PSYCHOMEDIA
Telematic Review
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Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA
Area: Psicopatologia
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Sulla struttura antropoanalitica dell'ipocondria
II Parte
Al di là di una fenomenologia descrittiva:
l'ipocondria come metafora del «male»
di C. F. Muscatello, P. Scudellari, P. Vistoli, A. Grossi, N. Isola
Possa il male che è nel mio corpo,
nei miei muscoli e nei miei tendini
andarsene oggi.
Scioglimi dal mio incanto
perché un cattivo incanto
e una malattia impura,
e la trasgressione,
e liniquità
e il peccato
sono nel mio corpo,
e uno spettro malvagio
mi si è attaccato.
(Salmo penitenziale babilonese)
La posizione psicopatologica dell'ipocondria si presenta come un problema
complesso e, di fatto, irrisolto, soprattutto nella ricerca di una continuità
che colleghi, secondo una prospettiva coerente e dotata di un significato
antropologicamente fondato, l'ubiquità del sintomo ipocondriaco.
Questo sintomo ci appare ora in primo piano e con caratteristiche così
perentorie da definire, da solo, una precisa entità nosografica;
ora sembra accompagnare perifericamente, a tratti, le più diverse
entità nosografiche.
La continuità del sintomo ipocondriaco (che percorre trasversalmente
le più diverse manifestazioni cliniche) viene spesso intesa dai
diversi Autori come confuso agglomerato di possibilità nosografiche
polimorfe e non correlate fra loro.
Abbiamo voluto allora ipotizzare che l'ipocondria non rappresenti
tanto un sintomo il cui valore si limita ai confini del corpo, quanto
piuttosto una chiave di lettura per entrare nel problema del «Mal-Essere»
vale a dire nel mondo simbolico del "male" in tutta l'estensione dei
suoi significati antropologici. E ci siamo chiesti: l'idea ipocondriaca
di malattia è forse una metafora per dire altro? Fa essa parte
dell'universo simbolico che gravita intorno alle grandi metafore del
«male» antropologicamente inteso?
In questa prospettiva la riflessione sull'ipocondria spinge a confrontarsi
con le situazioni di crisi radicale dell'uomo, quelle che il grande
antropologo Ernesto De Martino ha definito «crisi della presenza»
(«presenza» sta qui per Dasein, «essere-nel-mondo»).
Di queste crisi l"«apocalissi psicopatologica» della dissoluzione
psicotica rappresenta un estremo, esemplare modello.
La prima parte di questo studio sull'ipocondria può essere sintetizzata
come segue.
Le tematiche ipocondriache possono essere colte appieno nel loro spessore
antropologico solo se si considera questo linguaggio sul corpo malato
(legato, paralizzato, contagiato, infetto, corrotto, combusto),
una declinazione arcaica delle grandi metafore del male attraverso
le quali si esprimono nell'uomo le più radicali esperienze di
alienazione e di scacco. Questi simboli del male sono dominati dal fantasma
dell'impurità, concepita come macchia che contamina il corpo
ed esige lavacri purificatori. Questo tema originario, che fa parte
delle stratificazioni più remote della simbolica del male, appartiene
tanto al registro somatico che a quello etico. Come scrive Ricoeur «La
rappresentazione dellimpurità rimane nel chiaroscuro di
una infezione quasi fisica che addita unindegnità quasi
morale».
Ci è parso di intravedere nella tematica ipocondriaca una
delle testimonianze più dirette di questa arcaica esperienza
del "male" che, nel contesto della crisi psicotica, soprattutto all'esordio,
dispiega l'intero repertorio delle sue metafore primarie: contagio fisico,
infezione, impurità, indegnità, peccato, maleficio magico,
maledizione divina, possessione demoniaca.
In questo contributo cercheremo di analizzare il vissuto ipocondriaco
in stretta connessione con la crisi psicotica.
Analizzeremo un caso emblematico di destrutturazione cataclismatica
dell'identità psicofisica: la celebre autobiografia di D. P.
Schreber (Memorie di un malato di nervi,1903). Ma soprattutto,
con la presentazione di altri casi, occorsi alla nostra osservazione,
cercheremo di cogliere una condizione ipocondriaca statu nascendi
e la sua evoluzione verso stadi deliranti cristallizzati e stabili.
Tale percorso lascia intravedere i legami che il mondo ipocondriaco
contrae, alla sua origine, con arcaici vissuti di impurità connessi
ad esperienze di vergogna e di scacco.
Psicosi e simboli primari del «male»
Ciò che appare fenomenologicamente più rilevante
nell'esperienza psicotica è lo sfaldarsi, il dissolversi graduale
o cataclismatico del senso dell'identità psicofisica.
Una simile esperienza dissolutiva tocca necessariamente anche il vissuto
somatico, cosi intimamente connesso con la struttura dell'Io psichico
da costituire il pilastro portante dell'esperienza quotidiana dell'identità.
Accanto ai fenomeni che denunciano la disgregazione dell'identità
psichica si associano quindi massicci fenomeni di depersonalizzazione
a carico dell'identità somatica. Sensazioni ineffabili di estraneamento,
di artificiosità, di influenzamento del corpo sottolineano ed
accentuano la perdita della padronanza e dei limiti di quello "spazio
intrapsichico" di cui il vissuto corporeo fa parte integrante.
Dissoluzione dunque dell'identità psico-fisica che trova nella
patologia del vissuto corporeo una conferma ancora più diretta
e impressionante, soprattutto quando constatiamo che a questi temi di
influenzamento e di spossessamento del corpo si accompagnano frequentemente
peculiari vissuti di metamorfosi e di degradazione somatica e fisiognomica.
Va ricordata qui l'ampia gamma delle esperienza di depersonalizzazione
somatopsichica con i suoi tipici vissuti dismorfofobici. In tale
contesto va sottolineato come le stesse dismorfofobie siano state definite
da Jarreis (1940) forme di "ipocondria estetica".
L'identità si altera non solo perché la permeabilizzazione
delle barriere dell'Io sottrae al soggetto il senso di proprietà
e di appartenenza dei propri pensieri e del proprio corpo, ma anche
perché, nel contesto angoscioso della destrutturazione, subisce
un processo di deterioramento e di deformazione della propria esperienza
fisiognomica e somatica, un processo che può culminare nell'esperienza
di dissoluzione della propria forma umana. Vanno ricordati qui i temi
ricorrenti di perdita dell'identità sessuale, di possessione
demoniaca o di trasformazione verso forme subumane di esistenza.
Ma tutto ciò che è stato descritto non coglie ancora esaurientemente
lo spessore e la specificità del mondo del paziente, la sua densità
e globalità "ontologica". Va soprattutto sottolineata la metamorfosi
negativa che subisce il mondo sotto il segno della psicosi: esso si
esprime attraverso una gamma di significati negativi e carichi di minaccia
che coinvolgono sia il mondo degli oggetti, sia quello della propria
personale esistenza, vissuti sotto il segno dell'insicurezza, della
minaccia, del disfacimento, della morte, della contaminazione fisica
e morale, della trasformazione del corpo verso modalità dismorfiche
e ripugnanti di esistenza. Di qui i grandi temi metafisici che emergono
spesso all'inizio delle psicosi, in cui le metafore del «male»
dominano incontrastate.
Come scrive von Gebsattel (1938) «il paziente parla solo su contenuti
che simboleggiano perdita o pericolo. Le potenze amiche e favorevoli
dell'esistenza scompaiono per fare posto a quelle nemiche ed ostili.
Non esiste più nulla di innocuo, di naturale e di comprensibile.
Il mondo si raggrinzisce in una fisionomia ripugnante».
Von Gebsattel parla di perdita dell'«eidos» (cioè
della forma) e dell'incombere dell'«antieidos» (cioè
dell'informe), simboleggiato dai temi dell'impurità, della contaminazione,
del deterioramento, della corruzione fisica e morale. Una «forza
equivoca» è insita in questa minaccia poiché essa
si volge a due istanze diverse: la corporeità e la coscienza
morale. «Essa è come sospesa fra il mondo naturale e il
mondo morale».
Si tratta di una vera e propria «crisi ontologica dell'Io»
(Muscatello, 1979) di una crisi antropologica radicale che annienta
l'intera persona come centro di possibilità e polo di decisione
e di scelta dei propri atti e delle proprie motivazioni.
Questo rischio di smarrire la propria persona come affermazione individuale
e storica «nell'immenso e incontrollabile dominio del negativo»
(De Martino, 1962) viene vissuto dal soggetto come perdita della vitale
concretezza dell'esistenza, come vuoto, artificiosità, inganno
e, nello stesso tempo, come caduta nel disvalore assoluto che assume
le diverse declinazioni antropologiche dello sfacelo fisico e della
degradazione morale.
Il malessere che colpisce l'Io nel momento della sua dissoluzione
rappresenta «il male» per antonomasia, l'impurità,
la corruzione fisica, il peccato, la colpa indecifrabile, la maledizione.
Kirkegaard ha bene espresso questa implicita ambiguità dell'angoscia
destrutturativa quando ha scritto: «...e resta il tormento più
grande quando un uomo non sa se la propria sofferenza sia una malattia
o un peccato» (cit. da Jaspers, 1913).
«Nella perdita di tutti i parametri di riferimento, in un mondo
che e diventato inconoscibile e pullulante di riferimenti magici, l'angoscia
destrutturativa si situa fra l'esperienza corporea (il mal-essere, la
malattia) quella morale (l'impurità e la colpa) e quella magico-demoniaca
(la maledizione, il maleficio)» (Muscatello, 1979).
L'esperienza ipocondriaca, nella fase cataclismatica della psicosi,
si colloca in un certo punto di intersezione di questi tre registri
dell'esperienza umana del «male» e della sua simbolica. Il
caso Schreber ce ne dà una pregnante testimonianza.
Vissuto di impurità e tematiche ipocondriache nella psicosi:
il «caso Schreber»
Il «caso» Schreber continua a rappresentare, per
la grandiosa complessità del suo delirio, un nodo irrisolto,
una sorta di rompicapo psichiatrico che nasconde nelle sue pieghe molte
possibili chiavi dei lettura.
La fase più acuta dellangoscia destrutturativa ci sfugge.
Sappiamo solo che Schreber ebbe a soffrire, alcuni anni prima, di un
altro episodio psicotico, etichettato come «melanconia ipocondriaca»,
e che, al momento dell'esordio del secondo episodio, egli era sottoposto
ad uno stato di intenso stress psicologico (legato ad una promozione)
e ad una perdurante. insonnia. Ma tutti questi particolari appaiono
irrilevanti e quasi risibili se rapportati agli avvenimenti «sovrannaturali»
che Schreber descrive con minuziosa e ossessiva precisione.
Sappiamo solo che un misterioso accadimento ha distrutto «I'Ordine
del Mondo» e «i Reami di Dio». Qualcuno ha commesso «un
assassinio dell'anima».
Schreber non sa chi l'ha commesso, forse il Prof. Flechsig (il suo medico
curante), forse lui stesso, forse Dio. Il tema della colpa si intreccia
fin dall'inizio col tema della persecuzione magica perché veniamo
anche a sapere che l'assassinio dell'anima equivale, per Schreber, ad
un furto dell'anima misteriosamente subito. Potremmo anche dire che
chi subisce il furto dellanima è responsabile in prima
persona di una gravissima colpa, quella che Schreber chiama "assassinio
dell'anima".
Appare qui evidente una vertiginosa ambiguità, un paradosso esistenziale:
quello di convivere con un «male» che si colloca nello stesso
tempo all'interno e al di fuori del soggetto, un male interiore che
fa sentire il soggetto consenziente e colpevole e che, nello stesso
tempo, egli subisce come una maledizione, da vittima designata, ma incolpevole.
A Schreber qualcuno ha dunque rubato l'anima, ma non solo lanima:
lo stanno anche privando della sua identità maschile. Questa
trasformazione dellidentità somatica consiste in un lento
processo di «evirazione», per «retrazione» e «rammollimento
fino ad una completa dissoluzione», dello scroto e del pene. Ciò
è vissuto da Schreber come «il massimo dell'ignominia»
e come gravissimo affronto del suo onore virile.
Questo tema si modula fin dallinizio secondo una plurivocità
di vissuti esistenziali tutti estremamente angosciosi e negativi. Infatti,
mentre esprime un momento centrale della dissoluzione della sua identità
sessuale, viene vissuto da Schreber come perdita di valore, impurità
e corruzione morale, intrecciandosi contestualmente con tematiche ipocondriache
di malattia e di disgregazione fisica (distruzione di organi, trasformazioni
somatiche ripugnanti dovute a misteriosi contagi e malattie).
«Raggi» malefici scaricano sul corpo e sull'anima di Schreber
sostanze putrefattive e contagiose, impregnate di «veleno cadaverico»
e ciò chiarisce all'Autore le mortificanti e ripugnanti trasformazioni
che subisce, per un certo periodo della sua vita, il suo corpo. A queste
trasformazioni è dedicato un intero capitolo del suo libro.
Certamente le vicissitudini somatiche subite da Schreber si contraddistinguono
quasi tutte per il loro carattere deturpante, contagioso e invasivo
(lebbra, peste) e perché connesse ad un sostrato di impurità
e di indegnità morale (sifilide).
«É A favore del fatto che in me dovessero essere presenti certi
germi di lebbra, parla la circostanza che io per un certo tempo fui
indotto a pronunciare certe formule di scongiuro di tipo piuttosto singolare,
come: 'lo sono il primo cadavere lebbroso e conduco un cadavere lebbroso'[...]
Per contro ho avuto manifestazioni della malattia peste sul mio corpo
a più riprese e in forma abbastanza forte». (p.111)
Il tema ipocondriaco sembra, a tratti, prevalere nettamente, sempre
connesso strettamente ad aspetti dissolutivi dellidentità
somatopsichica e a vissuti di impurità.
Il corpo di Schreber subisce altre vicissitudini umilianti, dolorose
ed enigmatiche: rimpicciolimento delle ossa, scomparsa dl alcuni organi,
erosioni, «putrefazioni del basso ventre», accompagnate da
penose allucinazioni olfattive (odori putrefattivi):
In questo quadro rientravano in particolare ogni genere di mutamenti
nelle mie parti sessuali, che certe volte (specialmente a letto) si
manifestavano come notevoli passi verso un'effettiva ritrazione del
membro virile, ma spesso, quando vi partecipavano in modo preponderante
raggi impuri, come un suo, rammollimento che si avvicinava quasi ad
una completa dissoluzioneÉ Degli altri organi interni voglio ancora
ricordare soltanto l'esofago e gli intestini, i quali furono ripetutamente
lacerati o scomparvero, il cordone spermatico, ai danni del quale furono
operati miracoli abbastanza dolorosi... Oltre a ciò debbo ancora
far menzione di un altro miracolo che investiva tutto il basso ventre,
la cosiddetta putrefazione del basso ventre....più di
una volta ho creduto di dovere imputridire da vivo e l'odore della putrefazione
emanava dalla mia bocca nel modo più nauseante ...(p. 161)
Il tema ipocondriaco, fin dallinizio strettamente connesso con
quello dellimpurità, sta a segnalare come lo stato di impurezza
fisica coincidente con quello di degradanti malattie di cui parla Schreber,
è da considerare alla stregua di uno stato allotropico
Egli si sofferma con particolare insistenza sul tema dellimpurità,
unimpurità, non a caso, dei «nervi», sottolineandoci
ancora la commistione inestricabile fra ipocondria, impurezza fisica
e impurità morale. Egli scrive:
«Si cercò infine di annerire i miei nervi, facendo
trapassare in modo miracoloso i nervi anneriti di altri uomini , probabilmente
supponendo che la nerezza (impurità ) di questi nervi si sarebbe
comunicata ai miei propri .(...) I nervi umani moralmente
corrotti sono anneriti; uomini moralmente puri hanno nervi bianchi;
quanto più in alto un uomo si sarà trovato in vita dal
punto di vista morale, tanto più la costituzione dei suoi nervi
si avvicinerà alla bianchezza o alla purezza perfetta, che
è propria dei nervi di Dio fin dallinizio (...) E
da escludere che ciò possa avvenire senza una purificazione preliminare,
perché difficilmente si potrà trovare un uomo che sia
esente da colpa, i cui nervi dunque non siano stati sporcati una qualche
volta ( p. 115)»
A conclusione di questo singolare protocollo che denuncia
il naufragio dello psicotico in un universo antropocosmico al «negativo»,
in un mondo che potremmo definire del disvalore ontologico, possiamo
sottoscrivere le parole di Bachelard (1942): «La purezza - scrive
Bachelard - è una delle categorie fondamentali della valorizzazione,
tanto che si potrebbero simboleggiare tutti i valori per mezzo
della purezza».
«Ereutofobia» e ipocondria: un caso clinico
Da una serie di casi di ipocondria, occorsi alla nostra osservazione,
abbiamo tratto il protocollo clinico di Carlo che ci permette
di cogliere uno stato psicopatologico originario, instabile e cangiante,
non ancora tematizzato, la cui analisi ci sembra di grande importanza
per tentare di risalire alla genesi del fenomeno ipocondriaco. E' un
mondo non chiaro, indeterminato, impreciso, infiltrato di angoscia,
ancora ricco di possibilità evolutive, dal quale possono emergere
alternativi percorsi psicotici. L'indagine di questa particolare situazione
di transito, cosi sfumata e pregnante allo stesso tempo, ha fatto emergere
la stratificazione genetica remota di una tipica storia di ipocondria.
Carlo è un paziente di cinquantatrè anni, sposato,
con un figlia di ventidue, seguito privatamente da un urologo per disturbi
vaghi, di cui è facilmente individuabile lo sfondo ipocondriaco.
E' una persona mite, che propone con insistenza discreta le proprie
convinzioni ipocon-driache presso lambulatorio specialistico che
frequenta ormai da diversi anni, presentandosi saltuariamente, ad intervalli
di qualche mese. Rifiutata più volte l'idea di un consulto psichia-trico,
accetta la proposta di un colloquio, presentato come una consulenza
abituale nella pratica dell'ambulatorio in questione che è situato
nello stesso stabile in cui si trova lo studio dello psichiatra. Il
colloquio prende le mosse da una quantità di referti, certificati,
esami che Carlo deposita sul tavolo. Gradatamente si delineano i tratti
di una storia clinica che ha inizio all'incirca nel 1985, anno in cui
il padre è morto per infarto. In quel periodo incominciò
il sospetto di disturbi pneumologici, forse correlabili al lavoro in
fonderia che allora svolgeva presso una prestigiosa casa automobilistica.
Considerata anche la delicatezza di un'eventuale malattia professionale,
i suoi presunti problemi clinici furono seguiti con una serie di accu-rati
accertamenti diagnostici e il consulto di diversi specialisti. Tuttavia
l'eventuale vena ri-vendicativa legata al riconoscimento di un possibile
danno professionale passò gradatamente sullo sfondo, lasciando
in primo piano il problema pneumologico, ma soprattutto il rapporto
con un importante specialista del campo.
Nell'ottantasette, durante un ricovero eseguito per un banale intervento
di varici agli arti inferiori, Carlo incominciò ad avvertire
vaghi bruciori alla minzione. L'urografia non mostrò alcun elemento
significativo. Eppure tali disturbi assunsero un andamento progressi-vamente
ingravescente che lo portò alcuni mesi dopo ad ottenere una indagine
cistoscopica.
«Dopo la cistoscopia - dice indicando con le mani un qualcosa sopra
la testa - incomin-ciai a sentire tutto un lavoro sopra, un disturbo
qui sopra, come se mi tirassero la pelle. Anche adesso quando sono sul
balcone di casa sento che mi tirano, dall'alto. C'è chi mi tira
in fronte, chi tira la schiena, chi tira i fianchi. ..In quel periodo
andavo anche dal denti-sta...Dopo una visita, un giorno andai a fare
benzina. Quando uscii dalla macchina vidi il benzinaio e divenni tutto
rosso, mi sentii avvampare. Lo sono ancora adesso non vede?...Da allora
non ho più fatto benzina, mando mia figlia. Io non posso, perché
loro hanno un servi-zio segreto, hanno degli strumenti con cui possono
produrre questi effetti. Adesso ho questo rossore che non mi lascia
stare, ho provato di tutto, con delle creme... Lunica cosa che
mi dà un poco di sollievo è l'acqua di sorgente...
C'è stata una trasformazione - prosegue sconsolato - non posso
più stare in mezzo alla gente. Ma è possibile che nessuno
riesca a fermarli? Ci sono le forze dell'ordine, e non fanno niente...
E poi il mio medico mi vuole dare il Serenase...»
Rossore, vergogna, indegnità. La macchia come simbolo primario
del male.
Ognuno riconoscerà, in un passaggio cruciale della vicenda
clinica, l'atmosfera irripetibile e particolare della perplessità
psicotica o dello stato di «trema» (come viene definito da
Conrad). E' un mondo permeato da una sinistra inquietudine, ai limiti
dellesprimibilità. Un breve passo del colloquio riportato
che sembra evocare questa atmosfera: «Dopo la cistoscopia incominciai
a sentire tutto un lavoro sopra, un disturbo qui sopra come se mi tirassero
la pelle. Quando sono sul balcone di casa sento che mi tirano dall'alto.
Cè chi mi tira di fronte, chi tira la schiena, chi tira
i fianchi....In quel periodo andavo dal dentista...Dopo una visita dal
dentista andai a fare benzina...vidi il benzinaio e divenni tutto rosso.
Mi sentii avvampare. Da allora cè stata una trasformazione.
Non posso più stare in mezzo alla gente.»
Come è noto la fase del "trema", che coincide con lo stato della
perplessità e del dubbio , è quella situazione di scacco
estremo e di massima crisi dei significati che prelude al mutamento
psicotico. Essa è anche comunemente indicata come l'esperienza
pre-paranoidea esemplare. La storia clinica che presentiamo ci sembra
tuttavia indicare come possano scaturire da tale esperienza percorsi
psicopatologici diversi, uno dei quali introduce al mondo dell'ipocondria.
In questo caso l'analisi dei vissuti che a fatica si possono intravedere
in questa fase di trasformazione dell'esperienza fornisce la rara occasione
di cogliere, da labili tracce, la transizione psicopatologica a senso
unico che immette in una tipica fenomenica ipocondriaca.
Col frammento di osservazione che abbiamo riportato tenteremo di risalire
alla situazione matriciale dell'ipocondria che sembrerebbe connotata
da vissuti ineffabili e inquietanti, poco tematizzabili e, forse, inconfessabili.
La depersonalizzazione somatopsichica si traduce in vissuti di umiliante
trasformazione per le incomprensibili manipolazioni, subite passivamente
dal corpo ("e come se mi tirassero la pelle....cè chi mi
tira dall'alto, chi mi tira in fronte, chi mi tira la schiena, chi mi
tira i fianchi..."). Il retroscena emozionale che sottende questa inizialissima
crisi dissolutiva dell'Io è infiltrato da esperienze di umiliazione
e di vergogna probabilmente innescate dalle intrusive manipolazioni
su aree critiche del corpo che le subisce impotente: in primis l'indagine
cistoscopica e successivamente l'intervento dentistico. Tutto ciò
sembrerebbe avere aperto una irrimediabile falla nelle fragili barriere
difensive del paziente, toccando quelle aree psicofisiche (area genitale,
bocca) che possiamo immaginare fra le più vulnerabili e critiche
in quanto suscettibili di innescare profonde angosce di castrazione.
L'incontro occasionale con un benzinaio del quale il paziente non riesce
a tollerare neppure la presenza, rilancia e rafforza tutti i vissuti
di umiliazione e di castrazione precedenti. Vergogna, impotenza, annichilimento,
sottesi da angosce omosessuali slatentizzate? E' il benzinaio una figura
che drammatizza uno strapotere fallico vissuta in un registro angosciosamente
ambivalente fra esibizione e vergogna? (Si arrossisce sia di piacere
che di vergogna!) Il paziente si sente avvampare. Un sintomo, il sintomo
ereutofobico, fa a questo punto la sua irruzione, a rappresentare e
a condensare tutta l'area di questo malessere inconfessabile che sembra
avere incrinato definitivamente la stabilità dell'Io e menomato
gravemente, forse irrimediabilmente, la sicurezza e la fiducia di sé
e del proprio valore. Questa esperienza, che possiamo immaginare fluttuante
fra impalpabili vissuti di umiliazione, indegnità, impurità,
vergogna, si presenta subito orientata anche nella direzione di uno
«sviluppo sensitivo» («Da allora cè stata
una trasformazione...non incontro più nessuno...loro hanno un
servizio segreto, hanno degli strumenti con cui possono produrre questi
effetti...»).
Con l'episodio ereutofobico si delinea un sintomo che poi non abbandonerà
più il paziente, quasi egli sentisse il rossore come una seconda
pelle, un marchio indelebile. Il rossore è anche la più
diretta e pregnante rappresentazione corporea del vissuto di vergogna.
E', si potrebbe dire, la metafora più arcaica della vergogna,
quella più radicata al substrato corporeo e biologico.
Ma è anche quel sintomo che ci mette in contatto con uno dei
più arcaici simboli del male: il simbolo della macchia che urge
di essere detersa, che necessita di abluzioni rituali.
«Ogni male è simbolicamente macchia», scrive Ricoeur
(1960) in «Finitudine e colpa», a proposito degli strati simbolici
primari del male. La «macchia» è dunque una fra le
metafore più arcaiche del «male».
Scrive ancora Ricoeur: «la rappresentazione della macchia come
impurità rimane nel chiaroscuro di una infezione quasi fisica
che addita una indegnità quasi morale. Questo equivoco non è
espresso concettualmente, ma è vissuto intenzionalmente nella
qualità del timore, semi-fisico e semi-etico che aderisce alla
rappresentazione dell'impuro».
La macchia è la metafora primaria del male in quanto il male
all'origine si presenta, come la macchia, come qualcosa che sta fra
l'insudiciamento, il contagio, la corruzione fisica, limpurità
e lindegnità morale. La macchia addita simbolicamente,
attraverso un segno di corruzione visibile, una corruzione invisibile.
Del resto le stesse parole macchia e impurità appartengono
ad un doppio registro semantico, quello fisico e quello morale.
Il sintomo del rossore significa per il nostro paziente sentirsi segnati
da un marchio, da una macchia indelebile. Questa macchia, sospesa da
principio fra mondo corporeo e mondo morale, fra segno di malattia e
marchio di indegnità, si cristallizza nell'area della corporeità
e viene catturata dal suo peculiare linguaggio.
Il paziente incomincia a parlare attraverso il linguaggio dell'ipocondria,
un linguaggio metaforico che è, come abbiamo sottolineato, una
delle declinazioni simboliche più arcaiche e dirette del mal-essere
esistenziale.
Questo rossore è una malattia cronica che va curata con creme
dermatologiche, ma è anche una macchia simbolica, un segno di
impurità che esige un lavacro di purificazione, esige di essere
simbolicamente detersa e cancellata da abluzioni rituali con «acqua
di sorgente». Qui l'acqua di sorgente si rappresenta in
tutta la sua potenza simbolica e carismatica.
Se la struttura simbolica di questa macchia di rossore (che allude all'equazione
vergogna = impurità) non viene mai esplicitata dal paziente,
essa viene nondimeno "agita". Attraverso il rituale di purificazione
con acqua di sorgente si può direttamente risalire al significato
di ciò che si intende cancellare. Come il rito dell'abluzione
sopprime simbolicamente limpurità, così l'impurità
è simbolicamente rappresentata dal rossore.
Abbiamo attribuito una grande pregnanza metaforica all'uso ritualmente
ripetuto di qualche spruzzo di acqua di sorgente, unico gesto terapeutico
che dà un po' di sollievo al paziente. Rimandiamo alla citazione
che segue, tratta dal "Trattato di storia delle religioni" di Mircea
Eliade (1948), l'esplicitazione del significato sacrale, rigeneratore
e purificatore dell'acqua viva e delle abluzioni rituali:
«Quale che sia il complesso religioso nel quale appaiono, la funzione
delle acque si manifesta sempre la stessa: disintegrano, aboliscono
le forme, « lavano i peccati », purificando e insieme rigenerano.
Ogni forma, appena staccata dalle acque, si corrompe e finisce per vuotarsi
della propria sostanza, se non si rigenera con immersioni periodiche
nelle acque, se non ripete il « diluvio» seguito dalla «cosmogonia».
Le lustrazioni e le purificazioni rituali con acqua sono la ripetizione
simbolica della nascita dei mondi o delluomo nuovo».
Riprendendo il caso clinico riassumeremo così il significato
psicopatologico cruciale che gli abbiamo attribuito. L'arrossire improvviso
del paziente, quell'arrossire che nasce come segnale di un malessere
oscuro e indicibile, impregnato di vissuti di umiliazione, di vergogna,
di indegnità, si cristallizza rapidamente nell'area della corporeità,
viene catturato dal suo particolare linguaggio e si declina nel senso
di un male che segna il corpo, di una patologia della pelle che necessita
di creme e di cure dermatologiche. Ma della sua originaria matrice emotiva,
dello smarrimento, dell'angoscia, della menomazione ontologica subita,
l'espressività clinica e il linguaggio del paziente conserveranno
una traccia assolutamente indelebile: il bisogno di detergersi e
di purificarsi con «acqua di sorgente».
Questo bisogno segnala una ridondanza metaforica: questo rossore
e anche una macchia, un marchio indelebile di impurità e di vergogna.
Di questa ridondanza metaforica, impregnata in tutte le sue falde di
una primitiva simbolica del male e dominata dal fantasma dell'impurità,
bisognerà sempre tenere conto quando ci si propone di penetrare
nel linguaggio e nel mondo dell'ipocondria o, comunque, risalire alle
esperienze antropologiche originarie che ne costituiscono le fondamenta.
Il corpo nellipocondria: unestrema ricapitolazione biografica.
In questo tentativo di avvicinamento, clinico e fenomenologico, al
senso che riveste lesperienza della corporeità
in psicopatologia il nostro proposito è stato quello di rendere
in qualche modo accessibili ad un ascolto partecipe zone inedite, oscure,
indicibili dellesperienza psicopatologica della corporeità.
E indubbio che le modificazioni dellesperienza del corpo,
dalle più ineffabili sensazioni di cambiamento e di depersonalizzazione
fino alle più trasfigurate e visionarie metamorfosi deliranti,
ivi compresi gli enigmatici vissuti somatici dellipocondria, costituiscono
un tema costante e centrale della psicosi. «Il corpo da un lato
e il mondo dallaltro, - scrive Benedetti (1991) - rappresentano
i due grandi palcoscenici su cui lIo psicotico avverte sé
stesso». Potremmo dire ancora che il vissuto d'identità
e le sue declinazioni psicopatologiche coinvolgono sempre, e necessariamente,
la corporeità che ne fa parte integrante, essendo lidentità
psichica e quella somatica in un rapporto di impregnazione reciproca
e di connessione inestricabile. Tutto ciò che sfalda in qualche
modo lidentità in quanto vissuto psichico, altera e sfalda
anche il senso dellidentità corporea e fisiognomica. Le
esperienze psicopatologiche riferibili al corpo, sempre presenti
nel quadro dellinvasione psicotica, sono, per la loro stessa natura,
ambigue, ineffabili, spesso incomunicabili, talora espresse, come abbiamo
visto, solo obliquamente attraverso travestimenti metaforici. Tuttavia
linteresse, o addirittura il fascino, di questi fenomeni è
notevole proprio perché si ha limpressione di trovarsi
di fronte al nucleo ancora misterioso di tutta la patologia psichica.
In una prospettiva tesa a superare il limite della mera trasversalità
descrittiva, essi sembrano costituire il tramite più diretto
per risalire alle origini stesse del divenire psicotico.
Fra i più recenti tentativi di inquadrare fenomenologicamente
l'ipocondria si colloca la lettura di Küchenhoff (1985). Egli descrive
la sindrome ipocondriaca come «la forma fenomenologicamente autonoma
di un rapporto Io-mondo particolare, caratterizzato da una amplificazione
progressiva del valore che riveste la malattia.
«Questo rapporto Io-mondo si fonda sulla perdita dell'ovvietà
naturale del vissuto di integrità somatica e psichica,
cosicché l'attenzione e l'affettività si limitano a
forme di auto-osservazione, di sentimento di malattia, o di convinzione
di malattia, mentre l'incontro interumano viene allo stesso modo limitato
e reso impossibile».
Dobbiamo davvero intendere linterpretazione di Küchenhoff
come lultima possibile riflessione fenomenologica sullipocondria,
una riflessione che sembra arrestarsi alle soglie di una spenta tautologia,
quella della «perdita dellovvietà naturale del vissuto
di integrità somatica e psichica»?
«Lipocondria è una passione solitaria» scrive
Tatossian (1981), la cui prospettiva, del tutto originale rispetto alle
tesi di Kükenoff, si ispira alla fenomenologia dellavere
di G. Marcel (1935). Egli stabilisce un interessante parallelismo
fra lipocondria e le altre passioni dellavere,
come la gelosia e la rivendicazione. Il corpo ipocondriaco sarebbe
soprattutto un «oggetto da collezione» che non ha valore duso,
non è un utensile da riparare, ma un semioforo che «esige
la visione» ed impone lattenzione come ogni oggetto di collezione
che, per definizione, è sempre carico di significati remoti e
invisibili. Esso rappresenta il passato (infelice), ciò che è
lontano, assente o scomparso. Con esso si esibisce, come una patetica
reliquia (anche la reliquia è oggetto di collezione),
«tutto ciò di cui lipocondriaco deplora la mancanza
o limperfezione nel presente o nel passato». Si potrebbe
concludere, seguendo le suggestioni di Tatossian, che il corpo ipocondriaco
venga esibito come la ricapitolazione estrema di una biografia segnata
da ferite e da lutti irreparabili.
Il «corpo ipocondriaco» sembra dunque una metafora per dire
altro.
Fenomenologia genetica dellipocondria delirante
Fare della psicopatologia antropoanalitica significa cercare la continuità
nella discontinuità dei diversi agglomerati sintomatologici,
e leggere questa discontinuità nellottica di una continuità
narrativa che apra alla comprensione esperienze, eventi, storie
ai margini estremi dellintelligibilità e, qualche volta,
della dicibilità. Solo muovendosi in questa direzione lanalisi
fenomenologica potrà essere in grado di oltrepassare il dato
meramente descrittivo per aprirsi alla genesi strutturale e storico-narrativa
del fenomeno clinico.
In questa ottica - scrivono Ballerini e Rossi Monti (1996) - i
concetti non si configurano più come rasoi infallibili e risolutivi
che tagliano la realtà clinica nei suoi punti di articolazione,
ma piuttosto punto di partenza di percorsi conoscitivi più complessi
e faticosi.
In epoca di facili riduzionismi la psicopatologia fenomenologica esige
rinnovate capacità di attenzione e di ascolto. La sua funzione
ermeneutica ci appare tuttaltro che esaurita, avendo essa aperto,
nella ricerca di sempre più ricche e complesse connessioni vitali
ed esperienziali, nuove prospettive antropologiche, e, quindi, nuovi
orizzonti conoscitivi, ben oltre il limite della mera trasversalità
descrittiva.
Con ciò intendiamo sottolineare che l'analisi psicopatologica
di ispirazione fenomenologica dovrà oltrepassare, innanzi tutto,
il dato semplicemente descrittivo per aprirsi alla genesi strutturale
del fenomeno clinico. A questo proposito, per definire meglio il
nostro pensiero circa il problema genetico in psicopatologia
senza cadere in equivoci causalistici (che implicano modelli di causalità
lineare), è opportuno ricordare le importanti considerazioni
di Piaget (1970). «Affermare la necessità di risalire alla
genesi - suggerisce Piaget - non significa comunque accordare un privilegio
a questa o a quella fase considerata come prima in assoluto: significa
invece ricordare l'esistenza di una costruzione sempre complessa e indefinita,
e soprattutto insistere sul fatto che, per comprendere i motivi e le
dinamiche bisogna conoscere tutte le fasi, o per lo meno il massimo
possibile».
Ciò che consideriamo una perentoria necessità della psicopatologia
è un'analisi fondata su ciò che Husserl (1950) ha definito
«fenomenologia genetica» e che E. Melandri, (1960), sua acuto
ed appassionato cultore, definisce «la preoccupazione [dell'ultimo
Husserl] circa il senso della storia del soggetto». Ciò
vale per l'ipocondria, come per tante altre condizioni psicopatologiche.
Anche l'ipocondria ci obbliga, infatti, a confrontarci con una «visione
del mondo» in progress, di cui l'espressività clinica
conclamata rappresenta solo la ricapitolazione finale. Come scrive Tatossian
il corpo dell'ipocondriaco è «la sintesi di una biografia
con tutte le delusioni che lhanno segnata»
Come è stato illustrato in precedenza attraverso il caso di
Carlo, ci è parso di intravedere nella tematica ipocondriaca
una delle testimonianze più dirette di unarcaica esperienza
del «male» che nella crisi psicotica, intesa come crisi antropologica
radicale, dispiega l'intero repertorio delle sue metafore primarie:
contagio fisico, infezione, impurità, indegnità, peccato,
maleficio magico, maledizione divina, possessione demoniaca.
Lipocondria statu nascendi di Carlo ci ha fatto
intravedere i legami che alla sua origine il mondo ipocondriaco può
contrarre con inconfessabili, e probabilmente indicibili vissuti di
scacco e di vergogna. Da un iniziale stato di angoscia destrutturativa
con le caratteristiche della perplessità psicotica il paziente
finisce per approdare ad un delirio ipocondriaco cronico e stabile.
Questa storia clinica ci ha illuminato su alcune esperienze antropologicamente
specifiche che sono in rapporto genetico con lipocondria e che
risultano, il più delle volte, invisibili perché oscurate
dalla stessa opacità comunicativa che caratterizza questa sindrome.
Fra queste emerge, come si è voluto sottolineare, lesperienza
della macchia come impurità che si incarna nel sintomo ereutofobico.
Abbiamo poi sorprendentemente ritrovato, al culmine di questa storia
clinica, lantico schema sacrale: impurità come macchia
da detergere ritualmente con un lavacro purificatore mediante acqua
viva (acqua di sorgente).
In un altro caso di ipocondria, capitato alla nostra osservazione,
si ripresenta il tema della purificazione con acqua di fonte, anche
se questa volta il paziente non riesce a sperimentare alcun sollievo
dal lavacro rituale al quale si sottopone. Il rito purificatore
alimenta anzi, per vie tortuose e paradossali, langoscia dellimpurità,
in un crescendo delirante che distorce in modo visionario la mappa del
corpo. Il linguaggio, come risulterà evidente, assume quel tipico
carattere pseudoscientifico che lo rende una parodia del discorso medico.
Ermanno, un paziente ipocondriaco di 33 anni, in seguito ad
una colica renale beve da molti mesi due litri d'acqua minerale ogni
giorno, con la ferma intenzione di depurarsi da eventuali sedimenti
di acido urico, la cui presenza "gli è intollerabile". Alcune
acque minerali sono state bandite, perché reperibili in commercio
solo in bottiglie di plastica, che non ne garantiscono la purezza. Altre
varietà d'acqua sono state scartate in quanto giudicate da Ermanno
"troppo pesanti", cariche di sali minerali asportati dalla roccia già
alla fonte, e percepibili al palato per la loro ruvidezza. Da nessuna
fonte minerale comunque sgorga acqua sufficientemente pura: il paziente
ha sperimentato ormai decine dacque diverse, ed ogni volta con
la sensazione di ingerire acqua dannosa (corrosiva) per i reni. E. M..
descrive come particolarmente nefasta lassunzione di una particolare
acqua oligominerale certificata come "molto pura", ma a suo parere non
sufficientemente tale e quindi subdolamente "abrasiva", un'acqua tanto
apparentemente pura da agire insensibilmente ancor più in profondità
"logorando e sfilacciando i tessuti" dei reni. Il sospetto del paziente,
che ha la qualità della certezza delirante, è che "dentro
le capsule" i reni siano stati "erosi e scavati", e che i "gomitoli
di tubi ormai bucherellati" riversino quantità abnormi di scorie
nei calici. Anche la prostata ha iniziato a bruciare - afferma il paziente
- corrosa dall'urina e dai sali minerali dell'acqua impura.
Il successivo protocollo che presentiamo a chiusura della nostra carrellata
clinica riassume efficacemente certe estreme espressioni dellipocondria,
là dove il corpo viene esibito come un grandioso reliquario di
mali ormai non più curabili.
Ilde, in un manoscritto che porta sempre con sé e che
esibisce come un vero e proprio «biglietto da visita», ha
annotato con estrema minuziosità data, luogo e numero delle innumerevoli
indagini laboratoristiche e radiografiche a cui si è sottoposta
per una misteriosa patologia ossea. Ilde ha infatti consultato
un numero sterminato di medici, collezionando nell'arco di sette, otto
anni, circa un centinaio di radiografie. La relazione della paziente
con l'intera classe medica si è mantenuta a lungo stabile e virtualmente
interminabile, grazie anche alla relativa non invasività degli
interventi dei medici interpellati che si limitavano ad accondiscendere
alle richieste della paziente.
La recente perentoria decisione di una struttura specialistica di «imporre»
a Ilde un particolareggiato e definitivo studio radiodiagnostico e,
soprattutto, un intrusivo esame bioptico, ha interrotto questo andamento.
Il nuovo evento ha drammaticamente interrotto la relazione instabile
che si era instaurata fra gli insistenti, ma larvati, sospetti di malattia
esibiti dalla paziente e i deboli dinieghi espressi dai terapeuti. Da
quel momento in poi Ilde ha raggiunto in effetti la convinzione di presentare
i sintomi di un "cancro da raggi", che descrive monotonamente con queste
parole: "Le lastre sono state la mia maledizione. Mi hanno bruciato
le ossa. Le ossa sono vuote e non mi sostengono più. Questo male
è un cancro che è partito dal piede sinistro e avanza
in tutto il corpo. L'effetto deleterio dei raggi continua ad agire,
anche a distanza di anni, come nei sopravvissuti di Hiroshima. E' un
cancro che mi dilania, che mi mangia".
Notiamo la singolare grandiosità di un suo lamentoso commento:
«...con tutti i raggi che ho subito e con tutto il calcio che ho
dovuto assumere per le mie ossa svuotate, mi sto trasformando in
un monumento!».
In continuità con le parole della paziente ascoltiamo alcuni
versi di una poesia africana che suonano come una solitaria, disperata
lamentazione. Trapela da essi quel senso di inattaccabile grandiosità
della sofferenza che costituisce il segno di alcune estreme figure cliniche
dell'ipocondria, là dove ogni espressività verbale si
cristallizza nell'area della corporeità e viene catturata dal
suo peculiare linguaggio. Qui ogni indizio delle condizioni matriciali
dellipocondria, colte nei casi precedenti, sembra scomparso.
Così recitano i versi della poesia:
Il mio corpo è come un albero agousi,
che sta là nella pianura,
torre d'osso e di pietra,
e soffre molto.
L'albero agousi è anche chiamato dalle popolazioni africane
Dogon «l'albero-osso», perché le fibre vegetali, nel
corso del tempo, subiscono un lento processo di indurimento e di cristallizzazione.
Nel largo orizzonte della savana l'albero agousi protende il
tronco come un solitario e grandioso totem..
Limmagine del tronco ossificato «che soffre molto» drammatizza
iconicamente le modalità di presentazione del dolore di alcuni
pazienti ipocondriaci, un dolore lamentato come virtualmente eterno.
Modalità grandiose che riecheggiano - ci ricorda Maurel (1975)
- la figura mitica di Prometeo.
Del mito di Prometeo i nostri pazienti mutuano soprattutto lesibizione
spettacolare del dolore e la dimensione interminabile e virtualmente
immortale della sua presentazione. In essi lattualità sconfinata
del patire sembra sopprimere ogni divenire, quasi a sconfiggere la corruzione
e la morte.
Queste due grandiose e desolate figure dellipocondria, quella
del corpo-monumento coniata dalla paziente, e quella poetica
del tronco ossificato dellalbero agousi, ci riconducono
a Tatossian che rimarca, del mondo ipocondriaco, la qualità ostentativa
e nel contempo inaccessibile:
«Il solo vero partner dellipocondriaco è il suo
corpo e gli altri, medico compreso, sono comparse.[...] Lincontro
fra lipocondriaco e il medico ha dunque alla sua base un malinteso
perché il primo si aspetta dal secondo tuttaltra cosa
che una riparazione del suo corpo. Il medico non è richiesto
come guaritore e riparatore, ma come testimone, come spettatore strettamente
ridotto alla sola funzione visiva».
I casi di ipocondria presentati illustrano tre diversi stadi o, per
meglio dire, tre stratificazioni genetiche del delirare ipocondriaco:
dalla fase matriciale verso la cristallizzazione grandiosa ed esibizionistica.
Essi disegnano in tre diversi casi una sorta di continuità antropologica
che ci consente di individuare, collegandoli, strati genetici diversi
della patologia ipocondriaca. Il percorso che ci suggeriscono va da
unesperienza psicopatologica impregnata dallangoscia dellimpurità
(i casi di Carlo e di Ermanno) ad una condizione finale
(il caso di Ilde) che di questa impurità ha perduto il
linguaggio, lasciandosi ottenebrare dallopacità di un corpo
che è testimonianza visibile di antiche cose ormai invisibili
e dimenticate.
«Il corpo dellipocondriaco - scrive Tatossian - esige la
visione proprio perché rappresenta linvisibile, perché,
come loggetto da collezione, è sempre carico di significati
remoti e invisibili», la sintesi di una «biografia con tutte
le delusioni che lhanno segnata, di cui il corpo attuale è
il prodotto»
Diremo allora che con esso si esibisce, come un relitto divenuto intangibile
e sacro al pari di una reliquia, tutto ciò che lipocondriaco
ha patito e patisce come mancanza, lutto, infelicità e imperfezione.
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