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PSYCHOMEDIA
SCIENZE E PENSIERO
Psicobiologia e Neuroscienze



A proposito di:“Beeinflussungsapparates” (macchine influenzanti) e “Thinking machines” (macchine pensanti)

di Scalzone F.* Vecchione F.** Vignale F.**


Premessa

Negli ultimi anni è diventato sempre più attuale il problema del rapporto uomo-macchina. In questo lavoro faremo alcune considerazioni sul modo in cui gli uomini si pongono nei confronti delle macchine, descriveremo le fantasie che esse suscitano e ne proporremo un’interpretazione. A tale scopo utilizzeremo il classico lavoro di Tausk: Sulla genesi della macchina influenzante nella schizofrenia (1) e alcuni scritti di Freud.


Introduzione

Leroy-Gourhan ritiene che il corpo umano, a differenza di quello degli altri mammiferi, sia una specializzazione tecnica sviluppatasi nell’interazione con l’ambiente che ne avrebbe condizionato anche lo sviluppo anatomico. Lo stesso sviluppo della tecnica iniziò con modificazioni strutturali e anatomiche del corpo umano: la verticalizzazione del rachide (che comportò l’acquisizione della stazione eretta) e la liberazione della mano dai compiti della locomozione. Diretta conseguenza di ciò fu: l’aumento di volume della scatola cranica e del cervello nonché l’apertura del ventaglio cranico e di quello corticale. Tutto ciò consentì lo sviluppo della capacità di fabbricare utensili, legata alla liberazione della motilità manuale, l’acquisizione del linguaggio e, con esso, la nascita dell’intelligenza ragionata in grado di creare e usare simboli: il pensiero. Il pensiero stesso può essere considerato un raffinatissimo “utensile” dell’organismo biologico in continua evoluzione, posto tra il bisogno e il suo appagamento come anche tra il desiderio e la sua realizzazione.
Da questo momento evolutivo avrà inizio un rapido sviluppo tecnologico che, attraverso processi di esteriorizzazione (2) di una serie di funzioni e programmi operazionali, porterà alla sempre crescente liberazione del tempo che diventerà perciò “tempo libero”. La possibilità di esteriorizzare il cervello motore negli utensili darà luogo ad un lungo processo che giungerà fino alla realizzazione delle macchine ed, in seguito, all’esteriorizzazione della memoria e del pensiero logico-matematico (pensiero simbolico). Tuttavia, mentre l’utensile è il prolungamento materiale di un organo di cui accresce l’efficacia, la macchina è un sistema più o meno complesso costruito dall’uomo per compiere certe operazioni mediante l’uso di una qualche forma di energia. Le stesse scoperte scientifiche hanno sempre bisogno di uno strumento per poter essere realizzate e messe in grado di operare. Più avanti ci occuperemo in particolare del calcolatore (o computer) che permette all’uomo straordinarie capacità di calcolo. Anche questa macchina appartiene a quei fenomeni di esteriorizzazione delle facoltà mentali umane che si svilupparono attraverso un lungo e complesso processo evolutivo iniziato con l’invenzione dell’abaco come esteriorizzazione delle facoltà di calcolo, e che costituisce anche la base per la realizzazione di nuove tecniche di scrittura, di immense memorie elettroniche, di sistemi audio-visivi, di ciberspazi comunicazionali, etc.
Tutte le volte che l’uomo si fornisce di organi artificiali nuovi, sia che essi agiscano come rivelatori sensitivi o come macchine operative, egli integra nel suo sistema un’altra parte del mondo e, con il conseguente cambiamento, deve fare i conti anche a livello emozionale. Notiamo a questo proposito che più potente è la macchina, più essa è contemporaneamente aliena, e più si presta ad essere il bersaglio di proiezioni: anzi è tanto più spaventosa quanto più è potente.
Da questo processo evolutivo sembrano restare fuori i sentimenti se non considerassimo come anche essi vengono comunque esteriorizzati, attraverso il meccanismo della proiezione, su persone o su oggetti.
Analizzeremo ora come tali proiezioni si manifestino, oltre che in nostri pazienti, anche nella vita di individui clinicamente sani nel loro rapporto fantastico con le macchine.


Fantasie di onnipotenza, computerfilia e computerfobia

La macchina-calcalatore, come sappiamo, viene quasi sempre vista come un meccanismo capace di operazioni logiche ma, in ogni caso, “perturbantemente” sprovvista di emozioni e di freni inibitori. Questa particolare caratteristica la trasforma facilmente in un oggetto persecutorio, o protettivo, come espressione dell’altra faccia della stessa fantasia, altamente minaccioso perché suscita il timore che possa sfuggire al controllo (pulsionale); come se avere sentimenti fosse di per sé una garanzia di bontà. A smentire tale tesi dobbiamo segnalare che le tre leggi della robotica, inventate da Asimov nel romanzo di fantascienza “Io robot” (3), impongono agli automi il divieto tassativo di avere condotte che possano essere nocive per gli uomini: i robot, sono perciò assoggettati ad una sorta di tabù cibernetico. Probabilmente le loro caratteristiche rendono la macchina da un lato aliena, ma, dall’altra, inquietantemente simile a noi: un sosia. Appare perturbante infatti sia l’idea che all’improvviso essa possa animarsi come un Golem (4), sia che l’uomo possa perdere i sentimenti e mostrare di essere regolato da un semplice meccanismo: rivelarsi, cioè, essere una fredda macchina (automa).
A nostro parere però, non è la mancanza di emozioni ciò che costituisce la principale differenza tra la macchiana-calcolatore (macchina artificiale) e l’uomo (macchina naturale), ma piuttosto il modo radicalmente diverso di trattare i simboli e quindi il possesso o meno di un pensiero. Inoltre le macchine non hanno nessuna, o scarsa, tolleranza per le contraddizioni, per l’incertezza e per l’ambiguità; non hanno iniziativa né senso comune né punti di vista. Infine esse non hanno né un’intenzionalità né la capacità di autorganizzazione. Il nostro cervello, diversamente dalle altre macchine, usa processi che modificano sé stesso: la mente è un processo complesso.
Le macchine inoltre non sono in grado di comprendere il significato dei simboli che manipolano. Gli uomini, al contrario, comprendendone il significato, possono operare con lo strumento del pensiero; essi possiedono, perciò, un “sesto organo di senso”: la mente. Quest’ultima è un senso non specializzato; una sorta di facoltà percettiva universale. Anche Freud riteneva che “la coscienza è l’organo per la percezione delle qualità psichiche”. Gli uomini sono in grado di affrancarsi dalla testimonianza dei sensi attraverso lo sviluppo delle rappresentazioni e del pensiero logico (Freud) e possono operare una sorta di “esperimenti mentali” (Gedankenexperimente) come prova per un successivo passaggio all’azione.
Riedl giustamente nota che:

“Il vantaggio consiste nel fatto che invece di rischiare la propria pelle, si rischia soltanto un esperimento mentale; l’ipotesi, dice Lorenz, può morire al posto di colui che l’ha formulata” (Riedl, 1988, p. 71).

Ma torniamo ai testi. Nell’articolo di Freud Il perturbante, ci imbattiamo in una bambola: Olimpia, figlia di Spallanzani, “misteriosamente laconica e immobile”, segno inconfondibile di una vocazione narcisistica; essa altro non è che un automa. Il fatto che Nathaniel, protagonista del racconto di Hoffmann, se ne innamori, ci mostra il fascino che una macchina, per di più fornita di sembianze femminee, può esercitare.
A nostro parere, una delle attrattive possedute da alcuni programmi che simulano gli esseri umani, almeno all’inizio e per le persone poco esperte, è proprio quella di poter fingere di possedere la capacità di manipolare simboli verbali, di avere “comportamenti linguistici” dai quali si possa inferire la presenza di un’attività mentale, anche se testimoniata solo dalla capacità di comunicare scrivendo su uno schermo (5). In realtà il pensiero è una capacità peculiare dell’essere umano che di fatto la macchina ancora non possiede; essa non possiede un apparato per pensare i pensieri perché non è in grado di capire il senso delle parole che usa, sebbene sia in grado di manipolarle in modo sintatticamente corretto (Searle, 1981).
Anche Edelman ci ricorda:

“[...] tuttavia, la proposta che il cervello e la mente funzionino come i calcolatori numerici non resiste a un esame attento e minuzioso. Peraltro, anche avanzare l’ipotesi delle rappresentazioni mentali senza fare riferimento a processi e a strutture cerebrali non va molto meglio. L’analisi del modo in cui gli animali e gli esseri umani ordinano il mondo in categorie, lo studio dello sviluppo mentale dei bambini, fanno vacillare l’idea che si possa spiegare il linguaggio in maniera adeguata grazie ad un esame di tipo sintattico, condotta senza un’adeguata spiegazione del significato” (Edelman, 1992, p. 11).

E già Turing nel 1948 scriveva che:

“[...] il possedere una corteccia (diciamo) umana sarebbe virtualmente inutile se non fosse fatto alcun tentativo di organizzarla” (Turing, 1948, p. 109).

La simulazione nelle macchine anche del semplice aspetto esteriore umano aumenta il disorientamento dell’interlocutore. È per questo che, al limite, una copia esatta, seppure artificiale, di un essere umano capace di imitarne tutti i comportamenti e non solo quelli linguistici, ci metterebbe in serio imbarazzo nel caso dovessimo decidere, ad esempio, se riconoscergli o meno una capacità di pensare e di “soffrire” o di provare un qualunque altro sentimento, di essere una ... persona (6).
Il fatto è che, poiché non abbiamo ancora a disposizione nessuna euristica diretta e a prova di errore che ci sveli l’esistenza o meno di una coscienza, o come si direbbe oggi di un’intenzionalità, ammesso che sapessimo come definirla esattamente, dobbiamo pur sempre accontentarci di segni indiretti: gli stessi segni che usiamo nei confronti dei nostri simili.


Conclusioni

La macchina pensante, dunque, cioè il calcolatore, può essere vissuta anche persecutoriamente alla stregua di una “macchina influenzante” tauskiana che ci può privare dei nostri poteri assumendoli su di sé, rendendoci in questo modo totalmente inermi ed ad essa assoggettati. Si passa allora da una tollerante svalutazione del calcolatore fino ad una vera e propria computerfobia delirante. Ma non possiamo dimenticare che anche qui bisogna considerare il ruolo svolto dalla sessualità e dagli organi sessuali per rintracciare un percorso interpretativo.
Freud scrive:

“Non si perverrà a un’idea esatta delle attività sessuali infantili [...] fintantoché non si rinuncerà completamente alla svalutazione culturale degli organi e delle funzioni sessuali. Per comprendere la vita psichica del bambino ci occorrono analogie che risalgono a tempi remoti. [....] i genitali erano in origine l’orgoglio e la speranza degli esseri viventi, godevano di venerazione divina e trasmettevano la divinità delle loro funzioni a tutte le nuove attività apprese dagli uomini. Basandosi sulla loro natura sorsero per sublimazione innumerevoli figure di dei e, nell’epoca in cui la connessione tra le religioni ufficiali e l’attività del sesso era già velata alla coscienza generale, culti segreti si sforzarono di mantenerla viva presso un gran numero di adepti. Alla fine, nel corso dell’evoluzione della civiltà, dalla sessualità venne estratto ciò che in essa aveva attinenza col divino e col sacro, e il resto, esausto, cadde preda del disprezzo. Ma per il carattere indelebile che è proprio di tutte le tracce impresse nell’animo umano, non ci si deve stupire se anche le forme più primitive di adorazione dei genitali, [dalle quali si originerà la computerfilia], sono dimostrabili sino ad epoche recentissime e se l’uso linguistico, i costumi e le superstizioni dell’umanità attuale conservano le vestigia di tutte le fasi di questo processo evolutivo” (Freud, 1910, pp. 241-242).

D’altra parte Freud ci ricorda come gli dei abbiano ereditato proprio dai genitali le loro funzioni divine di onnipotenza e onniscienza.
Scrive ancora Tausk:

“Le macchine che l’ingegno umano ha costruito sul modello del corpo umano sono appunto una proiezione inconscia della propria struttura corporea. Ovviamente l’ingegno degli uomini non può prescindere dai suoi rapporti con l’inconscio” (Tausk, op. cit., p. 180).

E inoltre:

“Il processo con cui lo strumento influenzante di aspetto umano si trasforma prevalentemente nell’immagine di una macchina corrisponde come proiezione all’evoluzione del processo patologico che, a partire dall’Io, produce un essere sessuale diffuso, o, nel linguaggio del periodo genitale dell’uomo, un genitale, una macchina indipendente dalle intenzioni dell’Io, e quindi sottostà, per così dire, ad una volontà esterna. Infatti essa non obbedisce più alla volontà dell’Io ma lo domina. Una traccia di questa struttura psicologica si ritrova nella sorpresa del ragazzo che si accorge per la prima volta di avere un’erezione. E il fatto che l’erezione venga immediatamente considerata come una prestazione eccezionale e misteriosa conferma anche l’ipotesi che essa sia sentita come qualcosa di indipendente dall’Io, di non completamente dominato, come qualcosa che fa parte del mondo esterno” (Tausk, op. cit., p. 180).

Così, come l’erezione può essere sentita dal bambino quale processo non controllabile e autonomo, ma potente e magico, anche la macchina sulla quale è stata effettuata la proiezione del genitale può sfuggire, come la mente stessa, al controllo della mente: l’eccitazione endogena è allora avvertita come se fosse suscitata dall’esterno; una sorta di vera e propria suggestione seduttiva che, non essendo più controllabile, diventa persecutoria.
Possiamo qui cercare di ipotizzare il seguente processo: in un primo tempo l’uomo, attraverso la tecnica, esternalizza le funzioni corticali costruendo strumenti di vario tipo tra cui il calcolatore. A questo processo tecnico si accompagna un’attività psichica fantastica per cui egli proietta sulla struttura della macchina i suoi genitali e le relative funzioni che godono ancora di una venerazione divina come retaggio dell’animismo e della fantasia di realizzare l’onnipotenza dei pensieri, la quale viene trasmessa a tutte le nuove attività apprese dagli stessi uomini, compreso la capacità di elaborazione a mezzo del calcolatore.
Ci pare che le “macchine pensanti” esercitino un grande potere seduttivo e che una delle ragioni di questo fascino consista in un’idealizzazione delle loro capacità di elaborazione che dà l’illusione, manipolandole e controllandole, di poter realizzare magicamente, anche se solo con il loro ausilio, l’antico sogno dell’onniscienza, mediante l’onnicomprensività (degli archivi informatici), della padronanza dell’innumerevole e dell’onnipotenza (computazionale e logica) del pensiero. Bisogna qui segnalare la distinzione che deve essere tenuta presente tra l’uso magico del pensiero magico che è molto simile, anche se diverso, dall’uso magico del pensiero logico. Quest’ultimo è maggiormente insidioso, e perciò più pericoloso, perché più facilmente può essere scambiato per un vero e proprio pensiero scientifico mentre invece non fa altro che veicolare un pensiero animistico molto primitivo con scopi difensivi.
Col tempo, venendo ad affievolirsi l’idealizzazione della macchina con il constatare che essa non può mantenere la promessa di un’impossibile onnipotenza, l’uomo si riappropria della parte “divina” che viene ora riassunta dall’attività mentale pura e “il resto”, cioè lo strumento tecnico calcolatore-organo genitale, cade in preda al disprezzo ponendo così le premesse per lo sviluppo di un delirio persecutorio. Solo qualche “folle” resta assoggettato alla macchina che, come quella tauskiana, è l’erede minaccioso del potere dei genitali sentiti ormai in preda soltanto della componente istintuale non più frenata dalla ragione. Ciò equivale dire che nascono i problemi allorché si opera una scissione delle parti razionali da quelle istintuali ed una defusione pulsionale con conseguente liberazione di un elemento distruttivo che si rivolta contro l’individuo secondo una dinamica di tipo persecutorio. È questo “resto” disprezzato, scisso e proiettato, che scatena le angosce persecutorie, solo a volte negate e occultate con una razionalizzata e rassicurante svalutazione della macchina-persecutore.
Il fatto è che l’invenzione e l’uso della macchina dà l’illusione di un maggior controllo sulla propria vita emotiva, nell’evitare il riconoscimento dell’altro e l’incontro con le angosce di separazione, operando attivamente una confusione tra interno ed esterno e tra soggetto e oggetto mediante la relazione narcisistica con un oggetto meccanizzato. Il delirio, così come l’estrema competenza tecnologica, obbediscono allo stesso bisogno di controllare l’enorme, e perciò temuta, potenza dell’oggetto primario. È per questo che il delirio del paranoico costituisce l’estremo tentativo difensivo dall’intrusione dell’oggetto nella propria mente.
Va peraltro notato che il calcolatore può diventare nella fantasia di qualcuno o un feticcio che lo aiuti a negare le angosce di castrazione o, peggio, un oggetto autistico che lo aiuti a proteggersi dalle impensabili angosce di frammentazione e separazione e dalle sue tragiche conseguenze.
Nella realtà anche il calcolatore non è una vera e propria “macchina pensante”, ma al massimo è una macchina priva di iniziativa e di creatività, programmabile soltanto dall’uomo, come già Lady Lovelace nell’800 aveva capito (7). Pertanto, sebbene attualmente le cose stiano già cambiando e alcune reti neurali siano in grado di manifestare “comportamenti non prevedibili”, invero in misura molto limitata, il calcolatore è in grado di elaborare o pensare solo il pensiero che il programmatore gli “proietta” dentro, così come accade nel delirio d’influenzamento. Il fatto che molti temano che il calcolatore “renda dementi”, al pari dell’eccesso di masturbazione, perché compie operazioni che dovrebbe compiere l’uomo il quale a sua volta si impoverirebbe nel momento in cui attua questa delega, è un’idea che trova le sue ragioni solo all’interno di fantasie di tipo persecutorio di danneggiamento psicofisico. Invero il calcolatore si assume il compito di effettuare soprattutto quei calcoli lunghi, monotoni e ripetitivi che ci farebbero perdere tempo e, liberandoci da questo onere, ci permette di occuparci di cose più creative: ovviamente solo nel caso e nella misura in cui ne siamo capaci.
Le minacce che ci vengono dalle macchine (calcolatori), non derivano pertanto da una loro “disumanità”, al contrario, sono il prodotto della tendenza “troppo umana” che noi abbiamo inserito nelle macchine, anche quelle costruite dalla fantasia, e che queste macchine, quando ne sono capaci, provvedono per parte loro a sviluppare e a potenziare. Il fatto è che lo scontro non è fra l’uomo e la macchia, ma fra l’uomo e l’uomo o tra l’uomo e il suo mondo interno.


NOTE

1. Il lavoro di Tausk fu pubblicato stranamente nello stesso anno, il 1910, in cui Freud pubblicò “Il perturbante” di cui si parlerà più avanti.

2. Nell’esteriorizzazione si ha una trasposizione di un’esperienza interna (o funzione interna) in un’esperienza esterna mediante la traslazione di un oggetto (o di una funzione) dall’interno all’esterno. Le interazioni regolatrici interne vengono trasformate in interazioni regolatrici esterne.

3. “Le tre leggi della robotica sono: 1) Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2) Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge. 3) Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e la Seconda Legge. (Manuale di Robotica 56^ Edizione - 2058 d.C.)” da Asimov I. (1950).

4. Il Golem è una figura leggendaria creata dal Rab Löw di Praga. Questi lo forgiò con il fango, gli dette sembianze umane e lo vivificò. Veniva utilizzato per svolgere le faccende domestiche e, quando si ribellò al suo padrone, dovette essere distrutto. Ha ispirato molti personaggi letterari ed è poi divenuto il simbolo della moderna tecnologia robotica.

5. I programmi del tipo ELIZA di Weizenbaum, che simula nella sua sezione DOCTOR uno psicoterapeuta rogersiano, simulano solo le parti iniziali e finali del comportamento umano e perciò, al pari del Test di Turing, trattano la mente come se fosse una scatola nera. Studiandone unicamente le condizioni iniziali (gli input), e quelle finali (gli output), essi riducono tutta la prova all’utilizzo del comportamento verbale.

6. Per quanto riguarda la capacità di “sentire dolore” delle macchine si può leggere l’articolo di Dennett D.C.: Perché non si può costruire un calcolatore che sente dolore citato nella bibliografia.

7. Lady Lovelace era figlia di Lord Byron e amica di Charles Babage. Scrisse in un suo famoso saggio che: “La Macchina Analitica non ha la potenza di creare alcunché. Può fare qualunque cosa siamo in grado di ordinare di fare” (riportato da Hofstadter D., (1978), p.546). La Macchina Analitica era un artefatto per fare calcoli che non fu mai portato a termine dal progettista. Ciò che Lady Lovelace dice di essa vale anche oggi per il calcolatore.


BIBLIOGRAFIA

Asimov I.: (1950), Io robot. Mondadori, Milano, 1973.

Dennett D.C.: (1978), Perché non si può costruire un calcolatore che sente dolore. In Brainstorming, Adelphi, Milano, 1991.

Edelman G. M.: (1992), Sulla materia della mente. Adelphi, Milano, 1993.

Freud S.: (1910), Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci. OSF, vol. 6, Boringhieri, Torino.

Freud S.: (1919), Il perturbante. OSF, vol. 9, Boringhieri, Torino.

Green A.: (1973), Il discorso vivente. Astrolabio, Roma, 1974.

Hofstadter D.R.: (1978), Gödel, Eschel e Bach: una lunga ghirlanda brillante. Adelphi, Milano, 1984.

Leroy-Gourhan A.: (1964), Il gesto e la parola. Einaudi, Torino, 1977.

Riedl R.: Le conseguenze del pensiero causale. In Watzlawick P. (a cura di): La realtà inventata. Feltrinelli, 1988.

Searle J.R.: (1981), Mente, cervelli e programmi. In Haugeland J. (a cura di): Progettare la mente. il Mulino, Bologna, 1989.

Tausk V.: (1919), Sulla genesi della macchina influenzante nella schizofrenia. In Scritti psicoanalitici. Astrolabio, Roma, 1979.

Turing A.M.: (1948), Macchine intelligenti. In Lolli G. (a cura di): Intelligenza meccanica. Boringhieri, Torino, 1994.


Riassunto

In questo lavoro faremo alcune considerazioni sul modo in cui gli uomini si pongono nei confronti delle macchine, descriveremo le fantasie che esse suscitano e ne proporremo un’interpretazione. Per questo scopo utilizzeremo il classico lavoro di Tausk: Sulla genesi della macchina influenzante nella schizofrenia e alcuni scritti di Freud.
Analizzeremo le fantasie che sorgono anche nella mente di individui clinicamente sani, nel loro rapporto con macchine sempre più potenti, specie nei confronti di quelle particolari “macchine-intelligenti” che sono i calcolatori.
Mostreremo infine come il vero problema si situi non nel rapporto tra l’uomo e le macchine ma nel rapporto dell’uomo con i propri simili e con il proprio mondo interno.

About “Influencing machines” and “Thinking machines”


Summary

This work offers some considerations about the way in which men place themselves to the machines, describes the fantasies that the machines elicit and suggests an interpretation. In order to do that we utilise the classic work “Über die Entstehung des “Beeinflussungsapparates” in der Schizophrenie” by Tausk and some of the Freud’s writings.
We analyse also the fantasies eliciting in the minds of clinically sane individuals, in their relationships with more and more powerful machines, especially with those particular “intelligent machines” as the computers are.
Finally we show that the real problem doesn’t place itself in the relationship between men and machines but in the relationship of the man with other fellows and with his own inside world.


* Psichiatra, psicoanalista SPI
** Psicologa, psicoterapeuta AIPPI


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