PSYCHOMEDIA Telematic Review
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Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA
Area: Psicopatologia
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La schizofrenia di Bleuler:
un esempio dell' "effetto paradigma" nella clinica psichiatrica
Luciano Del Pistoia*
In Carlo Maggini (a cura di): Schizofrenia. Attualità del pensiero di Eugen Bleuler. Edizioni ETS, Pisa, Pgg. 69 - 96.
Presentiamo qui di seguito il lavoro di Luciano Del Pistoia, intitolato: "La schizofrenia di Bleuler: un esempio dell'effetto paradigma nella clinica psichiatrica", pubblicato su "Schizofrenia. Attualità del pensiero di Eugen Bleuler", a cura di Carlo Maggini.
Il contributo di Del Pistoia, psicopatologo e grande studioso della storia della psichiatria, si colloca nell' ambito d'interesse dell'importanza storica rivestita dalle innovazioni del pensiero bleuleriano per l'attuale psichiatria. Attraverso l'analisi del percorso concettuale di Bleuler e del panorama psichiatrico a lui contemporaneo, l'autore arriva ad integrare l'attualità dei concetti proposti con le tendenze odierne: un intreccio di significati fondanti che, come fili della trama di un tessuto, creano le moderne teorie, ma anche di mancati riconoscimenti che è possibile recuperare abbracciando uno studio più approfondito di concetti quali Spaltung e autismo. Come spesso capita, tramite questo lavoro è possibile ri-scoprire nozioni apparentemente divenute comuni per l'addetto ai lavori come tutt'altro che consuete, ma cariche di costrutti e intrise di una forte densità che spesso il frenetico catalogare e la pur utile ricerca nosografica hanno impolverato, lasciandone in evidenza solo la più scarna e fruibile definizione. Proprio questa tra le altre è da considerarsi, a parer nostro, la ricchezza di questo lavoro: il recupero del significato originario bleuleriano che ritiene la patologia schizofrenica una alterazione dell' "originaria complessità architettonica intenzionale" (pag. 92) della vita psichica, una visione dell'individuo cioè molto più rispettosa dell'essere soggetto globale e alla ricerca di quel modo altro di vita che colloca la persona schizofrenica nella dimensione non già semplicemente delirante, ma "autistica", intesa proprio come differente, come possibilità altra di esistenza.
Un sentito ringraziamento alla casa editrice che ha permesso la pubblicazione di questo lavoro e in particolare all'autore che ha personalmente acconsentito alla riproduzione di queste pagine di testo.
Laura Corbelli
I. Pensare e praticare la psichiatria
La Schizofrenia di Bleuler è a nostro avviso una delle migliori illustrazioni dell'"effetto paradigma", cioè di quel problema epistemologico che ogni psichiatra dovrebbe conoscere non solo per capire come la psichiatria che egli pratica si forma e funziona, ma anche per poterla praticare come un "prendersi cura" della follia degli esseri umani e non come una ortopsicosociologia "politicamente corretta" o come altra aberrazione di questo - o di analogo - genere.
L'"effetto paradigma" è l'effetto che un insieme di concetti, semplici e poco numerosi, e che si tengono insieme come una Gestalt, esercita su di una parte del reale e della nostra esperienza mettendola in forma euristica e dandole nel contempo una struttura di senso(1). Nella psichiatria medica questo effetto lo troviamo in due momenti precisi: al momento della sua fondazione e nei vari momenti del suo funzionamento. Vediamo di ricordarli rapidamente.
1. Al momento della sua fondazione in quanto la psichiatria compare come effetto della riduzione della follia attraverso un paradigma medicale. È per questo "effetto paradigma" che la follia viene assimilata al patologico, diventa malattie mentali e diventano pertinenti nei suoi confronti le distinzioni, le pratiche, le istituzioni della medicina e le leggi che le riguardano.
Se cambiamo infatti paradigma, al posto delle malattie mentali compariranno altre cose: la possessione diabolica per esempio, se il paradigma è quello sacrale - e le pratiche pertinenti saranno allora quelle dell'esorcismo -; oppure comparirà il conflitto di classe mascherato se il paradigma è quello socio-politico di certi antipsichiatri italiani del tardo '900 e le pratiche pertinenti saranno quelle della rivoluzione proletaria.
2. L' "effetto paradigma" all'interno della psichiatria e del suo funzionamento lo constatiamo ogni volta che si tratta di rinnovare il significato del patologico al quale il gesto fondatore della psichiatria ha assimilato la follia. Questo significato non è infatti stabilito una volta per tutte, ma cambia col cambiare del senso che una determinata cultura conferisce di volta in volta alla follia. Così nella nostra cultura a partire dalla fine del '700, la follia ha avuto successivamente il significato di: Aliénation mentale, Dégénérescence, proiezione di conflitti inconsci, forma di esistenza sui generis, disturbo della comunicazione interumana, e così via discorrendo.
Ecco dunque i due aspetti dell'effetto paradigma nella psichiatria medica. Il primo appare dunque quando si tratta di dare alla follia il significato di malattia, ed è un effetto fondante, definitivo, stabilito una volta per tutte, e rappresenta il punto di ancoraggio della psichiatria medica e anzi il suo cordone ombelicale. Se infatti lo si taglia, la psichiatria medica cessa di esistere.
Il secondo aspetto rinvia invece ad un lavoro ricorrente che consiste ogni volta nel dare al patologico mentale un significato consonante con lo Zeitgeist, con lo spirito del tempo. Nel tardo '900, per esempio, è risultata non più proponibile la versione demenziale della follia - e la relativa pratica manicomiale - ed è stata accreditata al suo posto una versione dinamico-esistenziale con la correlativa soppressione dello spazio separato del manicomio e la riammissione dei pazzi nello spazio a tutti comune della città(2).
Tuttavia codesto "effetto paradigma" è tanto evidente quanto misconosciuto - soprattutto per incultura storico-epistemologica - da una certa parte delle psichiatrie correnti, quando non è addirittura negato da una psichiatria come quella del DSM che si proclama, com'è noto "ateoretica"(3).
Ma dell' "effetto paradigma" balza comunque agli occhi un aspetto essenziale che solo per un dogmatismo protervo e degno del diavolo si potrebbe negare: il suo effetto sul "fare" terapeutico. È infatti nel paradigma psicopatologico che codesto fare trova la sua ragione e la sua legittimazione.
Con questo non volgiamo dire che la terapia sia la sua mera "applicazione" sul campo: tutt'altro; ma volgiamo dire che il modo di "trattare" i malati, e anche il modo di concepire le istituzioni per curarli è del paradigma psicopatologico che prende la sua inconfondibile impronta. Per convincersene, basta per esempio anche solo uno sguardo alla storia della psichiatria moderna che ci mostra delle pratiche molto diverse a seconda che il paradigma di riferimento sia stato l'Aliénation mentale di Pinel, il demenzialismo di Morel-Kraepelin o, tanto per restare in tema, la psicodinamica di Freud-Bleuler(4), o quella concezione esistenzial-relazionale che ha sostenuto e resa comprensibile l'attuale pratica italiana del territorio.
Questo riviene a dire che la psicopatologia è tutt'altro che un sapere "superfluo" o un sapere "di lusso", come l'ha considerata per anni una psichiatria italiana assopita nel suo sonno dogmatico neuropsichiatrico dal quale cominciavano faticosamente a risvegliarla nell'ultimo dopoguerra da fronti diversi, la psicoanalisi da un lato, e l'opera di Ey o di Minkowski(5) dall'altro.
Per concludere infine questa nostra premessa sull' "effetto paradigma", della psicopatologia chiariamo un ulteriore malinteso di scuola sulla psicopatologia il che fra l'altro ci aiuterà non poco a capire il lavoro di Bleuler soprattutto nelle aperture che l' "effetto paradigma" gli ha offerte ma anche dei limiti che gli ha imposto.
Il malinteso da chiarire riguarda il fatto che la evoluzione della psicopatologia viene spesso insegnata o trattata all'insegna dell'idea di progresso, mettendola nello stesso sacco della semeiotica clinica. La semeiotica sarebbe, cioè, la conoscenza progressiva dei segni delle malattie mentali come la psicopatologia sarebbe la conoscenza progressiva dei meccanismi che le producono. Ma questo è solo far confusione.
In effetti il carattere di conoscenza progressiva e cumulativa si addice solo alla semeiotica, come ci conferma un semplice sguardo al capitolo relativo dei trattati, nel quale si trovano segni risalenti a tutte le epoche, da Ippocrate fino ad oggi. Per cui ha senso dire che per esempio il Tanzi conosceva più segni di Morel, aveva una semeiotica più fine e differenziata.
Per contro codesto carattere progressivo e cumulativo non ha niente a che fare con la psicopatologia, i cui "paradigmi"(6) hanno al contrario una tipica discontinuità e in luogo di convivere come fanno i segni della semeiotica, sono invece in posizione conflittuale, ciascuno di essi mirando ad egemonizzare il campo del patologico mentale(7).
Va infine aggiunto che codesti paradigmi sono estrinseci alla clinica a differenza dei segni della semeiotica che invece le sono intrinseci. La semeiotica si impara osservando i malati mentre non c'è conoscenza clinica dei malati che possa dirci il significato della loro follia. Questo significato noi lo importiamo nella clinica dalla antropologia e la sua versione psichiatrica è ciò che chiamiamo psicopatologia; essa si declina di volta in volta in un dato "paradigma". Il quale paradigma se da un lato ha da confrontarsi con la realtà della clinica, dall'altro produce su di essa un certo numero di effetti di senso: da quello già ricordato dell'orientare il "fare" terapeutico a dei veri e propri rimaneggiamenti della nosografia(8).
Chiudiamo qui codesta premessa che dovrebbe ormai farci intravedere l'interesse della Schizofrenia di Bleuler come esempio della struttura e del funzionamento della psichiatria - e anche della fabbrica del sapere psichiatrico.
Bleuler, come tutti i grandi psichiatri novatori da Pinel a Morel a Freud a Ey, ha fatto un lavoro "di paradigma" costantemente confrontandolo con la realtà della clinica.
Le sue nozioni di Spaltung e di Autismo, che sono al tempo stesso cliniche e psicopatologiche, pongono il problema della Demenza precoce nei termini nuovi di alterazione strutturale dell'essere psichico nel suo globale essere-al-mondo e non come alterazione di questa o quella funzione psichica. Questa la intuizione geniale e innovativa di Bleuler: che però rimane incapace di svilupparla per i limiti del paradigma associazionista nell'ambito del quale egli continua a ragionare; paradigma notoriamente analitico e incapace per questo di cogliere delle entità globali.
Gli riesce invece di innestare sulla sua base associazionista il paradigma dinamico freudiano che porterà alla plasticità dei sintomi e al rimaneggiamento radicale del significato del delirio.
Ma vediamo prima cosa sia codesto paradigma nel quale Bleuler si era formato alla psichiatria.
II. Il contesto psichiatrico di Bleuler
Bleuler come è noto è un coetaneo di Kraepelin e di Freud(9); tutti nati intorno alla metà degli anni '50 dell'800, fanno la loro formazione nel torno di tempo (anni '80-'90) in cui si afferma in psichiatria il paradigma della Dégénérescence di Morel(10) con la revisione neurologizzante di Magnan(11). Kraepelin confermerà questo paradigma, Bleuler, via Freud, vi reagirà(12). Vediamo allora i tratti salienti di codesto paradigma utili per il nostro discorso. In sostanza, tre: il demenzialismo al livello psicopatologico; la nosodromia al livello nosografico; l'associazionismo al livello psicologico.
1. Il demenzialismo
La lettura della follia come demenza è una nozione del secondo '800 ignota al precedente paradigma pineliano della Aliénation mentale. Per Pinel(13) infatti la follia è notoriamente un trascinamento passionale della ragione suscettibile per principio di reversibilità: c'è in lui l'ottimismo degli illuministi.
Per Morel(14) invece la follia è un deterioramento primitivo della ragione con tutte le caratteristiche della demenza: globale, progressiva, irreversibile. C'è in lui un certo pessimismo del cattolicesimo della sua epoca.
Secondo Morel questo deterioramento progressivo si constata di solito attraverso le generazioni successive di una stessa famiglia, la Dégénérescence essendo una malattia della stirpe: il figlio eredita dal padre una forma più grave secondo il principio dell'eredità dissimilare.
Il processo esordisce con le forme che noi chiamiamo nevrotiche, in particolare quelle della nevrosi ossessiva in cui il deterioramento iniziale della ragione si manifesta come incapacità a contenere degli impulsi semplici ed innocui, anche se eventualmente ridicoli, dei tics verbali o gestuali.
Ad un livello di ulteriore deterioramento la ragione non arriva a contenere impulsi più complessi e si configurano comportamenti dannosi (oniomania, cleptomania) o decisamente criminali e perversi (piromania, impulso omicida, necrofilia...). Con l'emergere di codesta impulsività, compare una prima incrinatura del giudizio(15), che diventa poi una falla quando ad un grado ulteriore di gravità compaiono i deliri (le Bouffées - appunto dei degenerati - e i loro deliri cronici sconclusionati). Il declinio degenerativo si conclude ad uno stadio finale che si esprime come demenza in senso stretto.
L'idea però che tutto questo folklore di disturbi appartenga all'unica malattia della Dégénérescence ha bisogno di prove, e Morel ne adduce di due tipi: una indiretta, l'altra diretta.
La prova indiretta sono le ricostruzioni catamnestiche e anamnestiche delle storie familiari.
La prova diretta è rappresentata da quel paziente che compendia il corso plurigenerazionale della Dégénérescence nell'arco della propria adolescenza-giovinezza, che fu Morel ad individuare e che battezzò col termine di "demente precoce"(16). Al suo stadio finale di demenza profonda questo paziente non è distinguibile dall'idiota che della ragione è privo fin dalla nascita. Ma il paradigma demenzialista trova ulteriori pezze di appoggio nella Paralisi progressiva e nella Paranoia.
La Paralisi progressiva è la conferma anche anatomica che la follia è assimilabile alla demenza anche se il sogno dei nostri antenati alienisti di arrivare attraverso di essa al "meccanismo" dei deliri e delle psicosi funzionali (senza lesione) rimarrà deluso.
Ma un aspetto del suo valore probatorio è che si tratta della demenza di soggetti giovani di poco più su come media di età dei dementi precoci e questo la distingue dalla demenza dei vecchi, confermando la demenzialità intrinseca - vesanica come si diceva allora - della follia delirante.
La Paranoia porta una conferma al demenzialismo col suo peculiare modo di delirare che rappresenta, per gli alienisti dell'800, la manifestazione della prima incrinatura demenziale della ragione. La ragione del paranoico è cioè - si pensa - abbastanza demente da delirare ma non tanto demente da essere incapace di costruire un "romanzo" delirante. Il delirio del paranoico è coerente e si può raccontare come una storia, cosa che è invece impossibile fare col delirio del paranoide né con almeno tre quarti delle parafrenie.
Si valorizzava cioè la Paranoia come indice del momento del viraggio demenziale della ragione in quanto viraggio delirante che spesso erano i neologismi a rivelare. E non a caso infatti il Tanzi intitolò "The germs of delirium"(17) la seconda parte del suo articolo classico sui neologismi degli alienati quando lo ripubblicò a richiesta in inglese.
2. La nosodromia
È l'altro tratto del paradigma degenerativo; e di fatto lo abbiamo già quasi del tutto trattato qui sopra a proposito del demenzialismo; l'idea di evolutività essendo infatti implicita nella demenza. Demenzialismo e nosodromia appaiono come le due facce della stessa moneta.
S'è visto come l'andamento della Dégénérescence confermi la validità del criterio nosodromico: l'idea cioè che la gravità incerta e inapparente dei disturbi iniziali del processo sia confermata dal loro esito finale. Il che fa sì che per esempio nell'ossessivo della Dégénérescence iniziale sia possibile vedere "in potenza" il demente profondo della fase finale di essa e il malato di tutti gli stadi intermedi - "ebefrenici", deliranti - che per arrivare a tale stadio finale attraversa. Il collegamento fra i due lo dà come s'è detto, il Demente precoce; il quale però ha questo limite come capacità di validare il paradigma: di essere cioè un malato assai raro.(18)
Un esempio molto più affidabile per illustrare il lato nosodromico del paradigma è invece il "Delirio cronico a evoluzione sistematica e progressiva" di Magnan: una malattia che esordisce fra i 30 e i 40 anni e che evolve attraverso quattro fasi tipiche e successive(19): l'inquietudine dell'esordio - della durata media di qualche settimana e fatta di disturbi di depersonalizzazione e di automatismo mentale; a cui fa seguito la annosa fase della persecuzione che finisce con l'intrecciarsi sempre più e con il cedere il passo alla grandezza, il tutto terminandosi infine nella demenza.
È questo criterio nosodromico dei francesi che Kraepelin fa suo ed è su di esso che impernia l'unitarietà della Demenza precoce di sua ideazione. È soprattutto lo stato demenziale, rapido e finale, che rivela la parentela stretta fra forme in apparenza così eterogenee come la ebefrenia di Häcker, la catatonia di Kahlbaum e il polipaio dei deliri paranoidi.
Kraepelin ha il merito di avere ancor più evidenziato attraverso codesto criterio nosodromico la creazione della "entità" psicosi maniaco-depressiva(20). Infatti la temporalità circolare e ripetitiva di questa sottolinea per contrasto i deliri cronici e la Demenza precoce, caratterizzati da una temporalità lineare e progressiva.
Da notare che la lettura nosodromica del delirio fatta attraverso i suoi contenuti (i temi) e la loro evoluzione nel tempo distingue la posizione di Bleuler che si mostrerà come è noto assai indifferente ai temi deliranti declassandoli a sintomi accessori. È uno degli aspetti dell' "effetto paradigma". Con la nozione di Spaltung egli si colloca infatti su di un piano diverso, di tipo non più contenutistico narrativo ma semmai strutturale, in continuità con i "meccanismi" deliranti della psichiatria francese del primo '900 (l'interpretazione, l' allucinazione, la passione, l'immaginazione)(21).
3. L'associazionismo
È questo il terzo tratto del paradigma ottocentesco nel quale Bleuler continua a ragionare. Vediamo di caratterizzarlo brevemente con i tratti che interessano il nostro discorso. Due essenzialmente: 1) il postulato delle funzioni psichiche (attenzione, memoria, sensopercezione, umore... intelligenza, giudizio...) 2) e l'esistenza di un principio che di queste funzioni assicura il coordinamento.
Ma data la sua matrice "sensista", sia le funzioni psichiche che l'istanza del loro coordinamento son da vedere come il risultato dell'esperienza sensibile sedimentata e organizzatasi poi in "idee semplici" ed in "idee complesse"(22). Il sensismo nasce infatti in opposizione all'innatismo (specie di Cartesio) che, col postulato delle idee innate, finiva per rinviare all'idea di Dio.
Nel linguaggio della psicologia positivista dell'800 che si colloca appunto nel filone sensista il problema dell'innatismo è ormai dietro le spalle e la nozione di "io" che garantisce il buono e armonico funzionamento della psiche è una nozione puramente psicologico-empirica. L'io garantisce il senso di identità, di continuità nel tempo, le proprie "appartenenze" (le mie sensazioni; le mie idee...), la distinzione io/altri23.
Interessa notare che il punto di vista associazionista è analitico e difficilmente permette di ritrovare l'unità personologica del paziente dopo la scomposizione a cui l'ha sottoposta.
Qui si comincia forse a intravedere l'interesse sopra ricordato di Bleuler come esempio dell'effetto paradigma. Nel suo paradigma associazionista egli deve infatti acclimatare le due nozioni fondamentali della sua invenzione: la Spaltung e l'Autismo: e si comincia forse anche a capire che se per il verso della Spaltung in quel paradigma ha trovato un certo aiuto, per il verso dell'Autismo ci ha trovato un muro.
III. Le innovazioni di Bleuler: Spaltung e Autismo
1. La Spaltung:
a) il contesto
L'idea della Spaltung, cioè della dissociazione fra le funzioni psichiche, come "disturbo generatore" della Schizofrenia prende il debito rilievo se la si legge in relazione al paradigma demenzialista ottocentesco e ai tentativi di superarlo
La Spaltung è uno di codesti tentativi di superamento - un altro sarà quello dei francesi del primo '900 - il paradigma demenzialista ottocentesco essendo reso obsoleto da un lato da certi tratti clinici dei dementi precoci noti da tempo, dall'altro dal profilarsi appunto di un nuovo paradigma psicopatologico. Vediamo nell'ordine.
a1 Le osservazioni cliniche dei dementi precoci avevano a più riprese sollevato il problema del loro inquadramento nella demenza dato che di questa malattia essi mostravano di non aver due dei sintomi cardine: le lacune irreversibili della memoria e il deterioramento grave della capacità di giudizio.
Era corrente esperienza dei medici dei manicomi il commento inatteso di un malato magari mutacico da mesi o da anni e che rivelava con l'occasione non solo un'ottima memoria ma anche una ottima capacità di giudizio, eventualmente assortita d'ironia se non di sarcasmo.
La risposta al problema fu che la Demenza precoce era sì una demenza ma era sui generis e ci fu tutta una fioritura di neologismi per qualificarla(24).
Ma come dice H. Ey, tutti questo tentativi erano destinati "à une sorte de stérilisation" a causa "de leur ispiration et leur application trop proches des analyses atomistiques de la psychologie fonctionnelle"(25). È l'effetto del paradigma al cui interno vengono pensati che ne determina il limite, che ne determina in particolare la impossibilità di esprimere il disturbo generatore come disturbo globale di personalità e non come disturbo di una sola funzione psichica, nella fattispecie della ragione. Anche se codesto disturbo globale alcune di quelle definizioni lo lasciano intravedere (discordanza, orchestra senza direttore, atassia intrapsichica e più ancora quelle incentrate sulla coscienza)(26), nell'ambito di quel paradigma non trovano "les mots pour le dire". Sono in particolare i disturbi della coscienza a non trovare le parole dato che in quel contesto la coscienza è riduttivamente sinonimo di vigilanza ed è ancora ben lontana dalla nozione fenomenologica di intenzionalità.
Per concludere questo paragrafo diciamo che l'osservazione clinica solleva il problema ma che il paradigma psicopatologico nel cui ambito è pensata non gli trova una risposta e si caratterizza pur con un certo numero di novità.
La prima novità è che il meccanismo generatore da unico (demenziale) si fa molteplice e nella psichiatria francese del primo '900 che ne inaugura l'idea appare in quattro versioni: l'interpretazione, l'allucinazione, la immaginazione e le passione(27).
Si pensa che sia l' "iperfunzione" non più bilanciata di queste funzioni psichiche che, insieme al meccanismo della allucinazione, produce il delirio.
Questo permette di intravedere una ulteriore novità di questo paradigma che consiste in un certo declassamento dei temi deliranti: dalla loro posizione di centralità ad una posizione per così dire avventizia, significativo essendo non più il contenuto che esprimono ma il modo in cui esso viene prodotto.
D'altra parte il fatto che ogni meccanismo possa produrre più di un tema(28) porta un ulteriore contributo alla loro relativizzazione.
a2 Un'ultima novità del nuovo paradigma è il rifiuto del sinonimo delirio-demenza. Le funzioni psichiche che producono il delirio sono infatti funzioni normali la cui anomalia è di trovarsi in uno stato di iperattività disarmonica(29). E anche se questa variazione quantitativa della loro funzione porta infine alla differenza qualitativa del delirio, rimane pur vero che il loro modo di produrlo è del tutto diverso da quello del meccanismo demenziale che è fin dall'inizio qualitativamente diverso dal normale funzionamento della psiche.
Non sfuggirà che questo modo di pensare annuncia due ulteriori svolte paradigmatiche che saranno sviluppate nel corso del '900.
La prima è la posizione del problema del delirio come alterazione di tutto l'essere psichico e non come quell'alterazione di una sola funzione psichica che Jean Pierre Falret aveva codificata con la sua famosa identificazione del delirio all' "errore morboso del giudizio". Che il delirio sia prodotto da una funzione psichica non deteriorata ma svincolata dall'armonico integrarsi con le altre, colloca la chiave di senso del delirio nel principio unificatore e armonizzatore della vita psichica ed è in codesti termini che la psichiatria del '900 cercherà di capirlo. Si annuncia in altre parole l'idea che il delirio è ben altro che una divergenza di opinioni su di una percezione condivisa - come in sostanza pensava Falret - ma è uno stravolgimento dell'essere al mondo del paziente che proprio dalla percezione comincia infiltrandola di immaginario.
I francesi degli anni '30 del '900 cercheranno di esprimere questa globalità dell'essere al mondo delirante come uno stile di personalità che ricondurranno alle costituzioni psicopatiche(30): ma la loro teoria si rivelerà una semplificazione eccessiva della patologia e non avrà un grande seguito. Gli indirizzi che invece più a fondo coglieranno il problema saranno quello psicodinamico e quello antropo-fenomenologico.
La seconda svolta che annuncia l'ottica paradigmatica del "meccanismo generatore" è il ritorno di un certo ottimismo prognostico e terapeutico che pur essendo connaturato alla psichiatria del fondatore Pinel era stato offuscato per lunghi anni dal pessimismo della teoria della Dégénérescence. Lo squilibrio psichico che genera il delirio non ha l'irreversibilità petrigna della demenza ma è qualcosa di molto più duttile ed elastico ed è suscettibile di essere in qualche modo influenzato.
A questo proposito proprio Bleuler risulterà emblematico col viraggio prognostico e terapeutico che la sua nozione di schizofrenia pone alla demenza precoce di Kraepelin.
b. il profilo
I punti di riferimento del contesto storico del Dementia Praecox (1911) ci hanno già date alcune indicazioni sulla Spaltung e ci hanno permesso di abbozzarne un'idea che ora si tratta di precisare.
Anche l'idea della Spaltung si colloca infatti nell'atteggiamento innovativo dell'epoca, insofferente ormai del paradigma demenzialista. Le sue analogie col "meccanismo delirante" dei francesi sono più che evidenti, ma ancor più lo sono le sue differenze, molto indicative queste a mostrare la sua originalità.
b1 l'analogia col meccanismo dei francesi risiede nel fatto di essere anch'essa l'alterazione quantitativa di una funzione normale. Essa è infatti vista come un rilasciamento delle associazioni analogo a quello che si produce nella rêverie o nella fase ipnagogica(31); è per questo dotata di una certa plasticità che nulla ha da vedere con la meccanica un po' schematica del demenzialismo.
b2 Le sue differenze col meccanismo dei francesi sono almeno due:
- la prima risiede nel fatto che la Spaltung mira direttamente a individuare quel principio unificatore della vita psichica che per i francesi rimaneva sullo sfondo, in primo piano per loro venendo la funzione psichica fuori controllo che produceva ogni volta il delirio. Bleuler invece è proprio su questo principio che sposta l'attenzione ed è nell'ambito in cui esso per eccellenza si manifesta che va a metterlo in evidenza; e cioè nell'espressione verbale del pensiero. Il capitolo della sua monografia sulla dissociazione è infatti infarcito di prestazioni verbali o di scritti dei pazienti fra cui la famosa risposta dell'ebefrenico a chi fosse Epaminonda(32). Ed è da notare che in queste prestazioni Bleuler non va a cercare dei contenuti deliranti ma l'alterazione formale dei nessi logici del pensiero.
Lasciamo qui stare se codesta analisi venga condotta nello stile atomistico e arido(33) delle analisi grammaticali per approdare ad un elenco di disturbi (accumulazioni, spostamento dei concetti, rappresentazioni teleologiche, associazioni marginali...) (D.P. p. 437 e seg.) che, in mancanza di esempi, poco o nulla ci farebbero capire dei pazienti(34); ciò che qui interessa è che attraverso la centralità della Spaltung Bleuler punta a individuare un disturbo "globale" che indica anche come mancanza della "rappresentazione dello scopo" del discorso, espressione che ci permette di cogliere una differenza sostanziale rispetto al taglio analitico che al capitolo della Demenza precoce davano i trattati anteriori al 1911(35). Pur collocandosi anche Bleuler nel paradigma associazionista che quei trattati ispira, si vede che questo paradigma gli sta stretto e che egli mira a quel concetto di struttura, di Gestalt che sarà del resto messo a punto in quegli anni(36), rivelandosi così in sintonia con la nuova cultura del '900.
- la seconda differenza fra la nozione di Spaltung e il "meccanismo generatore" dei francesi è la nozione di sintomo. Qui la materia è nota e non occorre che ci dilunghiamo. La differenza essenziale è l'innesto freudiano col quale Bleuler dà al sintomo un significato e una dinamica che i francesi dell'epoca sono ancora lontani dal riconoscere. Per loro, infatti, il sintomo è l'espressione diretta e lineare della funzione psichica di volta in volta in causa per la sua iperattività fuori controllo e il loro modello dell'apparato psichico non ha la doppia dimensione, dialettica e conflittuale, di inconscio/coscienza.
Bleuler introducendo invece codesta dimensione freudiana fa sì che la Spaltung non liberi una singola funzione psichica ma dei "nuclei complessuali inconsci" che si esprimono nel sintomo; il quale acquisisce così un significato difensivo che si può decifrare attraverso la interpretazione psicoanalitica(37).
Nell'ambito francese la nozione di Spaltung s'avvicina piuttosto alla nozione di Janet di "baisse de la tension psychologique" che può portare alla liberazione della "personalità seconda" analogamente alla liberazione dissociativa dei nuclei complessuali inconsci.
2. L'Autismo
Il discorso sull'Autismo di Bleuler comincia ritualmente con la famosa definizione che egli ne dà: "Chiamiamo autismo il distacco dalla realtà e la predominanza della vita interiore" (D.P. pag. 75), definizione che appare semplice e chiara; ma che si rivela problematica appena si tenti l'approfondimento del concetto che essa esprime, tanto che nelle sue interpretazioni si vede l'Autismo approdare a due estremi opposti all'uno dei quali sarebbe sinonimo di delirio, all'altro sinonimo di un semplice atteggiamento psicologico di introversione(38) Questo deriva probabilmente dalle indicazioni un po' scarne e ancipiti che lo stesso Bleuler dà e ancor più da quelle che egli non riesce a dare. Ma andiamo a rivedere l'esposizione stessa di Bleuler (D.P. pag 75-79 e 276-278) per confermare o smentire questa nostra impressione ripartendo appunto dalla sua definizione: l'Autismo come distacco dalla realtà e come predominanza della vita interiore. Vediamo prima il lato della realtà(39).
Il senso della realtà, dice Bleuler, "non manca completamente nello schizofrenico; manca parzialmente solo per ciò che si contrappone ai complessi"(40) (D.P. Pag. 75). I quali, come si sa, sono dei nuclei ideo-affettivi inconsci di significato difensivo che incidono sul comportamento e che soffrono di una certa precarietà di cui i pazienti sono più o meno consapevoli; per cui, rispetto alla realtà che li cimenta o minaccia adottano diverse strategie.
Alcuni pazienti "anche cronici gravi (che) hanno un contatto abbastanza buono con l'ambiente per quanto riguarda le cose di tutti i giorni, chiacchierano, partecipano ai giochi, cercano anche degli stimoli ma hanno fatto una scelta: i loro complessi li tengono per sé, non ne parlano mai e non vogliono essere toccati dall'esterno su certi argomenti"(D.P. Pag. 76).
In altri pazienti invece codesto atteggiamento difensivo può prendere la forma dell' indifferenza; la quale può essere settoriale oppure estendersi fino a trecentosessanta gradi e su di un registro più o meno stuporoso. Alcuni pazienti arrivano ad esprimere questa loro chiusura all'ambiente anche con l'atteggiamento del corpo che assume la posizione rannicchiata o tirandosi sul capo il grembiule o le coperte del letto.
Altri pazienti, al contrario, invece di evitare la realtà, o di chiudersi ad essa nei modi attivi o passivi appena ricordati, vi esprimono la loro vita interiore. E qui appaiono illuminanti due esempi che fa Bleuler: quello della cantante che porta a termine il suo brano, incurante dei fischi del pubblico; e quello della "signorina colta (che) improvvisamente defeca nel salotto davanti a tutti e non capisce il loro sdegno." (D.P. pag. 76).
A questo punto ci si chiede allora in cosa consista la "vita interiore" autistica che in tutti codesti modi abbiamo vista ritirarsi dalla o esprimersi nella realtà. Affrontiamo cioè l'altro risvolto del problema autismo
A stare ad una prima indicazione di Bleuler, questa vita interiore sarebbe da identificare con il delirio: "I malati si muovono ancora nel mondo esterno ma né la realtà, così come si presenta, né la logica hanno il potere di modificare il loro delirio." (D.P. pag, 75).
A stare ad una seconda indicazione, la "vita interiore" si esprimerebbe nei termini di irruzione di immaginario della percezione delirante o della allucinazione. Per esempio Schreber parla dei suoi infermieri come di "uomini fatti fugacemente". Un malato passa per le tre asserzioni successive decisamente "dispercettive": "Si dice che lei sia il dottore ma io non lo so"; "Ma io non lo credo": e infine"Ma lei in fondo, è il ministro N".
Stando infine ad una ultima indicazione il "mondo interiore autistico" sarebbe da identificare con uno stile peculiare di pensiero che Bleuler preciserà come pensiero dereistico.
Il contenuto di questo pensiero è fatto di desideri e di timori, i primi espressioni delle pulsioni del paziente, gli altri degli ostacoli che esse incontrano nella realtà.
La sua forma è quella paralogica affettiva che procede "per simboli, analogie, concetti parziali, associazioni casuali" (D.P. pag. 78) e si ritrova "nelle favole e nelle saghe" (D.P. pag. 277). Da questo pensiero "derivano le idee deliranti, le gravi trasgressioni della logica e della decenza e sintomi affini" (D.P. pag. 78).
Secondo questa versione l'Autismo non sarebbe sinonimo del delirio, ma ne sarebbe una matrice che se ne situa a monte.
Notiamo infine un ulteriore effetto che questo pensiero produce sulla realtà, effetto che anche Bleuler pone alla fine della sua trattazione dell'Autismo, dopo cioè aver dato quelle precisazioni sul pensiero dereistico che sole lo rendono comprensibile. Effetto che si può riassumere in termini di "estraneità". Questa estraneità è data dalla "particolare divergenza del pensiero autistico dall'esperienza precedente" (D.P. pag. 79). I pazienti si lamentano che la realtà abbia un aspetto diverso da prima; le cose e le persone non corrispondono più al disegno originale; sono altre, estranee - (fremd), senza più rapporti con il paziente. Una paziente dimessa "va in giro come in una tomba vuota, tanto estraneo le sembra il mondo" - Un'altra "ha cominciato ad interessarsi ad una vita completamente diversa; se però fa il confronto, tutto le sembra diverso da prima; anche la persona amata non è come se l'immagina".
Se vogliamo ora farci, sulla base di queste indicazioni, un'idea di ciò che pensa Bleuler dell'Autismo diciamo di non poter arrivare ad una conclusione chiara ed univoca ma possiamo solo fare delle considerazioni sulle ripetute angolazioni dalle quali egli cerca di afferrare il nucleo di senso del problema che d'altronde sembra ogni volta sfuggirgli.
La prima considerazione è che il termine di "vita interiore" con cui Bleuler indica il tratto soggettivo saliente dell'Autismo è un termine globalistico che indica la vita psichica nel suo insieme e non questa o quella funzione psichica. È il vissuto nel suo insieme che caratterizza l'Autismo e ciò che lo esprime è l'atteggiamento d'insieme del paziente nel suo rapporto con la realtà.
La seconda considerazione è che quando Bleuler va a specificare sia codesto atteggiamento che codesto rapporto, il senso d'insieme, di globalità si conserva solo per il momento in cui egli sembra fare dell'Autismo (anzi del pensiero autistico) (D.P. pag. 78) la sopra ricordata matrice del delirio. Ma subito dopo lo traduce in alterazione di funzioni psichiche.
La vita psichica autistica viene allora identificata all'immaginario allucinatorio (illustrato fra l'altro con l'esempio della percezione delirante del Presidente Schreber), cioè in una alterazione della sensopercezione: ma viene soprattutto identificata come espressione delirante, sia al livello di affermazione teorica che al livello degli esempi che allega (D.P. pag. 75). E il delirio è inteso da Bleuler alla Falret, nel senso di errore morboso e incorreggibile di giudizio, nel senso cioè di alterazione di una funzione psichica.
Terza considerazione, questo concetto dell'errore morboso di giudizio appare anche nel caratterizzare l'esperienza di quei pazienti citati per ultimi (la paziente "che va in giro come in una tomba vuota" ecc.), e che diremmo noi oggi si situano fra la allucinazione negativa(41) e la perdita del senso "dell'ovvietà naturale". Bleuler traduce invece il loro disturbo come "divergenza del pensiero autistico dall'esperienza" (D.P. pag. 79) nei termini cioè di un giudizio.
Per concludere ci sembra di poter dire che Bleuler ha avuto l'intuizione dell'Autismo come globalità, come forma di vita, come modo globale di essere al mondo alienato ma che il paradigma associazionista nell'ambito del quale ragiona(42) non gli ha dato i mezzi per poterlo esprimere. Il suo paradigma infatti, in quanto analitico, nel momento stesso in cui apre il ventaglio delle funzioni psichiche cancella l'unità globale, intenzionale, storico personologica del paziente. È quindi comprensibile che Bleuler si sia allora appellato a quella funzione che codesta unità in qualche modo esprimesse, almeno come unità di senso, appunto: il delirio.(43) Il delirio ha però non solo l'inconveniente di "risettorializzare" la globalità dell'Autismo nell'ambito di una funzione psichica ma anche l'inconveniente di deformarne l'essenza intellettualizzandone la natura esperieziale. Eppure Bleuler da alcuni degli esempi che cita, appare chiaro ne avesse intuito l'essenza di modo di essere al mondo. Per esempio la cantante irriducibile e la defecante impronta(44) fanno molto pensare alla Verstiegenheit di cui Binswanger(45) farà uno degli eidos dell'Autismo ricco. D'altra parte la paziente che "va in giro come in una tomba vuota" o il paziente che chiede con insistenza la chiave del reparto e che, una volta avutala fra mani, non sa che farsene; o la paziente che dopo aver insistito per il permesso di vedere il figlio al momento in cui l'ottiene scantona con la richiesta di un bicchiere di vino fanno pensare alla "perdita dell'ovvietà naturale" di cui Blankenburg farà l'eidos dell'autismo povero"(46).
Ma Bleuler non ha "les mots pour le dire" perché questi mots non fanno parte del paradigma dal quale egli guarda a questi fenomeni. L'intuizione che l'Autismo sia una forma globale di essere al mondo c'è e forse Bleuler non si è mai tanto avvicinato a coglierla come quando dice (D.P. pag. 72) "Per i malati il mondo autistico è altrettanto reale del mondo reale anche se spesso si tratta di un altro tipo di realtà" o quando dice "il valore di realtà del mondo autistico può essere maggiore di quello della realtà effettiva". Queste espressioni non possono infatti non ricordare il mondo di Ann Rau. di Blankenburg per la quale lo stesso quadro percettivo con gli stessi contenuti evidenti per lei e per l'altro (mettiamo la scena familiare della stiratura della biancheria insieme alla madre) ha per lei l' "iperrealtà" della sua "derealtà" ed è questa derealtà, questa "perdita di significato" autistica, ad esser per lei la realtà vera di quel mondo percepito.
Ma quando Bleuler passa questo mondo al vaglio del suo paradigma analitico, il significato d'insieme di esso si frammenta. Non restano che delle funzioni psichiche e fra queste Bleuler sceglie le due che con più approssimazione sembrano renderne il senso: la percezione e il delirio, meglio se nel loro intreccio di percezione delirante come nel caso degli infemieri di Schreber o nel caso del paziente che identifica il medico come ministro N (D.P. pag. 77).
È per questa via obbligata che l'Autismo finisce per essere assimilato ad un giudizio erroneo di realtà, cioè ad un delirio. Appunto, per un "effetto paradigma".
IV. Per terminare: l'effetto paradigma
Due dunque le nozioni innovatrici di E. Bleuler: la Spaltung e l'Autismo. Noi abbiamo cercato di illustrarle attraverso i loro effetti intrecciati sulla clinica e sul paradigma, sull'analisi semeiologica e sulle sintesi psicopatologiche, ognuna di esse situandosi su uno di questi piani ma producendo necessariamente immediati effetti di senso sull'altro.
1. La Spaltung
La Spaltung, nozione di livello psicopatologico che si profila come disturbo generatore della Schizofrenia, assume almeno due significati. Da un lato, viene intesa come sconnessione fra le varie funzioni psichiche e in questo senso la ritroviamo per esempio anche in Chaslin(47) o nel Tanzi del 1923(48) nonché in Bleuler stesso. È questa, come abbiamo ricordato, la sua versione arcaica che, tutto sommato, risente ancora del concetto pineliano di demenza(49).
Da un altro lato, invece viene intesa da Bleuler come alterazione del pensiero e del linguaggio che egli stesso precisa in due maniere.
Da una parte, come alterazioni dei nessi logici e come sovvertimento delle leggi che regolano i rapporti e le gerarchie delle associazioni; dall'altro come l'alterazione di quella che egli chiama la "rappresentazione dello scopo" (D.P. pag. 37) o "rappresentazione finalizzata" (D.P. pag. 38) del pensiero e del discorso che lo esprime; Versione, quest'ultima, che pare anticipare le nozioni di "struttura" e di "intenzionalità" che la psichiatria comincerà a adottare, seppure non di certo a maggioranza, a partire dalla famosa relazione Minkowski-Binswanger del 1923.
A nostro avviso è questa seconda versione che esprime il nucleo innovatore struttural-globalista del pensiero di Bleuler, nucleo che ci pare confermato dal focalizzarsi di Bleuler sul principio organizzatore della vita psichica e del suo cercare di coglierlo direttamente come manifestazioni verbali della dissociazione; e questo a differenza dei francesi suoi contemporanei che pure a tale principio riferendosi, lo lasciavano sullo sfondo interessandosi ai prodotti delle funzioni psichiche dalla sua "baisse de tension" lasciata in libertà.
Ma del resto è pur sempre codesto suggerimento che Bleuler sviluppa ulteriormente in una direzione che può ben essere evidenziata dalla nuova lettura del delirio cui dà origine.
I francesi, spostando questa lettura sul meccanismo delirante e ponendo in secondo piano il tema, indicavano l'alterazione psicotica della vita psichica come alterazione sturtturale globale salvo però a continuare a leggerla settorialmente(50) nell'ambito delle funzioni psichiche.
Bleuler invece, con la nozione di Spaltung - lo ripetiamo - coglie proprio questa alterazione sturtturale globale e si rende conto che essa si colloca ben a monte del meccanismo delirante(51). È la vita psichica nella sua originaria complessità architettonica intenzionale ad essere alterata; per cui non solo il tema delirante ma anche il meccanismo che lo produce si svuota per lui di significato psicopatologico, il tutto andando a collocarsi nelle reazioni secondarie di difesa.
Allora, possiamo così riassumere gli effetti di senso che la nozione inedita di Spaltung produce, distinguendoli in effetti clinici e in effetti psicopatologici, per poi subito mostrare i loro intrecci.
a. Sul piano della clinica questi effetti sono almeno tre.
Un primo effetto è il portare in primo piano i disturbi del pensiero e del linguaggio come il campo in cui il processo schizofrenico tipicamente si estrinseca e si caratterizza. Di questo saranno convinti in particolare i fenomenologi che faranno della allucinazione verbale psichica una delle vie principali di accesso alla sua comprensione psicopatologica.
Il secondo effetto è un rimaneggiamento della gerarchia dei sintomi di cui l'aspetto più vistoso è il ricordato "declassamento" dei deliri a sintomi accessori.
Il terzo effetto - che ricordiamo solo en passant dato il suo significato tangenziale rispetto al discorso che qui facciamo, ma non per questo meno essenziale - è da un lato il rovesciamento della prognosi e della terapia rispetto alla Demenza precoce, dall'altro le ricadute a cascata di questo rovesciamento sulle istituzioni di cura e sulla legislazione riguardante i malati mentali.
b. Sul piano del paradigma psicopatologico la nozione di Spaltung presenta un effetto per così dire in due tempi.
In un primo tempo sembra ben acclimatarsi nell'assciazionismo come richiamo ad una miglior messa a fuoco del principio unificatore delle funzioni psichiche che non solo i francesi lasciavano in un limbo di senso disgregativo-demenziale dato per scontato.
In un secondo momento rivela invece la sua eterogeneità rispetto al paradigma associazionista rinviando non ad una sommatoria di funzioni psichiche ma ad una Gestalt, ad una forma sturtturata di senso le cui parti si tengono per rinvii reciproci e per rinviare ciascuna alla globalità del significato che tutte le unisce.
Questa indicazione produrrà il viraggio dello sguardo psicopatologico da analitico-descrittivo a sintetico-ermeneutico e affronterà la patologia - la Schizofrenia in particolare - come forma globale di essere-al-mondo che esprime una intenzionalità.
Questo viraggio avrà a sua volta una ricaduta sul piano della semeiotica che, lungi dall'essere liquidata(52) sarà al contrario ripresa, e anzi arricchita e affinata nell'intento in particolare di cogliere il significato eidetico dei segni o almeno di alcuni di essi; di segni cioè che in luogo di esprimere solo un aspetto della malattia mentale, com'era nell'ambito della psicopatologia analitico-descrittiva, ne possono esprimere il significato globale l' "eidos" pur dalla loro particolare angolatura(53).
Questo significato global-strutturale della Spaltung contribuirà grandemente alla liquidazione del paradigma associazionista attraverso una specie di azione erosiva prodotta al suo stesso interno(54).
2. L'Autismo
La Spaltung l'abbiamo abbordata come concetto psicopatologico e abbiamo seguito i suoi effetti di senso sia al livello appunto psicopatologico che al livello clinico. Con l'Autismo dovremmo fare un percorso inverso che dalla clinica approdi alla psicopatologia; ma di questo percorso si possono forse solo porre alcuni cartelli indicatori. L'Autismo infatti non risulta inseribile nel paradigma associazionista come almeno inizialmente era stato possibile per la Spaltung; questo paradigma rivelandosi subito un letto di Procuste capace solo di deformarlo. La sua omologazione al pensiero selvaggio è al massimo uno dei cartelli indicatori sopra ricordati, dato che codesto pensiero compare qui nella versione della antropologia dell'epoca con Levy- Brühl in testa e non nella successiva ottica sturtturalista di Levy-Strauss; lo stesso pensiero selvaggio del resto a cui il Tanzi, in quello stesso torno di anni, assimilava il ragionare del paranoico(55).
L'Autismo è tuttavia un concetto che non sarà abbandonato, certo anche per il prestigio del suo autore, ma anche perché se ne avvertiva intuitivamente la ricchezza: rimarrà così una questione aperta in attesa di una risposta.
La risposta viene come risaputo nei termini di una serie di studi fra cui spiccano quelli di Minkowski(56) e di Binswanger(57) che affrontano il problema da una prospettiva antoropofenomenologica del tutto diversa da quella di Bleuler e che nulla ha da vedere con l'associazionismo. L'Autismo cioè suscita nella clinica psichiatrica l'emergenza di un paradigma diverso che porta a vedere la patologia mentale non più nei termini di demenza ma in termini di esistenza. Il movimento che esso innesca raggiunge così il movimento innescato dalla nozione di Spaltung, arriva a chiuderlo e in un certo modo anche a superarlo. L'Autismo infatti tende per un verso a uscire dai limiti dell'ambito originario della Schizofrenia per prendere la crescente connotazione di essr-al-mondo psicotico(58).
Per un altro verso invece, e al seguito di Blankenburg(59), l'Autismo tende a restringere il suo significato all'ambito dell'Autismo povero nei termini di "perdita dell'ovvietà naturale".
Ma il nostro discorso può fermarsi qui avendo raggiunto ci pare il suo duplice scopo che era da un lato, di illustrare con l'esempio della Schizofrenia di Bleuler la struttura autentica della psichiatria medica come intreccio di segni e di un paradigma psicopatologico che dà loro di volta in volta una struttura di senso, fondando nel contempo le premesse del fare terapeutico; e, dall'altro, di suscitare delle riserve sulle psichiatrie che ignorano o, peggio ancora, negano il paradigma psicopatologico e la sua funzione "costitutiva" nella psichiatria.
Note:
*Medico psichiatra, psicopatologo e storico della psichiatria.
1 Il paradigma così inteso è sinonimo di struttura. Cf. Georges Lanteri-Laura, G., Essai sur les paradigmes de la psychiatrie moderne, Paris, Editions du temps, 1998. Un esempio di paradigma può essere quello strutturalista che ha consentito a Lévy-Strauss di pensare l'antropologia in modo molto diverso dai darwiniani, a de Saussure la linguistica in modo molto diverso da quello storico-filologico, alla Scuola di Annales (Bloch, Febvre, Braudel) di pensare la storia in modo molto diverso dallo storicismo.
2 L. Del Pistoia, L. Canova, "La folie, le carneval, la cité: quelle alternative?",in Actualités Psychiatriques, 9, 1986, pag. 30-35.
3 Il che ci obbliga a ricordarci - un po' divertiti - che anche l'ateoretismo - come diceva il nostro amico Georges Lanteri-Laura - è una posizione teoretica.
4 Che poi il paradigma psicopatologico non riesca ad ispirare fino in fondo le pratiche terapeutiche ed istituzionali, dipende dalla struttura della psichiatria che è molto diversa da come la pensa la vulgata di scuola e anche la convinzione corrente espressa da vocabolari ed enciclopedie. La psichiatria non è infatti solo una branca medica a cui segue e si sottomette l'"intendenza" delle istituzioni e della amministrazione, ma è l'intreccio di queste tre componenti - la medica, la politico-giuridica e la burocratico-amministrativa - dove la componente medica è semmai il vaso di coccio fra i vasi di ferro. Questo avevano molto bene capito i padri fondatori della psichiatria italiana e per questo con la legge 36/1904 vollero conferire al Direttore del manicomio anche l'alta sorveglianza sull'Economo e sul Capo del personale; ma questo 18 brumaio Psichiatrico rimaneva con le braccia corte perché non arrivava a metter le mani sui cordoni della borsa che rimanevano in possesso dell'Amministrazione (allora Provinciale), ben fuori della portata del Direttore. Cf. Goldstein J., Consoler et classifier. L'essor de la psychiatrie française, trad Fr. F. Bouillot, Paris, Synthélabo, 1997 e L. Del Pistoia, G.B. Giordano, Aspects de la psychiatrie en Europe et en Amérique: l'Italie, in J. Postel e C. Quétel, Nouvelle histoire de la psychiatrie, Paris, Dunod, 2° éd., 1994.
5 Quando apparve la traduzione italiana della psicopatologia dello Jaspers (1964) per cura di R. Priori, fra i tanti psichiatri che comprarono quel libro non si contavano quelli che quasi subito lo richiusero, tanto quel linguaggio "filosofico" era loro ostico e sconosciuto.
6 Cf. T.S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. It, Torino, Einaudi, 1978.
7 Senza tuttavia mai riuscirci, malgrado il fenomeno delle mode. Per cui anche l'ambito psicopatologico finisce per essere polimorfo (organo-meccanicismo, psicodinamica, fenomenologia...) ma d'un polimorfismo come s'è detto polemico.
8 Il Kraepelin per esempio imperniò la sua sintesi della Demenza precoce sul paradigma nosodromico-demenzialista di Morel e riunì così in una sola malattia le tre forme che descrittivamente apparivano eterogenee; Bleuler (si vedrà), col suo nuovo paradigma, operò quel declassamento del delirio schizofrenico a sintomo accessorio da sintomo cardine che era nella nosografia kraepeliniana.
9 Bleuler (1857-1939), Freud (1856-1939), Kraepelin (1856-1926): Cf. P. Morel, Dictionnaire biographique de la psychiatrie, Paris, les empêcheurs de penser en rond, 1996.
10 B.A. Morel Traité des dégénéréscences physiques, intellectuelles et morales de l' espèce humaine, Paris, J.B. Baillière, 1857 e Traité des maladies mentales, Paris, Masson, 1860.
11 V. Magnan: Recherches sur les Centres Nerveux, Pathologie et Physiologie pathologique, Paris, Masson, 1876.
12 Come dire che non sempre i coetanei sono contemporanei. Kraepelin rimane un uomo dell'800, gli altri due sono del '900.
13 Ph. Pinel, Traité Médico-Philosophique sur l'aliénation mentale, ou la manie, Paris, Chez Richard, Caille et Ravier, An. IX.
14 B.A. Morel, Traité des dégénérescences et Traité des maladies mentales, Op. Cit.
15 Il nevrotico vive i suoi disturbi come "egodistonici", non così lo psicotico.
16 Cf. Ey H., Groupe des schizophrénies, Historique, in EMC, Psychiatrie 2-1955, 37281 C10; Groupe des psychoses schizophréniques et des psychoses délirantes chroniques, Généralités, EMC, Psychiatrie, 2-1955, 37281 A10; Les problèmes psychopathologiques et les conceptions générales du processus schizophrénique, in EMC Psychiatrie 37286 A10, 1955.
17 E. Tanzi, "The Germs of Delirium", in The alienist and neurologist, a cura di Joseph Workman, St. Louis, January, 1891, da E. Tanzi "I neologismi degli alienati in rapporto col delirio cronico", parte prima, Riv. Sperim. Freniat., 1890 vol 16, pag. 1-35.
18 Si tratta del Demente precoce di Morel e non di quello di Kraepelin!
19 Si ricordi l'importanza all'epoca delle fasi nelle malattie internistiche: per es. i "quattro settenari" della febbre tifoide, le fasi della polmonite...
20 Per la Dégénérescence le turbe dell'umore sono piuttosto un'anticamera. Come per Griesinger che le considera l'anticamera della follia vera, cronica: la Verrucktheit e il Blodsinn.
21 Vedremo poi come il criterio del meccanismo rende il tema delirnate secondario, avventizio. Bleuler che si spinge ben oltre i francesi, renderà ancor più marginale il delirio nel suo insieme (contenuti e meccanismi generatori).
22 F.L. Muller, Histoire de la psychologie, Payot, 1960; J. Locke, An Essay concerning Human Understanding, 1690, trad. Fr., Paris, Didot, 1821.
23 Come si noterà, codeste nozioni - l'io e le funzioni psichiche - sono ancora alla base dell'insegnamento della psichiatria e sono i punti di riferimento della griglia attraverso la quale esaminiamo il paziente e facciamo l' "esame psichico".
24 Gross (1904) parlò di "dementia sejunctiva", Zweig (1908) di "dementia dissecans", Stransky (1904) di "atassia intrapsichica", Urstein (1909) di "disarmonia intrapsichica", Chaslin (1912) di "discordanza" e Kraepelin (1896) di un'orchestra senza più direttore, Paris (1903) di "psychose catatonique dégénérative", Bernstein (1903) di "demence paratonique progressive", Eversen (1903) "ambly-thymia simplex et catatonica", queste ultime tre rifacendosi al paradigma neurologizzante di Wernike cui Kahlbaum aveva dato un grosso contributo con la sua Catatonia che egli considerava come si sa un disturbo involontario, automatico, parademenziale sia del tono (Spannungsirresein) che del movineto muscolari.
25 H. Ey, Les problèmes psychopathologiques et les conceptions générales du processus schizophrénique, in EMC, Psychiatrie, 37286 A10, 1955.
26 Freusberg (1896) e Schule (1898) "indebolimento", Lehrman (1898) "deficit energetico", R. Vogt (1902) "restringimento".
27 P. Sérieux & J. Capgras, Les folies raisonnantes. Le délire d'interprétation, F. Alcan, édit. Paris 1° édit, 1909; G Ballet, (1911), "La psychose hallucinatoire chronique", Encéphale, 2, 401-411; Dupré et Logre, "Les delires d'imagination", Congrès de Bruxelles-Lièges, 1910, pag. 320-340. et Encéphale, 10 mars, 10 av, 10 mai, 1911; G. Gatian de Clérambault, Oeuvre Psychiatrique, J. Fretet éd., PUF, Paris, 1° édit. 1942, 2 voll.
28 La interpretazione può produrre la persecuzione, la megalomania o l'ipocondria; la passione può produrre la gelosia, l'erotomania o la querulomania, e così via discorrendo.
29 La attività allucinatoria è un'iperattività percettiva primaria di cui il delirio appare come un tentativo di razionalizzazione.
(30) È una teoria i cui primi abbozzi ad opera del professore di Parigi Ernest Dupré (1912) sono contemporanei del Dementia praecox di Bleuler. Essa seleziona un certo numero di quadri morbosi (isteria, nevrosi d'ansia, perversioni, paranoia e maniaco depressiva) reinterpretandoli come stili comprensibili di personalità. Due profonde differenze la distinguono dalla teoria di Bleuler. Da un lato la teoria del sintomo, priva della dialettica primario/secondario dei sintomi di Bleuler; dall'altro, il rimaneggiamento nosografico che scinde in due la Demenza precoce kraepeliniana lasciando fra le altre demenze i casi più regressivi e autistici e facendo per contro dell'aspetto paranoide più organizzato un aspetto della costituzione paranoica. Bleuler è invece con l'autismo che si misura facendone il vero nucleo di senso della schizofrenia.
Benché coetanei, Bleuler e i "costituzionalisti" francesi non sono contemporanei. Questi rimangono degli uomini dell'800, Bleuler esprime invece le inquietudini del '900. Fra i francesi sarà invece Janet ad avvertire l'istanza dell'inconscio con la sua metafora elettrica di "baisse de la tension psichologique" che lo libera e con il suo studio degli "états seconds" e delle personalità multiple che lo esprimono.
31 E. Bleuler, Trattato di psichiatria, trad. It. Mainoldi, Milano, Feltrinelli, 1967, pag. 441.
32 E. Bleuler, Dementia praecox o il gruppo delle schizofrenie, trad. It. A cura di J. Vennemann ed A. Schiacchitano, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1985, p. 37. Da ora in poi i riferimenti a questo testo saranno segnalati con (D.P. e il numero della pagina) direttamente nel testo.
33 Appunto per l'effetto del paradigma associazionista in cui Bleuler ragiona.
34 L'unica notazione veramente illuminante è quella di gusto globale enunciata nei termini di "mancanza della rappresentazione dello scopo" che meglio riesce a dare un'idea del modo di esprimersi degli schizofrenici.
35 Ho consultato il Tanzi del 1905 e la VII edizione del Kraepelin (1904) e benché sia chiaro che quei grandi clinici avessero intuito la "dissociazione" come tratto caratteristico dei Dementi precoci, la concepivano però nei termini di sconnessione fra intelletto, affetti e volontà. Sono cioè ancora ancorati al concetto di demenza secondo Esquirol di matrice sensista (E. Esquirol, Des maladies mentales considérées sous les rapports médical, hygiénique et médico-légal, 2 Voll., Paris, J.B. Baillière, 1838).
36 M. Wertheimer, "Experimentelle Studien über das Sehen von Bewegung", Zeitschrift für Psychologie, 1912, 61, pag. 161-265; W. Koeler, La psychologie de la forme, tr. S. Bricianer, Paris, Gallimard, 1964; K. Koffka, Principles of gestalt psychology, London, Routledge & Kegan Paul, 4° ed. 1955.
37 Anche i francesi dell'epoca avevano sentito l'istanza della "struttura di senso" del sintomo ma la loro psicologia "unidimensionale" aveva potuto approdare solo alla sintesi più che modesta di F. Achille-Delmas che faceva delle cinque costituzioni psicopatiche un difetto o un eccesso di una delle cinque "disposizioni affettivo-attive" innate dell'animo umano nel cui ambito il sintomo si rivela "comprensibile": Cf. F. Achille-Delmas, M. Boll, La personnalité humaine, Paris, Flammarion, 1925, pag. 54.
Le correlazioni sono:
Costituzione paranoica
Costituzione perversa
Costituzione mitomane
Costituzione ciclotimica
Costituzione iperemotiva |
Avidità
Bontà
Socievolezza
Attività
Emotività
|
H. Ey, critica al Congresso francese di Limoges (1932) codesto modo di ragionare, dicendo che Achille-Delmas spiegava la patologia come l'orologeità spiegava l'orologio o la virtù dormitiva l'oppio.
38 Cf. Ey, Bernard, Brisset, Manuel de psychiatrie, Masson, 1° ed., 1963, pag. 496.
39 Anche Garrabé sottolinea nella definizione bleuleriana l'aspetto dell'Autismo che riguarda le relazioni fra la vita interiore e il mondo esterno (Cf. J. Garrabé, Histoire de la schizophrénie, Paris, Seghers, 1992).
40 A proposito dei quali complessi nota Garrabé non senza una certa ironia: "Nous pourrions de manière caricaturale dire qu'à l'origine c'est la perte de contact avec la réalité revue par la psychanalyse mais une psychanalyse rendue convenable par une dilution de l'aspect sexuel de la libido, l'existence de complexes chez les schizophrènes étant, elle, acceptable et bien commode pour expliquer cette perte d'attrait libidinal envers certains objets du monde extérieur", Op. cit. pag 60-61.
41 H. Ey, Traité des Hallucinations, Masson, 1973, 2 voll.
42 Cf. E. Minkowski, Ecrits cliniques, Paris, érès, 2002.
43 Per questo la discussione che fa Ballerini del rapporto delirio/autismo in Bleuler ci pare à côté: il problema non è infatti di contenuto ma di paradigma. Cf. A. Ballerini, Patologia di un eremitaggio. Uno studio sull'autismo schizofrenico, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pag. 62-68.
44 Aggettivo raro e antico indicante l'improntitudine e che vale insistente fino all'indiscrezione; quindi sfacciato, impertinente. Audace e impronto domandatore (G. Carducci) (cf. DIR, Firenze 1988).
45 L. Binswanger, Tre forme di esistenza mancata, trad. It. Filippini, Milano, Il Saggiatore, 1964.
46 W. Blankenburg,, La perdita dell'evidenza naturale, trad. It. di Ferro & Salerno, Milano, Cortina, 1998.
47 Ph. Chaslin, Elemets de sémiologie et clinique mentale, Paris, Asselin et Houzeau, 1912; G. Lanteri-Laura e M. Gorss, La discordance, Paris, Unicet,1984.
48 Tanzi e Lugaro, Trattato delle malattie mentali, Milano, 1923, vol II, pag. 468 che continua a definire la schizofrenia come una "stolidità della condotta", "La dissociazione psichica, processo fondamentale della Demenza precoce, colpisce i meccanismi del pensiero, degli affetti e degli atti, ma è soprattutto manifesta nella condotta che è appunto l'epilogo perenne di tutto ciò che si pensa e si sente, sia pure in modo confuso e contraddittorio... Perciò il sintomo più impressionante e complessivo della Demenza precoce è la stolidità della condotta."
49 Cf. Ph. Pinel, Traité Médico-Philosophique..., Op. cit. pag. 165.
50 È il senso della critica di H. Ey appunto all'organo-meccanicismo.
51 Spaltung e Autismo appaiono qui come i due risvolti di uno stesso concetto psicopatologico.
52Con buona pace di tutti quelli che nella psicopatologia, in quella fenomenologica in particolare, vedono la fine della clinica.
53 Così per esempio la allucinazione da disturbo settoriale della sensopercezione rivela l'essere al mondo alienato nel suo insieme attraverso l'ottica dell'apertura sensoriale al mondo stesso.
54 Oggi l'uso di codesto paradigma solleva quasi una questione etica ponendo il problema di distinguere la psichiatria medica che cura i malati mentali da una pratica farmacologica manipolativa dello "spirito umano" (Cf. Gauchet M., Swain G., La pratique de l'esprit humain. L'institution asilaire et la révolution démocratique, Paris, Gallimard, 1980) che ad esso si ispira.
55 Tanzi E. et Riva G., "La paranoia. Contributo alla teoria delle degenerazioni psichiche", Riv. Sper. Freniat., 1884, 10, n.3, 291-329; 417-443; 1885, XI, n.2 et 3, 274-318; 1886, XII, n.1, 76-153.
56 E. Minkowski, La schizophrénie, trad It. Ferri, Verona, Bertani, 1980.
57 L Binswanger, Tre forme di... Op. cit.; D. Cargnello, Ludwig Binswanger e il problema della schizofrenia, in Psichiatria generale e dell'eta evolutiva, 3, 1999.
58 Borgna parla per esempio di Autismo depressivo. Cf. E. Borgna, Malinconia, Feltrinelli, Milano. 1992.
59 W. Blankenburg, La perdita dell'evidenza naturale, Op. cit.
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