Il Workshop che si è svolto domenica scorsa a Milano sul tema "La Riunione di Comunità", voleva essere, nelle intenzioni degli organizzatori (Mito & Realtà, Facolt� di psicologia dell'Universit� di Milano, ATC Associazione per la Terapia di Comunit�, Associazione Moby Dyck), il primo "assaggio" di un modulo di lavoro per affrontare dall'interno i principali aspetti della vita in Comunità.
Il tema prescelto per quest'esordio rappresenta un punto nodale della prassi comunitaria a prescindere dai diversi orientamenti. Quale che sia l'opzione teorica infatti, ogni Comunità contempla nella sua prassi un incontro esteso a pazienti e operatori che rappresenta il momento di interazione più allargato e complesso fra le diverse componenti. Differenti sono le finalità, gli stili comunicativi, la denominazione che le viene attribuita: riunione plenaria, generale, assemblea o semplicemente riunione di comunità.
Tralasciando i significati storici e simbolici di questo momento, che pure ha rappresentato l'origine del movimento delle Comunità Terapeutiche, in ogni caso esso si configura come una riunione di gruppo allargato, con tutti i fenomeni che lo caratterizzano. Questa riunione costituisce un indicatore del funzionamento della Comunità stessa e, in un certo senso, rappresenta un'espressione della sua "politica".
Il workshop era impostato su riunioni plenarie e gruppi esperienziali che costituivano il substrato di un'ipotetica Comunità di Apprendimento riunita per un'intera giornata col proposito di sviluppare un processo di conoscenza su quanto accadeva, anche sulla base di alcuni spunti proposti ai partecipanti dallo Staff. La maggioranza dei presenti era rappresentata da psichiatri e psicologi e solo in piccola parte da educatori.
Una prima impressione a caldo è che nel breve spazio-tempo di un giornata si siano riprodotte le dinamiche più comuni di una Comunità e in generale dei grandi gruppi: l'ansia nella riunione plenaria, il tema dell'autorità nel rapporto fra staff e partecipanti, gli aspetti legati alla leadership, gli atteggiamenti di passività e attività in relazione alle ipotesi organizzative.
Mi è parso che, col passare delle ore, dall'accoglimento iniziale alla prima plenaria e poi ai gruppi esperienziali, prendesse corpo, fra i partecipanti, il fattore sorpresa che, in un certo senso, ha avuto un effetto positivo su tutto l'andamento del workshop. Non si trattava infatti di un convegno tradizionale, né di un seminario di studio, ma di una giornata esperienziale a carattere residenziale in cui la sensazione di essere parte in gioco era abbastanza palpabile.
Uno degli aspetti più divertenti e interessanti è stata la scansione del tempo e degli spazi che suddividevano le varie riunioni fra loro, il momento del pranzo e le pause informali. Su questo si è sviluppata una dinamica che del piano culturale e organizzativo rimandava ad aspetti più profondi quali l'ambivalenza, il vissuto rispetto alla "norma" e ai confini e ancora una volta il rapporto con l'autoritù.
Robert Hinshelwood è stato presente ad entrambe le riunioni plenarie e a due brevi incontri con lo Staff durante gli intervalli. Sarà forse per la consuetudine di lavoro che ho sviluppato con lui negli ultimi anni, ma in questa occasione ho avuto la sensazione che quest'uomo stia diventando un po' più "latino". O forse sono io che mi sto sforzando di diventare un po' pi� anglosassone.
Più avanti invier� a Psychomedia una descrizione pi� dettagliata e approfondita del workshop.

Enrico Pedriali