Alla riflessione sul "fare e pensare" le psicoterapie nei servizi pubblici, nel contesto di sistemi di cura in grado di affrontare le varie forme e modi del disagio psichico, si è affiancata in tempi più recenti l'esigenza di sottoporre i trattamenti e i loro esiti a procedure di valutazione che si stanno sviluppando in rapporto a differenti istanze istituzionali, ideologiche e cllniche. Si pone quindi la necessità di riflettere sul "fare e pensare" la ricerca a partire dai modelli che vengono proposti, tenendo conto del loro impatto sul runzionamento e la qualità dei servizi e della capacità della ricerca stessa di dare risposte concrete alle esigenze di chi si occupa dei problemi dei malati.
Un primo e importante modello che ci viene proposto corrisponde a una concezione secondo la quale le uniche pratiche da attuarsi nei servizi sono quelle i cui risultati sono stati documentati attraverso studi di efficacia, dove per studio di efficacia si intende il metodo degli studi controllati randomizzati: in molti campi della medicina l'espressione "empiricamente valldato" è sinonimo di risultati positivi in uno studio di questo tipo.
Se è diffìcile, in linea di principio, non concordare con l'idea di offrire ai pazienti trattamenti sicuramente efficaci, tuttavia non si possono trascurare le critiche e le osservazioni che sono state fatte da più parti a proposito dell'adeguatezza di questa impostazione.
Le critiche più importanti riguardano: la generalizzabilità di questi studi al di là del contesto in cui sono stati fatti per via della variabilità delle popolazioni, dei tempi di osservazione, della presenza di comorbiìità e delle modalità di somministrazione dei trattamenti (Perring, 1996), le modificazioni che i trattamenti devono subire per adattarsi a uno studio di questo tipo, con la possibilità che queste modificazioni influenzino in senso negativo fattori correlati all'esito, come per esempio il costituirsi dell'alleanza di lavoro (Luborsky, 1983), i problemi connessi con la standardizzazione dei trattamenti, le difficoltà a confutare la supposizione uniforme di efficacia e le confusioni tra gli effetti dei fattori specifici e di quelli aspecifìci nella determinazione degli esiti (Wampold, 1997). Infatti, gli studi di efficacia non sono adatti a dare conclusioni riguardo ai fattori che portano agli esiti ma danno l'impressione di convalidare anche i fattori specifici che caratterizzano la tecnica di trattamento che viene testata, piuttosto che i fattori che sono comuni a trattamenti dello stesso tipo, come potrebbero essere, nel caso delle psicoterapie, l'esperienza di una buona relazione con il terapeuta o il lavoro sulle rappresentazioni del paziente.
Seligman (1995) concluse che uno studio di efficacia classico è poco adeguato alla valutazione dell'efficacia delle psicoterapie per via di alcune caratteristiche proprie dei trattamenti psicoterapici quali la loro durata che è variabile invece che definita, il fatto che nel loro svolgersi si autocorreggano, mentre nei trials è richiesta la standardizzazione dei trattamenti, il fatto che nelle psicoterapie vi sia una scelta attiva di terapeuta e paziente, mentre nei trials è richiesta la distribuzione a random e, infine, il fatto che gli obbiettivi delle psicoterapie siano variabili e spesso a largo spettro, mentre nei trials si misurano variazioni focalizzate e decise a priori dallo sperimentatore. Inoltre alcuni tipi di trattamento sono troppo "ingombranti" e troppo lunghi per essere testati in uno studio di efficacia che deve essere realizzato in tempi brevi perché altrimenti diventa difficile gestire l'insorgenza di variabili non controllate, aumentano i drop out e i costi della ricerca e si pongono problemi etici relativamente al gruppo dei controlli. L'assenza di studi controllati randomizzati rispetto a un sistema di trattamento, magari complesso, non significa di per sé che questo sia inerte.
Occorre riconoscere che ci sono ancora troppe cose che non sappiamo, dal punto di vista della ricerca empirica, per trarre conclusioni non fuorvianti dai dati di cui disponiamo. Molte variabili, connesse con la permanenza in terapia e con il raggiungimento dei risultati, non sono state profondamente analizzare in contesti clinici e pochi studi sono stati replicati. Si tratta proprio di quelle variabili "difficili da misurare", intorno alle quali si stanno sviluppando molti studi che costituiscono uno dei compiti più importanti, difficili e specifici della attuale ricerca empirica in psicoterapia.
E stato insufficientemente studiato il problema dei casi gravi, dei casi resistenti ai trattamenti e degli errori dei terapeuti nel corso delle terapie. Sono ancora pochi gli studi in cui la risposta ai trattamenti è valutata in tempi compatibili con la durata naturale presunta di malattia, secondo una prassi corretta. Sono pochi gli studi di tipo empirico riguardanti la formazione dei terapeuti e le intersezioni con le altre branche delle neuroscienze. Inoltre i lavori esistenti sono poco conosciuti da parte dei clinici e degli organizzatori dell'assistenza.
Si tratta di questioni che possono sfuggire a chi si pone prevalentemente nella prospettiva di "organizzatore di servizi", ma fondamentali per chi si trova nella posizione di "erogatore di servizi "cioè di chi deve affrontare questi problemi nel corso delle terapie.
Per questi motivi un'applicazione frettolosa e burocratica dei principi, condivisibili, della pratica clinica "basata sull'evidenza" nel nostro campo rischia di far considerare come "vero" solo quello che in realtà è "facile" da misurare ed efficaci solo quei trattamenti che si adattano a entrare facilmente negli studi di efficacia classici, per brevità e costi contenuti. In questo modo è inoltre favorirò un atteggiamento competitivo, ma sostanzialmente sterile, tra le diverse scuole di psicoterapia che si contrappone allo sforzo trovare un linguaggio comune, centrato sulle analisi di processo e sullo sviluppo di linee problema-trattamento-esito trasversali rispetto ai diversi orientamenti, che è una delle principali ragioni di essere della nostra Associazione di questa Rivista.
Bibliografia
LUBORSKY L., CRITS-CHRISTOPH R, ALEXANDER L., MARGOLIS M., COH;
M. (1983), Two helping alliance methods for predicting outcomes of psychotherapy. A counting signs vs. a global rating method., in Journal of Nervous and Mental Disease, 171 (8), pp. 480-91. PERRING G. (1996), Controlled and randomized trials and naturalistic data
it's time to change, in Human Psychopharmacology, 2, pp. 353-63. SELIGMAN M.E.P. (1995), The effectiveness ofPsychotherapy: the consumer
reports study, in American Psychologist, 50, pp. 965-74. WAMPOLD B.E. (1997), Methodological problems m identìfying efficacious psychotherapies, in Psychotherapy Research, 7 (1), pp. 21-43.
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