IL TEMPO VISSUTO: RIFLESSIONI PSICO-ONCOLOGICHE SUL PENSIERO DI MINKOWSKI
Domenico Arturo Nesci in collaborazione con: Tommaso Achille Poliseno, Mariarosaria Squillacioti, Marinella Linardos
La presa di contatto con una malattia oncologica produce sempre un vissuto drammatico che non è facile descrivere per una sorta di "effetto massa" provocato dal tumore maligno. E non potrebbe essere diversamente se riflettiamo sul fatto che l'Oncologia, etimologicamente, è un discorso (logos) sulla massa (onkos). Sul soggetto paziente, sulla persona su cui viene a cadere la diagnosi di cancro, con tutto il suo pathos (letteralmente: emozione troppo forte, incontenibile... ) si affollano immagini portatrici di un carico insostenibile. In questo breve scritto ci limiteremo a prenderne in considerazione una sola, quella che uno di noi (il Dr. Poliseno) durante un gruppo di formazione dei nostri Corsi in Psico-Oncologia, ha definito come lutto della progettualità. Questa immagine ci consentirà di rileggere in chiave psicoanalitica "Il tempo vissuto" di Minkowski nel contesto della Psico-Oncologia.
Prima però di parlare del lutto della progettualità riteniamo opportuno descrivere il setting in cui abbiamo fatto le nostre osservazioni e sono potute maturare le nostre riflessioni. Riteniamo infatti che non sia concepibile una conoscenza avulsa da un campo e da una specifica cornice di riferimento. Cornice e campo delle nostre riflessioni sono i Corsi di formazione e perfezionamento in Psico-Oncologia, Corsi che si tengono dal 1993 presso il Policlinico Universitario "Agostino Gemelli" e che dal 2000 sono stati arricchiti dalla collaborazione tra l'Università Cattolica del Sacro Cuore ed il nostro Istituto internazionale (The International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Health Professionals - I.I.P.R.T.H.P.) grazie alla ratifica di un Documento d'Intesa tra i due Enti.
La formazione in Psico-Oncologia
La formazione degli operatori sanitari che lavorano nella cura dei pazienti oncologici non è concepibile senza un'attenzione ai vissuti che la malattia e le terapie producono drammaticamente. Abbiamo quindi strutturato il setting dei Corsi di Psico-Oncologia come gruppi di tipo Balint, gruppi esperienziali nei quali il vissuto dei curanti nell'incontro con i pazienti viene considerato il testo fondamentale da cui apprendere. Non si impara dai Docenti in classiche lezioni ex cathedra ma dalla condivisione delle narrazioni rivissute empaticamente nel gruppo. L'atmosfera che promuove e facilita questa esperienza, che richiede evidentemente la creazione di un clima di intimità tra i partecipanti, viene creata grazie ad una serie di accorgimenti che inducono un campo fluido grazie alla istituzione di una cornice elastica. Alcune delle caratteristiche del setting dell'esperienza possono essere così sintetizzate:
* selezione dei partecipanti in modo tale da avere in aula molteplici figure professionali, rappresentate da persone di ogni età ed anzianità di servizio, provenienti da varie regioni geografiche e quindi portatrici di sottoculture diverse;
* possibilità di configurare, per ciascun partecipante, un percorso formativo personalizzato, grazie all'impianto modulare dei Corsi ed alla loro assoluta unicità, essendo ogni evento imprevedibile proprio per la variabilità della costituzione del gruppo che si riunisce ogni volta nell'aula;
* conduzione del lavoro da parte di uno staff (e non di un singolo Docente) che si fa garante del setting transizionale dell'esperienza evitando la costruzione di capri espiatori all'interno del gruppo e promuovendo invece l'abbandono di elementi inanimati (rituali) del Corso ogni volta che ci si accorge che questi sono di intralcio piuttosto che di facilitazione per l'elaborazione dei vissuti dei pazienti e degli operatori.
Si viene così a creare un'atmosfera di sospensione del giudizio che facilita il pensiero associativo (proprio della Psicoanalisi) e l'attenzione ai vissuti (propria del pensiero fenomenologico) che si realizzano nell'hic et nunc dell'incontro.
Questa operazione di costruzione di un setting transizionale raggiunge il suo apice nel workshop "Cinema e Sogni" che si svolge nell'ultimo incontro di tutti i moduli didattici di ogni anno accademico. In questo workshop si svolge la proiezione notturna di un film sulla malattia oncologica e, dopo una notte di sonno, ci si ritrova in aula per narrare i sogni stimolati dalla visione del film in un social dreaming particolare, che abbiamo già descritto altrove (Nesci e Poliseno, 2005).
Le riflessioni sul lutto della progettualità sono state concepite in questo contesto formativo, in una riunione di gruppo in cui i casi clinici portati dai partecipanti riproponevano il vissuto del tempo in Oncologia suggerendo una rivisitazione del discorso di Minkowski (1933).
In questa sede non cercheremo di riprendere quelle osservazioni ma ne svilupperemo altre che si collocano tra fenomenologia e psicoanalisi e che solo a distanza di tempo sono diventate pensabili.
Stati borderline transitori
Cos'è che caratterizza, da un punto di vista fenomenologico, il vissuto del malato di cancro? Di alcuni elementi centrali, come ad esempio lo spaesamento di fronte ad un doppio persecutorio che ci aggredisce dall'interno e minaccia di invaderci ed ucciderci (il cancro maligno, frutto della mutazione delle nostre stesse cellule) abbiamo già parlato altrove, così come degli stati borderline transitori che questa patologia è in grado di attivare (Nesci e coll., 2007). In questa sede vogliamo riprenderne lo studio associandolo ad un altro vissuto della malattia cancro: il lutto della progettualità. Con questo non si intende solo che il lavoro e le vicende personali e familiari del paziente si dovranno fermare a più riprese (per ricoveri, accertamenti, terapie traumatiche ed invalidanti, possibili recidive... ) e che la prospettiva di vita non sarà comunque più garantita da quel sentimento illusorio, così diffuso e "normale", che siamo sani ed in grado di controllare attivamente il nostro tempo e la nostra vita. Si intende il fatto specifico che molti malati di cancro perdono, a tratti o del tutto, la spinta a progettare fluidamente la propria vita nel futuro. Smettono di fare programmi o perdono il gusto di farli, al punto che parenti ed amici cercano di contrastare questa tendenza negativa spingendoli a "vivere alla giornata" ed a fare almeno dei progetti minimali, per la prossima ora, per il prossimo giorno, per il prossimo mese...
Minkowski scrive, con grande sensibilità psicodinamica, che "il fenomeno vitale che si contrappone all'attività [...] non è la passività [...] bensì l'attesa." Nel suo pensiero "Essa ingloba tutto l'essere vivente, sospende la sua attività e lo immobilizza, angosciato. [...] L'attesa contiene in sé un fattore di arresto brutale che toglie il respiro. Si direbbe che tutto il divenire, concentrato fuori dell'individuo, si avventi su di lui come una massa possente e ostile cercando di annientarlo, come un iceberg che si erge bruscamente davanti alla prua di una nave e contro il quale essa andrà fatalmente a schiantarsi subito dopo. L'attesa penetra così l'individuo fino alle viscere, lo riempie di terrore di fronte alla massa sconosciuta e inattesa - stavo quasi per dire - che tra un attimo lo inghiottirà. L'attesa primitiva è dunque sempre legata a un'intensa angoscia [...] poiché essa è una sospensione di quell'attività che è la vita stessa. [...] L'attesa si avvicina così al fenomeno del dolore sensoriale. [...] Nell'attività tendo verso l'avvenire, nell'attesa vivo il tempo in direzione opposta; in questo caso sento l'avvenire venire verso di me, in maniera immediata, con tutta la sua irruenza. Inoltre l'attività contiene in sé della durata [...] Non è così per l'attesa. Quest'ultima, per sua stessa natura, non è che un lampo, una sospensione istantanea della vita. [...] Nell'attesa, per quanto possa sembrare paradossale, io vivo l'istantaneità." (pagg. 83-84)
La descrizione di Minkowski dell'attesa non è quella di una gravidanza, con tutto il suo portato di creatività femminile vitale e positiva, ma sembra piuttosto quella del cancro, che indifferentemente può colpire tutti: uomini, donne, bambini, placente (il corioncarcinoma è il tumore più maligno che esista)...
La prospettiva fenomenologica consente quindi di gettare uno sguardo pieno di insight sulla patologia oncologica intuendone in modo immediato l'angosciosità e la dolorosità, anche se è probabile che di questo Minkowski non fosse, paradossalmente, affatto consapevole. Ed alla luce di tutto questo il concetto di lutto della progettualità diventa un nodo centrale di riflessione se si riprendono anche certe idee freudiane in una prospettiva fenomenologica, attenta cioè a cogliere, come è nello specifico della Psicoanalisi, del resto, il vissuto dei pazienti e dei curanti, nelle loro aree di overlapping - il transfert e il controtransfert, l'esperienza dell'essere all'unisono descritta da Bion (1970) e ripresa da Antonino Ferro (2006) - come elementi fondatori di ogni sapere psicologico. Occorrerà allora rivisitare, dopo Minkowski, il problema del tempo in Psicoanalisi (Sabbadini, 1979) e quindi l'ipotesi dell'esistenza di processi mentali inconsci.
Se Freud aveva ragione quando teorizzava, sulla base del suo lavoro di analisi dei sogni, che l'inconscio umano non riconosce l'idea della propria morte (per cui il sognatore, quando sogna il suo funerale, assiste sempre ad esso come spettatore, e dunque osserva la scena vivo sano e vegeto, in totale deroga alle leggi della veglia della coscienza e della ragione, che sostengono il principio di non contraddizione) noi potremmo dire che questo avverrebbe per via di una di quelle "rimozioni originarie" che sarebbero capaci di produrre una "fissazione" (Freud, Metapsicologia, pag. 38) legando la rappresentazione mentale della pulsione di morte secondo i caratteri specifici del "sistema Inc" (pag. 70)... primo fra tutti: l'atemporalità.
Potremmo ipotizzare allora che i malati di cancro siano le vittime di un drammatico ritorno del rimosso originario, i testimoni spaesati e perturbanti di stati mentali in cui il soggetto ritrova regressivamente l'idea della propria morte e con essa l'affetto (il pathos che si accompagna alla pulsione) ad essa legato.
Se questo fosse vero ne deriverebbe che il malato di cancro (o forse sarebbe meglio dire i malati di cancro) siano in grado di vivere in modo "massivo" e di proiettare intorno a loro (il transfert è descritto originariamente da Freud come un fenomeno universale della psiche umana che si dispiega nell'incontro con l'altro) uno stato mentale che è quello dell'attesa descritto da Minkowski, e cioè "una sospensione di quell'attività che è la vita stessa".
Detto in modo più semplice, i malati oncologici, un volta ricevuta la comunicazione della diagnosi, sperimenterebbero troppo spesso il vissuto dell'attesa (le analisi di laboratorio, le terapie, i controlli successivi, l'angoscia di una sempre possibile temuta recidiva... ) col rischio di abbandonare ogni spinta naturale alla progettualità per evitare il ripetersi di nuove inevitabili attese.
Per capire meglio le dinamiche dell'attesa occorrerà rileggere, ancora una volta, Minkowski.
"In geometria, se una linea porta dal punto A al punto B, la stessa linea ci riporta da B ad A, senza nulla aggiungervi. Non è lo stesso nell'ambito dei fenomeni vitali. Se, nella direzione centrifuga l'essere vivente si separa dall'ambiente mediante la sua attività, nella direzione centripeta egli traccia i suoi limiti con l'attesa. Sono dunque probabilmente l'attività e l'attesa a determinare l'atteggiamento generale dell'individuo nel mondo. Quasi un tutto nell'attività che si dispiega nell'ambiente vuoto, quasi un niente nell'attesa, ridotto alla mia più semplice espressione, come sotto la minaccia di essere inghiottito dal divenire-ambiente [...] è probabilmente grazie all'azione congiunta dell'attività e dell'attesa che io sono quel che sono, cioè un essere limitato. [...] E' altrettanto probabile che il passaggio dall'attesa all'attività, o inversamente, l'interruzione dell'attività ad opera dell'attesa, contribuiscano a far nascere in noi la nozione di una superficie attivo-sensitiva, sede dell'interazione dell'io e dell'ambiente immediato." (pag. 86).
Ma di nuovo, l'impressione è che quello che Minkowski scrive si adatti perfettamente ai vissuti dei malati di cancro, così come questi si presentano nel controtransfert dello psicoanalista: una perdita di confini, la comparsa di stati borderline transitori. Se, normalmente, l'attesa costruisce i confini del soggetto, essa li potrebbe invece destrutturare quando è troppo ripetuta (come nei percorsi clinici dell'oncologia).
Parlare di stati transitori è un paradosso: uno stato, in Psicopatologia, è un fatto stabile; ma la Psicopatologia non è una geometria. Lo stato borderline che si vede transitoriamente ripresentarsi, a volte solo per momenti tanto brevi quanto intensi (il rifiuto di una terapia, lo scoppio d'ira per l'atteggiamento di un familiare, l'apparente diniego di una consapevolezza di malattia generalmente già raggiunta, per limitarsi a fare degli esempi ben noti a chi lavora con questi pazienti) è infatti una caratteristica stabile proprio nella sua assoluta transitorietà.
Il lutto della progettualità
Questo stato mentale blocca il fluire del tempo vissuto, e quindi la possibilità di progettare l'esistenza, e produce l'affetto melanconico di un lutto, di una perdita assoluta. Progettare del resto deriva, etimologicamente, dalla stessa radice del termine proiettare. Quando noi progettiamo mettiamo fuori da noi, nel mondo reale, i frutti della nostra immaginazione. In questa operazione mentale c'è sempre, implicita, la dimensione del presente vissuto e del futuro vivibile, e l'immaginazione di uno spazio in cui il progetto è realizzabile.
Nel malato oncologico ci troviamo di fronte ad un blocco particolare del tempo vissuto... Un blocco in tensione, come quello che abbiamo descritto altrove in un paziente laringectomizzato (Nesci e coll, 1989) che ci aveva fatto conoscere il libro scritto da un altro paziente per i malati oncologici operati, come lui, di laringectomia totale. Questo libro (Pontieri, 1979) aveva, come immagine di copertina, un'opera dello scultore Trubbiani in cui un tucano (uccello socievole e ciarliero) aveva il lungo becco e le ali incatenate da una macchina che lo bloccava in una posizione obliqua, su un asse inclinato, evitando la caduta catastrofica (fig. 1).
Questa angoscia, che parla del blocco in tensione, del blocco del tempo vissuto, ci introduce così subito ad una prima difesa necessaria: fermare il tempo presente per evitare la catastrofe attesa...
Per Minkowski nell'attesa "il momento a venire è vissuto quasi da solo, nel suo cammino impetuoso verso l'Io, con esclusione del momento presente." (pagg. 84-85) E Sabbadini ci ricorda, in una nota a piè di pagina della sua introduzione a "Il tempo in psicoanalisi" (1979) che lo studio delle esperienze di rimozione delle dimensioni temporali in stato ipnotico ha evidenziato che "l'eliminazione del presente provocò una risposta di tipo catatonico." (Aaronson, 1966).
Se il fluire della vita può essere concepito cinematograficamente, allora il lutto della progettualità, il blocco in tensione, è paragonabile al fermo di un fotogramma (se spazializziamo il tempo su due sole dimensioni) oppure agli oggetti di Shigeo Fukuda (se facciamo riferimento di nuovo alla scultura).
Questo artista giapponese ha costruito numerosi oggetti che solo in una precisa prospettiva rappresentano qualcosa... Se si fa ruotare l'opera (Seckel, 2004) questa si presenta informe, bizzarra, frammentata, ma quando il movimento giunge ad un particolare, unico, punto di vista, ecco che appare una forma precisa che tale rimane se blocchiamo la scultura in questa posizione (fig. 2).
La figura svela l'illusione ottica fotografando l'opera davanti ad uno specchio in modo tale che l'immagine riflessa propone un pianoforte mentre nella realtà si vede, accanto ad esso, l'oggetto bizzarro costruito dall'artista.
Il blocco in tensione, il lutto della progettualità, sono meccanismi di difesa attivati dai malati di cancro per non trasformarsi in oggetti bizzarri, per non psicotizzarsi. Il cancro infatti, per il fatto di materializzare nel corpo un persecutore interno perturbante, un doppio che ci minaccia di morte, può scatenare angosce di livello psicotico, rivelate dagli stati borderline transitori e coperte da ansia e depressione reattive.
Il paziente oncologico regredisce. Regredisce per difendersi dalla consapevolezza di vivere potenzialmente attese insostenibili: quelle dell'urto con una massa/cancro/iceberg che ci inabisserà nel gelo della morte.
Uno di noi (Nesci) propone di pensare all'ipotesi di una rimozione che non si limita alle rappresentazioni mentali di oggetti ma coinvolge modalità... L'esperimento ipnotico di rimozione del presente, ad esempio, potrebbe riprodurre artificialmente qualcosa che sarebbe possibile anche per vicissitudini psicopatologiche (o per la consapevolezza dell'insorgenza di un cancro). Tra tutte le dimensioni temporali quella del presente sarebbe quella originaria, se riprendiamo le osservazioni (Ames, 1946) che dimostrano che le parole che indicano il presente sono le prime ad essere usate dai bambini (a 24 mesi) rispetto a quelle del futuro (a 30 mesi) e del passato (a 36 mesi).
Il dramma del malato di cancro potrebbe allora essere descritto come una rimozione del presente per un'espansione minacciosamente massiva del futuro: e se il futuro si abbatte su di noi non c'è modo di abitarlo con un progetto...
La psicoterapia nei malati oncologici
La psicoterapia viene spesso presentata ai pazienti come un progetto, come qualcosa che si comincia oggi pensando al domani. Freud, addirittura, la consigliava solo in persone che avevano, presumibilmente, molti anni da vivere e molte scelte di vita ancora da fare. I luoghi comuni della psicoterapia richiedono tempo e si realizzano nell'hic et nunc della seduta: il malato di cancro si sente spaesato e senza presente, non ha un hic et nunc e non ha neppure un futuro progettabile: il suo futuro è pre-occupato da un processo occupante spazio (è così che si chiamano i tumori nel gergo oncologico... ) dall'iceberg di Minkowski...
Forse è per questo che pazienti e curanti, sulla scena oncologica, hanno difficoltà a trovare psicoterapeuti capaci di rendersi utili.
Grazie all'esperienza dei Corsi in Psico-Oncologia dell'Università Cattolica, che hanno stimolato la nascita del nostro Istituto internazionale di ricerca e formazione (IIPRTHP, visitabile al sito www.noprofitpsychoanalyticmedicaleducation.it ) e di una Scuola di specializzazione in Psicoterapia (SIPSI visitabile al sito www.psychomedia.it/sipsi/index.html), è stato possibile per noi muoverci in controtendenza e raggiungere, da psicoterapeuti, un numero crescente di malati di cancro nell'ambito dell'attività del Servizio di Consultazione Psichiatrica del Policlinico Universitario "Agostino Gemelli" dove gli allievi della SIPSI svolgono il tirocinio.
Abbiamo così potuto constatare che il modello psicoterapeutico che abbiamo sviluppato per i malati di cancro (e che rimanendo rigorosamente psicoanalitico recupera al suo interno l'approccio fenomenologico, oltre a dialogare costantemente con le linee di pensiero cognitivo-comportamentali e sistemico-relazionali) consente ottimi risultati grazie al fatto di partire dai vissuti dei pazienti, dai loro bisogni emotivi, dalle loro angosce, piuttosto che da pregiudizi di scuola.
In particolare l'attenzione agli stati borderline transitori dei malati ci ha consentito di orientare in modo più accurato le scelte farmacologiche (ad esempio utilizzando antipsicotici atipici a bassissimo dosaggio piuttosto che dosi classiche di ansiolitici ed antidepressivi, che a volte possono addirittura dimostrarsi controproducenti) e focalizzare la nostra attenzione sulla costruzione del setting piuttosto che sui contenuti dell'interazione tra curanti e pazienti.
Il razionale di questo nostro modo di porci è semplice: se i malati di cancro sono spaesati (Freudianamente unheimlich e cioè privi della madrepatria/casa/corpo per la presenza maligna del cancro che li rende sinistramente corpocatti), disturbati nel senso del limite del Sé, l'operazione psicoterapeutica fondamentale è la costruzione di un contenitore sensibile ed estremamente elastico.
Detto in parole povere: non si tratta di esportare il divano e le regole psicoanalitiche (o di qualunque altro tipo di psicoterapia) nel setting dell'ospedale (o dell'assistenza domiciliare o dell'Hospice) ma piuttosto di ricordare che il setting è "la mente analizzata dell'analista" (Gaddini, comunicazione personale 1983-85) e che imparare dall'esperienza a muoversi orientati dalla risonanza (controtransfert) del vissuto dei malati è la chiave della capacità di stare accanto ai pazienti, ai loro familiari, ai membri dell'équipe oncologica, in modo adeguato e cioè senza farsi pietrificare, congelare, dall'angoscia della "massa" maligna.
Ci auguriamo che il nostro modo di lavorare possa contribuire alla nascita di una nuova cultura psicoterapeutica, capace di muoversi negli spazi e nei tempi dove vive la sofferenza umana, di sperimentarne empaticamente i vissuti, e di cercare di contenerli ed elaborarli alleggerendo i pazienti, i loro familiari ed i membri dell'équipe oncologica multi professionale.
Bibliografia
Aaronson B.S. (1966) Behavior and the place names of time. In Yaker, Osmond and Cheek (Eds.) The Future of Time. Man's Temporal Environment, Anchor Books, Garden City (NY) 1972.
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Gaddini E. (1983-85) comunicazione personale, Roma.
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Nesci D. A., Mingo E., Polisenso T. A. (1989) La ferita narcisistica nelle trasformazioni chirurgiche. In De Risio, Ferro, Orlandelli (Eds.) Narcisismo, Nomos, Trasgressione, Teda Edizioni, Catrovillari.
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Nesci D. A., Poliseno T. A., Salvatore G., Squillacioti M., Linardos M., Barra A (2007) Stati borderline transitori nei pazienti oncologici: dall'esperienza clinica al disegno di un possibile protocollo di ricerca. In Bria, Nesci, Pasnau (Eds.) Psichiatria di Consultazione e Collegamento:
Teoria, Clinica, Ricerca, Formazione. In corso di stampa.
Pontieri M. (1979) Laringectomizzato amico mio... Bagaloni, Ancona.
Sabbadini A. (1979) Il tempo in Psicoanalisi, Feltrinelli, Milano.
Seckel A. (2004) Masters of Deception - Escher, Dalì & the Artists of Optical Illusion. Sterling, New York.
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