Maurizio Mottola Dal 17 al 19 giugno 2009 si è svolto a Napoli il convegno La Conoscenza Dimenticata Viaggio nella psicologia del simbolo a cura dello psicologo e psicoterapeuta della Gestalt Mario Mastropaolo (in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Relazionali G. Iacono dell´Università degli Studi di Napoli Federico II, l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e l'Associazione culturale onlus Il Ritorno di Dioniso), al quale abbiamo posto alcune domande. Se il simbolo collega ed unisce materia e spirito, natura e cultura, reale e sogno, inconscio e coscienza, mentre il pensiero razionale discerne e divide, come manteniamo la nostra identità ed integrità nella convulsa e frammentata nostra ordinaria vita quotidiana? La società nella quale viviamo non favorisce certamente l'integrazione ma questa constatazione non deve comportare necessariamente una rinuncia. Esistono molti tentativi di ripensare in termini completamente diversi metodi di cura che promuovono il benessere individuale. Da questo punto di vista la psicoterapia nella interpretazione umanistica ed esistenziale viene intesa come una necessità di ricostituire il significato soggettivo dell' "essere nel mondo". Questa visione restituisce ad un uomo la possibilità di prendersi cura della propria esistenza e non della malattia, come pretende la psicologia clinica. L'alienazione, vale a dire l'allontanamento da se stessi, è la causa della malattia e non la conseguenza di essa. La necessità di estendere le fonti della conoscenza psicologica alla letteratura, alle arti, alla poesia, al teatro e a tutte le manifestazioni di espressione della vita dell'essere rappresenta un rifiuto della autolimitazione dei "clinici". Per sintetizzare ulteriormente è possibile spiegare questi concetti nel modo seguente: le psicoterapie umanistico esistenziali, come afferma G. Allport, tendono a promuovere l'espansione della coscienza (crescita), la capacità di soddisfare esigenze naturali e soggettive (autorealizzazione), imparando ad integrare occasioni favorevoli offerte dal mondo in cui viviamo con bisogni più profondi (adattamento). Infine a sviluppare una visione del mondo nella quale è l'individuo che pone l'identità del reale in un processo di capovolgimento del passato, quel luogo che può essere definito come la matrice della nostra identità (autonomia). Lei sostiene che psichiatria e psicologia attuali hanno eliminato il concetto di anima: in che senso? La psichiatria e la psicologia spesso usano il linguaggio della scientificità assoluta, della neutralità affettiva, emozionale, imprigionando le proprie intuizioni, i propri orizzonti di conoscenza in formule cliniche, aride ed incapaci di cogliere il nocciolo profondo della sofferenza umana, dell'angoscia , della disperazione, le emozioni della vita di chi sta male, emozioni che appartengono alla vita quotidiana di ognuno di noi. Usano un linguaggio che polverizza l'anima, la annienta, la riduce a una cavia da laboratorio. La negazione dell'anima destina la psichiatria e la psicologia a confluire nella neurologia e più in generale nelle neuroscienze, per cui "il mondo interiore" dell'uomo sarà completamente spiegato come modificazioni neurochimiche e neurofisiologiche delle strutture encefaliche. C'è una distanza incolmabile tra il processo neurale e l'infinita complessità di un'esperienza psichica, che non potrà mai essere ricondotta dentro il "solco di varianti impazzite di circuiti nervosi". Se impariamo ad ascoltare, se sperimentiamo l'intenzionalità dell'incontro, se sappiamo raccogliere gli echi segreti delle parole, emergeranno delle "verità" psicologiche, che hanno una forza ed un'evidenza fenomenologica tale da dare senso alla vita, evidenza che quando è negata toglie alla vita ogni significato. Nella "Realtà dell'anima" Jung scrive che la psicologia senza anima si è così costituita "... Sotto l'influsso del materialismo scientifico, tutto ciò che non poteva essere visto con gli occhi o toccato con le mani apparve come incerto e anzi fu messo in dubbio come sospetto di metafisica (...) la fede nella sostanzialità di ciò che è spirituale cedette lentamente alla nuova persuasione che veniva sempre più affermandosi: quella della essenziale sostanzialità di ciò che è fisico". Più avanti Jung parla di un "irragionevole rovesciamento di posizione", che però riuscì a trasformare lo spirito del tempo. Come è possibile nella relazione di aiuto (in particolare counseling e psicoterapia) tenere conto ed utilizzare la dimensione simbolica? Il simbolo è un elemento della comunicazione, è un "segno" che può essere di due tipi: - convenzionale, in virtù di una convenzione sociale; -analogico (o metaforico), capace di evocare una relazione tra un oggetto concreto ed un'immagine mentale. Queste ultime, le metafore e le analogie, sono strutture cognitive e linguistiche con una forte connotazione emotiva: mentre portano lontano riavvicinano, mentre velano scoprono, riescono a comunicare allo stesso tempo due significati di opposta valenza (il paradosso), aprono ad "altro", "altro" che è stato troppo presto o troppo a lungo separato. Il dinamismo creativo del linguaggio metaforico promuove la connessione tra l'esperienza soggettiva ed il relativo dato oggettivo, estendendo ed espandendo le possibili relazioni tra pensieri, immagini e sentimenti. La metafora veicola "contenuti", quali sensazioni, emozioni, sentimenti, stati d'animo, che spesso le "parole" non riescono ad esprimere. Crea codici e vocaboli diversi, fa emergere nuovi modi di sapere e di comunicare che vanno com-presi più che spiegati. L'uso della dimensione simbolica nella relazione d'aiuto, che sia counseling o psicoterapia, pertanto diventa essenziale per cogliere e comprendere una profondità e complessità della "persona" nella sua unicità ed essenzialità, che si trova a sperimentare l'essere nel mondo nel "paradosso" della sua esistenza. Il pensiero creativo ed analogico permette e favorisce una relazione empatica, capace di esprimere un "campo", dove lo scambio tra gli attori della relazione terapeutica è "autentico", vero e personale.
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