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Psich-Asti --> HOME PAGE --> 4° Ciclo di conferenze 2003

Dipartimento di Salute Mentale
S.O.C. Psicologia Clinica e della Salute



Disturbi del comportamento alimentare: progetto per una presa in carico integrata

Guglielmo Occhionero
Direttore S.O.C. Psichiatria 1, A.S.L.19 - Asti
Simona Ziero
Dirigente Medico S.O.C. Psichiatria 1, A.S.L.19 - Asti
Maria Luisa Amerio
Direttore S.O.C. Dietetica e Nutrizione Clinica, A.S.L.19 - Asti



I comportamenti alimentari patologici sono una problematica tipica della popolazione giovanile e adolescenziale del nostro tempo. In letteratura infatti sono descritti nei secoli scorsi solo casi sporadici di restrizione alimentare forzata. Di Morton (1689) è ad esempio l’espressione “uno scheletro vestito di sola pelle”, mentre Lasegue (1873) è il primo autore a collegare un comportamento alimentare patologico a problematiche nel legame tra paziente e ambiente sociale parlando di “anoressia isterica”. Il termine “anoressia nervosa” compare nel 1874 (Gull, 1874) e sottolinea la natura psichica delle manifestazioni sintomatologiche. Una delle autrici che più si è occupata di anoressia nervosa sia in termini assistenziali che di ricerca è Hilde Bruch che nel 1962 descrive tale fenomeno come “malattia nuova”. E’ infatti dalla seconda metà del secolo scorso che i comportamenti alimentari patologici hanno iniziato a manifestarsi sempre più frequentemente nella popolazione giovanile ed in particolare tra rappresentanti del genere femminile. Nelle attuali classificazioni internazionali, i disturbi del comportamento alimentare trovano una specifica collocazione. Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali nella sua ultima revisione (DSM-IV-TR) distingue due entità nosografiche differenti: l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa (APA, 2000). Il disturbo di alimentazione incontrollata è una proposta sub iudice e rimane pertanto relegato nell’appendice B del manuale. Le sindromi parziali, cioè i quadri clinici in cui si ritrovano alcuni ma non tutti i sintomi richiesti per la diagnosi di anoressia o bulimia, costituiscono, infine, il vasto e mal definito campo dei disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati. Lo stesso manuale indica una prevalenza dell’anoressia nervosa nella popolazione giovanile pari a 0.5-1%, sottolineando che l’incidenza della patologia appare in aumento negli ultimi decenni. Tre importanti studi sostengono l’ipotesi di un reale aumento d’incidenza di tale patologia (Theander, 1970; Jones et al., 1980; Willi, Grossmann, 1983). Per quanto riguarda la bulimia nervosa viene indicata una prevalenza nella popolazione di adolescenti e giovani donne pari a 1-3%, evidenziando che in tale disturbo la prevalenza è difficile da stimare, poiché si presume che molti casi non giungano all’osservazione del medico (APA, 2000). Un recente studio di Hoek confermerebbe questo dato indicando che solo un caso su diciassette dei soggetti con bulimia si curano presso i Servizi psichiatrici (HoeK, 2002).
L’aumento di comportamenti alimentari patologici sembrerebbe essere in relazione con il nostro contesto culturale; sembrerebbe infatti che fattori psichici e biologici interagiscano con un particolare periodo della civiltà occidentale nel produrre una sindrome che ne riflette la cultura.
Nella nostra società la giovane donna è esposta alla competitività esasperata di certi ambienti, alla richiesta di prestazioni straordinarie, all’esaltazione della magrezza come espressione di attrazione e prestigio sociale. Anoressia e bulimia sono sindromi “culture-bound”, ugualmente diffuse in tutti i paesi industrializzati del mondo, mentre nei paesi in via di sviluppo questi quadri clinici compaiono via via che aumentano le disponibilità alimentari e si diffondono costumi propri delle nazioni più ricche (Cuzzolaro, 2002). Pietropolli Charmet (2000) dà un’interessante chiave di lettura del fenomeno indicando come il contesto socioculturale attuale, nei paesi industrializzati, favorisca la credenza e l’illusione che si possano risolvere problemi complicati di sostanza e di contenuto attraverso la manipolazione delle forme, particolarmente quelle del corpo e delle sue sembianze sociali. Gli adolescenti attuali sono, secondo l’Autore, immersi in una cultura di ispirazione massmediale che inneggia all’uso del corpo e delle sue sembianze come luogo elettivo di comunicazione della propria identità, dei propri valori, del proprio status e anche della propria felicità e salute mentale. Esisterebbe quindi una evidente connessione tra questa convenzione sociale e l’usanza tragica di alcuni adolescenti di cercare di risolvere i propri profondi problemi di identità psichica, utilizzando la dimensione corporea. Fa parte dei compiti dell’adolescenza costruire una rappresentazione affettiva del corpo, regalargli un significato relazionale, sociale, erotico, generativo ed etico, riuscire ad ipotizzare il suo sviluppo, la sua decadenza e la sua morte, dare un senso alle nuove esperienze di desiderio e di piacere. A rendere più complesso il processo di mentalizzazione del corpo non sono i tradizionali sentimenti di colpa e di vergogna delle generazioni precedenti, ma il contatto con alcuni contenuti di ardua elaborazione per gli adolescenti attuali come la scoperta che il corpo è mortale e che è complementare ad un altro corpo. Tali presupposti infliggono ai nuovi adolescenti una profonda ferita narcisistica: se si vuole godere del corpo adulto bisogna sia accettare la sua data di scadenza, sia rinunciare all’autarchia infantile ed accettare la dipendenza biologica dal corpo complementare dell’altro. Un fallimento nel processo di mentalizzazione del corpo, per Pietropolli Charmet, è costituito dalla “ipermentalizzazione” della corporeità: esagerata dedizione mentale a ciò che succede nel corpo, che può spingersi a diventare l’unica attività psichica che sopravvive, fino allo sviluppo della convinzione pressoché delirante che il proprio sentimento di valore e di identità lo sancisca la bilancia o il commento del pubblico di amici e familiari cui è rivolto lo sforzo di dimagrire.
In questa suggestiva chiave di lettura proposta dall’Autore ci sembra di poter cogliere che nella popolazione di adolescenti e di giovani adulti succede frequentemente che i ragazzi presentino i sintomi di molte malattie psichiatriche, tra le quali un ruolo di spicco hanno i disturbi del comportamento alimentare. Tali sintomi rappresentano per lo più delle modalità con cui i giovani cercano di risolvere i problemi complessi che la realizzazione dei compiti di sviluppo comporta. In virtù di tale presupposto riteniamo sia nostro compito aiutare le ragazze e le giovani donne che presentano un disturbo del comportamento alimentare a comprendere il significato dei loro sintomi mettendo al centro del nostro intervento la “dimensione relazionale della cura”.
Per quanto riguarda le modalità organizzative di trattamento riteniamo fondamentale avvalersi di interventi coordinati di specialisti diversi secondo il modello biopsicosociale (Engel 1980). Tale modello, che è stato nel tempo accolto e reinterpretato da diversi Autori, prevede che all’intreccio eziopatogenetico di nodi causativi biologici, psicologici e sociofamiliari debba corrispondere una strategia terapeutica integrata o di rete che articoli trattamenti nutrizionistici, farmacologici, psicoterapeutici e socioriabilitativi (Garfinkel, Garner, 1982; Garner, Garfinkel, 1997; Cuzzolaro, 1998; 2000; Corcos et al., 2001; Fairburn, Browell, 2002).
Pertanto, nell’anno 2003, così come auspicato dal Piano Sanitario Nazionale 2003-2005, obiettivo generale 3.2.5, abbiamo avviato presso l’A.S.L.19 di Asti un progetto per la presa in carico integrata dei pazienti con Disturbi del Comportamento Alimentare. Si è attivata una collaborazione tra Servizi dell’A.S.L.19: S.O.C. di Dietetica e Nutrizione Clinica, S.O.C. di Psicologia Clinica e della Salute, S.O.C. di Psichiatria, Day Hospital di Psichiatria, S.O.C. di Neuropsichiatria Infantile. Per quanto riguarda la dimensione metodologica e organizzativa si è costituita un’équipe multidisciplinare integrata composta da:
- medici dietologi, per la valutazione nutrizionale e l’esame clinico;
- una psicologa che si occupa della consultazione psicologica presso la S.O.C. di Dietetica e Nutrizione Clinica, di percorsi di sostegno psicologico, di gruppi psicoeducazionali;
- dietiste per i controlli dietistici, i percorsi con il diario alimentare, i gruppi psicoeducazionali;
- psicoterapeuti per le psicoterapie individuali e le consultazioni familiari;
- medici psichiatri per la diagnosi e la presa in carico psichiatrica;
- infermieri professionali per il trattamento ospedaliero in regime semiresidenziale.
Per quanto riguarda i luoghi di cura i Servizi si sono resi disponibili ad una presa in carico che si articola in tre ambiti:
- l’ambulatorio di Dietetica e Nutrizione Clinica, Psicologia, Psichiatria e Neuropsichiatria Infantile;
- il Day Hospital di Psichiatria
- il reparto di Pediatria, dove possono essere ricoverati pazienti seguiti dalla Neuropsichiatria Infantile.
L’équipe multidisciplinare sopra descritta ha ritenuto importante dal punto di vista metodologico accogliere la domanda di cura là dove la paziente la richiede, nell’intento di favorire l’ascolto delle problematiche della paziente e di mettere al centro del percorso di cura la dimensione relazionale. E’ stato rilevato che un ragguardevole numero di pazienti con un Disturbo del Comportamento Alimentare si rivolge in prima battuta al Servizio di Dietetica e Nutrizione Clinica, con la richiesta di modificare un comportamento alimentare patologico che crea disagio alla paziente stessa o all’ambito familiare in cui vive. Spesso infatti, emerge la difficoltà sia delle pazienti che dei familiari di cogliere la dimensione psichica del disturbo.
I medici dietologi effettuano l’esame clinico e la valutazione nutrizionale e si avvalgono della collaborazione di una psicologa per evidenziare gli aspetti psichici e relazionali del disturbo. La presenza di una psicologa all’interno del Servizio di Dietetica e Nutrizione Clinica rappresenta a nostro avviso un “ponte” tra il corpo e la mente che favorisce la presa di coscienza da parte delle pazienti ed eventualmente delle famiglie della natura emotiva, mentale e relazionale del comportamento alimentare disfunzionale. La consultazione psicologica nel Servizio di Dietetica e Nutrizione Clinica ha l’obiettivo di indurre nella paziente il riconoscimento di una sofferenza, di un disagio interno, psichico, di cui il sintomo fisico è espressione. Da questo può partire la motivazione alla comprensione del significato che il sintomo ha per quella paziente e può essere formulata una domanda d’aiuto più mirata. Al termine della consultazione viene elaborato un progetto di presa in carico integrata e condivisa dalla paziente ed eventualmente dalla famiglia. Nell’incontro conclusivo di “restituzione” si comunica l’invio all’équipe che si occupa della presa in carico. Le pazienti che mostrano sintomi indicativi di una diagnosi di anoressia o bulimia ed evidenziano quindi un disagio psichico più profondo vengono inviati anche all’attenzione di psichiatri e psicoterapeuti. Le pazienti che mostrano invece una sintomatologia indicativa di un disordine alimentare minore (pazienti con obesità o sovrappeso, con esperienze fallimentari di dieta, abbuffate compulsive con senso di colpa) vengono seguite prevalentemente dalle dietiste e dalla psicologa del Servizio di Dietetica e Nutrizione Clinica sia con percorsi di diario alimentare e sostegno psicologico, sia con gruppi psicoeducazionali. Tutti gli operatori coinvolti nel progetto di presa in carico integrata hanno la consapevolezza della centralità della relazione nel processo di cura rivolta a questa tipologia di pazienti. Infatti, nella costituzione dell’équipe è stata posta una particolare attenzione nel promuovere le capacità relazionali in tutti i componenti del gruppo di lavoro, anche nei professionisti che non possono contare su una specifica formazione psicoterapeutica. Tale consapevolezza fa sì che non solo gli interventi psicologici o psichiatrici, ma qualunque atto medico o sanitario abbia una valenza relazionale e personale a cui bisogna porre attenzione. Anche gli interventi di tipo nutrizionale effettuati dalle dietiste si ispirano ad un modello che cerca di collegare i comportamenti alimentari con i vissuti della paziente. Quest’ultima viene stimolata ad esempio a tenere un diario alimentare, ovvero ad annotare ciò che mangia quotidianamente, quali sentimenti susciti in lei l’assunzione dei vari cibi e in che modo le proprie sensazioni emotive modifichino il comportamento alimentare.
Le pazienti con importante componente psicopatologica vengono valutate da uno psichiatra, seguite con controlli ambulatoriali psichiatrici ed introdotte ad un intervento psicoterapeutico. Il trattamento di scelta nei disturbi del comportamento alimentare è la psicoterapia; non esistono finora farmaci che abbiano un’indicazione specifica per queste patologie né un’efficacia a lungo termine dimostrata sperimentalmente (Cuzzolaro, 2002). I trattamenti psicoterapeutici, spesso prolungati per anni, costituiscono tuttora, lo strumento più utile di intervento (Garner, Garfinkel, 1997; Flament, Jeammer, 2000; Corcos et al., 2001; Fairburn, Browell, 2002). Le principali teorie e tecniche si sono tutte cimentate con i problemi dell’alimentazione, mancano però studi sufficientemente estesi e rigorosi che confrontino i risultati conseguiti con tecniche psicoterapeutiche diverse e con combinazioni di trattamenti. La scelta del tipo di intervento è pertanto fondata su criteri clinici empirici, caso per caso, piuttosto che su criteri diagnostici generali e su protocolli codificati. Il nostro gruppo di lavoro è formato da psicoterapeuti di formazione diversa e quindi possiamo avvalerci di varie tipologie di intervento, a seconda della necessità specifica della paziente stessa (psicoterapie individuali ad indirizzo psicoanalitico, psicoterapie individuali ad indirizzo cognitivo, psicoterapie sistemico-familiari).
Le pazienti che si trovano ad aver bisogno di normalizzare una condizione di salute fisica deficitaria, sono preferibilmente trattate in regime di Day Hospital Psichiatrico (con possibilità di consulenze internistiche, cardiologiche ecc.), solo i casi di estrema acuzie, con grave alterazione dei parametri ematochimici, vengono trattati con il ricovero. Ci sembra importante sottolineare come un intervento precoce, che si organizza là dove viene effettuata la richiesta d’aiuto, anche se inizialmente può essere poco mirata o poco consapevole da parte delle pazienti, possa contenere il numero dei casi in cui si renda necessario il ricovero ospedaliero.
Nell’anno 2003 sono state raccolte presso il Servizio di Dietetica e Nutrizione Clinica 65 richieste di cura per comportamenti alimentari patologici. 41 pazienti, il 63% dei casi, sono stati valutati come disturbi minori del comportamento alimentare (binge eating disorders e disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati) e quindi trattati prevalentemente nell’ambito del Servizio di Dietetica e Nutrizione Clinica. Il 37% dei casi sono stati valutati come disturbi alimentari maggiori e sono state seguite in modo integrato dall’équipe multidisciplinare.
Una presa in carico integrata come quella sopra descritta prevede che la strategia di cura vada concordata tra tutti i professionisti con l’obiettivo comune di coinvolgere sia le pazienti che le loro famiglie in un’attiva cooperazione al progetto di cura. Per realizzare sul piano pratico questi presupposti sono stati previsti tra i diversi operatori sia incontri periodici di tipo organizzativo sia modalità di comunicazione rapida che permetta un agile confronto sull’andamento delle singole pazienti. Ci siamo da subito resi conto come il buon governo delle diversità di competenza, esperienza, equazione personale sia un’arte difficile. I conflitti nel team curante, espliciti o peggio, inespressi, consentono alle resistenze al cambiamento delle pazienti e delle loro famiglie di ricreare, sulla scena della cura, gli stessi processi mentali di scissione, frammentazione, confusione della malattia.
In questi pochi mesi di esperienza stiamo iniziando a prendere coscienza delle difficoltà di questa modalità organizzativa che per certi aspetti appare complessa nelle sue numerose articolazioni. E’ evidente che solo un gruppo di lavoro che condivida fino in fondo il progetto terapeutico integrato può risultare ben coordinato ed efficace nel difficile compito di assistere queste giovani pazienti.
Per migliorare la qualità del nostro lavoro ci siamo proposti di richiedere l’intervento di un supervisore esterno che ci aiuti nel coordinamento del lavoro d’équipe, nel percorso di formazione del gruppo e nell’effettuare una regolare valutazione dei risultati conseguiti.

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