ha senza dubbio il merito
di sottolineare alcune evoluzioni prognosticamente tragiche e drammatiche di
pazienti che utilizzano i meccanismi di sessualizzazione, ma come ogni altra
teoria psicoanalitica, diventa inaccettabile una volta che viene generalizzata
a tutto l’ambito dell’area dei comportamenti perversi. Del resto,
come scrive Barale (11) nella sua prefazione al testo di De Masi,
l’interesse di quest’ultimo è quello di scindere la
perversione sadomasochistica dalla teoria della sessualità al fine di
metterne in rilievo la distruttività antagonistica alla
sessualità e alla oggettivazione. 12 Ovviamente è questo solo uno dei modi del
generarsi delle dinamiche sadomasochistiche che riconoscono un’altra
importante genesi nella competizione invidiosa: l’altro viene attaccato
sadicamente con dei pretesti per poterlo sottomettere e compensare un invidia
inconfessabile. L’analisi di queste dinamiche non è pertinente
tanto alla perversione, quanto alla paranoia. 13“Questi pazienti mostrano
una spiccata tendenza a manipolare il tempo in modo onnipotente:
l’indeterminatezza della durata dell’analisi viene considerata
equivalente alla sua in terminabilità: in terminabilità dell’analisi,
della vita, in breve, immortalità. In altri termini essi si servono del
particolare setting temporale dell’analisi per fissare il tempo in un
presente continuo, negandone il suo trascorrere e il suo finire. In quanto
garante del setting temporale, l’analista diventa il testimone e il
complice necessario per alimentare l’illusione del paziente” (41). 14Si
può discutere criticamente, con Tatossian (66), il fatto che
l’ebbrezza amorosa, quintessenza dell’amore passione, sia uno stato
di gioia autentica, come la riteneva il Binswanger di “Grundformen und
Erkenntnis menschlichen Daseins”,
un vero essere-insieme- nella dualità dell’amore, che nella sua
temporalità sospesa di istante-eternità, nella sua negazione
della finitezza umana nel suo porsi al-di-sopra e al-di-fuori del mondo, ignora
la quotidianità ed il tempo che la organizza, fino a condurre a
rifiutarne l’alterazione da parte della vita nel patto suicidarlo degli
amanti. Infatti “una gioia
che si rivela effimera non è più una gioia e piuttosto è
già un debutto di angoscia”; in essa “vi è una
promessa di continuità nell’avvenire ma si tratta piuttosto di un
arresto (enfermement) nel
presente” nel quale è impossibile il distacco dalle proprie
sensazioni fusionali” che “implica la sparizione di ogni
libertà ed una totale passività”. “L’amore non
può dichiararsi provvisorio senza cessare di essere amore”.
Inoltre, l’ebbrezza amorosa annulla l’ipseità, il sé
e la cura ed in questo senso è piuttosto “una forma degradata,
inautentica e, per così dire, patologica dell’essere-uomo”,
“una sorta di delirio tossico analogo a quello prodotto dall’alcool
(..) una delle sindromi episodiche della degenerazione”.
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