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RIVISTA SEMESTRALE |
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Pasqualina Maselli, Patrizia Porta, Maria Luisa Rega, Caterina Galletti: “La formazione come strumento di prevenzione del burnout nell’assistenza infermieristica al paziente oncologico”. Sessione Poster, La tecnologia in sanità: tra efficienza e solidarietà, Roma, Università Cattolica del Sacro Cuore, 27 marzo – 2 aprile 2011.
A cura di Grazia Cassatella L’articolo che vogliamo segnalare in questo numero di “Strumenti in Psico-Oncologia” è testimonianza del fatto inquietante che la “sindrome del burnout” sta assumendo sempre più dimensioni epidemiche tra i lavoratori dei Paesi occidentali. L’evidenza è attribuibile a una serie di cambiamenti che si sono osservati nel corso degli ultimi decenni, nel mondo lavorativo. Lo scenario è sempre più quello di un posto di lavoro incapace di accogliere il bisogno di soddisfazione personale legato all’impegno profuso. Ci si muove infatti in un ambiente lavorativo spesso ostile e troppo esigente, con esorbitanti richieste e responsabilità, con frustrazioni e delusioni continue e una pressione temporale che divora inesorabilmente fantasia e creatività. Insomma quel che ci viene imposto è un prezzo spesso troppo alto da pagare in termini di salute psico-fisica. Si parla della “sindrome del burnout” a partire dalla metà degli anni ’70 negli Stati Uniti, per definire lo stato di esaurimento professionale degli operatori dei servizi sociali. Cherniss focalizzandosi sulla variabile motivazionale del “burnout” lo tratteggia come “un particolare tipo di risposta ad una situazione di lavoro sentita come intollerabile” (Cherniss, 1983). Consultando il dizionario della lingua italiana, sotto la voce “burnout” troviamo: “fallire, logorarsi o essere esauriti a causa di un’eccessiva richiesta di energia, resistenza o risorse”. Particolarmente esposte al rischio di “burnout” sono le categorie lavorative delle “helping professions” (professioni di aiuto), ovvero quelle che comprendono operatori di comunità, infermieri, medici, riabilitatori psichiatrici, assistenti sociali e insegnanti. Si tratta di professioni il cui cuore è la “relazione d’aiuto” tra operatore e utenti in difficoltà, nelle quali dunque lo stress cui si è sottoposti – e qui è interessante ricordare come il termine stress derivante dal latino “strictus” = stretto, serrato, usato nel XVII secolo come sinonimo di difficoltà, avversità, abbia infine assunto il significato più esteso di pressione, sforzo, tensione per il superamento di un empasse –, la partecipazione emotiva intrinseca al servizio nonché le responsabilità morali con cui ci si deve confrontare, sono notevolmente elevate. Si tratta di professioni che portano con sé un grosso carico emotivo, ovvero un forte desiderio di affermazione relazionale oltre che professionale. Infatti una delle principali spinte che muove simili scelte lavorative , è abbracciare una sensazione di successo psicologico e di utilità per l’altro, ed ecco che ogni volta che fattori o pressioni legate allo svolgimento dell’attività stessa interferiscono con tali attese, frustrandole, si può diventare vittime del “burnout”. Quella che poniamo ai Lettori del nostro Psycho-Journal è nello specifico una considerazione sulla “sindrome del burnout” che sempre più spesso colpisce il personale infermieristico che rappresenta una preziosa risorsa per lo sviluppo dell’organizzazione e della produttività delle strutture sanitarie. L’attività infermieristica richiede, a chi la sceglie, il possesso di competenze sia tecniche che relazionali come anche educative. Ora visto che le aziende sanitarie si pongono come obiettivo il miglioramento della qualità dei servizi, questo end-point non può certo prescindere dal mirare ad una qualità di vita professionale degli infermieri che sia pienamente soddisfacente. Di qui son partite svariate ricerche a livello internazionale tese a centrare i fattori che nello svolgimento della professione in questione, danno o tolgono gratificazione a questi speciali operatori di salute. Il campo su cui si è gettata luce è quello in cui motivazione e soddisfazione lavorativa sono stati i veri oggetti di indagine. Per “motivazione” si intende l’articolato processo delle forze che attivano, dirigono e sostengono il comportamento nel corso del tempo (Maslow, 1995), ovvero quella forza che spinge la persona ad agire, ad orientare il suo comportamento verso obiettivi specifici e a sostenere lo sforzo necessario per ottenerli (Chen & Hung, 2007). Per definire il concetto di “soddisfazione lavorativa” possiamo avvalerci di quanto dice Locke che la descrive come quel sentimento di piacevolezza che discende dalla percezione che l’attività che si svolge, sia in grado di realizzare valori personali fondamentali per l’individuo (Locke, 1976). Potremmo anche aggiungere, sposando il pensiero di Salanck e Pfeffer, che l’influenza sociale, ossia la misura in cui un soggetto sente di appartenere ad un gruppo ben coeso, è un fattore che incide fortemente sulla soddisfazione lavorativa del singolo (Salanck & Pfeffer, 1977). Scorrendo i numerosi studi pubblicati sulla motivazione e la soddisfazione professionale nella categoria infermieristica, si può osservare come gli U.S.A. siano il paese con la maggiore letteratura a riguardo: qui vengono individuate le variabili organizzative che più incidono sulla professione sia come miglioramento della percezione del lavoro da parte degli infermieri, sia come fattori predittivi di stress e di insoddisfazione. Tra le prime troviamo l’autonomia professionale e l’influenza positiva del supervisore, mentre come fattori predittivi di esaurimento psico-fisico e di inappagamento, abbiamo un ambiente lavorativo stressante, il sovraccarico di lavoro e una debole prospettiva di far carriera (Ruggiero, 2005; Best & Thurston, 2006; Lynn & Redman, 2005; Mrayyan, 2004; Upenieks, 2002; Schiestel, 2007). Ricerche analoghe sono state eseguite anche in Italia e tra le altre annoveriamo quella che segnaliamo in questa nostra Rubrica. L’indagine è stata effettuata da Pasqualina Maselli, Patrizia Porta, Maria Luisa Rega, Caterina Galletti, all’interno di un Dipartimento di Chirurgia, per indagare sul livello di motivazione e di soddisfazione del personale infermieristico, al fine di riconoscere le variabili su cui il management infermieristico può intervenire con un’adeguata attività di gestione. In questo studio, fatto attraverso la somministrazione di un questionario agli infermieri reclutati, si esplorano cinque aree d’interesse ovvero quella formativa, quella economica, quella sociale, quella motivazionale e quella relativa al contratto di lavoro. La maggiore insoddisfazione è emersa nelle prime due aree mentre nelle ultime tre la situazione è risultata mista. Questi risultati hanno quindi permesso di individuare gli aspetti sui quali il management infermieristico dovrebbe puntare, adoperando strategie valide per promuovere e mantenere la motivazione degli infermieri nel loro lavoro (Talucci, Rega, & Galletti, n.2/2009). Ora a tal fine si è valutato come strumento utile nelle mani dell’infermiere-manager, la programmazione di riunioni cadenzate sia tra infermieri che tra medici e infermieri, per definire obiettivi, mezzi e metodi da mettere in circolo per cercare la risoluzione dei conflitti istituzionali che nutrono gran parte del malcontento (Calamandrei & Orlandi, 2009). Riteniamo che questo lavoro sia una riflessione produttiva sul rischio di “burnout” col quale devono inevitabilmente confrontarsi gli infermieri che si dedicano all’assistenza del paziente oncologico (Barnard & al., 2006; Sandiwalla & Vandeberg, 2007). L’équipe infermieristica di reparti oncologici si prende cura di pazienti estremamente delicati e a volte in fase terminale di malattia. All’infermiere che sulla scena clinica gioca il ruolo di attore principale, spetta l’ingrato compito di prendere contatto con le trasformazioni sia fisiche che psicologiche che la sofferenza e l’avvicinarsi della morte imprimono sul malato. Ora se l’infermiere realizza la sua opera nell’occuparsi della persona che soffre nella sua totalità, l’impegno che gli viene richiesto accanto al grosso coinvolgimento emotivo, in mancanza di strumenti di sostegno adeguati, può portarlo a confrontarsi con sentimenti di impotenza, rabbia e smarrimento. Di qui la necessità di un training clinico e psicologico permanente. Questa formazione si prefigge l’obiettivo di fornire un valido supporto perché la morte non sia l’unico interlocutore nella relazione di cura con questi pazienti, esponendoli al rischio di un esaurimento di tutte le loro risorse umane e professionali (Goodridge, Bond, Cameron, & McKean, 2005). A conclusione del nostro breve excursus sul rischio di “burnout” che sempre più sembra cucirsi addosso alla professione dell’infermiere, che ricordiamo è una professione hich-touch (a contatto continuo) con la sofferenza, segnaliamo anche uno studio condotto a New York presso il Department of Nursing del Mount Sinai Medical Center. Questa ricerca ha riportato una minor incidenza della “sindrome del burnout” in associazione a buoni livelli di comunicazione fra medici e infermieri e fra questi e i pazienti, all’esistenza di uno staff di lavoro ben funzionante, alla presenza di un valido supporto amministrativo e all’attenzione dedicata da tutti alla soddisfazione dei pazienti (Vahey, Aiken, Sloane, Clarke, & Vargas, 2004). Quello che sottolinea lo studio statunitense è quanto sia prezioso per il bene della professione come per la salute psico-fisica e la realizzazione personale degli operatori sanitari, poter comunicare e alleggerire così, nella condivisione, il carico emotivo cui sono esposti. Il lavoro che abbiamo segnalato (Maselli, Porta, Rega, Galletti, 2011) si rivela così in sintonia con la linea di pensiero che anima i Corsi di Psico-Oncologia organizzati dall’Università Cattolica in collaborazione con l’I.I.P.R.T.H.P. (The International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Health Professionals), un istituto no profit fondato per favorire la trasmissione del pensiero psicoanalitico tra gli operatori sanitari, con particolare riguardo all’area della Psico-Oncologia in sinergia con il Centro di Ricerche Oncologiche “Giovanni XXIII” (Prof. Achille Cittadini) presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo. Questi Corsi rivolti a medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti, studenti che si preparano alle varie professioni sanitarie, come anche a volontari, sono l’occasione per approfondire in gruppo le complesse dinamiche del paziente oncologico, in una feconda atmosfera di confronto interdisciplinare, in modo da poter acquisire adeguati strumenti comunicativi e relazionali. Vi partecipano anche volontari di associazioni come l’A.G.O.P. (Associazione Genitori Oncologia Pediatrica) che accanto a medici e infermieri si occupano di fornire presenza e calore ai piccoli malati di cancro nelle “casette di accoglienza” in prossimità del Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, dove bambini e genitori fuori-sede possono soggiornare nel periodo delle terapie. Per medici e infermieri i Corsi di Psico-Oncologia, riprendendo gli studi riportati nel manuale di Psico-Oncologia della Masson sugli interventi di supporto che si possono fare in questo campo (Bellani, et al., 2002), assolvono, un po’ come una lente bifocale, alla duplice funzione di creare formazione permanente e allo stesso tempo di prevenire il rischio di “burnout” degli operatori che si confrontano con quelle aree della scienza medica che per la loro natura perturbante, sono rese impenetrabili da meccanismi di difesa inconsci (quali negazione, rimozione e disconoscimento collettivo).
Bibliografia Barnard, & al. (2006, Aug. 29). Relazionship between stressors, work supports, and burnout among cancer nurses. Cancer nursing , p. 338-345. Bellani, M., Morasso, G., Amadori, D., Orru', W., Grassi, L., Casali, P., et al. (2002). Psiconcologia. Milano: Masson. Best, M., & Thurston, N. (2006, May-Jun). Canadian public health nurses job satisfaction. Public Health Nurs. , p. 23(3):250-255. Calamandrei, C., & Orlandi, C. (2009). La dirigenza infermieristica. Milano: McGraw-Hill. Chen, I., & Hung, C. (2007, Feb.). Nursing motivation leadership. Hu Li Za Zhi , p. 54(1): 83-89. Cherniss, C. (1983). La sindrome del burn-out: lo stress lavorativo degli operatori dei servizi socio-sanitari. Centro Scientifico Torinese . Goodridge, D., Bond, J., Cameron, C., & McKean, E. (2005). End of life care in a nursing home: a study of family, nurse and healthcare aiede perspectives. Int Journal Palliant Nursing , p. 11(5) 226-232. Locke, E. (1976). The nature and causes of job satisfaction. In M. Durincetti, Handbook of Industrial and Organizational Psychology (p. 1297-1349). Chicago: Rand McNally, IL. Lynn, M., & Redman, R. (2005, May). Faces of nursing shortage: influences on staff nurses' intentions to leave their positions or nursing. J Nurs Adm. , p. 35(5): 264-270. Maslow, A. (1995). Motivazione e personalità. Roma: Armando . Mrayyan, M. (2004, Feb.). Nurses' autonomy: influence of nurse managers' actions. J Adv Nurs. , p. 45(3): 326-336. Ruggiero, J. (2005, May). Health, work variables , and job satisfaction among nurses. J Nurs Adm. , p. 35(5): 254-263. Salanck, G., & Pfeffer, J. (1977). Who gets power - and how they hold on to it: a strategic contingency model of power. Organizational Dynamics, (p. 5: 3-21). Sandiwalla, N., & Vandeberg, H. (2007, Dec. 30). The role of stressors and coping strategies in the burnout. Cancer nursing , p. 488-497. Schiestel, C. (2007, Jan). Job satisfaction among Arizona adult nurse practizioners. J Am Acad Nurse Pract. , p. 19(1): 30-34. Talucci, C., Rega, M. L., & Galletti, C. (n.2/2009). Indagine sulla motivazione e sulla soddisfazione lavorativa degli infermieri in un Policlinico romano: implicazioni per il management infermieristico . Management Infermieristico , 17-21. Upenieks, V. (2002, Nov). Assessing differences in job satisfactin of nurses in magnet and non magnet hospitals. J Nurs Adm. , p. 32(11): 564-576. Vahey, D., Aiken, L., Sloane, D., Clarke, S., & Vargas, D. (2004, Feb.). Nurse burnout and patient satisfaction. MedCare , p. 42(2 suppl):1157-1166. |
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