Marginalità in reteTesto di Nico Gallo (nico@publinet.it, coautore del libro Huodini & Faust, breve storia del cyberpunk, edito da baldini & castoldi), ripubblicato su PM per gentile concessione dell'autore
"La rete è un viaggio, non una destinazione" (M.B.) Nell'epoca della rete abbiamo assistito alla rivoluzione delle distanze. Il lontano è scomparso, polverizzato da internet e dalla TV satellitare, stremato dalla società di massa che ha invaso il pianeta delle stesse merci (i Levi's, le Nike, Michael Jackson, Madonna), reso inoffensivo dalle strategie globali del capitale, della Banca Mondiale e dell'International Monetary Found. Ma, con la morte del lontano, lo stesso concetto di vicinanza ha subito una radicale ristrutturazione. Se il lontano si è trasformato in un vicino, seppure virtuale, limitato al contenuto informativo, mediatico, che fine ha fatto il vicino? L'abbattimento della distanza ha sovente sortito una difesa a oltranza di valori locali che sarebbero minacciati dalla disponibilità di informazioni e contatti che, fino a qualche anno fa, erano considerati inimmaginabili. Dunque per molti la comunicazione che la rete consente, ma in generale è tutto il complesso delle tecnologie casalinghe diffuse a livello di massa, si sta sviluppando a discapito del contatto umano, degli affetti, dei valori di comunità improntati sull'appartenenza a un territorio geografico. Indubbiamente, almeno a livello volgare, un fenomeno come quello della Lega è leggibile come una reazione a un modello di comunità che disconosce i valori dell'origine. In maniera più complessa la destra, specialmente quella legata ai valori esoterici, vede nella nazione e nella sua terra, nella lingua e nella religione nazionale, una serie di legami che contraddistinguono gli uomini secondo una scala di valori mitici. L'ebreo, infatti, è l'uomo senza terra, un reietto, un errante, come lo zingaro. A queste razze manca la terra, ovvero un contatto diretto tra le divinità del luogo e coloro che ci vivono sopra. Senza andare tanto indietro con gli anni si deve ricordare l'uso che il nazismo fece della religione pagana (Furio Jesi, La cultura di destra, Garzanti). È evidente come possano reagire le ideologie di destra a un'idea di comunità che, almeno in linea di principio, sembra poter fare a meno di un luogo. Ben lungi dall'essere democratiche o libertarie, le comunita' locali sono spesso state poco idilliache. E non si deve pensare solamente alle realta' rurali, ma anche alle metropoli dove e' sempre più difficile riconoscere uno status di appartenenza. La metropoli moderna, infatti, e' tradizionalmente un luogo di scissione tra tempo del lavoro e tempo dell'uomo, di isolamento, di solitudine, di emarginazione. Dunque la societa' moderna ci lascia un'evidente quanto spiacevole eredita', quella di un uomo lontano dagli altri uomini, seppure fisicamente vicino alla moltitudine. Non a caso molti hanno osservato come gli ultimi anni si siano arricchiti di luoghi sociali anomali. Marc Auge', nel suo libro Nonluoghi (Elèuthera), chiarisce come stia progredendo una nuova identità (surmoderna) adattata a vivere in luoghi come ipermercati, sale di aspetto, autogrill, parcheggi. Luoghi dove l'uomo ha una presenza anonima, o virtuale, scandita dai codici delle carte di credito, luoghi dove, piu' di altri, la presenza umana tende ad assomigliare alle modalita' di transito delle merci. Un affollato deserto in cui lontananza e vicinanza, nel senso di distanza tra il soggetto e l'altro, perdono senso, o meglio acquisiscono un senso nuovo. Una societa' cosi' caratterizzata, che poi non e' altro che l'attuale, una societa' prolifera di settori marginali, individui che non accettano o non sono accettati, in cerca di una propria identita'. Il tema dell'identita' nel contesto tecnologico e' molto trattato (Scott Bukatman, Terminal Identity, Duke Press; Anna Camaiti Hostert, Passing, Castelvecchi; Donna Haraway, Manifesto cyborg, Feltrinelli; Terrosi, La filosofia del postumano, Costa & Nolan), ed e' evidente, anche se questi libri non risolvono necessariamente il problema, che la diffusione delle tecnologie nella vita quotidiana, a casa, sul lavoro, durante lo svago e lo studio, sta radicalmente ristrutturando sia i meccanismi percettivi che i modi di ricerca dell'identita'. Dunque marginali vecchi e nuovi. Esclusi e ribelli che sono a disagio tra gli altri, perche' non sanno essere come gli altri o non vogliono essere come gli altri. La rete, luogo surmoderno (o postmoderno) per eccellenza, dove le modalità di transito della merce hanno assunto il livello piu' astratto mai raggiunto, e' anche luogo in cui forme di tradizionale marginalita' hanno trovato uno spazio su cui fondare delle comunita'. La marginalita' intellettuale, per esempio, ha potuto organizzare in rete un discorso politico altrimenti destinato a inaridirsi. Del resto se gli oggetti della politica sono ancora i progetti di una vita sociale diversa, questi devono partire da una realta' che trova nel dialogo in rete piu' che una decisa rappresentazione. Siamo dunque noi i vecchi marginali che cercano nella rete e nelle nuove modalita' di comunicazione strumenti del comunicare in grado non tanto di leggere questa societa', ma di scriverci sopra. Cio' che io vorrei scrivere non e' il ritorno alla terra, all'origine, all'adolescenza, alla fabbrica, rimpiangendo l'organizzazione del lavoro modernista, quando l'uomo svolgeva il lavoro che ora eseguono le macchine. Piuttosto individuare percorsi che conducano ad altro, verso societa' rese possibili da un uso della tecnologia antagonista a quello per cui sono state originalmente concepite. McLhuan osservava che le nuove tecnologie dell'informazione, con il loro carattere istantaneo e decentralizzato, possano mettere in condizione l'uomo di assimilare l'intero genere umano, realizzandosi al tempo stesso in una pluralita' di esperienze basate su stili di vita autonomi. "La vecchia societa' individualista della stampa era una societa' in cui l'individuo era libero soltanto di essere alienato e dissociato, uno straniero senza radici, privo di sogni tribali. Il nostro nuovo ambiente elettronico richiede coinvolgimento e partecipazione, e appaga pienamente i bisogni psichici e sociali dell'uomo". Marshall McLuhan e' stato tradizionalmente criticato per non aver incentrato la sua critica in termini di rapporti di classe, piuttosto aveva stabilito che le modificazioni tecnologiche erano prima antropologiche che politiche, cioe' colpivano l'uomo indipendentemente dal suo ceto. Ora possiamo dire che questo approccio aveva una sua validita', soprattutto perche' il prezzo delle tecnologie e' diventato sempre piu' basso da consentirne la diffusione in tutte le classi. Il villaggio globale, comunque, si e' instaurato, e come scriveva McLuhan, non e' un sogno felice: e' solo una delle poche alternative possibili alla barbarie, alla massificazione, alla violenza. Siamo dunque dentro una transizione e, da individui marginali del nord del mondo, abbiamo la grande responsabilita' politica di comprendere cosa sta avvenendo, di correggere, di impedire. Di fronte a noi, giorno dopo giorno, si manifesta una realta' magmatica, un ribollire di segni contraddittori, di letture contrastate, ottimistiche e pessimistiche. Dalla "società dell'informazione", per esempio, abbiamo ragione di attenderci l'arrivo della terza ondata previsto da Toffler (La terza ondata, Sperling & Kupfer), o il soccombere dell'uomo al sovraccarico informativo, quella "resa della cultura di fronte alla tecnologia" di cui parla Neal Postman in Technopoly (Boringhieri), oppure lo straordinario balzo in avanti della cooperazione, la creazione di un nuovo "spazio del sapere", la nascita di un'intelligenza collettiva auspicata da Pierre Lévy (L'intelligenza collettiva, Feltrinelli), o il riesplodere sanguinoso dei particolarismi, il massacro rabbioso dell'"altro" più vicino a noi, come in Algeria e nella ex Yugoslavia? Quale che sia la risposta, nessuno potrebbe sottovalutare la portata sconvolgente del fenomeno. "La bomba dell'informazione sta esplodendo in mezzo a noi, seppellendoci sotto una pioggia di immagini e modificando profondamente il modo in cui ciascuno di noi percepisce e agisce nel suo mondo personale. Nel passaggio dall'infosfera della Seconda a quella della Terza Ondata anche la nostra psiche sta subendo una trasformazione" (Toffler). Una trasformazione che e' uno dei più inquietanti argomenti della cronaca, degli scenari del cinema e della letteratura. Questa trasformazione della psiche deve fare i conti con i processi reali che si sviluppano. Tra questi, non c'e' dubbio, uno dei più rilevanti e' quello che e' stato definito la "demassificazione dei media". Alvin Toffler e' stato uno dei primi a notare questo processo a cui anche internet appartiene. Sin dagli anni Settanta, negli Stati Uniti è iniziato il fenomeno della flessione nelle vendite dei grandi quotidiani. Questa diminuzione non e' tanto da imputare all'ascesa della televisione, quanto alla concorrenza delle testate a bassa tiratura, le testate che si rivolgono a singoli quartieri o piccole comunita', e che contengono notizie e pubblicita' di interesse strettamente locale. La stessa sorte e' toccata sia alle riviste (pensiamo a quelle costrette a chiudere, come Life e il Saturday Evening Post), perche' il loro mercato e' stato corroso da riviste locali e specializzate, sia alle grandi stazioni radiofoniche e alle grandi televisioni via etere (che continuano a cedere terreno a favore di quelle via cavo). Questa tendenza a privilegiare le piccole produzioni, le comunità, le aree di interesse specifico, porta a un deperimento del carattere uniforme e standardizzato dei mezzi di comunicazione (quello che li fa "di massa"), e tendenzialmente potrebbe minare alla radice il potere dei monopoli dell'informazione. Una struttura dei media fortemente legata al territorio e controllata dagli utenti (e oggi esistono e sono in pieno sviluppo le tecnologie informatiche che ci permettono di farlo) costituirebbe l'inversione di tendenza tra la Seconda e la Terza Ondata: sarebbe la fine del martellamento continuo di immagini e suoni standardizzati che hanno mantenuto la massificazione della societa', l'avvento di una struttura dell'informazione e della comunicazione piu' vicina all'immediatezza e alla differenziazione del piccolo gruppo, e al limite del singolo individuo. Inseparabile dall'aspetto "demassificante" c'e' infatti un'altra caratteristica importante dei nuovi media, ed e' la fine del carattere passivo del consumo di informazione. L'aderenza alle esigenze del singolo non dovra' infatti necessariamente passare per una riduzione delle tirature o dell'audience dei media tradizionali, e lo sviluppo di media ancora basati sul modello verticale, ma a carattere locale o settoriale; o almeno non solo. La digitalizzazione dell'informazione rende infatti possibile una duttilita' della forma del mezzo di comunicazione mai vista prima d'ora. Il mezzo digitale consente al consumatore la creazione di pacchetti informativi realmente personalizzati, con l'estrazione e l'assemblaggio delle informazioni che gli interessano dal flusso che circola nelle reti. Ma c'e' di piu': se il luogo strategico della circolazione dell'informazione e della comunicazione diventa la rete telematica, il ciberspazio, perche' limitarsi a consumare, sia pure in modo piu' duttile e articolato, cio' che altri hanno scritto o immaginato per noi? Perche' non passare da riceventi a emittenti? Il modello della rete e' diverso sia da quello del giornale o della televisione broadcast (un modello verticale, gerarchico e unidirezionale, in cui il messaggio circola immodificabile da uno a molti), sia da quello del telefono (orizzontale, interattivo e bidirezionale, ma con possibilita' di connessione soltanto uno-uno). Una rete e' orizzontale, interattiva e bidirezionale come il telefono, ma consente una comunicazione da molti a molti teoricamente illimitata (in pratica limitata dalla capacita' delle linee quanto al numero di soggetti connessi, e dalla cosiddetta "larghezza di banda" quanto alla quantità e qualità dei dati trasmessi). In una rete non c'e' nessun monopolio dell'informazione determinato automaticamente da una data posizione nel circuito informativo: ogni nodo puo' essere contemporaneamente emittente e ricevente, e dipende solo dalla scelta del singolo il suo ingresso in un ruolo o in un altro. Le attuali limitazioni tecniche della rete (derivate anche dalla crescita esponenziale dei partecipanti, come dimostra il fenomeno di Internet in questi ultimi anni) saranno presto superate. L'introduzione delle fibre ottiche, per fare solo un esempio, amplifichera' la larghezza di banda in modo impensabile: con una fibra delle dimensioni di 1/10 di millimetro si potra' trasportare mille volte piu' informazioni di tutta la gamma delle frequenze radio! Quindi non solo, come osserva Toffler, l'enorme disponibilita' di informazione per tutti determinera' naturalmente una suddivisione del pubblico in segmenti, non solo potra' cessare di esistere una audience vasta e indifferenziata destinataria di un unico messaggio, ma tutti saranno, virtualmente, in comunicazione con tutti. Una condizione che impone, a chi vuole sperimentarla, compiti certamente non facili, perche', "invece di limitarci a ricevere il nostro modello mentale della realta', siamo ora costretti a inventarlo e reinventarlo continuamente". Una delle conseguenze piu' rilevanti della segmentazione e' l'aumentata visibilita' e la conquista di una legittimazione da parte delle minoranze sociali e culturali. Le differenze che la societa' di massa tendeva a eliminare e a livellare oggi vengono riconosciute come fisiologiche, e questo da' luogo a un nuovo equilibrio fra i gruppi sociali tradizionali e quelli che potremmo definire "gruppi di nuova identita'" (organizzazioni di volontariato, anziani, portatori di handicap, ecologisti, omosessuali, e cosi' via). Cio' non vuol dire che questo nuovo equilibrio non comporti ancora processi di emarginazione, ma questi non vengono piu' attivati sulla base di un modello culturale egemone. In realta' neppure il processo di superamento dei mass media scritti e audiovisivi avra' un andamento lineare. Non possiamo essere affatto sicuri che le previsioni che abbiamo esposto sulla base delle potenzialita' delle nuove tecnologie digitali si realizzeranno in modo automatico. Il processo di transizione, con gli ingenti investimenti che esso comporta, e' ancora gestito dai rappresentanti dell'industria culturale tradizionale, i quali non hanno certo a cuore lo sviluppo di un'utenza attiva e il superamento del modello consumistico, che minerebbero le loro posizioni monopolistiche. La tattica e' chiara, e non e' nuova: prendere in mano i processi innovativi, per farne puntelli del proprio potere e disinnescarne il potenziale rivoluzionario. La ventilata fusione tra i due colossi dell'informazione americani Bell Atlantic (azienda telefonica leader) e Tele Communications (la piu' importante compagnia di televisione via cavo) per mettere a punto un sistema reticolare per la trasmissione di immagini, ci da' un'idea delle forze in gioco. Il termine "interattivita'" sta ormai diventando il cappello sotto cui passa il tentativo di riciclare vecchi paradigmi e di mantenere intatti i rapporti di potere fra i gruppi sociali, come dimostra il grande fervore di progetti e di esperimenti attorno alla cosiddetta "televisione interattiva", cioe' all'ampliamento delle possibilita' di scelta dell'utente nell'ambito di una televisione che continua a conservare lo stesso modello verticale e unidirezionale. E analoghe considerazioni valgono per il processo, appena iniziato, di assorbimento del ciberspazio nel mercato capitalistico. Se leggiamo l'articolo di Dan Schiller, "I mercanti all'assalto di Internet", pubblicato su Le monde diplomatique, ci accorgiamo come "i servizi di rete si conformano sempre di piu' all'attuale tendenza a trasformare Internet in uno strumento di comunicazione che induce alla passivita'". I detentori del monopolio informativo, infatti, stanno approntando strumenti che manleveranno gli utenti dal dover cercare le informazioni in rete, predisponendo pacchetti informativi piu' agevoli e semplici. La rete, dunque, sara' ancora un luogo per marginali se saremo abbastanza fortunati e accorti da non sparire. domenico "nico" gallo
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