FERMARE IL TEMPO. ART THERAPY E PSICO-ONCOLOGIA AL SIMMS/MANN CENTER DI UCLA
INTERVISTA CON ANNE COSCARELLI ED ESTHER DREYFUSS-KATTAN
A cura di Valentina Nesci
Los Angeles, Agosto 2008.
In questo nuovo numero, PM è andata a Los Angeles per intervistare due personaggi chiave della Psico-Oncologia californiana: Anne Coscarelli, Direttore del Mann/Simms Center for Integrative Onchology della University of California Los Angeles (UCLA) ed Esther Dreifuss-Kattan, art therapist dello stesso Centro (http://www.simmsmanncenter.ucla.edu/index.asp) e psicoanalista del New Center of Psychoanalysis, nato recentemente dalla fusione della Southern California Psychoanalytic Society e della Los Angeles Psychoanalytic Society and Institute (LAPSI). La prima intervista (fig. 1) si è svolta in circostanze quasi avventurose, mentre era in atto il trasloco degli uffici da un building all"altro del Campus di Westwood e l"area era praticamente inaccessibile per i lavori di ristrutturazione in corso. Anne Coscarelli ci ha ricevuto con grande cordialità, anche grazie alla presentazione del Prof. Ira Lesser, Chairman del Dpt of Psychiatry dell"Harbor-UCLA Medical Center, che aveva reso possibile l"incontro nonostante l"unica data disponibile fosse il giorno del compleanno della Direttrice del Centro e si fosse in pieno periodo di vacanze!
Domanda 1:
Il Centro Simms/Mann è un"organizzazione no profit che si occupa del supporto ai pazienti oncologici. Ci può spiegare come questo avviene e se, e come, la vostra attività si differenzia da quelle analoghe che si realizzano in Europa?
Risposta 1:
Il Centro Simms/Mann è stato concepito partendo dall"idea che il cancro non può essere combattuto in solitudine. Questa malattia colpisce la mente, il corpo, l"animo... ha bisogno di molte mani per essere contenuta. Abbiamo pensato di accogliere i nostri pazienti con un abbraccio globale, seguendoli in tutte le fasi e nei vari aspetti della malattia. Ogni paziente viene trattato in piena collaborazione con gli operatori sanitari che già lo hanno in cura a UCLA ed avvalendosi, in più, dell"intervento di un team interdisciplinare di consulenti, medici e non. Lo staff del Centro è costituito da me e da tre assistenti sociali che svolgono quasi tutto il lavoro psicoterapeutico, come è tradizione negli USA, soprattutto in setting istituzionali, a differenza dell"Europa. Il nostro obiettivo è quello di aiutare il paziente a vivere l"esperienza della malattia e delle cure nel modo migliore possibile favorendo al tempo stesso la comunicazione tra tutti quelli che si muovono nello scenario oncologico. Senza uno spazio e delle figure professionali dedicate a questo processo di mediazione, la comunicazione diventa, in Oncologia, uno stress per tutti. Il nostro Centro prevede l"integrazione delle cure tradizionali con molteplici altre forme di terapia, includendo, ad esempio, l"art therapy, la meditazione, il qui cong. Il Centro ospita inoltre una boutique (Reflections, gestita anche lei da un"organizzazione no profit) in cui è possibile comprare oggetti che non sono sempre facilmente reperibili sul mercato, protesi per il seno, parrucche, trucchi speciali, ed altri articoli prodotti tenendo conto delle particolari esigenze dei pazienti oncologici. Il negozio è gestito da ex pazienti che essendo riusciti a superare la malattia forniscono un ulteriore supporto ed infondono speranza, oltre a dare comprensione e saper consigliare chi potrebbe avere, inconsciamente, timore o vergogna di chiedere aiuto. Il Centro offre anche la possibilità di consultare un nutrizionista. Questo è l"unico servizio a pagamento, oltre a quello dello psichiatra ed alla boutique. Tutto il resto è finanziato dal Centro. Questo è possibile perché negli USA, a differenza che in Europa, il "fund raising", e cioè la raccolta di fondi per attività socialmente utili, è una vera e propria scienza, oltre che una consolidata tradizione culturale. Io dedico personalmente molto del mio tempo, come professionista, alla ricerca di risorse economiche per finanziare il Centro. Non mi sono mai sognata, come la maggior parte degli psicologi europei, che lo Stato o qualcun altro dovesse assumermi per il mio lavoro. Ho sempre pensato che ero io a dover inventare il mio lavoro in base ai bisogni emergenti delle persone malate e poi a dar vita ad istituzioni no profit che potessero raccogliere i fondi per finanziarlo, e quindi pagare il mio stipendio.
Domanda 2:
Leggendo la Newsletter del Centro Simms/Mann si incontra un programma la cui sigla è chiaramente di origine italiana. Può parlare ai Lettori di Strumenti in Psico-Oncologia del programma V.I.T.A.?
Risposta 2:
Con piacere. Come avrà capito, infatti, dal mio cognome, sono di origine italiana. Il programma V.I.T.A. (che sta per Vital Information and Tailored Assessment) è stato disegnato per i sopravvissuti al cancro. A questi pazienti viene offerta una valutazione interdisciplinare personalizzata degli esiti invalidanti della malattia per aiutarli, con informazioni adeguate, a vivere nel modo più salutare possibile. In pratica tutti i dati biopsicosociali di ogni persona che partecipa al programma vengono resi disponibili ad uno staff di esperti in sopravvivenza e qualità di vita. Viene così elaborato un piano di cura personalizzato (tailored = tagliato su misura, come il vestito confezionato da un sarto). Se poi lo desiderano, coloro che partecipano al programma possono anche essere coinvolti in studi e ricerche sulla qualità della vita dopo una malattia oncologica. In questo modo possono contribuire ad aiutare chi si trova ancora coinvolto nella fase acuta della cura, dando così un significato positivo alla propria esperienza di malattia.
Domanda 3:
Ognuno di noi ha almeno tre desideri che vorrebbe veder realizzati nella vita: posso chiederle i suoi?
Risposta 3:
Il primo è che il cancro divenga una malattia curabile prima che la mia vita giunga alla sua naturale conclusione... Il secondo è che si riesca a prevenirlo... Mentre temo che questi due desideri possano non avverarsi così presto, il mio terzo desiderio non ha bisogno del genio della lampada per divenire realtà. Vorrei che tutti i malati di cancro possano ricevere delle cure mediche e psicosociali integrate, globali e personalizzate, che permettano loro di aumentare il proprio senso di benessere. Credo che questo sia già realizzabile, qui ed ora, a UCLA.
* * *
Non meno avventurosa è stata la seconda intervista (fig. 2), questa volta propiziata da una provvidenziale telefonata del Prof. Peter Loewenberg, noto psicoanalista del New Center of Psychoanalysis e Membro del Comitato Scientifico del nostro Istituto internazionale (I.I.P.R.T.H.P.) sin dalla sua fondazione. Una volta fissato l"appuntamento, nello studio della psicoanalista di origine austriaca, abbiamo rischiato di non arrivarci affatto perché il navigatore della nostra rental car aveva deciso che il numero 333 di South Beverly Drive non esisteva, e dunque si rifiutava categoricamente di portarci là... Abbiamo dovuto impiegare tutta la tradizionale (italianissima) arte di arrangiarci per arrivarci lo stesso, alla faccia del tom tom...
Domanda 1:
Franco Fornari descriveva il vissuto del malato oncologico come il sentirsi intrappolato, senza via d"uscita. L"art therapy offre la possibilità di inventarsi una via d"uscita, e anche quello di scoprire che magari la via d"uscita e già dentro di noi se facciamo ricorso alla nostra creatività. Può raccontare ai nostri Lettori un caso in cui queste dinamiche sono riconoscibili?
Risposta 1:
Mi viene in mente il caso di una mia paziente, operata per un tumore al seno, che nel corso delle sedute di Art Therapy ha realizzato un collage cubista di una donna, molto sexy, che veniva assalita da una volpe. La donna aveva le ali ed il titolo dell"opera era "Vorrei poter volare." Il cancro è anche un Labirinto in cui si può rischiare di non trovare più la via d"uscita. Il volo della fantasia, anche quando ci si sente circondati da mura senza aperture, la si può sempre creare con l"arte che è frutto della nostra capacità immaginativa.
Domanda 2:
Nel Maggio scorso si è svolta, grazie alle sinergie tra il Centro Simms/Mann ed il New Center of Psychoanalysis, una mostra d"arte davvero speciale: "Al di là delle parole e del tempo Donne in lotta contro il cancro attraverso l"Arte." Può parlarcene?.
Risposta 2:
Con piacere. La mostra si è svolta all"interno di un evento artistico più ampio: "Wack! Art and the Feminist Revolution" al MOCA (Museum Of Contemporary Art) di Los Angeles. Bonita Helmer, artista di Los Angeles sopravvissuta lei stessa alla malattia oncologica, ha esposto delle sue opera insieme alle pazienti/artiste del gruppo di Art Therapy del Centro Simms/Mann. Per me, in particolare, è stata una grande soddisfazione vedere il riconoscimento anche in campo artistico dei frutti del mio lavoro. Praticare l"art therapy in un setting gruppale rende l"esperienza del cancro più trasparente per le donne e per i loro familiari. L"espressione artistica crea nuove opportunità di cura contribuendo alla formazione di una nuova identità nel paziente... Attraverso la creazione di oggetti artistici ci si vive con un"identità di "persona che si sente bene", più in controllo di sé stessa, aperta alla ricerca spirituale, disponibile ad esplorare le sue fantasie inconsce, le sue paure inespresse, ed ad elaborare il lutto delle sue esperienze di perdita. Il potere di guarigione insito nell"arte rappresenta un approccio complementare che si integra con le cure tradizionali della medicina. Produrre oggetti artistici è uno strumento prezioso di autoespressione e di autoconsapevolezza, oltre a costituire un fenomeno culturale che ci rende tutti più consapevoli, al tempo stesso, della nostra preziosità e della nostra umana fragilità e vulnerabilità.
Domanda 3:
Anne Coscarelli, la Direttrice del Centro Simms/Mann in cui lei lavora come art therapist, ci ha raccontato che utilizzzate anche, al Centro, l"idea di Hemingway, di sintetizzare la propria vita in solo sei parole. Che ne pensa?
Risposta 3:
La narrazione della propria vicenda di malattia, da tempo, è un sistema di auto-aiuto che i malati di cancro (ma anche di altre malattie) utilizzano con successo. Rimando i Lettori alla traduzione di un breve capitolo del mio libro "Cancer Stories: Creativity and Self Repair" che volentieri autorizzo a tradurre e pubblicare in italiano per un approfondimento del discorso sul vostro Psycho-Journal, visto che avete già cominciato ad affrontarlo, nel numero scorso. Se me lo permette, coglierei piuttosto l"occasione di questa intervista per parlare del mio prossimo libro, ormai quasi completato: "Arte e Lutto: aldilà delle parole e del tempo." Il libro prende le mosse dalle opere di alcuni artisti che hanno vissuto esperienze di malattia. Ferdinand Hodler (svizzero tedesco) ha sofferto, nel 1915, la morte della donna amata, per un cancro del seno. Si è trattato, per lartista, di una vicenda traumatica che ha cercato di elaborare creando una serie di pitture che la raffigurano accompagnandola lungo tutto il decorso della malattia, fino alla morte. Eva Hesse, un"altra artista tedesca, ebrea, sfuggita miracolosamente ai lager nazisti e poi emigrata e vissuta a New York, ha affrontato una serie di traumi, nella sua breve tragica esistenza, creando sculture minimaliste con materiali non convenzionali (plexiglas e materie plastiche artificiali di vario genere) fino alla morte a soli 34 anni per un tumore cerebrale. Nelle loro opere è evidente il tentativo di fermare il tempo... quando vediamo in faccia la morte vorremmo fermarne lo scorrere inesorabile...
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