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di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi |
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Problemi di un analista anziano
di Prof. Eduard Klain La coordinatrice dell’incontro Dr.ssa A. M. Meoni presenta il Prof. E. Klain dicendo che dovrebbe parlare molto a lungo della sua risonanza internazionale, dei suoi meriti e del valore professionale, tra cui quello di aver introdotto in Croazia la Gruppoanalisi della quale in questo momento è il leader riconosciuto: fondatore e divulgatore della gruppoanalisi foulkesiana in Croazia. La sua formazione è pero ortodossa psicoanalitica ed egli ama dire di sé che è Psicoanalista. La sua esperienza clinica, psicologica e psichiatrica, è basata su un incontro non solo con le patologie nevrotiche, ma anche con grandi patologie tra cui quelle post traumatiche di cui ha avuto esperienza clinica in relazione al conflitto e ai gravi fenomeni di pulizia etnica nell’ex Jugoslavia. Questa sera ci farà omaggio di una riflessione psicoanalitica con radici molto forti su una problematica autobiografica che riguarda i problemi di un analista anziano, ma aggiunge che, non essendo lui anziano, forse non è completamente autobiografica. Il Prof. Klain ringrazia la Dr.ssa Meoni e ricorda che la sua immagine è rappresentata in un mosaico realizzato dal gruppo di pazienti da lei coordinati. Ringrazia poi il Prof. Pisani che col suo gruppo gli offre l’opportunità di venire spesso a Roma. (t) [ “Problemi di un analista anziano.” “Non è l'età che riporta l'infanzia, l'età solo ci fa sapere quanto bambini siamo rimasti” (Goethe, Preludio, Faust, 1a parte) Edith Jacobson, amica del cuore del mio analista S. Betlheim, visitò la nostra clinica nel1971. In una conversazione mi spiegò che non prendeva più i nuovi analizzandi per la sua età, poiché non era sicura di essere capace di finire l’analisi. Essendo stato giovane ed ambizioso, le dissi: “Però, signora, lei è ancora giovane e sana. Sono sicuro che può prendere nuovi analizzandi.” Mi guardò talmente stupita che non osai dire altro. Mi sono ricordato di quel incontro di recente quando mi sono trovato in una situazione simile. Ho smesso di prendere i nuovi analizzandi e solo allora ho capito l’espressione perplessa che tanti anni prima avevo visto nel volto della signora Jacobson. Gli psicoanalisti lavorano a lungo, alcuni fino alla morte. Freud, per esempio, prendeva i pazienti fino alla morte. Ha avuto dei pazienti fino alla fine di luglio 1939 ed è morto il 23 settembre dello stesso anno. È vero che negli ultimi anni prendeva una quantità minore di pazienti (E. Jones, 1961). Vorrei presentarvi alcune citazioni da Freud che ci possono aiutare a supporre la sua relazione verso la morte: “Abbiamo mostrato una tendenza inconfondibile a mettere la morte da parte, a eliminarla dalla vita. Abbiamo provato a farla tacere. Abbiamo anche un detto (in tedesco): ‘pensare di qualcosa come se fosse la morte’. Chiaro, come se fosse la propria morte. È impossibile immaginare la propria morte ed ogni volta che proviamo ad immaginarla, possiamo percepire che ancora stiamo in ruolo di spettatori. Quindi, la scuola psicoanalitica potrebbe avventurarsi nell’asserzione che nessuno crede nella propria morte o, dire lo stesso in altro modo, che incoscientemente ognuno di noi è convinto di essere immortale.” (S. Freud, 1915).” “Poco prima di aver scritto questo saggio pareva come se la mia vita finisse presto per causa di una malattia maligna, però la destrezza chirurgica mi ha salvato nel 1923 e potevo continuare a vivere e lavorare, anche se ancora sentivo dei dolori. Dieci anni dopo dell’operazione non ho smesso di lavorare nell’analisi né di scrivere – come prova il completamento del 12° volume dell’edizione tedesca delle mie opere. Però ho notato dei cambiamenti significanti. I fili che durante il mio sviluppo si sono intrecciati, adesso si separavano; gli interessi che ho acquistato più tardi nella vita, adesso svanivano mentre gli interessi più vecchi ed originali divengono più evidenti di nuovo.” Freud (1935) È anche interessante la lettera che Freud scrisse a Stefan Zweig il 17 novembre 1937 (Max Schur, 1969). Tra le altre cose, scrisse: “Il futuro immediato pare oscuro anche per la mia psicoanalisi. In ogni caso, non proverò niente di gioioso durante tre settimane o mesi rimasti per vivere.” Danielle Quinodoz ha descritto il problema di un analizzando che sente la paura della morte nel suo analista: “Se gli analizzati esprimono l’ansietà verso la morte dello psicoanalista, lo psicoanalista deve trovare conforto con la propria ansietà verso la morte e deve avere la libertà interna per ascoltare quello che l’analizzando ha da dire e/o discuterlo apertamente. Se gli analizzandi hanno l’impressione che quella discussione provoca l’ansietà nello psicoanalista o la negazione, gli analizzati eviteranno il tema o lo toccheranno in modo che l’analista non sarà capace di leggere tra le righe e non andrà al di là del senso delle parole dell’analizzando ed infine non lo capirà.” Con Freud succede l’opposto, dice Jones (1961): “Una paziente seppe che era malata gravemente e non poteva parlarne. Quando Freud scoprì che lei nascondeva qualcosa, le disse: abbiamo solo uno scopo ed una lealtà, in psicoanalisi. Se si rompe questa regola, si danneggia qualcosa più importante di ogni considerazione che mi deve.” Ciò che dimostra la mia personale visione dell’anzianità e della morte sono due sogni che hanno sognato due miei pazienti. Il primo sogno è occorso 35 anni fa, il secondo un anno fa. Nel primo sogno, la paziente una donna di 26 anni, economista, da alcuni anni in analisi, con numerosi sintomi ossessivi ha sognato che ero morto però questo non l’ha tanto turbata. Come se s’aspettava che succedesse, ma la stessa notte il sogno si ripresenta con un altri contenuti: viene in analisi e mi trova nella sedia a rotelle. Le dico che ho avuto un colpo apoplettico, che devo lasciare l’attività e che la indirizzo ad un collega più giovane. Lei mi risponde: aspettavo qualcosa di simile. Ho interpretato il sogno come la manifestazione di resistenza. Ad ogni modo non ho sentito paura o fastidio al pensiero che i suoi sogni potessero realizzarsi. Ancora, solo un anno fa, la mia paziente Zana, 30 anni, psicologa, ha avuto il sogno seguente: ho sognato che Lei era morto. Questo non mi ha toccato emotivamente. Il mio primo pensiero è stato cosa succederà con la mia terapia?. Anche sognando, mi chiedo perché non sento niente. Pensandoci ora, mi pare terribile. Forse questo significa che Lei vivrà lungo. Il proverbio popolare dice che uno vivrà a lungo se l’altro lo sogna morto. L’analista gli risponde: trovo la ragione del sogno nelle frequenti assenze, ritardi e mancanza di coordinazione tra i nostri progetti di vacanze. La paziente diventa difensiva e dice che la terapia è la cosa più importante. Per i ritardi alle sedute dice: forse sto mettendo alla prova Klain se è severo. Lo stesso facevo a mio padre. Più tardi mi sono chiesto se potevo reagire meglio e in modo più adeguato e mi sono sentito come offeso. Sono sicuro che quella è stata una reazione controtransferale. Mi sono confrontato con i miei sentimenti riguardo anzianità e morte prima del sogno citato quando ho smesso di prendere i nuovi analizzandi. Ai pazienti il conoscere la mia età provoca una paura inconscia. La stessa paziente, un mese prima del sogno citato, nel momento di sdraiarsi sul lettino mi dice: ho visto che c’è un giornale.Per Lei sarebbe meglio leggere il giornale che ascoltare le nostre stupidaggini. So quanto lavora e quanto si impegna. Dovrebbe riposare di più e occuparsi della sua salute. Le stesse parole le ascolto da mia moglie e da mia figlia. Quando ho capito per la prima volta che ero diventato anziano? E accaduto quando hanno cominciato nel tram a cedermi il posto a sedere. Mi arrabbiavo e non volevo accettare. Simile cosa succedeva quando il controllore non controllava il mio biglietto : da noi gli anziani oltre i 65 anni non pagano il biglietto per viaggiare in tram. Quando i pazienti mi dicono che sono anziano e che potrei morire presto e le mie difese controtransferali Hugo, trentenne, fa il regista, ha molti sintomi ed è molto regressivo. In una seduta, dopo un confronto con il suo narcisismo (parlava della rabbia verso il suo capo e la fidanzata), si mette a tacere. Alcuni minuti dopo si volge verso me spaventato e mi dice: Sta qui? Pensavo che fosse sparito. Sento paura per Lei. Non l’ho sentito. Temo di rimanere senza di Lei. Paure similari le aveva avute prima perché aveva saputo della mia malattia. Il paziente dice: teoreticamente so che questo significa che potrei ucciderla. Il terapeuta interpreta: mi ha già detto che la mia interpretazione l‘aveva colpito all’inizio della seduta. Quattro mesi dopo il paziente Hugo descrive la sua fidanzata e come si prepara per l’incontro con il signor N. Non gli piaceva vederla come si prepara per l’incontro con quell’uomo al quale doveva dire che era fidanzata e che doveva smettere di corteggiarla. Era geloso e gliel’aveva detto. Ripete che doveva dire che era geloso. Io gli dico:lei è come un bambino che deve dire tutto. Doveva dire tutto alla madre e questo è lo stesso. Pochi minuti dopo dice che ha paura che io possa morire. Forse mi ha ammazzato. Nello stesso momento lui mi ama e mi odia. Infatti teme molto la mia morte anche se sa che continuerebbe a vivere come ha continuato a vivere dopo la morte dei genitori. Il terapeuta: gli è venuta in mente la mia morte dopo che le ho detto che è come un bambino. Il paziente: sì, mi ha colpito anche se so che è vero. Forse per questo Le ho detto di avere paura per Lei. Però io penso della Sua morte anche fuori della seduta. È’ una buona sensazione quando i pazienti menzionano la mia morte. Potrebbe trattarsi di difesa maniacale? Sanja è una trentenne, veterinaria, con importanti disturbi psichici. Durante la seduta ha detto qualcosa ma io non l’avevo sentito e le ho chiesto di che cosa parlava. La paziente: le ho già detto, dell’appartamento. Non ha sentito o si è già scordato perché non Le pare importante ?Forse borbotto e Lei non mi capisce. Mi pare che languisca. La paziente ride. Il terapeuta: forse ho languito Anch’io rido. Un po’ più tardi dice che la darò a un altro terapeuta. Il terapeuta: quando muoio. La paziente: me lo immaginavo È Interessante che in questa seduta non mi sentivo male ed entrambi ridevamo. Anche nell’esempio seguente non mi sentivo male. Il paziente Hugo parla dei suoi dilemmi su di me. Aveva paura di dirmi che voleva rimanere in vacanza due giorni in più e adesso ha paura di dirmi che va in vacanza in luglio (io vado in agosto). D’un tratto dice ad alta voce: non posso immaginare la vita senza di Lei. Ho tanta paura della Sua morte Il terapeuta: vedo che ha dei sentimenti contrari. Da una parte c’è la paura di me, per l’assenza dalla seduta, dispiacere con l’analisi, e dall’altra parte la paura della mia morte Il paziente: anch’io lo vedo. Il mio narcisismo è sempre offeso da lei, ma dall’altra parte dipendo da L Non mi sentivo male in quella seduta. Mi chiedevo perché. Mi sono già abituato a lui e ai suoi ricordi della mia morte? Forse lui ha dei limiti vasti e non mi da fastidio. Non lo so. Nei miei gruppi non si parla spesso della mia morte, si può teorizzare su questo, ma forse è meglio dare un esempio. Gruppo del 13 marzo 2011. Parliamo dei genitori anziani. La domanda è se mandarli ad un ospizio, in un appartamento più piccolo o simile. Come assistere i loro problemi di salute. Se telefonare loro tutti i giorni. Il paziente P. ha comprato per la madre un telefono SOS. Una paziente chiede come mi sento adesso. Dico che ho capito e aggiungo che penso che ci sia un legame con la nostra sospensione (ci siamo messi d'accordo di finire tra un anno la nostra analisi che è durata già cinque anni). Come se ci accomiatassimo. La paziente M. ammette che si chiedeva se sarei riuscito a sopravvivere nell'analisi con quel gruppo o sarei morto in una delle sedute. Il gruppo non ha ammesso il tema e presto ne abbiamo toccato uno diverso. La mia difesa è stata: bene : così ho qualcosa da portare al seminario di Roma .
Le mie paure di anzianità e morte Ho molta paura di perdere la memoria senza accorgermene e di diventare demente. Una paziente mi chiede spesso se ricordo di che cosa ha parlato lei. Mi infastidisco e mi domando se lei si accorge di qualche segno di demenza. Anche gli altri pazienti me lo dicono. Forse me lo dicevano prima, ma non ci badavo. La paziente Sanja, la veterinaria che ho già menzionato, dice in una seduta che si arrabbia col padre perché non capisce niente per un processo di indementimento. Lo stesso succede con la madre, sempre si ripete. ho paura che anche Lei diventi demente. Cosa sarà di me? Dopo un momento di silenzio dice: Lei non mi aiuta. Il terapeuta: forse ha paura che anche io sia già diventato senile. La paziente si scusa e chiede a se stessa come ha potuto pensare questo. Danielle Quinodoz (2010) ha trattato così questo problema: “Per uno psicoanalista è molto importante essere cosciente della propria età. Infatti la consapevolezza di invecchiare influisce direttamente sul lavoro e sulla responsabilità professionale. Alcuni colleghi anziani hanno grande esperienza e sarebbe un peccato privare gli analizzandi di questa risorsa. Altri analisti anziani, anche se non hanno tanti anni di esperienza, non si rendono conto che non possono lavorare bene.” M. Tallmer (1992) ci dà un bell’esempio a proposito della memoria e riporta il commento di una persona in analisi che alla ripresa dopo fine settimana, inizia la seduta dicendo: “Quello che mi ha detto venerdì, era estemporaneo.” Commenta la Tallmer che in questo caso l’analista è costretto a rimanere silenzioso se si è scordato completamente del commento citato ed è costretto ad aspettare che il paziente dica qualcosa di più sulla citazione dell’analista, quella citazione che l’analista non ricorda assolutamente. L’altra cosa che temo molto è la malattia che impedisce le mie funzioni e non so come comportarmi nell’analisi. Per esempio temo di diventare sordo: Quando il paziente mi dice “Mi ha sentito?” oggi mi preoccupo prima di tutto che veramente potrei non aver sentito. Ho fatto l’audiometria. mi hanno detto che ho l’udito normale o meglio conforme con l’età, che è un’altra cosa. Anche di questo problema Danielle Quinodoz nel libro da lei scritto “Diventare anziani” osserva: “gli anziani accettano difficilmente che non sentono come prima. La situazione li obbliga ad accettare che stanno diventando anziani mentre non vogliono perdere il loro mondo fisico e percettivo, peraltro già oggettivamente compromesso ed esaltano l’intensità della capacità interna di ascoltare che può in parte compensare l’oggettiva perdita dell’udito” Alcune paure, come quella menzionata della sordità, sono più forti della stessa paura di morire. Non vorrei morire in seduta, come un mio amico e Foulkes. Mi chiedo se questa paura di morte non è così ovvia perché mi è accaduto di provare quello che Danielle Quinodoz chiama “un piccolo secondo d’eternità” quando abbiamo ho realizzato il mio vecchio sogno di gruppo di studio psicoanalitico. So che vorrei lavorare ancora. Mi rinforzo all’idea che l’età cronologica e mentale non sempre sono concordanti. Qualche volta però mi preoccupo molto, specialmente durante le lezioni se non riesco a ricordare di un nome conosciuto. Temo di diventare demente all’improvviso. Sono convinto che mi accorgerei sicuramente dello sviluppo lento della demenza e mi tranquillizza che potrei prendere provvedimenti. Non vorrei che mi succedesse la cosa di cui parla Danielle Quinodoz: “Per uno psicoanalista che ha vissuto una vita attiva è sempre molto doloroso rendersi conto che non può più lavorare con pazienti o analisti praticanti perché non è più capace, nè fisicamente né mentalmente. Quando gli psicoanalisti non si accorgono di che cosa si tratta, quelli che soffrono di più sono le persone più vicine a loro.” Mi trovo d’accordo con M. Tallmer quando afferma: “ dal momento che il lavoro analitico non può avvalersi di conferma dagli altri, lo psicoanalista è obbligato a esaminare minuziosamente ogni giorno i suoi tentativi professionali. Quel auto-monitoraggio dovrebbe portare al riconoscimento dei cambiamenti nella tecnica, nell’atteggiamento verso i pazienti ed ai cambiamenti negli affetti in relazione al riconoscimento del processo di invecchiamento dell’analizzando come dell’analista.” Vantaggi di uno psicoanalista anziano Non vorrei finire la mia esposizione in un tono pessimistico. Leggiamo M. Tallmer che ci consola: “L’ auto-comprensione porta all’accettazione dei propri limiti e, durante il processo, alla comprensione che non è possibile ottenere gli scopi prefissati e che è meglio adattarli. Meno preoccupato del proprio insuccesso, l’analista non vede i pazienti come oggetti della propria ambizione o come mezzi di misura del proprio valore” Così dice questa analista di 69 anni. Mi ricordo anche cosa mi ha detto professor Betleheim una volta quando mi sono lamentato di non aver sentito bene un paziente: “Caro collega, la differenza tra noi due sta in fatto che io accetto gli errori facilmente e non sono un guaritore.” Devo anche riconoscere che mi hanno aiutato le citazioni di Freud segnalate nelle considerazioni di Eissler (1993): “Se uno ammette che nell’età anziana la gente diventa meno appassionata, starà d’accordo anche con il fatto che con l’ età diminuisce la tendenza di entrare in conflitto (Freud, 1937). SuperIO ed Io saranno meno separati in queste condizioni economiche e strutturali e la tensione generale tra due enti saranno ridotte. (Freud, 1939). In alcune situazioni clinicamente difficili, la predisposizione dell’analista anziano di informarsi su ragioni e non azioni, potrebbe proteggerlo dalle certe insidie. Questo è tanto più evidente quanto più la resistenza del paziente diventa la forma di esternare.” E’ utile menzionare anche Wolf quando cita Kohut: “La capacità dell’ uomo di riconoscere che la sua vita può finire e di agire conformemente a ciò potrebbe essere il successo psicologico più grande, anche se non si può escludere l’emergenza di un diniego velato nell’accettazione di transitorietà. ” Con questa relazione volevo sottolineare un problema importante, non solo per uno psicoanalista anziano, ma anche per gli analisti praticanti, per i pazienti e per la società psicoanalitica in senso stretto e largo. Mi pare che se ne parli insufficientemente e si scriva ancor di meno. Temo che le conseguenze possano essere severe. (r) Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti: Prof. Pisani : molto grato al professor Klain, con il quale coltiva una lunga amicizia ed una stima dal 1984 evidenzia che egli è venuto molte volte e ci ha onorato della sua presenza a cominciare dai primissimi seminari che lui teneva all’Università di Roma, presso la Clinica delle Malattie Mentali. E’ tanto onorato al pensiero che il Prof. Klain è stato un antesignano nell’introduzione in Croazia della psichiatria psicodinamica nelle strutture pubbliche e ha formato generazioni di psichiatri in tutta la ex Jugoslavia, serbi, croati, sloveni, che fanno capo tutt’ora a lui. E’ un neuropsichiatra che ha fatto una formazione approfondita sia in psicoanalisi che in gruppoanalisi e, da questo punto di vista, è uno dei pochi al mondo che riesca a combinare queste due esperienze. Aggiunge un chiarimento a proposito del mosaico nominato da Klain e del quale chiedeva notizie Ignazio Maiore. La Dr.ssa Anna Maria Meoni è stata primario del servizio Psichiatrico di Aprilia e nell’ambito dell’attività clinica che lei faceva, aveva organizzato un gruppo di attività , analiticamente orientato. L ’attività consisteva nel fatto che i pazienti psicotici lavoravano insieme a maestri di mosaico ed hanno fatto uno splendido mosaico. A quell’epoca il Prof. Klain era supervisore della clinica, allora spontaneamente tutto il gruppo ha deciso di rappresentare Klain in questo mosaico che è tutt’ora visibile nella piazza di Aprilia. Completa la presentazione del Prof. Klain, sottolineando che nell’ex Jugoslavia, specialmente in Croazia, l’impostazione di tipo biologico, farmacologico esclusivo, è molto ridimensionata perché lui ha avuto questo grandissimo merito di aver valorizzato la psichiatria psicodinamica. Prof. Klain: fa presente di aver portato una parte di un’intervista di Luciana Nissim Momigliano, una ben nota psicoanalista italiana che è morta. Di questa intervista ha portato solo la parte in cui dice che, quando era vecchia e ammalata, avvisava i suoi pazienti di non sapere quando avrebbe ripreso a fare il proprio lavoro e racconta come i suoi pazienti hanno reagito. Quando Annamaria Meoni e Rocco Pisani parlavano di lui, si è ricordato del defunto Ugo Klain, arguto psicanalista di Belgrado, che tanti anni fa ebbe occasione di dirgli: caro collega quando parlano e ti dicono che tu hai tanti meriti e ti danno le medaglie e scrivono di te, tu sei morto. Prof. Pisani: sottolinea che questa citazione l'ha sentita da Klain già 25 anni fa, quindi gli ha portato bene. Evidenzia di averlo ascoltato con molto interesse, pur avendo già letto il testo del suo seminario. Come gruppoanalista, stava pensando al controtrasfert come reazione emotiva di un gruppoanalista. Se facciamo il gruppo più piccolo, come diceva Foulkes una metà del lavoro è un lavoro transferale: il transfert è una parte (la metà) in primo piano e quindi il controtransfert rappresenta l’altra metà; però il gruppo analitico ha un’altra parte,un'altra metà di fattori non transferali che sono i fattori terapeutici specifici della gruppoanalisi: il rispecchiamento, la risonanza, l’esperienza emotiva correttiva, l’addestramento dell’io in azione e così via. Il rispecchiamento sta in primo piano e noi come gruppoanalisti non possiamo più parlare soltanto di controtransfert, ma dobbiamo parlare di contro rispecchiamento multiplo. Quando poi ci spostiamo da un gruppo piccolo ad un gruppo intermedio in cui il transfert, che non è un fattore terapeutico da analizzare, è un fenomeno che rientra nell’ambito dei fenomeni del rispecchiamento: se quello è innamorato di Klain, al gruppo non interessa, però interessa moltissimo di vedere il fenomeno del transfert in azione. È un fenomeno di rispecchiamento e di controrispecchiamento. Rileva che Klain sta parlando di un tema molto importante: quello di noi anziani, anche se ha un paio di annetti più di lui. Pisani personalmente ha subito un intervento chirurgico piuttosto serio. Tre anni fa lo hanno operato per un carcinoma prostatico. Allora si chiedeva come avrebbe potuto fare a riprendere questo tipo di attività. Il tema della morte, lo spettro della morte aleggiava. Deve dire però che i suoi gruppi lo hanno aiutato moltissimo, per cui è come se avessero stabilito un fenomeno di transfert da una parte, di rispecchiamento dall’altra molto favorevole e positivo. Ottimisticamente parlando reputa che in qualche modo lo abbiano aiutato moltissimo a ridimensionare l’angoscia di morte. I gruppi lo hanno curato. Prof. Klain i gruppi curano sempre, ma è interessante la sua esperienza. Ricorda che in tutti questi anni i gruppi in cui lavorava non parlavano della sua morte; ultimamente invece ne hanno parlato diverse volte. Pensa che loro hanno una cosa che li tiene insieme: quando hai cinque, sei figli, se uno muore non è la stessa storia se ne hai uno solo. Prof. Pisani è come una grande famiglia allargata. Dr.ssa Meoni invece riflette su due elementi apparentemente sciocchi, ma veri e cioè: perché dobbiamo fare dell’accadimento morte, che come a tutti noto è molto probabile in età anziana (ma potrebbe succedere anche in età non anziana), un accadimento così speciale nell’ambito di un trattamento analitico, quando poi l’esperienza nella vita comune è quella di negare la morte cercando di pensarci il meno possibile. Pensa che la morte è presente a tutti perché continuamente accade: se non accade a te accade comunque intorno a te. Si chiede perché si debba dire che questo possa avere un carattere più speciale nell’ambito del trattamento analitico. Quanto al controtransfert crede invece che sia preminente il problema, anche qui rimettendolo in un contesto più generale, più normale, dell’onnipotenza delle persone. E frequente osservare persone anziane che continuano ostinatamente a lavorare anche quando è evidente che le forze non le sostengono. Terzo, ultimo ma non per ultimo, la sua esperienza personale per esempio è stata quella di una grande stanchezza psichica dopo quarant’anni di lavoro, per cui si è felicemente pensionata. Oggi come oggi stare in un setting con il paziente che periodicamente tutte le settimane continua a raccontarle quello che per anni altri pazienti le hanno raccontato, capisce che non ha più le forze di sostenere questo impegno. In questo senso si domandava se più di una questione di controtransfert forse è una questione normale. Normale potrebbe essere, un paziente, un collega, un infermiere o un amico, se ti vuole bene e ti incontra in giro per strada farebbe lo stesso pensiero di un setting psicoalnalitico: meno male che Eduard sta bene, Prof. Klain sottolinea una differenza, perché il paziente in analisi è dipendente, dopo tanti anni è dipendente, mentre non sono dipendenti i suoi colleghi, amici. Quando uno muore gli altri sono tristi, non sono tristi per lui ma per se stessi. Ha visto nei funerali che quando un collega muore, specialmente di infarto cardiaco, i suoi colleghi sono tristi: c'è da valutare che non siano tristi per lui ma per il proprio cuore. Riguardo a ciò che ha detto la Meoni dipende da cosa il lavoro ti dà: se diventa noioso, non soddisfacente, allora è meglio non fare queste cose, ma egli dichiara di essere felice più di tutto quando è con i suoi pazienti. Ha fatto tanti lavori nella sua vita. Ricorda che prima della pensione, per 10 anni circa non ha lavorato con i pazienti; ha lavorato in guerra: era Psichiatra Capo della Croazia, poi alla Facoltà partecipava ai tanti comitati che non decidevano niente, come accade sempre nei comitati e nelle commissioni; poi da quando è in pensione lavora con i pazienti e fa formazione in tre ospedali psichiatrici nei quali lavora. È orgoglioso di occuparsi della formazione per le infermiere e gli infermieri che lavorano in ospedale e che sono sempre con i pazienti, a differenza dei medici che corrono e son tanto veloci. Si occupa poi di supervisione con i colleghi e svolge seminari prevalentemente sl tema delle Psicosi, che sono tante. Questo è il suo lavoro e ne è soddisfatto perché può fare comparazioni a differenza di prima, quando era il grande professore, il capo di questo e quello, senza poi una vera sostanza. Dr.ssa Di Gennaro osserva che proprio questo è il discorso: più andiamo avanti con l’età e più il dedicarci ai pazienti diventa una grossa responsabilità, proprio perché non sappiamo quando è che moriremo non ci dovremmo fermare come didatti, come formatori, perché questo è un grosso patrimonio che avremo il dovere di passare agli altri, invece molto spesso per alterne vicende non succede. Dr. De Cinti ha iniziato la professione negli anni 80, e dopo un paio d’anni che lavorava si è ammalato gravemente, è stato tre anni tra la vita e la morte; dopo di che la sua vita è iniziata facendo veramente fino in fondo il terapeuta e come diceva klain la soddisfazione per il lavoro che fa gli allontana l’idea della morte; non se lo pone proprio come problema, anche se gli acciacchi continuano perché è un problema che si porta dietro. Non crede che bisogna stare a pensare quando accadrà, perché può accadere, come diceva qualcuno anche prima, in qualsiasi momento. Per lui è stato il contrario è stata un'occasione di rinascita. Prof. Klain sottolinea che questo si vede quando si è tra la morte e la vita per qualche anno. Accade con le persone che hanno subito una morte clinica e poi sono riuscite a sopravvivere. Questo cambia tutto nella vita, tante cose non sono più importanti e non si pensa alla morte, questo è l'esempio del Dr. De Cinti. Dr. Zipparri evidenzia che comunque esiste una specificità nella professione analitica in rapporto con l’anzianità. È grato al Prof. Klain di avercela segnalata, perché è vero che la morte è un evento che può capitare in qualunque momento, però probabilisticamente un’ analisi che dura dai quattro ai sette anni, se uno inizia con un analista poniamo di 70 anni, a parte che c’è il fantasma della morte, anche se non avverrà perché l’analista può sopravvivere al paziente, però la fantasia della morte di quell’analista sarà presente inevitabilmente. A prescindere dalla morte crede che l’analista anziano abbia vantaggi e svantaggi. A mano a mano che perde le sue cariche di potere, di prestige, come dicono in Inghilterra, viene scelto per delle caratteristiche molto meno superficiali, cioè ci sono analisi didattiche che nascono solo per il prestigio del didatta, mentre un analista ormai anziano, lontano anche dai giochi di società viene scelto per le sue caratteristiche intrinseche; la motivazione alla scelta di quell’analista diventa forse più pura, meno contaminata da fattori. Crede che questa sia un’esperienza che in qualche modo appartiene all’analista e alla sua cerchia, a come cambia la cerchia delle persone nel corso della carriera di un’analista. Propone una riflessione sulla tragedia del re Lear e le alterne fortune delle sue tre figlie nel corso della vita. Quando re Lear era potente, c’era una figlia in particolare che si era quasi impadronita di lui; quando re Lear era in fase discendente recupera il rapporto con la figlia che veramente lo ammirava nel profondo, Quindi crede che anche con i pazienti, gli analisti anziani possano registrare un fenomeno di questo genere. Prof. Klain valuta che questo è vero da una parte: è vero per l’analista tuttavia non è vero che i suoi pazienti lo scelgono perché lui è bravo, bensì perché c’è una fama anche se è in pensione. Lui è in pensioni da 11 anni, ma c’è la fama, anche se pensa che questa fama non debba essere vera. Alla sua età sono i pazienti che scelgono. Porta l’esempio dei suoi ex-studenti di medicina di 20 anni fa. Ora loro vanno da lui perché lo ricordano come professore che non era severo e diceva le barzellette durante le lezioni. Quindi reputa che anche la fama sia importante, ma è sicuro che il narcisismo dell’analista non è così grande quando ha 70-80 anni. Dr.ssa Meoni commenta che questo è un vero pregio. Prof. Klain espone un problema relativo al suo gruppo di studio psicoanalitico del quale è il presidente. Pensa che anche per questo lo chiamano: perché è il presidente, perché nella testa della gente è sempre il presidente: il Presidente del Consiglio, il Presidente della Società. I presidenti sono sempre stupidi, ma sono presidenti. Osserva che questa sera c’è tanta gente! Dr.ssa Meoni commenta che c’è tanta gente, ma osserva che è un pò silenziosa Dr.ssa Di Gennaro lo attribuisce all’angoscia di morte Prof. Klain sta accadendo come nel suo paese. In Croazia si discute poco. Quando sono venuti gli americani, invitati da lui, gli hanno detto che era lui a non far discutere la gente, che dipendeva dal suo comportamento. Lui gli ha risposto che era proprio la gente a non discutere. Quando ha avuto una lezione a Toronto in Canada, gli studenti lo hanno fatto a pezzi: prima hanno mangiato durante la sua presentazione (a lui non dava fastidio, era solo invidioso perché non aveva mangiato); poi gli hanno fatto domande mostrando molto interesse. In Jugoslavia solo gli sloveni fanno domande perché vogliono imparare, gli altri sono un po’ lenti. Dr.ssa Di Gennaro ha iniziato a fare la sua formazione con Alice Ricciardi che aveva 70 anni. Per la verità non si è posto il problema che potesse morire da un momento all’altro (cosa che non è avvenuta perché è vissuta fino a 97 anni). Tuttavia ricorda che la stessa Ricciardi ad un certo punto le disse: “mi sono data ancora 5 anni di vita”. Quanto a lei (Di Gennaro) non si poneva proprio il problema, perché era molto desiderosa di apprendere dalla sua esperienza e dal suo sapere. Contemporaneamente invece le viene in mente la morte di sua sorella, analista anche lei,che è morta molto giovane. È stata lei (Di Gennaro) che ha voluto ricevere i pazienti di sua sorella per comunicare loro che la loro analista non c’era più. La sorella era morta ad agosto, in piena estate per cui tanta gente non c’era e tanti suoi pazienti non lo sapevano. Quindi la riflessione è che si può morire e anche giovani, si possono creare dei problemi ai pazienti che erano giustamente disperati. Prof. Klain conferma i grandi problemi quando muore lo psicoanalista ed evidenzia che è più facile quando muore il gruppoanalista perché un altro collega riceve tutto il gruppo. Questo gruppo parla dell’analista, ma ha una forza: sono insieme, è tutto il gruppo che va dall’altro analista. Nency Eduard una gruppoanalista americana (crede sia morta), ha scritto un buon articolo su questo. Quando un suo collega è morto lei ha accettato il suo gruppo. Lei si occupava dei sogni e i sogni dei pazienti di questo gruppo erano molto interessanti perché nei sogni avveniva questa elaborazione della vita e della morte del primo gruppoanalista. Dr.ssa Meoni rileva che quest’anno ci sono stati molti film americani sulla morte: “La donna che canta”, “Beautiful” , tutti film sulla morte. Commenta che gli americani sono sciocchi. Prof. Klain è d’accordo circa il fatto che gli americani sono sciocchi Prof. Pisani sottolinea che Klain ha portato il tema della morte che è importantissimo sia a livello di realtà con la morte in quanto tale anche se, come Freud diceva, nel nostro inconscio noi non pensiamo che dobbiamo morire, siamo immortali, ma il tema della morte c’è come fatto reale, però è importante anche come fatto simbolico. Si collega al tema dominante dell’ipocondria rispetto al quale evidenzia tre correlati che sono: la malattia, la vecchiaia e la morte. La malattia fa paura in quanto tale, dal punto di vista di realtà e non c’è dubbio. La vecchiaia è il rimbambimento, la malattia di Alzheimer dicono gli americani fa paura in quanto tale. La morte fa paura in quanto tale. Però c'è tutta una serie di simbolismi intorno che sono importantissimi, sia dal punto di vista transferale che da un punto di vista controtransferale o gruppoanaliticamente parlando di rispecchiamento multiplo e di contro rispecchiamento multiplo. Allora si stava chiedendo quanto i pazienti di Klain in qualche modo lo volessero castigare, sotto sotto, per ridimensionarlo dal punto di vista di leader. Se noi prendiamo la morte in considerazione in quanto tale, il significato simbolico è che ormai ti sei fatto vecchio datti una regolata, rassegnati. Il secondo significato simbolico è la morte come separazione, come perdita di affetti, come perdita di legami affettivi. Il terzo livello, a suo avviso ancora più profondo, è la ferita narcisistica che la morte comporta. Si chiedeva quanto tutte queste cose qui, circolano a livello non cosciente o pre cosciente, nella situazione individuale e gruppale. Prof. Klain risponde che è più individuale che gruppale. Prof. Pisani a proposito del prendere o meno le persone in trattamento analitico o gruppoanalitico, ricorda che il maestro Foulkes sosteneva che c'è il tempo per organizzare il gruppo di prova nel quale mettere persone insieme in una esperienza che può durare 1 mese, 2 mese, o un anno e così si offre la possibilità di fare un pò di terapia, di cominciare a capire qualche cosa, che è sempre meglio di niente. Se accade un evento irreparabile almeno qualche cosa lo trasmette alle persone. Come Foulkes lui stesso non è contrario a prendere in terapia delle persone pur potendosi prevedere limiti di tempo nella durata del trattamento. Prof. Klain evidenzia che qui si pongono altre domande. Come sappiamo Foulkes è morto mentre lavorava proprio nel gruppo a 76 anni: per lui è andata bene, ma per il gruppo? Questo è il problema. Prof. Pisani riferisce che infatti tutte le persone del gruppo si sono ammalate; uno ha avuto addirittura un distacco di retina. Dr.ssa Meoni si richiama alla responsabilità che uno psicoanalista si prende, al di là della vita e della morte, come impegno a seguire il paziente. Di fatto non dovrebbe esserci nessun giustificato motivo da parte dell’analista, oltre la salute, la vita e la morte, di interrompere il trattamento. Il problema di fondo è questo proprio perché il paziente è dipendente. Ha una storia traumatica alle spalle, quindi è la responsabilità professionale che fa dire questo, a differenza di altre situazioni. Il problema lo pongono gli accadimenti della vita che esulano dal potere della persona, perché crede che il Professor Klain, indipendentemente dal suo piacere di vivere, se fosse nella possibilità di allontanare la morte lo farebbe se non altro per la responsabilità nei confronti dei suoi analizzandi. Si domanda: lo farebbe ugualmente se il prezzo da pagare per allontanare la morte fosse troppo alto? Pensiamo ad una magia, a Faust, cioè se dovesse vendere la sua anima al diavolo per assicurare la sua vita al paziente, lo farebbe o no? Prof. Klain reputa difficile dare una risposta in quanto sono tanti i problemi ora che generalmente la vita è prolungata. Ai tempi di Gesù Cristo l'aspettativa di vita era di 30 anni. Nella società contemporanea gli analisti lavorano di più in vecchiaia e prendono anche pazienti che sono più anziani di loro. Freud diceva che non avrebbe preso pazienti di età superiore ai 50 anni, ma in verità non prendeva pazienti che avevano più di 40 anni. Adesso in questo eccellente libro di Danielle Quinodoz, che ha citato tante volte, si legge che prende in carico pazienti anche di 60 e 70 anni, ai quali non fa l’analisi, ma solo un trattamento psicoterapico con buoni risultati. Questo è ragionevole perché oggi c'è un'aspettativa di vita fino a 80 – 90 anni, in buona salute perché ci sono cure mediche che possono aiutare molto e tutte le condizioni di vita sono migliori. Dr.ssa Meoni osserva che anche il paziente o chiunque di noi, fa qualcosa per sé se ritiene di aver una ragionevole prospettiva di vita, perché altrimenti e normalmente non si assumono impegni in progetti a lunga scadenza. Prof. Klain ricorda il caso un artista, che prima della seconda guerra mondiale era in analisi con il suo analista. Egli aveva incontrato la sua futura moglie nella sala d’attesa dello psicanalista: entrambi infatti erano in trattamento psicoanalitico. Lui però non ha sviluppato una formazione, mentre la moglie è andata a Londra ed è diventata psicanalista. La moglie ha indirizzato il marito a Klain. Lui è venuto e ha espresso la richiesta di fare una psicoanalisi; Klain gli ha detto che avrebbero fatto la psicoterapia (aveva più di 60 anni) e lui gli ha risposto che non voleva fargli la psicanalisi perché era vecchio. Klain ha negato, ma aveva ragione. Oggi lo farebbe. Il paziente ha vissuto ancora 20 anni. Era un caso gravissimo,peccato perché era un artista di grande talento come pittore, ma a causa della sua nevrosi non poteva lavorare. Dr.Fazio a proposito del tema che si è discusso questa stasera, pensa non si possa prescindere da una considerazione di carattere sociologico e cioè che la professione di analista di per sè, in paragone alle altre attività professionali, è una delle professione nelle quali si riesce a formarsi molto tardi nella vita. Cioè un analista di 40 anni lo pensiamo come un baby perché si comincia a fare l’analista molto in là con gli anni. Crede valga la pena di riflettere su quanto questo possa avere un peso in tutto ciò che accade in seguito, su tutta la dinamica che si sviluppa dal momento della qualifica in poi. Non è un caso che generalmente si parla di gerontocrazia psicoanalitica, cioè questi vecchi che non vogliono mollare, che stanno lì e hanno il potere e non se ne vogliono andare. È un pò come la sua generazione dei sessantottini che cercano di stare a galla comunque, dovunque e con chiunque, cioè questa fantasia di immortalità. Altra cosa alla quale lo ha fatto pensare Rocco, e che gli sembra altrettanto importante, è che nei suoi gruppi si è sentito curare. Ne deriva la seguente considerazione sociologica: ancora una volta, contrariamente a molte altre professioni, gli analisti tendono a rimanere fino alla fine nel loro lavoro, tranne l’eccezione della collega Meoni che forse è più sana rispetto a molti di noi, ma in genere si rimane attaccati ai propri pazienti; questo lo faceva pensare che la nostra professione inizia con un grande schok personale quando ci cominciamo a rendere conto che in effetti finiamo a fare questa attività perché abbiamo bisogno dei nostri pazienti, abbiamo bisogno di rivestire un certo ruolo e ci ricaviamo qualche cosa. Quindi su questa base, forse nella vecchiaia, è un pò come se questo vecchio bisogno (parliamo di controtransfert ) di utilizzare (è una parola brutta ma non gliene viene altra) i nostri pazienti per un nostro bisogno personale, che non solo ha sempre continuato ad essere presente, ritornasse diventando ancora più forte. Prof. Klain lo ringrazia per le domande e conviene che oggi i canditati analisti sono più anziani di prima. Oggi negli istituti in Europa, in America raramente arrivano prima dei 40 anni, perché debbono finire gli studi, perché debbono guadagnare i soldi in quanto la formazione psicoanalitca è costosa: si paga l’analista, il super visore. Tutto questo oggi è evidente. Altra affermazion è che i vecchi non vogliono mollare il potere e per questo è nato il terzo modello psicoanalitico: il modello Uruguaiano. I vecchi didatti dell’Uruguay volevano aver il potere fino alla morte, ma i giovani hanno fatto una rivoluzione e adesso esistono tre modelli di Haitingon, Francese e Uruguaiano. Dr.ssa Meoni Chiede se in Uruguay c’è l’obbligo della pensione. Prof. Klain conferma tale obbligo. Sottolinea poi un altro aspetto menzionato, cioè che forse qualche analista ha più bisogno del paziente che il paziente dell’analista e questo si può capire perchè senza pazienti è niente, in famiglia e in società. Dr. Zipparri osserva che però ci sono dei pazienti che hanno bisogno di un analista che ha bisogno di loro. Dr. Rita crede sia anche un fatto energetico, cioè l’energia del terapeuta anziano con una sua caratteristica che si collega con l’energia di un paziente giovane: questo forse produce per tutte e due un vantaggio significativo. La Dr. ssa Meoni conclude il seminario sottolineando il clima che è stato suscitato da un tema difficile che Klain ha proposto e presentato con la sua consueta sincerità.
Note di redazione: (r) dialogo nel dibattito a seguire la registrazione vocale degli interventi dei partecipanti rivista dal coordinatore Dr.ssa Anna Maria Meoni Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com |
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