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RIVISTA SEMESTRALE |
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Il silenzio dei pharmakoi A cura di Valentina Nesci
Stanford, 11 Gennaio, 2011 Arte e Cancro è nata per aprire una finestra sulle esperienze creative che aiutano a trasformare il vissuto del cancro e rendere possibile un’elaborazione dell’angoscia che inevitabilmente questa malattia suscita in tutti quelli che ne vengono a contatto. In questo numero di “Strumenti in Psico-Oncologia” abbiamo pensato di far vedere come l’esplorazione artistica sia uno degli strumenti più spontanei e naturali con cui gli operatori sanitari si rigenerano, prendendosi cura delle angosce specifiche evocate da questo male inquietante. Così come il cancro supera limiti e confini, in modo regressivo e contrario ai processi di differenziazione, l’arte utilizza strategie simili ma in modo progressivo e raggiungendo livelli estremi di differenziazione con l’uso dei media più diversi. Nel numero scorso abbiamo presentato una poesia, in questo numero presentiamo invece un’opera grafica multimediale che aggiunge un ulteriore nesso associativo per rendere più fruibili, emotivamente, i lavori pubblicati nelle altre Rubriche della Rivista, tutte centrate sul tema del rischio di burnout degli operatori sanitari, in campo oncologico.
Abbiamo arricchito la presentazione dell’opera, intitolata “Il silenzio dei pharmakoi” dal suo Autore, il Dr. Lorenzo Vecchi, psicologo e psico-oncologo, con un’intervista all’artista/operatore sanitario, che ringraziamo per avercela concessa per posta elettronica, superando così i limiti spaziotemporali della distanza. Domanda 1: Può parlarci della sua vocazione artistica? Quando come e perché ha cominciato questa esperienza? Risposta 1: Ho ricordi di me che disegno molto remoti. Ricordo i segni ricorsivi di quando avevo quattro o cinque anni. Ho in mente tutte le tappe dell’evoluzione dei segni grafici che ho utilizzato nel tempo, del significato che attribuivo loro, delle sensazioni che provavo. Mio padre è un pittore di talento che non ha mai “sfondato”. La mia casa è piena dei suoi quadri ed io ne ho assorbito l’influenza in maniera diretta e fortissima. Il disegno è stato per me sempre una faccenda tremendamente seria. La mia prima tela a tempera risale a quando avevo 5 o 6 anni. Stranamente a cavallo tra la fine delle scuole elementari e il primo anno di superiori ho improvvisamente sospeso di disegnare. Una parentesi che ancora non mi spiego. Così, quando un giorno ho ripreso a fare scarabocchi sull’agenda ho pensato “ma perché mai non lo facevi più?” Da allora non ho più smesso. A sedici anni ho iniziato ad usare colori ad olio e quella è rimasta la tecnica che prediligo perché mi da la massima libertà espressiva. Domanda 2: Ci sono delle relazioni tra la sua vocazione artistica e quella professionale? Ce ne può parlare? In particolare, ritiene che l’attività artistica sia utile, per lei stesso, come prevenzione del rischio di burnout? Risposta 2: Per me l’arte è un linguaggio e la psicologia è un’attitudine. Non posso far a meno di vedere il mondo in maniera pittorica, con l’intento sempre di produrne una versione creativa e rappresentativa. Quando poi ho scoperto la psicologia ho visto concretizzarsi l’opportunità dello studio e della ricerca; uno scopo più alto, l’anello di congiunzione che lega la mia personale ricerca di verità con la ricerca di ognuno. E’ diventata la mia seconda pelle. Così oltre alla creatività in ambito estetico oggi credo nella necessità di applicare lo studio e la ricerca per sviluppare una psicologia quale vero discorso sull’anima che possa essere un reale strumento per il benessere collettivo. Il burnout è il rischio di rimanere invischiato nelle dinamiche di gruppo e sociali e l’arte, di per sé, non può salvare da queste dinamiche. Se l’arte fosse un toccasana, i maggiori pittori della storia brillerebbero oltre che per le loro opere, per la raggiante felicità delle loro biografie. Ma non è così che è andata la storia. L’arte è uno strumento ed un linguaggio, che come altri , può essere estremamente potente ed efficace. Per utilizzarla in maniera positiva però, ognuno deve anche coltivare una visione progressivamente più ampia del mondo. Dunque per me è in associazione allo studio ed alla ricerca interiore che il linguaggio espressivo dell’arte può aiutarmi ad interpretare e dare senso alla realtà. Domanda 3: Come è nato “Il silenzio dei pharmakoi” e come è stato realizzato tecnicamente? Risposta 3: Da tempo mi sto interessando al concetto di potere. Mi sono concentrato sulle tesi di Bertrand Russell, Micheal Foucault, Jean Baudrillard, ed ho trovato innumerevoli spunti di riflessione che possono aiutare la comprensione delle dinamiche individuali e gruppali in questa società. Il rito dei pharmakoi mi è sembrato, l’investimento di un potere falso. E’ una forza cieca e distruttiva che inventa miti che sono assolutamente strumentali e funzionali alle dinamiche inconsce di un determinato tempo. Si tratta di movimenti della psiche di gruppo che non portano nessuna emancipazione ma arrestano e distruggono il dinamismo di una società. Per questo sono interessato a studiarne i principi per limitarne, ove possibile, gli effetti. Tecnicamente ho realizzato il quadro in tre fasi. Dapprima ho dipinto quattro disegni con tecniche diverse: acquerello, inchiostri colorati, tempere ed olio. Poi ho fotografato e scannerizzato le immagini. Infine ho fuso le immagini elaborate in un unico quadro digitale. Domanda 4: Se dovesse dare un’interpretazione psicodinamica della sua opera, del modo in cui è stata realizzata, cosa direbbe? Risposta 4: Mi viene in mente il processo elaborato e complesso che compie la mente per percepire la realtà esterna. Anche lì esistono fasi determinate. Gli eventi sono catturati dagli organi di senso, vengono trasformati da eventi fisici meccanici e chimici della realtà esterna, in eventi fisiologici. Da qui diventano eventi mentali, integrati in sensazioni e percezioni. Si interfacciano con i contenuti di memoria, vengono dotati di senso. E’ un percorso infinitamente complesso che avviene in ogni momento senza che ce ne accorgiamo. Ebbene, attraverso altrettanta inconsapevolezza, la mente umana riceve anche impressioni inconsce che non riesce ad elaborare adeguatamente. Elementi che rimangono “indigesti” per la psiche, non elaborati, grezzi. Credo che attraverso queste fasi di composizione dell’opera, abbia in qualche modo voluto assegnare idealmente la giusta complessità agli eventi mentali ed ai vissuti dell’ esperienza. Domanda 5: Può dire ai nostri Lettori di cosa si sta occupando attualmente, sia in campo artistico che in campo professionale? Risposta 5: Oltre all’attività clinica privata come psicologo e specializzando in psicoterapia, conduco laboratori di formazione sull’espressività grafico-pittorica presso scuole ed istituti vari. Sono insegnante di scuola materna, un lavoro che rappresenta per me un grande privilegio, data la mole di cose che i bambini e la loro spontaneità possono insegnarmi ogni giorno. Infine tengo dei corsi di pittura per i bambini dai 4 ai 10 anni, un’attività che nel tempo cresce, si evolve e culmina ogni anno con una esposizione dei lavori pittorici dei bambini. Ho anche in progetto una mostra personale dei miei ultimi lavori. |
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