PSYCHOMEDIA
Telematic Review

Dalle Rubriche di Paolo Migone
"Problemi di Psicoterapia
Alla ricerca del 'vero meccanismo d'azione' della psicoterapia"
pubblicate sulla rivista

 

Il Ruolo Terapeutico, 2002, 89: 58-69 (I parte),  90: 47-58 (II parte), e 91: 67-77 (III parte)
(una versione anche in: Psicoterapia e Scienze Umane, 1984, XVIII, 4: 32-62)

Storia dello scandalo Masson
 

Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane

 

In questa rubrica e nelle due seguenti racconterò, divisa in tre parti, la storia del "caso Masson", uno scandalo avvenuto in America agli inizi degli anni '80 che coinvolse i vertici dell'establishment psicoanalitico internazionale. Ho raccontato per la prima volta questa avvincente storia nel n. 4/1984, pp. 32-62, di Psicoterapia e Scienze Umane ("Cronache psicoanalitiche: il caso Masson"), e l'ho raccontata nuovamente una decina d'anni dopo, aggiornata agli sviluppi successivi, nel cap. 14 del mio libro Terapia psicoanalitica (Milano: Franco Angeli, 1995). La racconto ora ai lettori del Ruolo Terapeutico, in una ultima versione ampliata e arricchita di ulteriori particolari, perché ritengo che, oltre che essere molto divertente, possa suscitare ancora interesse.

Agli inizi degli anni '80 Jeff Masson era un giovane psicoanalista ricercatore e da poco nominato direttore dei prestigiosi Freud Archives. Basandosi principalmente sull'esame di documenti riservati ai quali solo lui aveva accesso (soprattutto certe lettere tra Freud e Fliess fino ad allora non pubblicate), sostenne che l'abbandono della teoria della seduzione - cioè l'ammissione di Freud di essersi sbagliato quando originariamente aveva creduto che la genesi della nevrosi nell'adulto dovesse essere ricercata in una reale seduzione sessuale del bambino da parte di un genitore - fu un grave errore, fatale per lo sviluppo e la fecondità della psicoanalisi. Freud - secondo Masson - avrebbe abbandonato questa teoria in realtà non con un atto di coraggio, avendo riconosciuto l'errore e mosso dall'interesse per lo sviluppo della disciplina, ma "per codardia", perché gli era difficile sostenerla di fronte al mondo accademico di allora, e soprattutto per una difesa inconscia, rivolta a proteggere se stesso, le sue stesse storie di seduzioni, gli errori suoi e dell'amico Fliess. L'abbandono della teoria della seduzione, confessato da Freud nel 1897 in una lettera a Fliess, e reso pubblico solo nel 1905, viene considerato invece dalla tradizione psicoanalitica come un evento che segna la data di nascita stessa della psicoanalisi, il momento in cui questa giovane scienza incominciò a riconoscere l'importanza delle fantasie, e in genere della vita psichica inconscia, e non semplicemente della realtà esterna.

Secondo Masson sarebbe vero esattamente il contrario: l'abbandono della teoria della seduzione segnerebbe invece la fine della psicoanalisi, non la sua nascita, perché dando enfasi al mondo della fantasia, anziché a quello della realtà, inevitabilmente avrebbe impresso una svolta alla storia della psicoanalisi per aver fatto distogliere l'attenzione dalla realtà della vita del paziente e dagli eventi traumatici che in definitiva sono i veri responsabili dei problemi psichici. Queste posizioni furono esposte da Masson (1984a) nel libro Assalto alla verità: la rinuncia di Freud alla teoria della seduzione, che rappresentò l'apice del cosiddetto "scandalo Masson".

Già Morton Schatzman, utilizzando lo studio di Freud (1910) sul "caso Schreber", nel libro del 1973 La famiglia che uccide aveva sollevato problemi molto simili, sostenendo che vi era una correlazione diretta tra traumi subiti dal bambino e patologia nell'adulto. Anzi, si può dire che il caso Schatzman, che allora fece molto discutere il mondo psicoanalitico e psichiatrico (si ricordi che quelli erano anni in cui i fermenti del movimento antipsichiatrico erano molto vivi), abbia rappresentato quasi la "prova generale" del caso Masson. Ma quello che rese il caso Masson più imbarazzante e penoso per la istituzione psicoanalitica non riguardò tanto la questione teorica sollevata, o i toni di scontro frontale e antipsicoanalitico che la polemica assunse, quanto il fatto che questa voce critica giungeva da un pulpito di tutto rispetto: come si è detto, il giovane Masson era stato da poco nominato, grazie alle sue capacità di ricercatore, direttore dei Freud Archives, la prestigiosa organizzazione deputata alla conservazione del patrimonio freudiano, precedentemente diretta dall'eminente psicoanalista di New York Kurt R. Eissler. Masson, che fu fatto anche condirettore dei Freud Copyrights, avrebbe dovuto abitare a Londra nella casa di Anna Freud (1895-1982), subito dopo la sua morte, e qui curare quello che poi diventerà il Freud Museum deputato alla conservazione del prezioso patrimonio scientifico. Masson non arrivò mai ad abitare nella casa di Anna Freud perché espose le sue tesi prima che lei morisse, e quindi il suo licenziamento pose fine alla cosa. Fu per questo licenziamento che Masson denunciò le istituzioni psicoanalitiche, uscendone vittorioso e con 150.000 dollari di risarcimento.

Naturalmente molti si chiederanno come sia stato possibile per un giovane psicoanalista come Masson raggiungere una tale posizione in così poco tempo, ai vertici dei prestigiosi Freud Archives, e come sia stato possibile che egli subito dopo si rivolgesse contro tutti coloro che gli avevano dato fiducia. E inoltre, quale è la reale entità delle scoperte che Masson avrebbe fatto, tale da giustificare questa sua presa di posizione?

Questa è la tipica storia in cui i fattori scientifici e teorici si intrecciano da una parte a questioni affettive e personali, e dall'altra soprattutto a fattori sociologici - è stata cioè anche una storia di lotte di potere all'interno della istituzione psicoanalitica. A questo riguardo si può senza dubbio discutere e cercare di formulare ipotesi, come peraltro molti hanno già fatto da entrambe le parti e in vari modi (interpretazioni sociologiche, politiche, psicoanalitiche, ecc.). Quello invece che voglio fare qui è raccontare semplicemente i fatti così come si sono svolti e tentare un commento solo alla fine del racconto, o eventualmente lasciare a ogni singolo lettore le sue considerazioni. Per ragioni di maggiore obiettività, alla fine pubblicherò anche una lettera dello stesso Masson, che gli chiesi di scrivere appunto per far conoscere ai lettori il suo punto di vista, non filtrato dal mio racconto. E' possibile che in tal modo questa storia risulti più piacevole e avvincente, facendo vedere meglio la complessità della vicenda nei suoi aspetti umani, cercando di far sentire vicini affettivamente i vari personaggi, i quali, come si vedrà, sono tutte persone abbastanza straordinarie. Forse questo racconto potrà anche aiutare a vincere la tentazione di assumere prese di posizione aprioristiche o di schieramento. Inoltre verrà soddisfatta la curiosità del lettore, che si potrà fare una idea delle cose che a volte possono accadere all'interno del "palazzo" della psicoanalisi.

Un vantaggioso angolo di visuale nel raccontare questa storia mi proviene dal fatto di aver vissuto a New York, e di aver frequentato la comunità psicoanalitica locale, proprio negli anni in cui questa vicenda si sviluppava, e soprattutto di aver conosciuto personalmente Kurt Eissler, Jeff Masson, Peter Swales, e altri personaggi implicati in questa storia. Questo scritto è stato elaborato sulla base dei due articoli pubblicati nel 1983 sulla rivista The New Yorker da Janet Malcolm, dai quali poi nel 1984 fu tratto un libro (dal titolo In the Freud Archives); oltre a questi scritti (per i quali Masson, in un secondo processo, denunciò la Malcolm per diffamazione), utilizzerò altre fonti (Blumenthal, 19881a, 1981b, 1981c, 1981d; Gillie, 1981; Bloom, 1984; Blumenthal & Goleman, 1984; Bugno, 1984; Esman, 1984; Gelman, 1981; Lehman-Haupt, 1984; Musatti, 1984b; Masson, 1990; Boynton, 1994; ecc.). Alla fine, dopo un breve commento, un post scriptum, e la nota dello stesso Masson che, come ho detto, gli ho chiesto per una questione di maggiore obiettività, accennerò anche al secondo processo, quello contro la Malcolm.

La storia

Vorrei iniziare accennando alla vita di Masson, così come ce la racconta Janet Malcolm (1983, 1984). Jeffrey Moussaieff Masson proviene da una famiglia di mercanti di pietre preziose, tipici "ebrei erranti", che avevano l'abitudine di non fermarsi troppo a lungo in nessun posto. Nato a Chicago, suo padre si trasferì presto a Los Angeles, poi in Arizona, alle Hawaii, di nuovo a Los Angeles e infine in Svizzera. Qui un guru indiano (che in realtà era un ebreo inglese autore di alcuni libri sul misticismo indiano) riuscì a convincere suo padre che secondo alcune informazioni in suo possesso da lì a tre mesi sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale, e che era perciò opportuno fuggire in Sud America (anni dopo Masson scriverà un libro sul guru di suo padre, dal titolo My Father's Guru: A Journey Through Spirituality and Disillusion). La famiglia si trasferì quindi in Uruguay, dove Masson frequentò l'Università di Montevideo. A 19 anni, quando si rese conto che non voleva passare il resto della sua vita in Uruguay, Masson decise di fare domanda di ammissione a quattro tra le più prestigiose Università americane: Yale, Harvard, Princeton e Stanford. Con sua meraviglia fu accettato da tutte, ed egli scelse Harvard. Entrò in questo prestigioso college agli inizi degli anni '60, e si mise a studiare sanscrito. Al suo ingresso in questa università, Masson ricorda se stesso come una persona insopportabile, arrogante, e terribilmente ambiziosa. Ma anche Harvard era insopportabile, dice Masson, troppo snob. Egli si sentiva come fuori luogo, faceva fatica a trovare amici, ed era spesso oggetto di scherzi.

Masson ricorda che durante quegli anni ad Harvard sapeva fare solamente due cose: divorare tutti i libri che trovava e andare a letto con tutte le donne che poteva. Notava che gli capitavano strani fatti, per esempio non era infrequente che una donna, dopo essere stata con lui, gli dicesse: 

"Caro Jeff, è stato bello dormire con te questa notte, ma tu sei quel tipo di persona con la quale non si può uscire dalla camera da letto. Dovunque a livello sociale sei un imbarazzo, non ci sai fare, sei senza tatto, insomma sei un disastro. Però nella tua stanza sei OK".

Presto Masson si accorse di essere una persona che piace molto, ma "all'interno della propria camera da letto", non fuori. Mutatis mutandis, anche Eissler e Anna Freud vari anni dopo gli dissero la stessa cosa. A loro piaceva sentirlo parlare, farsi dire la verità su tante cose del mondo della psicoanalisi, per esempio quanto stupidi e insignificanti fossero certi psicanalisti, però a patto che tutto ciò non uscisse da quelle quattro mura. Masson si rese conto che era come un intellectual gigolo - dal quale si può certo ottenere piacere, ma che non lo si può presentare in pubblico per l'imbarazzo che suscitava. Un giorno ad esempio disse ad Anna Freud: "Sa cosa penso? Che se suo padre fosse vivo oggi non diventerebbe uno psicoanalista"; e lei rispose: "Penso proprio che tu abbia ragione".

In quegli anni Erik Erikson insegnava ad Harvard, e Masson si rivolse a lui perché lo prendesse in terapia. Il suo sintomo era "promiscuità totale", cioè non poteva trattenersi dal cercare di andare a letto con qualunque donna incontrasse. Erikson lo inviò a un collega che lo tenne in terapia per alcuni anni ma i sintomi non cambiarono minimamente. Finalmente si laureò ad Harvard, e ottenne il Ph.D. in sanscrito. Partì quindi per l'India dove rimase alcuni anni, e dove, forse lontano dalle passioni terrene, studiò il misticismo indiano e lavorò attorno a vari libri (Aesthetic Rapture: The Rasàdhyàya of the Nàtyasàstra; Sàntarasa and Abhinavagupta's Philosophy of Aesthetics, con M.V. Patwardhan; Love's Enchanted World: The Avimàrka of Bhàsa, con D.D. Kosambi; The Peacock's Egg: Love Poems from Ancient India, con W.S. Merwin); più tardi, Masson (1974b) continuò questi interessi, pubblicando un articolo di critica al libro di Erik Erikson del 1969 su Gandhi, e nel 1980 un libro psicoanalitico sul "sentimento oceanico" e sulle origini della religione nell'antica India (si veda anche l'articolo critico sul "nuovo narcisismo" che scrisse assieme al noto psicoanalista e filosofo Charles Hanly sull'International Journal of Psychoanalysis nel 1976).

Dall'India si trasferì in Canada dove ottenne il suo primo lavoro come Professore di sanscrito all'Università di Toronto. Qui Masson si rimise in analisi, cinque volte alla settimana, sempre nel tentativo di correggere il suo sintomo, che nel frattempo era rimasto invariato.

Contemporaneamente si rese conto che la sua vita non poteva andare avanti così: nonostante fosse uno stimato studioso di sanscrito, trovava terribilmente noioso il suo lavoro di professore, e aveva quasi completamente perso l'interesse per questa materia. Aveva 29 anni, una laurea a Harvard, e non sapeva cosa fare della sua vita. Ma gli anni che aveva fatto in analisi gli avevano stimolato un enorme interesse per la psicoanalisi: era affascinato da certe scoperte freudiane, come l'inconscio, i sogni, gli atti mancati, aveva sviluppato una venerazione per Freud e una forte idealizzazione per gli psicanalisti. Decise quindi di cambiare il corso della sua vita, e di iscriversi al locale istituto psicoanalitico per diventare uno psicoanalista.

Passarono alcuni anni caratterizzati da quella che Masson ora riconosce essere una totale infatuazione per la psicoanalisi, una forma di "transfert idealizzante". Invece di riconoscere che gli analisti erano persone come gli altri, o magari più noiose, li trovava eccezionali, quasi divini, ed era felice solo se riusciva a passare del tempo con loro, ad uscire a cena o andare a parties dove c'erano degli psicoanalisti. Persino la moglie Terry, una donna molto intelligente che si dedicò poi anch'essa alla psicoanalisi collaborando con lui in vari lavori, gli faceva notare quanto fossero noiosi certi psicoanalisti, ma Masson rispondeva che si comportavano così con lui solamente perché era un candidato, ma che dopo sarebbe stato diverso.

Comunque nel suo training non furono tutte rose e fiori. Della sua analisi presso il didatta dell'istituto psicoanalitico di Toronto egli ricorda che dopo una iniziale idealizzazione incominciò a notare che il suo analista era estremamente noioso, oltre che, a dir poco, incapace di mantenere un atteggiamento analitico. Arrivò a un punto morto nell'analisi in cui cominciò a pensare di cambiare analista. A questo punto nella situazione analitica accadde qualcosa che si può ormai considerare un classico negli istituti psicoanalitici, una situazione che si ripete con una certa frequenza, di cui però pochi parlano (ci penserà Masson stesso a parlarne nel suo libro del 1990 sul training degli analisti, intitolato Analisi finale, Costruzione e distruzione di uno psicoanalista [vedi Migone, 1991a]). E' qualcosa che non ricorda esattamente il "contratto" psicoanalitico, ma che si può chiamare invece il "ricatto" psicoanalitico: il didatta (Irvine Schiffer, un eccentrico analista di Toronto), di fronte alla richiesta di Masson di voler cambiare analista, si mise a gridare, dicendo che avrebbe sostenuto che lui era un "paranoide, in preda alle allucinazioni", e lo minacciò:

A chi pensa che daranno ascolto, Masson? A lei, un candidato del primo anno, che non è neppure medico, o a me, Irvine Schiffer, analista didatta e membro del Toronto Psychoanalytic Institute? (...) Non pensi che qualche altro analista la prenderà in cura. Se lei mi lascia sembrerà, e di fatto sarò io a dirlo, che lei sia inadatto, che non possa essere analizzato (cit. da Masson, 1990, pp. 42-43).

Masson, resosi conto che il suo analista poteva danneggiargli la carriera, si rassegnò, e riuscì in un modo o nell'altro a... portare a termine l'analisi, con la convinzione che il suo analista fosse un po' matto, oltre che estremamente noioso. Ma queste piccole disillusioni non intaccarono la sua idealizzazione per la psicoanalisi, e pensava che probabilmente queste cose accadevano a Toronto, ma non in altri posti più importanti, come New York o Londra, o con analisti ai vertici dell'International Psychoanalytic Association (IPA).

La carriera psicoanalitica di Masson fu rapida e brillante. Egli divorava articoli psicoanalitici, era capace di leggere tutte le annate di Psychoanalytic Quarterly una dopo l'altra, dal primo articolo all'ultimo, immagazzinando dati con quella memoria infallibile di cui era dotato. Frequentava tutti i congressi psicoanalitici, dove con la moglie costituiva una coppia brillante, e nei momenti di socializzazione dei congressi simpatizzava con i più noti psicoanalisti, da Samuel Lipton di Chicago, a Brian Bird di Cleveland, a Edward Weinshel e Victor Calef di San Francisco, e così via, i quali tutti lo trovavano molto intelligente e stimolante. Ma l'ambizione di Masson era quella di arrivare sempre più in alto, di conoscere per esempio Kurt Eissler ed Anna Freud. Al congresso di Parigi del 1973, quando era ancora un candidato del terzo anno, tra l'invidia dei colleghi presentò la sua critica al libro di Erik Erikson (1969) su Gandhi, lavoro che fu molto apprezzato e poi pubblicato sull'International Journal of Psychoanalysis (Masson, 1974b).

L'anno seguente al Convegno primaverile di Denver dell'American Psychoanalytic Association presentò un altro lavoro, intitolato "Schreber and Freud: a review of Soul Murder", in cui si può già vedere la direzione che inevitabilmente incominciava a prendere la sua linea di ricerca. Infatti, non poteva non essere naturale per Masson interessarsi al caso Schreber, al quale si era già interessato Schatzman agli inizi degli anni '70, la cui polemica costituì, come si è detto prima, quasi la prova generale del caso Masson (il titolo originale del libro di Schatzman del 1973 La famiglia che uccide era Soul Murder).

Si ricorderà che Daniel Paul Schreber, un ex giudice ricoverato in ospedale psichiatrico per una malattia mentale caratterizzata tra le altre cose da bizzarri deliri, scrisse poi un libro di memorie, pubblicato nel 1903, che destò molto interesse nel mondo psichiatrico del tempo. Tra i tanti a interessarsene fu Freud (1910), che affascinato da questo libro analizzò questo caso facendo importanti considerazioni teoriche sul rapporto tra paranoia e omosessualità. Freud non conobbe mai il paziente, né ebbe notizie precise sulla sua famiglia, ma si basò solamente sul testo scritto da Schreber stesso, che tra l'altro fu abbondantemente censurato dai familiari prima della pubblicazione. Negli anni '50, William Niederland (1959a, 1959b, 1963), un analista ortodosso di New York, si mise a scavare di nuovo attorno a questo caso e scoprì delle verità orripilanti riguardo al padre di Schreber, il quale era un noto medico e studioso di pedagogia che sosteneva che il lassismo dei genitori era il solo responsabile della patologia infantile, e propagandava metodi sadici e tirannici per l'educazione dei figli. Tanto per fare un esempio, Schreber-padre aveva inventato uno strumento ortopedico, praticamente uno strumento di tortura, chiamato "il raddrizzatore", che doveva servire ad insegnare l'esatta postura ai bambini, e che consisteva in un insieme di barre di acciaio e cinture che incastravano il bambino a una tavola di legno, lasciandogli a male pena la possibilità di respirare.

Ora, come Niederland fece notare, è interessante osservare come uno dei tanti deliri del "paranoico" Schreber-figlio fosse il cosiddetto "miracolo della compressione del petto", al quale si sottoponeva ripetutamente da solo, che consisteva nel comprimere il torace forzatamente fino al mancamento del respiro e fino a che tutto il corpo ne risentiva. Niederland nella sua ricerca scoprì tante altre cose di questo genere, ma non si spinse fuori dall'ortodossia psicoanalitica, limitandosi praticamente ad ampliare i portati del lavoro di Freud su questo argomento e ad arricchirlo con nuovi dati. Una sfida diretta alla teorizzazione freudiana della paranoia invece fu lanciata nel 1973 dallo psichiatra americano residente in Inghilterra Morton Schatzman, con il libro, prima ricordato, La famiglia che uccide, che risentiva della cultura del movimento antipsichiatrico inglese che faceva capo a Laing, Cooper e altri, e che ipotizzava un diretto legame di causa ed effetto tra oppressione del bambino e follia nell'adulto. Il "caso Schatzman" fece discutere i circoli psicoanalitici ortodossi, perché rappresentava una messa in discussione della visione psicoanalitica del rapporto tra realtà e fantasia nella patogenesi della malattia mentale, e come si è detto rappresenta un po', in piccolo, quello che poi Masson fece più su larga scala riguardo alla teoria della seduzione. Schatzman fu attaccato in vari modi, anche irrilevanti, come per esempio per aver utilizzato a piene mani i risultati della ricerca di Niederland, senza averne prodotti dei suoi propri, e si rispose all'accusa fatta da Schatzman a Freud di non aver tenuto conto delle informazioni sul padre di Schreber, che al tempo erano disponibili, dicendo che Freud aveva fatto ciò da una parte per questioni di metodo e dell'altra per motivi di tatto nei confronti dei familiari di Schreber.

Riguardo alla oggettiva conoscenza da parte di Freud della storia di Schreber-padre, è interessante che Masson, nel rincarare la dose del suo attacco di "disonestà" nei confronti di Freud, disse di aver personalmente scoperto nella biblioteca di Freud un articolo del 1884 di Flechsig, lo psichiatra di Schreber-figlio, che fu spedito da lui stesso a Freud, nel quale si dice chiaramente che non di rado veniva praticata la castrazione a scopi "terapeutici" sui pazienti del suo ospedale psichiatrico, lo stesso nel quale era rinchiuso Schreber. Ebbene, disse Masson, nonostante ciò Freud insistette nel dire che Schreber soffriva del "delirio" che il grande Paul Flechsig volesse castrarlo (però, a essere precisi, non sappiamo quando Flechsig spedì a Freud l'estratto dell'articolo, potrebbe averlo fatto anche molti anni dopo).

Rivedendo comunque la polemica degli anni '70 sul caso Schatzman, è evidente che allora essa rappresentò anche uno scontro politico tra componenti diverse del movimento psicoanalitico, dietro la pressione dell'ondata di rinnovamento psichiatrico presente in quegli anni. Ad ogni modo, Masson al Convegno di Denver del '74 non presentò un lavoro "rivoluzionario" o antipsicoanalitico. Egli allora aspirava ancora a diventare uno psicoanalista, e il suo fu un articolo di compromesso, nel quale da una parte accusava Schatzman di essere un non rispettabile "volgarizzatore" della psicoanalisi, e dall'altra era pienamente d'accordo su certe sue conclusioni. L'articolo al Convegno fu discusso e criticato da Niederland stesso, al quale Masson fece fronte con molto coraggio, e in generale riscosse approvazioni nell'uditorio. Per esempio Leonard Shengold si alzò tra il pubblico e disse di Masson: "Non so chi sia quest'uomo, ma è una scoperta. Il Canada ci ha mandato un tesoro nazionale!". Ebbene, fu proprio al Convegno di Denver del 1974, quando Masson stava bruciando le tappe della sua rapida carriera, che avvenne il fatidico incontro tra Masson e Eissler, quello che segna il vero inizio, possiamo dire, della nostra storia.

Kurt R. Eissler (1908-1999) era uno dei più eminenti e prestigiosi psicoanalisti. Fu l'autore di innumerevoli articoli e libri, che spaziano sugli argomenti più vari: problemi di tecnica psicoanalitica, trattamento degli psicotici, problema della delinquenza, arte, interpretazione psicoanalitica della storia, ecc. Di origine viennese e dotato di una vastissima cultura tipicamente europea, si dedicò anche allo studio psicoanalitico di personaggi quali Amleto, Leonardo da Vinci, Goethe (il libro di Eissler del 1963 su Goethe ad esempio è lungo ben 1538 pagine), ecc. La sua personalità lo rese una persona per certi versi affascinante: apparentemente timido in pubblico, riservato e a volte schivo coi colleghi, era capace di aprirsi con poche persone rivelando una incredibile umanità, un rapporto personale molto stimolante e uno spiccato sense of humor. Non è infrequente anche che si lasciasse andare a forti punte di ironia e a momenti di imprevedibilità. In Italia Eissler è conosciuto da molti soprattutto per il classico articolo del 1953 sul "parametro", articolo di teoria della tecnica che divenne una pietra miliare della storia della Psicologia dell'Io (può essere interessante qui menzionare che più di una volta Eissler mi disse che "si vergognava di essere diventato così famoso per aver semplicemente introdotto una nuova parola nella terminologia psicoanalitica"); inoltre in Italia è conosciuto per la traduzione di un altro importante articolo, quello del 1950 in cui fece una dura critica alla scuola di Chicago guidata da Franz Alexander (che propose il concetto di "esperienza emozionale correttiva"), e anche per un coraggioso libro del 1965 in favore dell'"analisi laica" (entrambi gli articoli di Eissler del 1950 e del 1953 sono su Internet in una area che curo, al sito http://www.psychomedia.it/pm/modther/probindx1.htm; nella introduzione all'articolo del 1953 vi è anche una traccia biografica e culturale di Eissler).

Ma soprattutto, Eissler è stato per molti anni direttore dei Sigmund Freud Archives, una organizzazione nata all'indomani della seconda guerra mondiale, grazie all'interessamento di alcuni analisti (Hartmann, Kris, Lewin, Nunberg e Eissler stesso), i quali erano preoccupati che un grande numero di lettere e documenti di Freud venissero dispersi a causa dei danni della guerra. Eissler per molti anni raccolse con grande cura tutto quello che fu possibile trovare, soprattutto lettere di Freud in gran parte ancora sconosciute, e stipulò un accordo tra gli Archives e la Library of Congress di Washington secondo il quale quest'ultima accettò come donazione l'insieme di tutti questi documenti, e si impegnò di conservarli nel tempo per renderli disponibili allo studio dei ricercatori; ma, per decisione degli Archives, questi documenti possono essere mostrati ai ricercatori solo dopo determinate date, che variano da alcuni anni fino all'anno 2102, a seconda dei documenti. Questa decisione fece molto discutere i biografi di Freud e gli studiosi della psicoanalisi, i quali si sentivano deprivati di importanti informazioni sulla nascita e sullo sviluppo di questa disciplina, ma fu sempre giustificata con fermezza da Eissler. Questi infatti registrò anche una infinità di interviste a colleghi e amici sopravvissuti di Freud, a tutti gli ex pazienti e a tutti i parenti e discendenti che fu possibile rintracciare, e riuscì a ottenere molte informazioni riservate solo rassicurando i soggetti intervistati con una ufficiale promessa dei Freud Archives secondo la quale il materiale non sarebbe stato reso noto se non dietro precise condizioni. Eissler inoltre riteneva che non era possibile uno studio storiografico serio su Freud se non dopo un intervallo di tempo tale da che permettere distacco emotivo e imparzialità di giudizio.

La dedizione di Eissler allo studio della vita di Freud e dei suoi scritti, nonché l'ammirazione che egli aveva per il fondatore della psicoanalisi, gli valsero la fama di colui che aveva il compito di custodire fedelmente la tradizione freudiana, e difendere la figura di Freud stesso dai vari attacchi dei critici. Quando nella letteratura usciva una critica a Freud, non era infrequente che Eissler rispondesse prontamente con un altro articolo o addirittura con un libro in cui, con ricca documentazione e logica ferrea, contraddiceva l'avversario. Quando ad esempio Paul Roazen nel 1969 uscì col libro Fratello animale, in cui viene sottolineata la responsabilità di Freud nel suicidio del discepolo quarantenne Victor Tausk perché, mosso da profonda gelosia sessuale e professionale, si sarebbe allontanato da lui in un momento critico (Tausk scelse di suicidarsi impiccandosi e sparandosi contemporaneamente alla tempia), Eissler allora uscì nel 1971 col voluminoso libro Talent and Genius, in cui smantella completamente la tesi Roazen (la polemica tra Eissler e Roazen continuò anche in alcuni articoli che apparvero nel 1977 su Contemporary Psychoanalysis, e nel libro di Eissler del 1983 Victor Tausk's Suicide).

Ebbene, tornando al convegno di Denver del 1974, quando il giovane trentatreenne Masson incontrò l'allora sessantaseienne Eissler per la prima volta, l'amicizia tra i due sbocciò immediatamente, fu come un colpo di fulmine. Il fascino, l'intelligenza, lo spirito e la cultura di Masson, colpirono molto Eissler. Mentre i rapporti che spesso Eissler aveva coi colleghi erano caratterizzati da timidezza o magari noia, il giovane Masson si esprimeva con spontaneità, tanto da essere l'opposto dello stereotipo del tipico analista. Masson era spregiudicato, ironico, sempre sincero anche a costo di dire cose spiacevoli su se stesso o su altri, e condivideva con Eissler una grande ammirazione per Freud. Tra i due iniziò una stretta amicizia che durò vari anni, fatta di lunghe lettere e serate passate a chiacchierare fino alle prime ore del mattino nella bella casa di Eissler a un piano alto di un palazzo a Manhattan su Central Park West, casa che Eissler divideva con la moglie Ruth (anch'essa una nota psicoanalista, deceduta nel 1990, che fu direttrice di The Psychoanalytic Study of the Child, una delle più importanti riviste psicoanalitiche).

Ma Eissler non si limitò a dare a Masson la sua amicizia, arrivò a dargli molto di più, a donargli la cosa più cara che aveva, lo propose come suo diretto successore a direttore dei Freud Archives. Come questo accadde è ancora oggetto di discussione, forse Eissler fu talmente colpito, o se vogliamo "sedotto", dal talento di Masson, da pensare che potesse essere proprio lui l'uomo che andava cercando da qualche tempo per rilevarlo dal pesante incarico di direttore degli Archives. Ormai settantacinquenne, vecchio e stanco, Eissler voleva dedicare gli anni che rimanevano della sua vita ad altri interessi che continuava a posporre, e voleva passare a qualcun altro l'incarico di direttore degli Archives. Masson sembrò ad Eissler l'uomo mandato dalla provvidenza: era giovane, appassionato ricercatore devoto a Freud, in cerca di lavoro, e disponibile a non fare clinica ma ricerca a tempo pieno (bisogna ricordare infatti che Masson non arrivò mai a praticare la psicoanalisi, ma fece soprattutto ricerca - seguì in analisi per un certo periodo solo tre pazienti, peraltro con pessimi risultati [Masson, 1990]). Non fu facile per Eissler convincere i colleghi del board degli Archives e soprattutto Anna Freud, perché ormai molti conoscevano il carattere di Masson e lo giudicavano senza tatto, troppo inattendibile, o addirittura un irresponsabile. Persino la segretaria di Eissler lo aveva messo in guardia contro di lui. Eissler riceveva frequenti lettere e telefonate da ogni parte del mondo (praticamente dovunque Masson si recava), nelle quali si esprimevano preoccupazioni e dubbi su di lui, se non addirittura lamentele. Ma Eissler fu irremovibile, e alla fine la vinse, grazie anche all'indiscussa autorità che egli esercitava sugli Archives. Nell'aprile del 1980 comunicò a Masson la sua intenzione, e nell'autunno fu nominato direttore di ricerca. Eissler riuscì a ottenere uno stanziamento per Masson di 30.000 dollari all'anno come salario, attraverso la New Land Foundation di Muriel Gardiner, una psicoanalista già membro del board degli Archives, molto facoltosa e vicina ad Eissler, la quale finanziò molte ricerche in psicoanalisi. Muriel M. Gardiner (1901-1985), nipote di un miliardario di Chicago, fu una nota benefattrice e attivista politica nella clandestinità austriaca prima della seconda guerra mondiale, e aiutò centinaia di ebrei a fuggire dall'olocausto. La sua storia viene raccontata anche nella autobiografia del 1969 Una donna incompiuta di Lillian Hellman (1906-1984), che fu compagna dello scrittore Dashiell Hammett, e che ispirò il soggetto del film di Fred Zinneman del 1977 Giulia, interpretato da Jane Fonda, Vanessa Redgrave, Maryl Streep e Maximilian Schell (si veda anche il libro della Gardiner del 1983 Code Name Mary: Memoirs of an American Woman in the Austrian Underground).

Il progetto per Masson doveva essere quello di trasferirsi alla morte di Anna Freud a Londra nella sua casa di Maresfield Gardens, ad Hampstead, trasformarla in un Freud Museum e proteggere i molti documenti che vi erano ancora sepolti (tra l'altro vi era un armadio con alcune migliaia di lettere di Freud, in gran parte ancora mai studiate: allora erano state catalogate "solo" 5.039 lettere di Freud, delle quali 1.677 ancora non pubblicate), trasferendoli subito alla Library of Congress di Washington per impedire che i parenti li vendessero (una lettera di Freud oggi vale più di 2.000 dollari). Come si è detto, Masson non arrivò mai ad abitare nella casa di Anna Freud, perché fu licenziato prima. Tra l'altro, quando Anna Freud venne a sapere di questo progetto, reagì indignata, perché a lei Masson non era mai piaciuto, lo trovava troppo indiscreto, uno che rovistava dappertutto senza la minima delicatezza: "Mio padre non avrebbe mai voluto che uno come lui vivesse qui - disse una volta Anna Freud - avrebbe voluto una persona più riservata, più discreta. Masson assomiglia proprio ai miei cani, corre dappertutto, mette a soqquadro ogni cosa" (Anna Freud teneva in casa dei cani Chow ereditati dal padre). Se Masson fosse stato capace di controllarsi maggiormente, aspettando qualche mese prima di esporre pubblicamente le sue idee, sarebbe stato molto più difficile rimuoverlo, specie se abitava a Maresfield Gardens, e sarebbe stato molto imbarazzante per gli Archives. Ma, e questo è tipico di Masson, egli agì impulsivamente, non mosso da un calcolo preciso. Fece invece in tempo a essere eletto anche direttore dei Freud Copyrights, assieme ad altre tre persone - Mark Paterson, l'architetto Ernst Freud (figlio di Sigmund) e il noto psicoanalista e raja pakistano Principe M. Masud R. Khan.

Mohammed  Masud Raza Khan (1924–1989) fu un'altra figura originale, anch'essa oggetto di scandali, e vale la pena aprire una parentesi per accennare brevemente alla sua storia (Paterson, 1991; Boynton, 2002-03). Si proclamava di origini regali, e a volte indossava una sorta di toga, un vestito lungo fino ai piedi; sulla porta del suo studio londinese vi era una targa d'oro con la scritta "Sua altezza reale Masud Khan" (His Royal Highness Masud Khan). Nacque nell'area indiana del Punjab (ora Pakistan) da una ballerina diciassettenne, quarta moglie di un ricco proprietario terriero settantaseienne. La prima analista didatta di Khan fu Ella Sharpe, che però morì solo un anno dopo l'inizio dell'analisi; si rivolse allora a John Rickman (che era stato analizzato da Freud a Vienna e dalla Klein a Londra), ma anche Rickman in seguito morì. Khan allora subito dopo iniziò una analisi con D.W. Winnicott, che durò 15 anni e che fu per lui una esperienza fondamentale (tra l'altro, curiosamente Winnicott analizzò entrambe le due mogli di Khan). Divenne il principale discepolo di Winnicott, che era la figura più nota del middle group londinese, cioè degli analisti che stavano in mezzo tra i kleiniani e gli annafreudiani, allora in conflitto tra loro (al middle group appartenevano, oltre a Winnicott e Khan, Margaret Little, Marion Milner, W.R.D. Fairbairn, Nina Coltart, Michael Balint, John Bowlby, ecc.). Curò anche la pubblicazione delle opere di Winnicott, anche se questi, alla sua morte, con grande dolore di Khan designò la moglie come erede testamentaria e non lui. Fu sicuramente non solo uno dei più brillanti e originali analisti didatti inglesi, ma anche uno dei più colti e stimati, e autore di quattro importanti libri (Lo spazio privato del Sé del 1974, Le figure della perversione del 1979, ecc.). Fu molto vicino sia a Melanie Klein che ad Anna Freud (entrambe lo supervisionarono durante il training analitico) e divenne anche influente all'interno dell'IPA. Purtroppo negli ultimi anni cadde in disgrazia e fu espulso dall'associazione a causa di una serie eccessiva di scandali che i colleghi non riuscirono più a tollerare: aveva un comportamento violento ed arrogante, non nascondeva i suoi eccessi con alcool e donne. Fu molto chiacchierato, tra l'altro, il suo secondo matrimonio, celebrato nel 1959, con una delle più famose e attraenti ballerine del Royal Ballet di Londra, Svetlana Beriosova, molto pił giovane di lui, con la quale frequentava assiduamente varie celebrità tra cui Rudolph Nureyev, Julie Christie, Peter O'Toole, Mike Nichols, Francois Truffaut, Frank Kermode, la Principessa Margaret, Julie Andrews (la cui figlia ebbe la Beriosova come madrina), ecc. Rompeva spesso il segreto professionale, ebbe varie storie d'amore con pazienti (l'ultima delle quali, il cui marito contemporaneamente era in analisi didattica con Sandler, allora presidente dell'IPA, fu utilizzata come pretesto per la sua espulsione) e, come se tutto ciò non bastasse, in più occasioni dichiarò pubblicamente il suo antisemitismo (cosa non del tutto gradita ai suoi colleghi analisti, tenendo conto anche del fatto che la maggioranza di loro sono ebrei). Morì dopo vent'anni di lotta contro un cancro alla gola, solo e sempre più eccentrico. Molti interrogativi sulle ragioni del suo comportamento rimangono avvolti nel mistero, nonostante vari suoi biografi stiano lavorando e abbiano offerto ipotesi interpretative (molti suoi scritti personali rimangono comunque coperti dal segreto fino al 2039). Il suo ultimo libro, The Long Wait, del 1989, suscitò un grande imbarazzo nella comunità psicoanalitica londinese. Come se non bastasse, il 22-2-2001 sulla rivista London Review of Books apparve un imbarazzante articolo di Wynne Godley (2001), uno dei più noti uomini politici inglesi (e marito di Elizabeth, figlia dello scultore Jacob Epstein, la quale precedentemente era stata sposata col famoso pittore Lucian Freud, nipote di Sigmund). In questo articolo Godley fa un resoconto dettagliato della sua analisi con Khan, in cui vengono raccontate cose incredibili (ne cito solo una fra le tante: una volta il paziente, aspettando invano il suo analista che si era assentato e sentendolo mugolare nella stanza accanto, va a vedere cosa succede e lo trova coricato a terra dolente perché la moglie Svetlana lo aveva appena atterrato con un violento calcio nei testicoli. Il paziente allora lo prende in braccio, lo riporta nello studio, lo consola, ecc.). La comunità psicoanalitica inglese impiegherà degli anni per superare il trauma dello "scandalo Godley", furono nominate commissioni di inchiesta su Khan e su come mai il suo analista Winnicott (che continuò a seguire Khan anche mentre analizzava Godley) non seppe tenerlo sotto controllo, ecc. (sul n. 1/2004 dell'International Journal of Psychoanalysis verrà pubblicata la relazione della commissione a cura di Anne-Marie con una risposta di Godley [Sandler, 2004; Gabbard & Williams, 2004]).  [Fine della prima di tre parti]

Ma chiudiamo questa parentesi e torniamo a Masson. Come è stato possibile, ci si può chiedere, che Eissler sia arrivato al punto di dare una tale fiducia a Masson, fino a farlo suo successore, senza capire che questi non aveva assolutamente le qualità richieste per un tale compito, cioè riservatezza, pazienza, discrezione, fedeltà a Freud nel tempo, ecc.? Questa storia è misteriosa, con aspetti paradossali: un uomo come Eissler, che ha fatto della devozione a Freud una delle ragioni della sua vita, sceglie come suo successore uno che non esita a fare l'opposto, a offendere apertamente e senza ritegno il nome di Freud. Una delle prime spiegazioni alle quali si è pensato è la cosiddetta "spiegazione omosessuale": Eissler sarebbe stato attratto da Masson, perché questi rappresentava (per il suo spirito indipendente e spregiudicato) quello che Eissler avrebbe sempre voluto essere, oppure semplicemente ad Eissler piaceva Masson, erano amici. Sarebbe stata presente in Eissler una forte idealizzazione per Masson, che gli impediva di conservare una imparzialità di giudizio. L'amicizia tra Eissler e Masson sarebbe stata insomma un po' simile a quella tra Freud e Fliess, oppure tra Freud e Jung. Qualcuno ha infatti osservato che anche Fliess e Jung erano, in un certo senso, dei "ciarlatani", inizialmente idealizzati da Freud. Ma ad Eissler non piaceva questa spiegazione, e dopo aver riflettuto a lungo si chiese seriamente se non era il caso di pensare a un'altra ipotesi: la sua totale dedizione a Freud, durata una vita, non poteva non aver avuto anche degli aspetti "reattivi", tesi cioè a nascondere una profonda ambivalenza nei confronti dell'uomo che ammirava di più, Freud, e verso la psicoanalisi stessa. Forse Eissler scegliendo Masson aveva agito questa sua ambivalenza, aveva voluto far dire ad altri quello che una parte di lui pensava.

In quegli anni quello che attirava la curiosità di Masson era la biografia di Freud e la nascita della psicoanalisi, in particolare la corrispondenza Freud-Fliess. Queste lettere costituiscono una fonte di inestimabile valore per lo studioso perché documentano passo dopo passo la nascita della psicoanalisi, così come si venne formando nella mente di Freud. Wilhelm Fliess, un medico di Berlino specialista nelle malattie del naso e della gola, fu un amico molto stretto di Freud, a cui servì praticamente come figura transferale e come confidente durante gli anni più creativi della sua vita. Come è noto, mentre le lettere di Fliess a Freud vennero distrutte da Freud stesso, si conservano ancora quelle scritte da Freud a Fliess, nonostante Freud ne avesse sempre desiderato la distruzione.

La storia di come queste lettere sono giunte a noi è veramente romanzesca, e ci viene raccontata da Ernst Jones nella sua nota biografia in tre volumi Vita e opere di Freud, pubblicata nel 1953-57. Quando Fliess morì, nel 1928, la vedova vendette un pacco di 284 lettere di Freud a un libraio di Berlino, con la condizione che non le desse mai a Freud perché le avrebbe subito distrutte. Questo libraio poi fuggì a Parigi a seguito della persecuzione nazista, e vendette le lettere a Maria Bonaparte per 100 sterline. Maria Bonaparte se le portò con sé a Vienna, dove si recava per l'analisi con lo stesso Freud, col quale parlò delle lettere. Freud reagì indignato alla notizia che le sue lettere erano in circolazione, e chiese a Maria Bonaparte di distruggerle o di restituirgliele anche dietro un risarcimento economico. Ma la Principessa Bonaparte fortunatamente capì il valore scientifico delle lettere, ed ebbe il coraggio di sfidare il suo analista non dandogli le lettere, ma depositandole nella Banca Rothschild di Vienna nell'inverno tra il '37 e il '38, con l'intenzione di riprenderle l'estate successiva per studiarle, al suo ritorno a Vienna. Ma nel marzo 1938 Hitler invase Vienna, e alla notizia che tutte le banche ebree venivano razziate, Maria Bonaparte tornò immediatamente a Vienna nel tentativo di salvare queste lettere. Riuscì a farlo per miracolo e, avvalendosi dell'immunità diplomatica che le derivava dal suo titolo di "Principessa di Grecia e Danimarca", aprì la sua cassetta di sicurezza di fronte alla Gestapo e prelevò il pacco senza rivelarne il contenuto. Le riportò quindi a Parigi e le depositò nell'ambasciata danese dove si salvarono ancora da Hitler. Da qui furono trasportate finalmente a Londra per nave, eludendo le mine del Canale della Manica avvolte in uno speciale contenitore galleggiante che doveva salvarle in caso di affondamento.

Queste lettere, come abbiamo detto, sono 284 e furono scritte da Freud tra il 1887 e il 1902. Una selezione di solo 168 lettere (molte delle quali censurate) fu fatta da Anna Freud, Ernst Kris e Maria Bonaparte stessa e pubblicata nel 1950 col titolo The Origins of Psychoanalysis (Freud, 1887-1902). Fu verso queste lettere che Masson indirizzò la sua curiosità di ricercatore arrivando poi alle sue provocatorie conclusioni sulla teoria della seduzione. Grazie al suo incarico di direttore dei Freud Archives e dei Freud Copyrights, nonché all'appoggio di Eissler e, tramite lui, di Anna Freud, Masson raggiunse un accordo con la Harvard University Press per la pubblicazione integrale del carteggio Freud-Fliess, che uscì poi nel 1985. Per la verità, Anna Freud dapprima si rifiutò di permettere a Masson di vedere queste lettere, ma poi fu molto colpita dalla brillante dimostrazione da parte di Masson di un errore contenuto in una lettera di Freud a Fliess del 1897 riguardante i suoi rapporti con Breuer - l'unica lettera che inizialmente Anna Freud gli aveva concesso di vedere. L'accordo con la Harvard University Press originariamente prevedeva un progetto pluriennale di pubblicazione di una serie di libri contenenti finalmente non solo la corrispondenza completa Freud-Fliess, tradotta e annotata da lui stesso, ma anche le corrispondenze di Freud fino ad allora inedite tra cui quella con l'amico di giovinezza Eduard Silberstein (avvenuta tra il 1871 e il 1881, e uscita in italiano col titolo "Querido amigo..."), con Abraham, Ferenczi, e Binswanger.

Fu proprio mentre lavorava al primo volume di questa serie, quello dedicato al carteggio Freud-Fliess, che Masson gradualmente si allontanò dalle posizione ortodosse nei riguardi della teoria della seduzione. Egli, nel corso della sua ricerca, aveva accesso, oltre alla fotocopia dei documenti dei Freud Archives conservati alla Library of Congress di Washington (che ammontavano a più di 75.000), a tutte le lettera da e a Freud in gran parte ancora non studiate conservate in casa di Anna Freud, soprattutto quelle migliaia che erano nel grande armadio nero posto appena fuori dalla camera da letto. Masson incominciò col notare che i pezzi che erano stati censurati dalle lettere di Freud a Fliess già pubblicate e scritte dopo il settembre 1897 (data in cui Freud abbandonò la teoria della seduzione) riguardavano principalmente casi clinici o commenti sulla seduzione sessuale dei bambini. Il motivo ovviamente era che il lettore non doveva essere confuso da questi passaggi, essendo avvenuto ormai l'abbandono della teoria della seduzione da parte di Freud. Masson trovò anche una corrispondenza tra Freud, Jones ed Eitingon concernente Sandor Ferenczi, e il suo lavoro scritto per il XII Congresso dell'IPA a Wiesbaden del 1932, in cui Ferenczi si pronunciava ancora in favore della teoria della seduzione sessuale dei bambini (questo lavoro, dal titolo "Confusione delle lingue tra adulti e bambini", non a caso fu ripubblicato da Masson in appendice al suo libro del 1984, Assalto alla verità). In queste lettere si legge dei tentativi fatti per impedire a Ferenczi di presentare il suo lavoro, con la motivazione che egli sarebbe stato malato, oltre che fisicamente, anche mentalmente (Anna Freud chiese personalmente a Masson di non rivelare al pubblico questa corrispondenza, dato che ciò le era particolarmente doloroso per l'affetto che aveva avuto verso Ferenczi - sappiamo anche che Freud per un certo periodo pensò a Ferenczi come un possibile marito per Anna).

Non solo, ma erano state omesse dalle lettere Freud-Fliess anche tutte quelle riguardanti Emma Eckstein, una delle prime pazienti della psicoanalisi che giocò un ruolo importante per Freud riguardo all'abbandono della teoria della seduzione. Emma Eckstein - precedentemente conosciuta con lo pseudonimo di "Irma", citata da Freud a p. 270 de L'interpretazione dei sogni (si veda però l'immancabile disaccordo di Eissler in un articolo del 1985 tradotto in italiano nel n. 1/1991 di Psicoterapia e Scienze Umane) - proveniva da una nota famiglia socialista viennese, era stata attiva nel movimento delle donne dell'epoca, e si era rivolta a Freud all'età di 27 anni per essere curata da vari sintomi somatici definiti "isterici", apparentemente dovuti alla pratica della masturbazione. Fliess a quel tempo stava studiando la connessione tra il "riflesso nasale" e i disturbi sessuali, e riuscì a convincere Freud che il miglior trattamento per questa paziente era la "chirurgia nasale", e precisamente l'asportazione del turbinato medio sinistro. Fliess praticava regolarmente anche le cauterizzazione e la cocainizzazione nasale per curare problemi sessuali e altri sintomi (anche Freud venne sottoposto a queste cure), e probabilmente voleva sperimentare la chirurgia vera e propria per questi disturbi. Il fatto che Freud si fosse lasciato convincere da Fliess a fare questa operazione (cosa che anche alla società medica del tempo poteva sembrare bizzarra) dimostra il grado di idealizzazione che aveva per l'amico e confidente.

Fliess venne da Berlino per operare la paziente. L'esito fu negativo: la paziente non migliorò, ebbe infezioni e continue emorragie, e rischiò di morire. Dopo alcuni giorni Freud, in un estremo tentativo di salvarla, chiamò un altro specialista di Vienna il quale scoprì che Fliess aveva dimenticato nel naso della paziente circa mezzo metro di garza e che era questa la causa dell'infezione e delle emorragie. Rimossa questa garza, fatto un nuovo tampone e curata adeguatamente, la paziente lentamente migliorò. Questo episodio viene raccontato minuziosamente e angosciosamente in dieci lettere di Freud a Fliess, allora non ancora pubblicate, nelle quali è commovente vedere come Freud tenti fino all'ultimo di negare la colpa dell'amico (in realtà Max Schur, medico personale di Freud, già conosceva queste lettere perché aveva potuto vederle con il permesso di Anna Freud mentre stava lavorando alla sua biografia del 1972 Il caso di Freud). Nella discussione di questo caso con Fliess, Freud arrivò infine a discolpare l'amico, e a etichettare le emorragie nasali di Emma come "isteriche". Inoltre fu con questa paziente che Freud incominciò a capire che le storie di seduzioni raccontate dalle pazienti non erano realtà, ma fantasie.

Masson dà molta enfasi a questo caso clinico perché ritiene che esso sia uno dei più importanti nella storia della psicoanalisi:

"Emma Eckstein fu la prima vittima della psicoanalisi e una delle grandi eroine del pensiero del XX secolo... Freud abbandonò la teoria della seduzione perché non poteva ammettere la verità su quello che Fliess aveva fatto ad Emma. Egli aveva bisogno di credere che Fliess era innocente ed Emma colpevole. Così formulò la teoria che le pazienti si ammalano per le loro fantasie, non per i traumi reali della vita. L'abbandono della teoria della seduzione, che fu fatta passare come la "nascita" della psicoanalisi, segnò in realtà la morte della psicoanalisi stessa...".

Masson racconta un'altra curiosa storia dove si vede che la teoria della seduzione non fu abbandonata così facilmente. Non solo essa perseguitò Freud per tutta la sua vita, come dimostrano le sue lettere non pubblicate, e non solo l'amico Ferenczi continuò a credervi persino nel 1932, ma Masson scoprì anche che uno dei due figli di Fliess, Robert, che divenne uno psicoanalista a Berlino e poi emigrò a New York dove divenne analista didatta al Downstate Psychoanalytic Institute, pubblicò un libro nel 1970 (Symbol, Dream and Psychosis), un anno prima della sua morte, in cui si dichiarava apertamente per la teoria della seduzione: "Solo ricordi traumatici rimossi possono causare la nevrosi - egli scrisse - e nessuno si ammala mai per le sue fantasie... Il ripudio della teoria della seduzione da parte di Freud segnò la fine della sua luna di miele con la verità" (secondo Masson ci sono dei buoni motivi per sostenere che anche Robert Fliess, che negli ultimi anni della sua vita soffriva di un disturbo paranoico, fu sedotto da bambino da suo padre Wilhelm...; di ciò vi sarebbero cenni nel suo libro).

Comunque stessero le cose, Masson gradualmente prendeva una posizione sempre più provocatoria e dissidente, e per di più dalla sua delicata posizione di neo-eletto direttore dei Freud Archives; ma il problema non era tanto questo, quanto il fatto che egli non era capace di tenere le cose per sé, ma ne parlava volentieri in giro, soprattutto alla stampa, creando il peggiore dei danni: lo scandalo, la pubblicità (tra le tante cose, si veda una sua lettera al direttore del New York Times del 3 settembre 1984). La tragedia incominciò quando apparvero due articoli nel New York Times, rispettivamente il 18 e il 25 agosto 1981, in cui Masson rispondeva candidamente alle domande del giornalista Ralph Blumenthal rivelando le nuove scoperte da lui fatte sull'abbandono della teoria della seduzione da parte di Freud. Questi due articoli, soprattutto il secondo, furono un pugno nello stomaco per i membri del board degli Archives, specialmente per Eissler, per il quale emotivamente iniziò una lunga agonia, e il cui rapporto con Masson incominciò inevitabilmente a incrinarsi per poi definitivamente deteriorarsi nel peggiore dei modi.

Agli articoli del New York Times si arrivò in realtà non per il rumore fatto da Masson, ma per le scoperte di un altro ricercatore, Peter Swales (1981, 1982a, 1982b, 1983, 1984, 1986, 1988, 1997, 2000), anch'egli in qualche modo collegato a Masson e a Eissler, e del quale pure vale la pena raccontare brevemente la storia. Swales presenta se stesso in questo modo:

"Io non sono un analista, né ho mai fatto l'analisi. A dire il vero, io non sono neanche un uomo di scienza, né ho un'istruzione universitaria. Temo che, come temperamento, io non sia altro che un avventuriero, una di quelle persone che se hanno successo, se scoprono veramente qualcosa, hanno fortuna, altrimenti vengono messe da parte per sempre".

In realtà qui Swales dottamente parafrasa Freud in una lettera a Fliess, in cui Freud dice di se stesso:

"Io in realtà non sono un uomo di scienza, né un osservatore, né un esperimentatore, e neppure un pensatore. Io sono solo uno che ha il temperamento del conquistador - o se vuoi dell'avventuriero - con la curiosità, l'audacia e la tenacia che appartengono a questi tipi di persone. Costoro sono destinati a fare fortuna se hanno successo, se veramente scoprono qualcosa; altrimenti essi vengono semplicemente spazzati via".

Swales prosegue:

"Io sono uno storico punk della psicoanalisi, uno che non è arrivato a Freud come tutti fanno tramite le letture psicoanalitiche o l'analisi personale, ma per così dire attraverso la porta di servizio della sottocultura della droga".

Peter Swales nacque nel Galles nel 1948 da una famiglia che lavorava nel commercio di strumenti musicali. In giovinezza fu molto influenzato da G.I. Gurdjiev, un maestro-mistico-psicologo russo del quale Swales fu un seguace fino all'età di 17 anni, e in seguito lavorò nel mondo della musica pop (fu assistente personale dei Rolling Stones) fino all'età di 24 anni, quando decise di trasferirsi in America. Qui si fermò a New York, dove nel 1972 incominciò a lavorare come direttore di una giovane casa editrice, la Stonehill Publishing Company, per la quale negoziò e curò la pubblicazione inglese degli scritti di Freud tra il 1884 e il 1935 sulla cocaina (come è noto, Freud faceva uso di questa sostanza, della cui diffusione e abuso si sentì in parte responsabile per averne vantato i prodigiosi effetti terapeutici), che uscirono nel 1974 col titolo Cocaine Papers in collaborazione con Robert Bick, professore di psicofarmacologia alla Yale University, e con annotazioni di Anna Freud. Questo lavoro interessava al padrone della casa editrice, un certo Steinberg, col quale più tardi Swales ruppe i rapporti quando - come ricorda la Malcolm nel libro del 1984 In the Freud Archives - si accorse che in realtà l'attività della casa editrice serviva a Steinberg, che era eroinomane e cocainomane, anche come copertura di un grosso traffico di droga.

Fu lo studio dei Cocaine Papers di Freud quello che stimolò la curiosità di Swales direttamente verso la personalità di Freud e le origini della psicoanalisi. Pur non avendo a disposizione molti fondi per la sua ricerca né una ricchezza economica alle spalle (viveva, e vive tuttora, in un appartamento di una piccola strada di Chinatown, a Manhattan, mantenuto dalla moglie Julia che lavorava da un fornaio, e in seguito in un ristorante greco), Swales di sua iniziativa si dedicò fin dal 1977 a un indefesso lavoro di ricerca che ha dell'incredibile: incominciò a corrispondere con tutti i parenti, discendenti e amici di Freud che potessero dargli informazioni su aspetti oscuri della sua vita, fece ripetuti viaggi in Europa, anche oltrecortina, per setacciare personalmente archivi e biblioteche o per rintracciare ex pazienti o loro parenti, e fu persino capace di scovare un figlia di Fliess alla quale nessuno si era ancora interessato, che viveva in Israele sotto il nome di Paulina Jacobson. Recatosi a trovarla, scoprì che essa aveva conservato, in varie casse depositate presso la Hebrew University di Gerusalemme, degli scritti di suo padre. Fu a questo punto che Swales e Masson entrarono in contatto per scambiarsi informazioni riservate (Swales voleva da Masson cose alle quali solo lui aveva accesso tramite gli Archives, e in cambio gli avrebbe confidato il segreto della scoperta del "tesoro di Gerusalemme", i documenti di Fliess, dei quali ancora nessuno sapeva). Il rapporto tra i due fu come quello tra due cani che si annusano a vicenda e che non si fidano l'uno dell'altro; la loro collaborazione durò poco, poi il rapporto finì malissimo, come era da immaginarsi, con molti strascichi emotivi e rancore personale, specie da parte di Swales verso Masson.

Swales ovviamente entrò anche in contatto con Eissler, al quale era giunta voce che Swales era in possesso di documenti riservati (apparentemente la Library of Congress di Washington "per errore" aveva dato a Swales copia di documenti che dovevano rimanere segreti - questi erano le lettere giovanili di Freud all'amico Silberstein del 1871-1881, che Eissler era riuscito a trafugare dalla Romania nel 1978 comprandole per 100.000 dollari donati da Mauriel Gardiner). I due quindi si incontrarono e il loro incontro fu caratterizzato all'inizio da molta diffidenza da parte di Eissler, ma presto questi rimase sbalordito dalla quantità di cose che Swales era riuscito a sapere, dagli ex pazienti di Freud che era riuscito a identificare e rintracciare, e così via. Eissler rimase anche colpito dalla alta carica ideale di questo giovane ricercatore e dal suo spirito di sacrificio. Immediatamente Eissler gli fece avere un piccolo grant (6.000 dollari), sempre tramite la New Land Fondation di Muriel Gardiner, affinché Swales continuasse le sue ricerche.

Ma quali furono le cose che Swales riuscì a scoprire? Una delle scoperte più grosse che Swales dice di aver fatto, e di cui si è tanto parlato, è che Freud avrebbe avuto per vari anni una relazione con la sorella della moglie, Minna Bernays, durante la quale vi sarebbe stato anche un aborto, fatto fare da Freud a Minna durante un viaggio in Italia. In realtà questa notizia non costituisce una novità, perché già nel 1957 Jung (in una intervista a uno psicologo di nome Billinsky che la pubblicò nel 1969) disse che Minna gliela aveva confidata segretamente nel 1907; questo fatto fu oggetto di una penosa diatriba tra freudiani, che sostenevano che era una menzogna, e neofreudiani, che erano più disposti a dargli credito (dopo la rottura con Freud, Jung comunque non usò questo segreto contro di lui, secondo Kerr [1993] per una sorta di gentlemen's agreement in quanto neppure Freud parlò della storia d'amore che Jung ebbe con la sua paziente Sabina Spierlein).

Volendo aprire una piccola parentesi su Sabina Spierlein, essa fu una giovane russa ricoverata al Burghölzli di Zurigo per isteria, curata da Jung con l'analisi (fu la prima paziente con cui Jung sperimentò il metodo analitico). Tra i due si sviluppò un forte coinvolgimento affettivo per il quale Jung, non riuscendo a districarsene, chiese aiuto a Freud. Questi più tardi la prese in analisi, anche per aiutarla a superare il dolore dovuto all'allontanamento di Jung. Nel frattempo Sabina si laureò in medicina presentando una tesi con Jung, entrò nella società psicoanalitica viennese e frequentò le riunioni del mercoledì sera in casa Freud. Divenuta analista, visse tra Vienna, Berlino, Ginevra (dove tra l'altro fu l'analista anche di Piaget), e la nativa Russia, dove negli anni '30 fu in contatto, a Mosca, con Luria e Vygotsky. Produsse importanti contributi scientifici, che secondo alcuni anticiparono alcune idee freudiane sull'istinto di morte. A Mosca fondò un noto asilo, chiamato "asilo bianco", in cui applicò le idee psicoanalitiche alla educazione dei bambini (pare che fosse frequentato, sotto falso nome, anche dal figlio di Stalin). In seguito la polizia staliniana, non gradendo le pratiche innovative da lai messe in atto nell'asilo, le intimò di modificarlo e di firmare una abiura delle sue idee, ma Sabina reagì indignata e si rifiutò, con la conseguenza che la polizia distrusse l'asilo. Sabina si trasferì allora a Rostov, dove, come ebrea, fu assassinata dalla Gestapo nel 1941 con una esecuzione sommaria assieme alla figlia (il rapporto tra Sabina Spierlein e Jung è ben raccontato dal libro di Carotenuto del 1980 Diario di una segreta simmetria, basato sul diario di Sabina, che fu poi fortunosamente ritrovato, e su documenti  reperiti del vecchio Istituto di Psicologia di Ginevra; le lettere di Jung a Sabina sono invece ancora custodite dagli eredi di Jung che non le vogliono rendere pubbliche. La storia di Sabina è anche raccontata nel film di Roberto Faenza Prendimi l'anima, del 2003, e poi anche nel film David Cronenberg del 2011 A Dangerous Method, tratto dal libro di John Kerr del 1993 Un metodo molto pericoloso: la storia di Jung, Freud e Sabina).

Tornando a Swales, egli "scoprì" altre cose, più o meno conosciute, o più o meno provate, come per esempio un'affermazione di Fliess secondo la quale Freud aveva tentato di ucciderlo spingendolo giù da una rupe, oppure che la madre di Freud si recava ogni anno a una stazione termale presumibilmente per incontrare un amante, oppure ancora possibili seduzioni su Freud bambino da parte del padre (già Krüll nel 1979 aveva scritto che Freud vide suo padre masturbarsi), e via di questo passo. Anni più tardi Swales (che viene spesso in Italia dove tiene seminari che a volte conclude con una sua piccola esibizione di suonatore di sega con un archetto di violino, arte in cui è molto abile) continuerà a fare scoperte su Freud di un certo interesse. Recentemente ad esempio, analizzando lo scritto del 1898 Meccanismo psichico della dimenticanza, ha dimostrato che Freud, nell'esporre alcune intuizioni sui meccanismi inconsci alla base della dimenticanza di certe parole (in questo caso, la parola "Signorelli", dimenticata da Freud stesso), operò una manipolazione dei dati poiché utilizzò un elemento tratto da un evento che sarebbe accaduto vai giorni dopo il sogno (la sua visita della Raccolta Morelli alla Accademia Carrara di Bergamo - visita di cui nessun biografo di Freud era ancora a conoscenza - in cui ammirò i quadri di Botticelli, Boltraffio e Signorelli, non a caso in quella galleria l'uno accanto all'altro, tre nomi secondo Freud implicati nella costruzione inconscia di quella dimenticanza [questa storia è stata raccontata da Swales in un articolo apparso in italiano in due parti sui numeri 1 e 2, 2002, di Psicoterapia e Scienze Umane]). Alcuni anni fa Swales per un breve periodo allentò il suo interesse per la psicoanalisi, e si dedicò a una cantante italiana, sorella del noto cabarettista David Riondino, allo scopo di aiutarla per avere successo nel panorama musicale. Un altro importate interesse recente di Swales è stata la vita di Marilyn Monroe (1926-1962), di cui ha sviscerato veramente ogni minimo particolare, inclusa la sua analisi con l'autorevole analista di Los Angeles Ralph Greenson, che fu profondamente coinvolto da Marilyn e che soffrì acutamente per la sua morte (morte che per Swales non fu affatto dovuta - come alcuni superficialmente sostengono - ad omicidio o complotto della mafia al quale anche Kennedy avrebbe partecipato, ma ad una accidentale overdose di barbiturici ed alcool, una dipendenza di cui soffriva e della quale il suo medico personale negligentemente non aveva capito la gravità). Riguardo al forte coinvolgimento di Greenson per la Monroe, devo dire che vi non avrei creduto se, grazie a Swales, non avessi visto coi miei occhi le lettere autografe di Greenson ad Anna Freud (che lo supervisionava su questo caso), in cui ne parlava con molta franchezza. Greenson fu talmente scosso dalla perdita di questa paziente che non è un caso - osserva acutamente Swales - che sentì il bisogno di lavorare attorno al tema della alleanza terapeutica proprio dopo questo tragico evento (la Monore morì il 4 agosto 1962, e il classico articolo di Greenson sulla alleanza terapeutica, pubblicato su Psychoanalytic Quarterly nel 1965, fu presentato in una prima versione alla Los Angeles Psychoanalytic Society nel maggio 1963 - in quel lavoro Greenson affronta il difficile tema dei fallimenti terapeutici, dei pazienti non analizzabili o che presentano impreviste difficoltà terapeutiche, per cui propone il concetto di "alleanza di lavoro", distinto da quello di transfert).

Ma per tornare a Swales, e per chiudere questa ennesima parentesi, nel complesso l'opinione che Swales si fece di Freud è simile a quella di Masson, e precisamente che Freud, pur essendo un genio, era una persona "sinistra", "equivoca", o addirittura "disonesta". E' curioso notare a questo proposito che, partendo dalle stesse fonti, cioè principalmente dalle lettere di Freud, Eissler si era fatto una opinione opposta: in un saggio dedicato alle lettere personali di Freud raccolte dal figlio Ernst nel 1960, intitolato appunto Mankind at its best ["L'umanità al suo punto più alto"], Eissler presenta Freud come una persona molto vicina alla perfezione.

Ma torniamo ai due articoli del New York Times che fecero precipitare la situazione per Masson e incrinare definitivamente i suoi rapporti con gli Archives. Quando scoppiò il litigio Masson-Swales (quest'ultimo si era convinto che Masson era una persona abietta, perché si era servito di lui senza stare ai patti), Swales scrisse una lunga arringa contro Masson rivelando varie cose, e la fece circolare negli ambienti psicoanalitici di New York. Tramite vari passaggi, arrivò tra le mani di Ralph Blumenthal, giornalista del New York Times, il quale propose a Swales un'intervista. Questi correttamente rifiutò, e allora Blumenthal si rivolse a Masson che invece accettò volentieri.

I due articoli, come ho detto, furono un brutto colpo per tutti, anche per Anna Freud. Poco dopo, Masson, divenendo sempre più noto, fu invitato a tenere una conferenza a New Haven presso la Western New England Psychoanalytic Society (detta "la conferenza di Yale"): qui Masson espose nuovamente la convinzione che l'abbandono della teoria della seduzione da parte di Freud e l'enfasi posta al mondo delle fantasie "allontanò la psicoanalisi dal mondo reale fino a giungere all'odierna sterilità della psicoanalisi nel mondo intero...".

I rapporti tra Masson e Eissler diventarono molto tesi, destinati a non ricucirsi più, tra i due corsero varie telefonate e lettere, alcune accorate, altre minacciose, finché non fu maturata all'interno di alcuni membri del board la decisione di licenziare Masson. La sera del 14 ottobre 1981 fu tenuto in casa di Eissler, al n. 300 di Central Park West, il summit delle 13 persone del board degli Archives - Masson non esitò a chiamarlo "tribunale delle streghe" - che doveva decidere il suo licenziamento. Eissler prima dell'incontro chiese a Masson di promettergli sul suo onore di non rivelare mai a nessuno, stampa o chiunque altro, cosa venisse detto in quella riunione, pena l'impossibilità per lui di parteciparvi. Masson, dopo aver riflettuto, diede la sua parola che non avrebbe mai rivelato a nessuno cosa sarebbe stato detto quella sera. La notte Masson dormì a casa di Eissler, come aveva fatto altre volte durante le sue visite a New York, e l'indomani andò nella sede di tre tra i più importanti giornali americani (New York Times, Newsweek e Times) dove tranquillamente, rompendo la promessa fatta, rivelò tutto quello che si ricordava che era stato detto nella riunione con il board (ammise con candore anche che aveva deliberatamente rotto la promessa di non parlare). Egli in seguito mostrò ai giornalisti anche tutte le sue lettere personali, non solo quelle scritte da Anna Freud, ma anche quelle molto confidenziali di Eissler, nelle quali questi si rivolgeva a lui come un amico affranto dal dolore per essere stato tradito e lo implorava di rivedere le sue posizioni. Sembra che nell'incontro del board ci sia stato un gran urlare e offendere, anche a livello personale: Masson dice di essere stato accusato, oltre di non capire niente di psicoanalisi, anche di non avere tatto e discrezione, di non sapersi comportare appropriatamente in determinate circostanze, e addirittura di non sapersi neanche vestire, con giacca e cravatta e non con jeans e maglietta, quando la situazione lo richiedeva.

Alcuni mesi dopo, il 5 aprile 1982, giusto il tempo di preparare la cosa con gli avvocati, Jeffrey Masson fece causa presso la Corte Suprema della California, chiedendo 13 milioni di dollari, a Kurt Eissler, ai Freud Archives, alla New Land Fondation, a Muriel Gardiner, e a suo nipote Hall Harvey, direttore della Fondazione. L'accusa era di licenziamento illegale, rottura di implicito accordo, mancato rispetto delle responsabilità legali, negligente informazione, interferenza con le relazioni contrattuali, cospirazione, inflizione intenzionale di sofferenza emotiva, e diffamazione. In particolare fu citata una frase di Eissler pubblicata sul New York Times ("lascereste direttore degli Archives uno che dice cose prive di senso?") la quale avrebbe esposto Masson a "pubblico disprezzo, derisione e vituperio". Gli avvocati specificarono inoltre che il licenziamento era illegale perché in contrasto con i fondamentali diritti di libertà di parola, garantito dalla Costituzione Federale e dallo Stato della California, e di perseguimento della ricerca storica, che è uno dei propositi esposti nello Statuto degli Archives: "Il board dei Freud Archives, invece di promuovere la ricerca storica e le pubblicazioni su Freud e il suo lavoro, per motivi privati e personali ha inibito, messo a tacere e soppresso tali conoscenze...". Ovviamente non si giunse mai al processo, il quale avrebbe procurato troppa pubblicità e ulteriori danni alla psicoanalisi, e Masson accettò un compromesso proposto da Muriel Gardiner: avrebbe ricevuto 150.000 dollari in due parti, 75.000 nell'agosto 1982 e gli altri 75.000 nove mesi dopo, nel maggio 1983.

Jeffrey Masson, dopo essersi separato dalla moglie, andò ad abitare con una nuova compagna a Berkeley in California e considerò chiuso il capitolo psicoanalitico della sua vita. Egli affermò di aver perso completamente l'interesse per la psicoanalisi, anzi di non conoscere persone più noiose degli psicoanalisti, "eccettuati forse i sanscritisti" (come è noto, la psicoanalisi e il sanscrito sono stati i due maggiori interessi della sua vita). Masson ha raccolto i risultati delle sue ricerche in un libro (The Assault on Truth: Freud's Suppression of the Seduction Theory) uscito in America nel 1984. L'edizione italiana (Assalto alla verità) prevedeva una introduzione di Mauro Mancia e un commento di Cesare Musatti. Prima che il libro uscisse, Masson lesse le introduzioni di Mancia e Musatti, e visto che erano critiche nei suoi confronti, impose all'editore di non pubblicarle pena il ritiro del suo permesso di far uscire il libro in Italia.

Da allora ha continuato a svolgere la sua critica verso la psicoanalisi e verso altre tematiche, pubblicando vari libri. Nel 1986 curò il volume A Dark Science: Women, Sexuality, and Psychiatry in the Nineteenth Century, che è una raccolta di scritti che documentano i pregiudizi sessuali e la violenza sulle donne nella psichiatria del XIX secolo (questo libro testimonia l'interesse di Masson anche verso la tematica del femminismo, interesse che divide con la donna con cui poi si legò affettivamente per vari anni, Catherine MacKinnon, una avvocatessa femminista molto nota). Nel 1988 pubblicò un altro polemico pamphlet contro il mito della psicoterapia (Against Therapy: Emotional Tyranny and the Mith of Psychological Healing). Nel 1993 è uscito in italiano Analisi finale: costruzione e distruzione di uno psicoanalista, del 1990, in cui, con la sua nota vis polemica, sceglie di cavalcare un altro problema oggi molto discusso nel movimento psicoanalitico e nella letteratura specializzata, quello del training per diventare psicoanalisti: Masson racconta la sua storia personale di candidato dell'Istituto Psicoanalitico di Toronto, senza risparmiare sarcastici commenti sulla logica interna dell'Istituto, il timore reverenziale verso gli analisti didatti dai quali dipende l'avanzamento del candidato, i seminari in cui vengono insegnati i trucchi del mestiere e diffusi spesso acriticamente i cliché della tecnica psicoanalitica (il silenzio di fronte al paziente, il rispondere ad una domanda con un'altra domanda, ecc.), la falsificazione dell'analisi didattica nella quale, più o meno consapevolmente, si cerca di compiacere il proprio analista allo scopo di ricevere il placet per il completamento del training, e così via (tanto che in molti istituti vige, per così dire, la regola non detta delle "due analisi": la prima "per l'istituto", la seconda finalmente "per sé"). Tutti problemi questi ben noti agli psicoanalisti, ma curiosamente per anni sottaciuti dai più e oggi facilmente presi a bersaglio delle critiche più radicali (tra gli altri, vedi gli interessanti e molto autorevoli, seppur tardivi, scritti di Cremerius ["Alla ricerca di tracce perdute. Il 'Movimento psicoanalitico' e la miseria della istituzione psicoanalitica", del 1986; "Quando noi, psicoanalisti, organizziamo il training psicoanalitico, dobbiamo farlo in maniera psicoanalitica!", del 1987; "Analisi didattica e potere. La trasformazione di un metodo di insegnamento-apprendimento in strumento di potere della psicoanalisi istituzionalizzata", del 1989; ecc.], di Kernberg ["Problemi istituzionali del training psicoanalitico", del 1986; "Trenta metodi per distruggere la creatività dei candidati in psicoanalisi", del 1996; "Alcune riflessioni sulle innovazioni nella formazione psicoanalitica", del 2001; ecc.], e anche quelli recenti di Kirsner, 2000, 2001).

In seguito gli interessi di Masson si sono molto allontanati dalla psicoanalisi, e si sono rivolti alla psicologia animale, con la pubblicazioni di vari libri alcuni dei quali divennero dei bestseller (When Elephants Weep: The Emotional Lives of Animals, scritto con S. McCarthy; Dogs Never Lie About Love: Reflections on the Emotional World of Dogs; Dogs Have the Strangest Friends & Other True Stories of Animal Feelings; The Emperor's Embrace: Reflections on Animal Families and Fatherhood; The Compassion of Animals: True Stories of Animal Courage and Kindness, scritto con Kristine Von Kreisler - si veda anche la prefazione al libro della Von Kreisler Beauty in the Beasts: True Stories of Animals Who Choose to Do Good, ecc.)

Dalla Canadian Psychoanalytic Society (e quindi automaticamente dall'IPA), Masson era già stato espulso nel settembre del 1983, "per non aver rinnovato la quota di iscrizione". [Fine della seconda di tre parti]

Commento

Alla conclusione della storia dello scandalo Masson, e dopo che se ne sono conosciuti meglio i dettagli, che tipo di considerazioni possiamo fare? Innanzitutto mi sembra che non si possa liquidare l'intera faccenda dicendo, come fece ad esempio Musatti nel 1984 ad un convegno (1984a), che "Masson è un mascalzone", o più in generale, come altri hanno cercato di fare, tentando di invalidare la figura di Masson a livello personale accusandolo di essere uno "psicopatico", un "narcisista", e così via. L'operazione tentata in questi casi sarebbe quella di far passare in secondo piano le implicazioni che questa vicenda ha per le istituzioni psicoanalitiche e per il loro funzionamento. Oltretutto Masson non è diventato direttore dei Freud Archives di sua iniziativa, ma vi è stato nominato; egli inoltre era passato attraverso la selezione del training psicoanalitico presso un Istituto affiliato all'IPA, il che dovrebbe dare delle garanzie, soprattutto per coloro che attribuiscono all'affiliazione alle società psicoanalitiche una garanzia di serietà nella formazione. Né possiamo dire che l'immagine che avevamo di Freud è cambiata dopo aver letto le critiche di Masson e Swales. Il fatto che Freud avesse delle debolezze, fosse colto da passioni, avesse nascosto delle cose o addirittura mentito (il che peraltro non è mai stato provato da Masson con certezza) non interferisce con l'altra immagine di Freud, quella del genio, fondatore della psicoanalisi.

Per quanto riguarda il reale problema teorico sollevato da Masson, bisogna dire che, così come questi lo ha impostato (e qui Musatti poteva aver ragione), esso è posto molto semplicisticamente. I termini del problema sono estremizzati o distorti per cui può essere già un errore entrare nel merito della discussione. Molti di coloro che, vinti dalla curiosità, hanno letto il libro di Masson del 1984 Assalto alla verità, l'hanno trovato un libro pedante, e a tratti irrilevante. Una volta, durante un ricevimento tenuto subito dopo la "conferenza di Yale", vi fu una accesa discussione tra Masson e gli altri ospiti, per la maggior parte membri della Western New England Psychoanalytic Society. In quella occasione Masson disse tra l'altro che coloro che rifiutano la teoria della seduzione rischiano di rinunciare per sempre a guardare alla realtà dei traumi del paziente, e possono arrivare al punto di considerare per esempio come irrilevante il trauma subito da un paziente reduce dal campo di sterminio di Auschwitz, ma di guardare solo a come lo ha vissuto, o alle fantasie che ha fatto su questa esperienza. Il che, disse Masson, è folle. In effetti Freud disse chiaramente che la realtà e la fantasia nell'inconscio si equivalgono. Ma, giustamente, molti degli interlocutori di Masson in quella accesa discussione si fecero da parte, e considerarono che non valeva la pena continuare questa polemica. E' ovvio che la psicoanalisi non ha mai sottovalutato l'importanza dei traumi reali, infantili e non, ma è anche vero che il sua campo privilegiato di indagine è il mondo delle fantasie del paziente, o meglio il rapporto tra realtà e fantasie, tra oggetti esterni e interni, e il processo attraverso il quale questi ultimi vengono a strutturarsi (per una discussione del problema del trauma "reale", rimando al cap. 1 del mio libro Terapia psicoanalitica, e a un dibattito che aprii sul n. 5/1991 del Giornale Italiano di Psicologia, con una risposta ai vari interventi nel n. 4/1992, e inoltre al mio articolo "Trauma 'reale' e fantasie: considerazioni su alcuni sviluppi della psicoanalisi contemporanea" uscito sul n. 60/1994 de Gli argonauti). Masson in quel ricevimento creò imbarazzo, e a molti diede l'impressione di essere poco sofisticato a livello teorico, e forse anche di non avere sufficiente esperienza clinica.

C'è anche chi ha visto nella polemica di Masson uno dei tanti modi coi quali si può esprimere lo scontro tra la psicoanalisi classica e la psicoanalisi interpersonale (Sullivan, Horney, Fromm, Thompson, ecc.), per l'enfasi posta da quest'ultima sull'ambiente, anziché sulle fantasie. Anna Freud, ad esempio, in una lettera a Masson del 10 settembre 1981, scrisse:

"Conservare la teoria della seduzione significherebbe abbandonare il complesso edipico, e con esso l'intera importanza della vita interiore, delle fantasie consce ed inconsce. Di fatto, io penso che in seguito non ci sarebbe stata nessuna psicoanalisi".

Dietro al complesso edipico e alle fantasie inconsce vi è anche la teoria delle pulsioni, abbandonata dalla scuola interpersonale e un caposaldo della teoria ortodossa. Ma va detto che le differenze teoriche tra le varie tendenze della psicoanalisi trovano da sempre la loro espressione nel dibattito scientifico, in modalità più appropriate e in sedi più adatte che non nella polemica di Masson.

A questo proposito, un problema teorico molto vivo nella psicoanalisi contemporanea, a cui il caso Masson può aver fatto eco (soprattutto per la pubblicizzazione dei dettagli dello sfortunato caso di Emma Eckstein, dove, secondo Masson, Freud per coprire le proprie responsabilità etichettò come "isteriche" le emorragie nasali di Emma ed incominciò a pensare che i racconti delle pazienti non erano reali ma solo frutto della loro fantasia), riguarda la nuova concezione del transfert che vari autori negli ultimi tempi hanno sviluppato. Esso viene visto non più come una semplice ripetizione del passato e inappropriata al presente, ma come un processo circolare, nel quale anche il terapeuta ha una sua responsabilità. In questo senso, possiamo supporre che le morbose fantasie e immagini di seduzioni che le pazienti riferivano a Freud in analisi non erano tanto, o solo, riferite all'infanzia, quanto alla situazione reale del rapporto col terapeuta. Vengono qui in mente, per esempio, alcune affermazioni fatte da Robert Langs [vedi ad esempio il suo libro del 1985 Follia e cura, Torino: Boringhieri, 1988], le quali, anche se in un modo un po' provocatorio, rendono l'idea di questa problematica (in un modo a mio parere più coerente di quanto non abbia fatto Langs [1980, 1985, 1987], la riconcettualizzazione della analisi del transfert è stata approfondita da Gill [1982, 1984b e successivo dibattito; vedi Migone, 1992, 1995 cap. 4 pp. 79-87]. Disse Langs a un seminario all'Università di Milano il 20-3-1984:

"La vera storia della nascita della psicoanalisi, quella che negli Istituti non si racconta, è una storia di seduzioni, di manipolazioni, di errori dei terapeuti da una parte e di risposte dei pazienti dall'altra, risposte che sono spesso chiamate "transfert", ma che transfert non sono. Freud incominciò con l'ipnotizzare le sue pazienti, col massaggiarle sulla fronte e col sedurle in vari modi, ed esse rispondevano coll'innamorarsi di lui, ad esempio gli mettevano le mani al collo per cercare di abbracciarlo, e così via. Freud si mise a chiamare questo comportamento "transfert" perché era spaventato da tutto ciò, e preferiva pensare che lui non c'entrava. Eppure a livello teorico aveva capito bene l'importanza delle regole del setting, anche se non sempre le rispettava. La stessa cosa fanno e hanno fatto generazioni di analisti che continuano a non vedere le implicazioni cliniche della circolarità del rapporto paziente-analista [da un seminario di R. Langs tenuto all'Aula Magna della Università Statale di Milano il 20 marzo 1984, inciso su nastro] (Langs, 1984)".

E' auspicabile che i difensori della tradizione psicoanalitica, nel commentare questa vicenda, non facciano la stessa cosa, scaricando difensivamente ogni colpa su Masson, ma sappiano vedere anche le proprie responsabilità (quelle di Freud e della psicoanalisi nel suo insieme) mostrandosi aperti alla discussione di questa problematica.

Ma l'interesse per questa vicenda è anche di tipo sociologico. Il "fenomeno Masson" è solo uno dei tanti aspetti di una ondata di critica di massa verso la psicoanalisi che, come ben sappiamo, negli Stati Uniti mai come adesso vede la crisi della sua immagine sociale. Lo jeu de massacre operato dai mass media alle spese di Freud oggi può essere di moda, non siamo più negli anni '50 quando negli Stati Uniti tutti (in modo altrettanto sbagliato) veneravano e mitizzavano la psicoanalisi (ho discusso altrove le ragioni di questa crisi: Migone, 1986, 1989).

Un'altra ragione su cui poggia il successo di Masson nel grande pubblico è legata al vasto movimento contro il cosiddetto child abuse, cioè contro i maltrattamenti ai bambini, che negli ultimi decenni è sorto negli Stati Uniti. Si è infatti scoperto che l'incesto, le sevizie e i maltrattamenti ai bambini sono molto più frequenti di quanto si pensasse (Sheleff, 1981). Possiamo sicuramente dire che il rumore che ha fatto Masson sulla stampa riguardo al pericolo che la psicoanalisi sottovaluti i danni della seduzione sessuale dei bambini non può che avergli giovato.

L'importanza di questo "caso Masson" comunque mi sembra, come ho accennato all'inizio, soprattutto quella di aver messo ancora una volta in luce precise modalità di funzionamento spesso presenti nelle istituzioni psicoanalitiche: il tentativo di screditare l'avversario in vari modi, evitando di entrare nel merito della discussione delle critiche da lui mosse; l'importanza dell'appartenenza istituzionale, e la presenza di "segreti" che danno potere a chi li possiede, come accade in vari gruppi religiosi, al posto della normale discussione scientifica; e così via. In sintesi, come ha scritto Galli nell'editoriale del n. 4/1984 di Psicoterapia e Scienze Umane, "non esiste un 'caso Masson'. Esiste il caso di una istituzione che rispecchia se stessa nell'episodio Masson" (p. 3).

Post scriptum

Il 20 settembre 1984, dopo che il mio articolo sulla storia di Masson fu inviato alla redazione della rivista Psicoterapia e Scienze Umane (dove uscì nel n. 4/1984), la Mondadori mi invitò a presentare (insieme a Marco Bacciagaluppi, Elvio Facchinelli e Carlo Viganò) l'edizione italiana del libro di Jeffrey M. Masson (Assalto alla verità: La rinuncia di Freud alla teoria della seduzione). Il dibattito, al quale era presente anche Masson, e che era intitolato "Il 'caso Masson': assalto a Freud?", richiamò un vasto pubblico e fu caratterizzato da un'accesa discussione, soprattutto tra Masson e Musatti. In questa discussione, che qui non è possibile riportare per intero, Musatti tentò di screditare Masson in vari modi, tra i quali quello di "non essere uno psicoanalista" per non avere accumulato sufficiente anzianità - solo nove e non dieci anni di esperienza! -, così pure come tentò di screditare gli altri oratori invitati ad intervenire, escluso Fachinelli, per il fatto di "non essere psicoanalisti" in quanto non membri dell'IPA; e così via.

In quella occasione e nei giorni seguenti ebbi l'opportunità di discutere a lungo con Jeff Masson su vari aspetti di questa vicenda. Commentando i due articoli della giornalista Janet Malcolm apparsi nel 1983 su The New Yorker, articoli che hanno divulgato al grande pubblico i dettagli di questo scandalo e suscitato molto interesse attorno a questa vicenda, Masson mi disse che essi contengono parecchie informazioni non veritiere, e soprattutto che distorcono l'immagine della sua persona. Il rischio insomma è, come si è detto prima, che questi due articoli possano aver fatto parte del tentativo, messo in atto da una certa parte dei mass media americani, di screditare la figura di Masson come uomo, ancor più che come ricercatore (di "psichiatrizzarlo", potremmo dire), e relegando così in secondo piano il fatto che per quasi un secolo importanti documenti della storia della psicoanalisi sono stati censurati o tenuti nascosti al pubblico (per la verità, se l'ipotesi della "psichiatrizzazione" di Masson fosse vera, si potrebbe far notare che non è la prima volta che questo meccanismo viene messo in atto nei confronti dei dissidenti: basti pensare al caso dell'ultimo Ferenczi, ampiamente descritto dallo stesso Masson nel suo libro del 1984, o ad altri casi). Quando chiesi a Masson perché allora non aveva fatto causa alla Malcolm, egli mi rispose che fu sconsigliato dai suoi avvocati, sia per le spese necessarie già solo per iniziare una causa di questo tipo, sia perché egli poteva ormai essere considerato una "figura pubblica", e quindi era più difficile, se non impossibile, per la legge americana vincere il processo (in seguito però, come racconterò più avanti, Masson cambiò idea, e si decise a denunciare la Malcolm per diffamazione).

Ebbene, il lettore sa che il mio racconto è basato anche su questi due scritti della Malcolm. Tengo qui a precisare però che io, nel riassumere questi due lunghissimi articoli, ho necessariamente fatto un lavoro di selezione del materiale, cercando di raccontare solo i fatti salienti della vicenda, e omettendo quasi completamente le parti riguardanti i commenti sulla personalità di Masson, ritenendoli o non pertinenti, o troppo legati a un certo tipo di giornalismo.

Purtroppo Masson non poté esprimere un suo giudizio sul mio articolo, perché non ebbe il tempo di leggerlo (la traduzione inglese non era disponibile, e doveva essere consegnato all'editore il giorno seguente). Ma ritengo che senza dubbio egli avrebbe concordato sul fatto che la immagine negativa che traspare dagli articoli della Malcolm non traspare dal mio articolo, nel quale ho fatto lo sforzo di non schierarmi con una delle parti. Non solo, ma parlando a lungo con Masson ho avuto l'impressione che quasi tutti i fatti da me citati (tranne uno, quello riguardante le circostanze della promessa da lui fatta ad Eissler di non rivelare le cose dette nella riunione in cui fu deciso il suo licenziamento, circostanze delle quali lui stesso parla nella nota qui pubblicata) corrispondono al vero.

Ad ogni evenienza, per correttezza nei confronti del lettore interessato a conoscere i vari aspetti di questo caso, nonché per evitare ulteriori "assalti alla verità", pensai di chiedere a Jeff Masson di scrivere per la rivista Psicoterapia e Scienze Umane una nota in merito ai due articoli di Janet Malcolm del 1983. La Direzione della rivista si trovò d'accordo, e la nota di Masson che segue, da me tradotta, fu pubblicata nello stesso numero della rivista, subito dopo il mio articolo.

Nota di Jeffrey M. Masson

«Ritengo che sia molto corretto, da parte di Paolo Migone e della Direzione della rivista Psicoterapia e Scienze Umane, darmi la possibilità di scrivere una nota in merito ai due articoli di Janet Malcolm apparsi sul New Yorker il 5 e il 12 dicembre 1983. Io non ho letto l'articolo di Paolo Migone, mi riferirò quindi solo agli articoli della Malcolm. Voglio essere molto chiaro su questo punto: parecchie delle dichiarazioni che la Malcolm fa uscire dalla mia bocca sono state completamente inventate da lei. La realtà è che l'uomo che lei chiama Jeffrey Masson non è altro che una creazione della sua immaginazione: il modo di parlare, le espressioni, le opinioni, e le dichiarazioni di questa persona non sono vere. Adesso mi è molto chiaro, in retrospettiva, che la Malcolm voleva che io fossi una persona ben precisa. E quando poi, nella realtà, io risultai essere diverso, ella decise (se consciamente o inconsciamente a questo punto poco importa) di creare la persona che lei voleva, semplicemente inventandone un'altra al posto mio. Così io divenni la persona che Janet Malcolm voleva che io fossi, cioè vanitoso, superficiale, autodistruttivo, disonesto, antisociale, un seduttore, un traditore, un uomo senza onore, ecc.

Ebbene, non c'è niente di male nel fatto che Janet Malcolm pensi che io sia tutte queste cose. E' suo diritto avere di me l'opinione che vuole. Però lei deve dire molto chiaramente al lettore che queste sono solo le sue opinioni. Ad esempio potrebbe dire: "Masson mi è sembrato questo e quello", oppure "Non mi è assolutamente piaciuto". In questo caso non vi sarebbe niente da eccepire, ma lei non fa così. Lei mi fa dire cose che fanno sì che un lettore obiettivo si formi un'opinione di questo mostro della sua immaginazione che è completamente negativa. Non vi è dubbio che se esistesse questo Masson che Janet Malcolm cita, egli non piacerebbe neanche a me. Ma quelle cosiddette citazioni, citazioni non sono, perché non sono le mie parole. Vorrei farvi alcuni esempi. Quando Janet Malcolm mi fa dire che io promisi ad Eissler di non riferire alla stampa cosa era stato detto alla riunione durante la quale fui licenziato, e poi che il giorno dopo andai al New York Times e altri giornali, rompendo la mia promessa, lei è disonesta perché in realtà non le dissi mai una cosa simile. Io le dissi esattamente il contrario, cioè la verità: io dissi ad Eissler e agli altri 13 membri del board dei Freud Archives che io non mi consideravo vincolato da nessuna promessa (fatta precedentemente, nella stessa serata, dietro costrizione [under duress]) di non parlare alla stampa, e che io volevo che tutti costoro fossero consapevoli del fatto che io intendevo chiamare il mattino dopo il New York Times e altri giornali per dire che ero stato licenziato e in quali circostanze. Ora uno può anche essere dell'opinione che ho sbagliato, che io avrei dovuto accettare di non parlare, ecc. Ma è ben altra cosa presentarmi come uno che ha promesso di non parlare, quando in realtà io dissi esplicitamente al board che lo avrei fatto. In un caso il lettore può mettere in questione la mia scelta, ma deve riconoscere che ho agito con onore. Nell'altro caso (cioè nella versione della Malcolm) io sono disonorato. Il primo caso rappresenta la verità, quello che anche dissi alla Malcolm, mentre il secondo rappresenta una bugia, quella che la Malcolm ha detto al pubblico (pretendendo che fossero le mie parole). Ugualmente, quando Janet Malcolm afferma che io, riferendomi alla originaria richiesta di Eissler di dimettermi agli Archives perché ciò sarebbe stato degno di un uomo d'onore, le dissi (riferendomi ad Eissler) "lui aveva a che fare con l'uomo sbagliato", come se io ammettessi di non essere un uomo d'onore, lei ha totalmente travisato la nostra conversazione. Il fatto è che Eissler voleva che io stessi zitto, che non pubblicassi questi documenti, ed era proprio in riferimento a questo che io dissi "lui aveva a che fare con l'uomo sbagliato". In altre parole io non ero disposto ad anteporre né ragioni personali (non perdere il posto) né professionali (il fatto che questi nuovi documenti storici potessero danneggiare la professione della psicoanalisi) a quella che io considero essere la realtà storica, in questo caso documenti che sono di grande importanza per molte persone, specialmente donne e bambini che hanno subito violenze.

Eissler si sbagliava nel ritenere che io avrei ceduto alle sue pressioni. La versione della Malcolm è una parodia della verità. Vi sono esempi simili a questo quasi in ogni pagina degli articoli della Malcolm (ora addirittura usciti sotto forma di libro). Essi variano dal ridicolo e marginale (facendomi dire ad esempio che mio nonno era un ebreo della Bessarabia, quando in realtà le dissi che era un ebreo di Bukhara), al molto serio (rappresentandomi così megalomane da dire che gli psicoanalisti sarebbero venuti a cercarmi, strisciando, supplicandomi di non abbandonarli, quando in realtà le dissi che non avevo alcun dubbio sul fatto che gli psicoanalisti non mi avrebbero rivolto più la parola). Il fatto è che ogni lettore interessato in quello in cui credo farebbe bene a ignorare completamente gli articoli della Malcolm. Essi non rappresentano le mie parole o le mie idee. Le mie parole e le mie idee sono contenute nel mio libro Assalto alla verità, e penso che qualunque lettore obiettivo che legge gli articoli della Malcolm, con la loro caricatura della mia persona, e li paragona allo stile sobrio del mio libro, si convincerà che questi articoli non rappresentano altro che una grave calunnia, fatta per ragioni che mi sono sconosciute. Jeff Masson, Milano, 27 settembre 1984».

Il secondo processo: "Masson versus Malcolm"

Come si è detto, nel novembre 1984 poco dopo la conclusione del processo contro le istituzioni psicoanalitiche, Masson decise di denunciare la giornalista Janet Malcolm per diffamazione, chiedendo 7 milioni di dollari come risarcimento; oltre a lei furono citati in giudizio la rivista The New Yorker (che nel 1983 pubblicò i due famosi articoli della Malcolm sul caso Masson) e Knopf, l'editore che ne fece un libro uscito nel 1984. I due articoli della Malcolm avevano avuto un enorme successo, divenendo quasi un caso letterario, tanto da oscurare il libro di Masson del 1984 The Assault on Truth, che in America era riuscito a vendere solo 11.000 copie: invece di parlare delle tematiche sollevate da Masson nel suo libro, tutti parlavano della storia raccontata dalla Malcolm e delle curiose vicende personali di Masson. Negli anni seguenti Masson si sentì un po' come un moderno Sisifo, impegnato a scrivere vari libri per riabilitarsi come scrittore e ricercatore, e per far sentire le sue idee.

Questo secondo processo ebbe un iter lungo e tortuoso: si concluse una prima volta nel maggio 1993 a favore di Masson, senza però che si trovasse un accordo sulla cifra da pagargli come risarcimento (le proposte di indennizzo andavano da uno a vari milioni di dollari), mentre invece l'appello finale si concluse il 2 novembre 1994 in favore della Malcolm, con un sorprendente capovolgimento delle sorti. Quest'ultimo verdetto sembra decisivo, secondo molti esperti, grazie all'abilità dell'avvocato della Malcolm che riuscì ad incastrare Masson mettendolo in contraddizione e facendogli fare una pessima figura di fronte ai giurati.

Questo processo fece discutere molto, soprattutto tra giornalisti, psicoanalisti, femministe, avvocati e accademici, ed è raccontato nei dettagli da Boynton in un articolo sul Village Voice del 29-11-1994. In questione era il grosso problema della libertà giornalistica e dell'etica professionale di fronte alla liceità di citare, tra virgolette oppure liberamente, il pensiero delle persone intervistate, quindi della libertà dei giornalisti di dare una propria interpretazione dei fatti. Non solo, ma il dibattito si fece ancor più acceso quando Janet Malcolm, nel marzo 1989, pubblicò il libro The Journalist and the Murderer [Il giornalista e l'assassino], in cui racconta nei dettagli, con l'abilità che le è propria, il sinistro rapporto tra il famoso giornalista Joe McGinniss e l'assassino Jeffrey MacDonald (il soggetto del libro di McGinniss Fatal Vision). La Malcolm dipinge McGinniss come un uomo senza scrupoli che cinicamente finge una amicizia con il condannato MacDonald molto tempo dopo essersi convinto della sua colpa, allo scopo di ottenere da lui tutte le informazioni che voleva. Ma, cosa ancor peggiore, McGinniss aveva dato a MacDonald parte dei diritti d'autore del libro in cambio della sua collaborazione. Scrive la Malcolm in questo libro: "Ogni giornalista che non è troppo stupido o troppo pieno di sé da non sapere cosa accade sa che ciò che fa è moralmente indifendibile". In altre parole, secondo la Malcolm, ogni intervista non è altro che un tradimento: in questo modo, tutto a un tratto, l'intera classe giornalistica, e non solo la Malcolm, fu messa sotto accusa. Ma la cosa più curiosa fu che la Malcolm scrisse e pubblicò questo libro proprio mentre il processo con Masson era in corso, e senza assolutamente menzionarlo (non a caso, l'avvocato di Masson cercò - senza riuscirci - di citare in tribunale brani di questo libro per dimostrare che la Malcolm, mentre stava intervistando Masson, sapeva bene di tradire la sua fiducia). Non è facile comprendere le ragioni per cui la Malcolm, proprio durante questo processo che riguardava la questione dell'etica giornalistica, fece di tutto per alienarsi le simpatie di tutti i suoi colleghi. Altra cosa curiosa, che sembra più appartenere ad un romanzo che alla realtà, è che la Malcolm scelse come avvocato difensore proprio Gary Bostwick, l'ex avvocato difensore dell'assassino Jeffrey MacDonald!

La questione da decidere nel processo era apparentemente semplice: la Malcolm fu accusata di aver riportato scorrettamente cinque citazioni di Masson ritenute diffamanti (una citazione è contenuta nel nastro registrato in un modo leggermente diverso, tre nelle sue note dattiloscritte, e una nella sua memoria). Se questa accusa si fosse rivelava fondata, Masson avrebbe ricevuto sette milioni di dollari in risarcimento.

Secondo Masson, vi era la implicita intesa che molte delle cose da lui raccontate alla Malcolm erano da considerarsi confidenziali, dette da un amico ad un'amica, e non avrebbero dovuto essere pubblicate. Egli quindi al processo giocò fino in fondo la carta della sua identificazione con Jeffrey MacDonald, protagonista del libro della Malcolm The Journalist and the Murderer, l'uomo tradito dal giornalista che si finse suo amico per strappargli informazioni. In effetti lungo tutto il processo l'antica stretta amicizia tra Masson e la Malcolm emerse in tutta la sua imbarazzante evidenza, tramite la registrazione delle loro conversazioni, anche proiettate con diapositive, le testimonianze, ecc. L'amicizia tra Masson e la Malcolm era cominciata all'inizio degli anni '80, quando quest'ultima stava lavorando ad un articolo su Selma Fraiberg (1952-82, 1959, 1987), una assistente sociale e nota psicoanalista di San Francisco che faceva ricerca sulle violenze sessuali ai bambini (si ricordi il suo citatissimo lavoro del 1975 sui "fantasmi nella stanza dei bambini" ["Ghosts in the nursery"]); quando la Fraiberg improvvisamente morì, la Malcolm abbandonò il progetto e telefonò a Masson per scrivere un articolo su di lui, e così iniziò la loro stretta amicizia durante la quale Masson passò anche dei giorni in casa della Malcolm. Addirittura vi è chi sostiene, sulla base di precise frasi registrate, che tra i due vi fosse stata anche una relazione sentimentale, e che la Malcolm avesse finto affetto verso Masson per strappargli informazioni. Nelle 50 ore di registrazione, trascritte in tre volumi di 1.056 pagine, Masson parlò a ruota libera, come se stesse facendo le libere associazioni di fronte alla prudente Malcolm che interveniva raramente con sapienti "um-hmmm", come fosse la sua analista. Le 250.000 parole pronunciate da Masson furono condensate dalla Malcolm in 12.000 parole di citazioni.

Le interrogazioni al processo rasentarono il grottesco, andando da minuziosi giudizi storici e teorici su Freud, a commenti su sua figlia Anna (ad esempio, Masson volle precisare che in realtà avrebbe detto che la casa di Anna Freud era "asensual", non "asexual"), al posto esatto dove era collocato un tavolo nel salotto della Malcolm, a quante donne erano veramente state a letto con Masson (non le 1.000 riportate dalla Malcolm, ma secondo Masson addirittura 1.300, di età compresa tra i 15 e gli 80 anni!), e così via (dice ad esempio Masson a p. 3 della trascrizione della cassetta n. 5: "Sì, volevo solo sesso. E molto. Con tante donne diverse. E non sembrava di migliorare per niente... Sono stato a letto con circa un migliaio di donne... e mi sono innamorato, non so, quattro o cinque volte, non tante, e anche quando ero innamorato con una donna, questo non mi impediva di andare a letto con un'altra donna"). Persino l'ottantaseienne Kurt Eissler, che per motivi di età raramente si spostava da casa, volle andare da New York a San Francisco per testimoniare contro Masson. Per tutti i lunghi mesi del processo i due evitarono accuratamente di incrociare gli sguardi anche per un solo secondo, e il loro sembrò proprio un divorzio più che un processo, con litigi che riguardavano anche le cose più piccole, come il reclamare il copyright sui nastri delle loro lunghe conversazioni, e così via.

Ma come riuscì Bostwick, l'avvocato della Malcolm, a farle vincere il processo finale? La sua strategia si basò su tre passaggi consecutivi. Per prima cosa, dato che Masson dovette rivedere ben quattro volte il suo esposto alla magistratura prima di convincere i giudici ad iniziare un processo, per quale motivo - si chiese l'avvocato - le cinque citazioni incriminate non compaiono nel primo esposto, se Masson si sentiva così diffamato da esse? Per sottolineare ciò, l'avvocato prese una per una le affermazioni contenute nel primo esposto, le proiettò con diapositive e chiese a Masson di testimoniare, "dietro minaccia di spergiuro", che la sua firma era autentica. Poi fece sentire alla giuria i passaggi della registrazione dove Masson diceva proprio quelle frasi. Questo fu un colpo basso, perché Masson quando inoltrò il primo esposto non aveva a disposizione le registrazioni, che divennero disponibili solo dal febbraio 1986, per cui non poteva "sapere" quello che esattamente aveva detto, e ovviamente in alcuni casi si era sbagliato. Il risultato comunque fu che egli apparì alla giuria come un vendicativo che voleva solo punire la Malcolm indipendentemente dalle esattezza delle citazioni; inoltre, mostrando una memoria non infallibile, risultò che poteva allora avere ragione anche la Malcolm a proposito delle citazioni scritte solo sul suo taccuino.

Il secondo passo fu quello di dimostrare che, se diffamazione c'era stata, la Malcolm non l'aveva commessa volontariamente, cioè che essa era una seria e onesta giornalista che eventualmente poteva aver fatto errori non intenzionali.

Riuscitogli il secondo passaggio, passò al terzo, in cui dimostrò che la Malcolm, contrariamente a quanto sosteneva l'accusa, non aveva selezionato le peggiori citazioni di Masson per metterlo in cattiva luce. A questo scopo, bastava dimostrare che nelle registrazioni esistevano affermazioni peggiori di quelle citate dalla Malcolm. Si deve sapere infatti che vi erano ben otto passaggi delle interviste che non potevano essere mostrate alla giuria perché avrebbero inutilmente danneggiato l'immagine di Masson; questa censura era stata decisa dal giudice Eugene Lynch sulla base della "Regola n. 403", che appunto prevede una certa protezione dell'imputato da attacchi inutili e non pertinenti. L'avvocato della Malcolm riuscì a convincere il giudice a fare una eccezione alla Regola n. 403, e passò alcuni giorni a mostrare alla giuria uno per uno questi passaggi censurati, molto scabrosi, soffermandosi a lungo su ciascuno di essi allo scopo di umiliare Masson fino in fondo ed impressionare la giuria (Masson ad esempio aveva raccontato alla Malcolm che quando lui aveva lavorato come analista aveva spesso avuto erezioni dietro il lettino, oppure che era convinto che una esperienza sessuale cura più dell'analisi, e che fantasticava una tecnica analitica in cui vi fosse il pieno coinvolgimento, anche fisico, di entrambi paziente ed analista, e così via). L'impressione che si fecero molti è che la Malcolm avesse sì danneggiato l'immagine di Masson, ma preferendo non eccedere perché ciò non avrebbe giovato neanche al senso complessivo della storia che voleva raccontare. Come racconta Boynton (1994), quando la giuria (sette donne e un uomo) pronunciò il verdetto, la Malcolm scoppiò a piangere dall'emozione, circondata dai parenti ed amici, mentre Masson rimase solo, pallido in volto, con una amara smorfia di sconfitta. Ma, cosa di cui fu convinto anche Roazen (1995, comunicazione personale), bisogna ammettere che anche se Masson perse la causa, neanche la Malcolm uscì da questo processo veramente vittoriosa di fronte all'opinione pubblica. [Fine della terza e ultima parte]

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Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
Via Palestro 14, 43100 Parma, tel./fax 0521-960595, E-Mail <migone@unipr.it>

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