Maurizio Mottola Ripubblicato su Psychomedia da "Agenzia Radicale" Venerdì 20 marzo 2009 all'Unità Dipartimentale di Cardiologia Riabilitativa dell'Ospedale Monaldi di Napoli si è tenuta la conferenza Il cuore e la sessualità, tenuta dal cardiologo Domenico Miceli. Da studi osservazionali effettuati negli anni recenti risulta un'alta prevalenza di disfunzione erettile (DE) in persone affette da malattie cardiovascolari (fino al 49%) ed è stato anche messo in evidenza che nel 67% dei pazienti, nei quali la disfunzione erettile era associata all'angina, il disturbo era insorto circa 3 anni prima della comparsa dei sintomi coronarici. I dati sembrano dunque confermare l'importanza dei disturbi della funzione sessuale come "marker" precoce di coronaropatia. Il riscontro, quindi, di una condizione di disfunzione erettile isolata deve fare sorgere il dubbio che questa possa essere la spia di una malattia vascolare sistemica ancora non manifesta, come l'ipertensione, il diabete o la cardiopatia ischemica. Così, da una malattia considerata fino a taluni anni fa di tipo squisitamente uro-andrologico si è ora passati a considerare la disfunzione erettile come una malattia "vascolare". Tre sono gli elementi a favore di questo nuovo modo di pensare: il primo è l'elevata prevalenza -nei pazienti affetti da disfunzione erettile- dei comuni fattori di rischio per l'arteriosclerosi, quali ipercolesterolemia, fumo, diabete e ipertensione. Il secondo è l'alta frequenza di tale disturbo in malattie vascolari note, quali la cardiopatia ischemica (44-65%), l'ipertensione arteriosa (25-68%), l'ictus cerebrale (80%). Inoltre, le modificazioni funzionali e organiche tipiche dell'arteriosclerosi, cui vanno incontro i vasi arteriosi, sono riscontrabili anche a livello della circolazione peniena. Oggi che vi è disponibilità di farmaci "favorenti" l'attività sessuale, approntati per affrontare il problema -di non irrilevante portata- della disfunzione erettile, questa problematica è emersa in maniera più evidente. Non disponiamo in letteratura di dati sufficienti sul rapporto fra impegno fisico, attività sessuale e cardiopatie, e -contrariamente a quanto rilevato dal senso comune- non è dimostrata una significativa incidenza dello sforzo fisico, eseguito durante attività sessuale, quale causa di morte improvvisa. Nell'esprimere parere favorevole alla ripresa dell'attività sessuale nei riguardi di un paziente in condizioni cliniche stabili dopo un evento acuto cardiovascolare, va precisato che il "coinvolgimento emotivo" è evidentemente massimo in occasione di un rapporto fugace o sporadico, laddove si cerca di compiere una "performance particolare" (da parte del maschio). Per il resto, si assume che una prestazione sessuale "ordinaria", pur coinvolgendo l'apparato cardiocircolatorio con moderati aumenti della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, equivalga all'esecuzione di un test da sforzo condotto fino al II-III stadio Bruce. Dal punto di vista psicologico e del reinserimento sociale, poi, è sicuramente importante per il paziente sapere di poter riprendere, così come altre attività quotidiane, anche questa funzione. Infine, va sottolineato che in definitiva le controindicazioni cardiovascolari all'uso di farmaci favorenti la prestazione sessuale finiscano di fatto per coincidere con le controindicazioni all'attività sessuale stessa o, comunque, con l'incapacità fisica obiettiva a svolgere anche un'attività fisica che comporti uno sforzo appena più che lieve. Certo è che prima del sintomo, durante la manifestazione del sintomo e dopo la scomparsa del sintomo c'è sempre indubitabilmente l'individuo. E' su questo semplice assunto di base che si fonda la medicina integrata, la quale è dunque una modalità di approccio e non una delle tante specializzazioni, le quali anzi hanno contribuito a frazionare l'individuo. Di qui l'iperbolico sviluppo delle malattie degli organi e l'affievolimento dell'unità dell'individuo quando è ammalato, rivolgendosi sempre di più al molecolare e spesso riducendo il termine medicina soltanto al mero aspetto delle conoscenze scientifiche e tecniche e non valorizzando il rapporto medico-paziente, paziente-società e medico-società. Pertanto quello dell'approccio integrato è lo sforzo e l'impegno di quanti (medici, psicologi, operatori sanitari e sociali e cittadini) intendono promuovere e diffondere l'impostazione unitaria della salute/malattia, in accordo tra l'altro con quanto a tal proposito definito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). |