|
|
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi |
|
Il Collettivo
di Prof. Ignazio Majore ll Prof. R. Pisani è lieto di poter iniziare questo anno i seminari con il contributo del Prof. Ignazio Majore, che già era punto di riferimento per i neuropsichiatri in formazione o formati quando il Prof. Tedeschi conduceva l’attività seminariale di gruppo presso la Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università di Roma, attività della quale questi seminari sono l’ideale proseguimento. Il Prof. Majore, medico e specialista in Neuropsichiatra ha compiuto una formazione psicoanalitica con Emilio Servadio a seguito della quale è divenuto membro dell’Associazione Psicoanalitica Italiana, dove si ricorda fosse poi il più giovane didatta della Società Italiana di Psicoanalisi. In quel periodo (1968) aveva già scritto un magnifico libro “Principi di psicoanalisi clinica “ Ed. Il Saggiatore - che Pisani consiglia di leggere per conoscere sul serio la Psicoanalisi, ivi compresa la Gruppoanalisi di Foulkes. In seguito insoddisfatto dalle osservanze ortodosse che non consentivano originalità il Prof. Majore ha sviluppato una propria teoria e una prassi che ha chiamato Analisi Mentale. Conferma lo stesso Prof. Majore come la sua nuova impostazione sia stata sostenuta dal desiderio di rinnovare una metodica divenuta ripetitiva e stanca. Ricorda che vari mesi primi aveva sognato un giovane medico che in una conferenza stampa comunicava di voler scegliere la libertà. Non era un sogno premonitore, ma l’emersione di una esigenza ancora non cosciente al momento del sogno. Pisani a questo proposito sottolinea il tema della libertà di pensiero, sempre che sia esercitata onestamente con critica matura e come i gruppoanalisti si pongono proprio l’obiettivo di favorire il senso della propria identità nel rapporto e nel rispetto dell’identità degli altri. Ricorda ancora che Majore ha scritto molti libri, tra i quali: “ Morte, vita, malattia”, “Il circuito fallico”, “Il sogno”, “Teoria della tecnica in psicoanalisi e in analisi mentale”, “La mente in analisi” e l’ultimo dello scorso anno “ Il corpo, la mente e la speranza”, tutti editi dalla casa ed. Astrolabio. Il Prof. Pisani passa la parola al Prof Maiore che parlerà del Collettivo nella sua relazione.
(t) [ Il Collettivo. Il senso del collettivo. La vita fluisce, continua e si ripete. Trascina con sé gli esseri singoli. Li protegge finché servono, li elimina quando hanno esaurito il loro compito per la sopravvivenza del collettivo. Tutta la biologia è un collettivo che contiene esseri singoli. Questi sono indispensabili per la sua sopravvivenza ed il collettivo è indispensabile a loro a per la medesima sopravvivenza. Le organizzazioni collettive sono in ogni aspetto delle vita e variano secondo la loro organizzazione dalla più semplice alla più complessa. Tutti tendono alla difesa della vita ma possono essere sommersi da quella stessa morte dalla quale si difendono e che inevitabilmente contengono. Il singolo diviene individuo quando è minacciato direttamente dalla morte e la sua difesa non è più affidata al collettivo. Il flusso del sangue con le sue cellule è un collettivo che le porta avanti per adempiere ai suoi compiti. Le cellule vengono progressivamente distrutte e nuove sono formate. Se prendiamo una singola cellula, un linfocito ad esempio e lo isoliamo, questi reagirà autonomamente alle stimolazioni. Si difenderà come potrà dalle aggressioni mortifere. Nel suo genere sarà un individuo. Un gregge di pecore è un collettivo che si muove tutto insieme. Togliamo dal gregge una singola pecora. Reagirà senza la protezione del collettivo. A suo modo sarà un individuo. L’uomo ha organizzato la vita sociale obbedendo alle necessità della vita collettiva. La utilizza per poter sopravvivere, cercando di non esserne sommerso. Ricordo che il corpo è contenitore della vita e matrice del collettivo,da dove la mente cerca di fare emergere la reazione creativa che spinge alla difficile ricerca dell’individualità La frazione mentale, detta inconscia, non è autonoma. Coincide con le strutture biologiche profonde che sono, appunto, depositarie delle organizzazioni collettive che presiedono alla vita e alla morte. Molti tra gli altri animali vivono palesemente associati collettivamente; quasi fossero un essere unico. Primi tra tutti gli insetti, come formiche e api. 2) Cosa organizzano? Il mio punto di vista, quello dell’analisi mentale, ritiene che strutturano neurologicamente, con ritorno a circuito, la vita biologica che sostiene l’inconscio primitivo e il comportamento che è conseguenza. Si può ritenere che il collettivo primitivo domini nei nuclei cerebrali di base, mentre le organizzazioni più complesse sono rapportabili alle strutture cerebrali corticali. Sarebbe forse più corretto pensare che depositari del collettivo siano le frazioni biologiche non specializzate dei vari insiemi sinaptici articolati. Queste ubbidiscono direttamente alle esigenze di sopravvivenza. Insieme con le strutture mentali più evolute, formano l’intero collettivo al quale ho accennato. Esso è divisibile in collettivo indifferenziato e in collettivo organizzato, mediato da organizzazioni mentali che lo rendono compatibile con la vita sociale e la cultura. Quest’ultime sono composte di strutture più articolate rispetto al collettivo indifferenziato (ricorda il preconscio di Freud). Il collettivo indifferenziato, portavoce della biologia, opera in tutti con tre funzioni prevalenti: mantiene la vita, organizza la morte, provvede alla riproduzione. Ogni collettivo organizzato che è filiazione modificata del collettivo indifferenziato, cerca di rendere compatibile la vita con l’ambiente, mentre forma strutture che costituiscono raggruppamenti umani anch’essi connessi e mediati all’ambiente. Come ho detto, queste sono egualmente soggetti al collettivo primitivo che li sostiene mentre ne sorregge la vita. Sono mediazioni che permettono l’esistenza sociale, formata da gruppi e organizzazioni diverse, dalla famiglia alla nazione, alle organizzazioni internazionali, che permettono collaborazioni più ampie. Sono variamente appoggiate e difese da leggi, istituzioni, costumi e consuetudini. Si integrano nella cosiddetta cultura, anch’essa inevitabilmente collettiva. Tali organizzazioni collettive formano un baluardo contro la morte. Cercano di proteggere la vita aggregando i singoli e fornendo loro maggiore possibilità di sostentamento e di difesa. Sono largamente mescolate e insieme sostenute dal collettivo primitivo, del quale devono “copiare” ed adattare per se stesse l’organizzazione di struttura per poter sopravvivere mentre affrontano i rischi dell’ambiente. Gli stessi meccanismi funzionano nell’uomo singolo, anch’egli dominato dal collettivo indifferenziato primitivo, ma riorganizzato e controllato da strutture mentali “superiori”. 3) Ritengo che il collettivo primitivo, presente in ciascuno, permetta la comunicazione inconscia tra gli uomini e crei strutture operative che si aggregano con l’appoggio delle frazioni mentali più organizzate. Queste ultime possiedono ideologie, finalità comuni, i cosiddetti valori, leggi, esigenze. Senza il potere del collettivo primitivo, della biologia mentalizzata quindi, non sarebbe possibile alcuna aggregazione umana che non può essere che biologica, anche se mentalmente rappresentabile. Non sarebbero altrimenti possibili le unioni sessuali, le amicizie, le intese, i gruppi. I collettivi inconsci si chiamano tra le menti, si rispondono e operano insieme; si scontrano anche, trascinati da somiglianze e rivalità. Il singolo tenta di mantenere la propria vita al meglio possibile. Cerca di prolungarla rimanendo in buona salute e procurandosi mezzi di sussistenza. Vuole compagnia, perché la sopravvivenza richiede scambi metabolici mentali oltre che fisici. Cerca sessualità e, a tratti, condivide la necessità collettiva della riproduzione. Le organizzazioni collettive primitive interiori hanno le medesime finalità di vita. Si preoccupano di aiutare il singolo nelle sue esigenze soltanto se compatibili con le loro. Lo puniscono altrimenti, se ne hanno il potere, quando tenta di evaderle e metterle in crisi. Il collettivo primitivo, portavoce della biologia, sostiene l’uomo, gli dà vita, riproduzione - anche morte. Il singolo collabora o si oppone come può. Lo evade finché gli è permesso. Cerca così di difendere la propria esistenza e di proteggersi dalla morte. Il singolo e le organizzazioni collettive sono, come ho detto, soggette al collettivo indifferenziato presente nella biologia. Questi, se sente ostacoli al suo equilibrio, oppure percepisce una crisi della sua organizzazione, non si contenta di amministrare le morti abituali, ricorre ai grandi stermini: guerre, epidemie, rivoluzioni, massacri, distruzioni. I singoli e i collettivi organizzati vi si oppongono solo in parte. Il grande collettivo annebbia, addormenta le menti, le adopera ai propri fini. Le esigenze biologiche collettive di base, tra cui lo sfoltimento delle popolazioni, prendono prevalenza e regolano l’esistenza generale. Gli uomini, resi passivi, vanno in guerra per farsi uccidere e uccidere, ci vanno persino cantando. Le religioni diventano ideologie di morte, il potere mezzo di distruzione. Il collettivo indifferenziato è sempre attivo e presente anche di là di situazioni d’emergenza. In tutti i nostri atti, pensieri ed emozioni, la sua pressione, quella della biologia, spinge a vivere o a morire. Se riusciamo ad accorgercene, vediamo che ciascun comportamento umano è sostenuto dalla ricerca della vita, dal cedimento alla morte, oppure dalla sessualità, che spesso, come la morte, è solamente mentale. 4) Le organizzazioni collettive, atte a proteggerci dal collettivo primitivo, non possono sempre padroneggiare la morte dentro di sé. Tentano di liberarsene, scagliandola verso altre organizzazioni esterne: il nemico. Non sempre vi riescono, devono adoperarla anche contro uno o più membri della propria struttura (le purghe staliniane, ad esempio). In questi casi il collettivo primitivo prevalente può disporre una vera decimazione, che non sempre giunge fino a morti biologiche. Si hanno emarginazioni, condanne, licenziamenti, dimissioni. Le organizzazioni collettive in tali casi appaiono sommerse da quelle primitive. I risultati sono scissioni, odi, fratture, guerre. Per le sue azioni mortifere il collettivo adopera le specie diverse che si affrontano, si divorano vicendevolmente, talvolta si integrano. Adopera gli esseri umani che pone gli uni di fronte agli altri. Le lotte tra uomini, le sopraffazioni, il cannibalismo come dice Lusetti, sono continui e comuni. Sono tentativi di non far parte degli emarginati o “decimandi”. Sono omicidi talvolta inapparenti, parziali, non sempre attenuati dalle organizzazioni collettive e dalle strutture superiori dell’individuo. Molti comportamenti collettivi non cruenti, persino quelli sportivi, si alimentano dal collettivo primitivo che li spinge verso soluzioni genericamente omicide, seppure arginate dai livelli più organizzati. Le altre specie adoperano molto meno dell’uomo l’omicidio tra i propri membri. Ciò è perché l’uomo è l’unico animale che conosce la morte futura, anche se la nega. Sa anche, nebbiosamente, d’essere soggetto a decimazione. Meglio che quel destino tocchi ad altri! In sintesi: I)L’essere umano è un animale biologico. II) La sua biologia sostiene ed è insieme sostenuta da una struttura mentale inconscia che la rappresenta e la correla con l’ambiente, mentre ne esegue le richieste III) Tale struttura è pressoché eguale per tutti, così com’è la vita biologica. IV) Il collettivo è tale struttura. E’ dentro di noi. Lo chiamo collettivo indifferenziato o primitivo. La vita seguendo sue necessità, tende ad unificare gli esseri singoli (li rende un organismo quasi unico) per associarli verso la medesima finalità. Forma anche un collettivo esterno simile, che ripete, modificato dall’ambiente, il collettivo interno. I suoi membri finiscono con operare insieme, anche se non ne conoscono lo scopo, ma combattono tra loro per non essere tra gli esclusi. V) Le finalità del Collettivo indifferenziato sono: 1) Mantenere la vita in generale. 2) Adoperare per tale scopo anche la morte dei singoli. 3) Perpetuarsi con la riproduzione della specie. Nell’interno del collettivo la lotta per la sopravivenza è continua. In esso ogni frazione da e riceve morte e vita cercando di non essere eliminata. VI) Il collettivo esterno è controllato da livelli mentali superiori. Questi creano strutture organizzate che mediano la supremazia di quelle primitive nei confronti dell’ambiente e del singolo. Permettono il formarsi di gruppi umani di varie estensioni. Creano leggi, costumi, rituali, consuetudini. Sono relativamente autonomi e nondimeno soggetti al potere di quel collettivo indifferenziato, biologico, capace di prendere il sopravvento. VII) Dal collettivo emerge, se vi riesce, la struttura del singolo che cerca di difendere la propria vita. VIII) Collettivo è dunque l’insieme dell’esistenza biologica, quindi anche mentale. Nella sua struttura più profonda è eguale per tutti. Ha la funzione di mantenere la vita in generale, e in particolare la specie. Il mistero del collettivo stimola ad altre indagini. Ci tiene in vita, presiede la nostra biologia, distribuisce vita e morte. Esprime il corpo nelle sue derivazioni mentali. Il collettivo regge ogni società ed associazione, s’integra o si oppone al serrato intreccio di leggi, costumi, convenzioni e ruoli, corrispondenti a necessità organizzative atte a far funzionare i gruppi. Dipendono anch’essi dal grande collettivo che li adopera per sopravvivere, come fa il corpo coi suoi organi. Simili a cellule staminali, diventiamo transitoriamente ciò che serve. Alcune nostre potenzialità, già adoperate collettivamente, possono però emergere per differenziarci e renderci individui. 1) Dicono religiosi di varie confessioni che il nostro destino si decide per volontà divina. Secondo alcune impostazioni, tra cui quella cristiana, il singolo sarebbe anche capace d’autodeterminazione. Questa affermazione sembra contraddittoria, in altro modo è invece accettabile. Tutti dipendiamo dal collettivo (lo chiamiamo Dio); quando però riusciamo ad avere percezione di noi come di un essere singolo conosciamo i confini e la morte. Troviamo la possibilità di difenderci appoggiandoci a difese prelevate dal collettivo, che forse useremo anche contro di esso. A quel punto esistiamo, perché percepiamo e reagiamo nei nostri confini corporei e mentali. Il rapporto tra vita collettiva ed esistenza individuale tende al conflitto, ma necessita anche di accordo. L’una non può fare a meno dell’altra. Il cosiddetto destino è il potere del collettivo che adopera gli esseri singoli come frazioni sostituibili. A questi assegna compiti variamente determinati, utili alla sua sopravivenza. Possono divenire rigidi e immutabili, quando al termine del loro sviluppo il collettivo li inserisce nella sua organizzazione. A tale imposizione il singolo si può opporre con reazioni relativamente autonome. Ogni cellula, aggredita, reagisce nello stesso modo. Il collettivo tuttavia non permette reazioni che ostacolano i suoi fini. Le differenti entità che lo compongono possono paragonarsi agli organi di un vivente o alle sue cellule che hanno necessità di coordinarsi tra loro. Ogni cellula mantiene il suo ruolo. Dovrà morire ed essere sostituita da un’altra, simile alla precedente e con la medesima funzione. I ruoli che formano il collettivo sono perpetui, i singoli che li ricoprono sono precari. Sono consentono talvolta alle cellule alcune variazioni di ruolo, se giovano all’equilibrio del corpo. Sono egualmente possibili agli esseri umani quando non turbano il collettivo. 2) I ruoli necessari alla vita rimangono in genere, fissi per l’equilibrio collettivo, anche se mutano formalmente, come sembra dire la storia dell’uomo. Alcune funzioni hanno preminenze strutturali e psicologiche, ciascuna al proprio livello, e si mantengono. Capi e gregari, ad esempio, sono e saranno sempre necessari, ma saranno sostituiti: i compiti e i funzionamenti richiesti dal collettivo necessariamente permangono. Per oscurarne i ruoli se ne cambia talvolta il nome il nome: così, le cameriere sono collaboratrici domestiche, gli spazzini operatori ecologici, il primario medico dirigente di prima categoria. Il collettivo non è intelligente, si muove con meccanismi biochimici e biofisici collaudati dalla necessità della sopravvivenza, così come fa ogni corpo vivente. Sbaglia spesso ma se è posto a rischio mette in atto sistemi correttivi. Il meccanismo di autoriduzione dei viventi agisce di continuo. E’ un correttivo fisiologico automatico. Guerre ed epidemie sono operazioni riparative, sfortunatamente distruttive per i singoli che le subiscono ignari. Corregge anche gli eccessi demografici, incompatibili con le possibilità minime di sopravvivenza fornite dalle risorse ambientali. E’ un meccanismo che opera anche quando non occorre ridurre la popolazione. Come qualsiasi apparato o essere vivente il collettivo ingannarsi. I suoi sensori non risultano sempre adeguati. I meccanismi riduttivi della popolazione scattano, come ho detto, in ogni caso. Guerre e stermini sono avvenuti, e avvengono, anche quando la popolazione scarseggia rispetto alle risorse offerte dal territorio. Il meccanismo è sempre il medesimo. Si direbbe che il collettivo non tolleri modifiche eccessive alla struttura già stabilizzata. Come un organo corporeo, cerca di rimanere eguale a se stesso. Un certo spreco da parte della natura sembra necessario alla permanenza della vita in generale. E’ un uso “vitale” della morte. In ogni eiaculazione 25 milioni di spermatozoi periscono perché uno solo incontri l’ovulo femminile, se gli va bene. 3) E’ vero, la popolazione mondiale continua ad aumentare. Sono insieme enormemente cresciute anche le sue capacità produttive. Il rapporto tra popolazione e risorse sembra uno degli indici tenuti in debito conto dal collettivo. Non è l’unico; il meccanismo di riduzione automatica è sempre in atto, come quello “ecologico” della distruzione tra specie diverse. Ricordo che collettivo esterno e interno comunicano e collaborano di continuo. Nei paesi sottosviluppati la mortalità generale, specie infantile, è altissima, come l’eccesso di natalità. Nel nostro occidente, già minacciosamente sovrappopolato, l’ultima guerra “opportunamente” ha falcidiato decine di milioni di persone. Oggi si ovvia a questo problema con la riduzione delle nascite, gli aborti, le emarginazioni, le nuove e vecchie malattie, le cosiddette perversioni sessuali. Tutto ciò si bilancia con l’afflusso di nuove ondate di immigranti. 4) E’ difficile definire cosa significa essere costretti in un ruolo e quale compito assegni il collettivo. Alcune scelte sembrano determinate da necessità d’equilibrio, anche per piccoli collettivi o gruppi, per esempio familiari. Una famiglia potrebbe aver bisogno di un figlio intelligente e di un altro emarginato o solitario. Ancora: isolato, sciupone, avaro, psicotico, geniale. Il collettivo deve esprimere i suoi bisogni per poter vivere. Il gruppo per funzionare assegna compiti diversi e correlati, anche se con compensazioni varie. La famiglia in quanto cellula del collettivo, è un suo organo, come ogni singolo che lo compone. I compiti assegnati in famiglia sono perlopiù coazioni dovute a pressioni del collettivo più grande. Questo prepara talvolta elementi con caratteristiche che potranno servire quando se ne presenterà la necessità. In famiglie della Germania nazista venivano allevati futuri eroi, che si sarebbero sacrificati in guerra. Famiglie e figli insieme erano vittime dal più grande collettivo. Oggi qualcosa di simile avviene in alcune famiglie islamiche. Il grande collettivo determina e infine approva scelte apparenti del collettivo più piccolo, le ripropone e le rafforza se accrescono la sua stabilità. Le altera tentando di rimediare, se lo mettono in crisi. Il gruppo piccolo, la famiglia, pur obbedendo alle necessità collettive, può modificarle nel proprio interesse. La famiglia è un punto d’emersione e controllo indispensabile per il grande collettivo, come le organizzazioni e i gruppi ristretti. Ha una frazione di vita propria. Una volta cessato il suo potere autonomo, il singolo e la famiglia possono cadere in balia del collettivo più vasto, con effetti distruttivi. Un livello organizzativo di quello che chiamo collettivo è l'insieme di regole, leggi, costumi che strutturano la vita sociale di un gruppo o di più raggruppamenti umani. Sono complicazioni necessarie per permettere l’esistenza biologica e mentale ed intervengono persino nel gioco dell’amore che investe l’intero collettivo Vanno dal piccolo nucleo familiare fino alla nazione o addirittura l'intera popolazione del globo. E’ collettivo anche l’insieme degli aspetti operativi e di costume socialmente assimilati da interessi comuni, abitudini e credenze condivise. Sono sistemi riconosciuti dai membri che ne fanno parte, ma possono essere avversati perché sentiti coercitivi. Tale collettivo associativo non potrebbe esistere se non fosse specchio dell’organizzazione collettiva innata in ciascuno di noi. Un livello di condivisione reciproca è necessario perché permette l'organizzazione della convivenza sociale, che sarebbe altrimenti vincolata soltanto ad un collettivo primitivo e indifferenziato, lo stesso che profondamente ci unisce tutti, perché asservito alla necessità della sopravvivenza e della riproduzione. Ricordo che quanto accade nelle nostre frazioni biologiche può essere rintracciato anche nelle organizzazioni collettive. Voglio dire che così come ogni cellula è la componente di base ma sostituibile dei tessuti e dell’intero organismo, il singolo vivente è la frazione essenziale, anch’essa sostituibile, di ogni funzionamento collettivo organizzato. I meccanismi che regolano la nostra biologia si ripetono in quelli che regolano il collettivo, con le varianti legate alle differenti esigenze e necessità. 5) Sappiamo che espressioni o creazioni mentali originali possono essere assorbite dal collettivo che si premura di trasformarle e incasellarle, quando non le elimina. La potenzialità della mente può sviluppare nuove maniere di essere, richieste da collettivo. Saranno progressivamente inserite in caselle per divenirne una sua funzione. Idee nuove, creative, possono subire lo stesso destino: movimenti, scoperte già rivoluzionarie divengono ordinanze collettive. Così è stato per il marxismo, per la psicoanalisi, per le religioni. Accade anche che un essere vivente, nato da mobilitazioni sessuali o affettive, possa divenire un pericolo per la società o addirittura per chi lo ha generato. Un figlio non voluto, seppure "figlio dell’amore", può contrastare le possibilità d’adattamento alla vita dei genitori. Questi forse lo avrebbero abortito, ma l'esigenza della specie, le circostanze sociali, principi morali e conflitti affettivi ne hanno impedito la soppressione. Il suo destino sarà probabilmente un misto di stimoli collettivi distruttivi e di reazioni vitali personali tentate per sopravvivere. Potrà cercare strade nuove per sfuggire alla logica collettiva, alla soppressione radicata in sé. Che accadrà ad una simile persona? Sarà infelice, si sentirà respinto o forse troppo amato anche se reattivamente? Si vivrà diverso, escluso, in sovrappiù? Sarà combattuto tra bisogno d'amore e paura di essere ucciso. Rimarrà probabilmente scisso tra respingimenti e desideri, tra esclusione e affermazione. Questo è un esempio di “destino” le cui cause rimarranno sfuggenti, mentre il collettivo saprà usarle per sua convenienza. Molte strutture non riconoscibili coscientemente sono adoperate così: inserite in organizzazioni collettive e in rapporti interpersonali adeguati. Il collettivo potrà sommergere resistenze e residui d'individualità. Potrà ghermire e riprendersi la parte collettiva di ciascuno, specie quando la morte chiede i suoi diritti e la decimazione appare necessaria. Per esempio, torno a dirlo, nelle guerre. La patria chiama in tali casi, oppure un qualche Dio chiede la guerra santa. Il rapporto tra livelli percepibili (pensiero, emozioni, comportamenti) e altri profondi (richieste biologiche, collettivo) figura poco comprensibile. Ci muoviamo apparentemente spinti dai primi, ma c’illudiamo. Spesso agiamo per pressioni che non identifichiamo: ci dispongono verso amore, omicidio, sopraffazione. Verso la vita o verso la morte. Bisogna tener presente che in tutti i nostri comportamenti, una frazione è opera del collettivo o ne è utilizzata. (Si veda il capitolo sul “Doppio”). 6) L’euforia per la guerra che coinvolge singoli e gruppi scaturisce dalla sensazione di poter vincere la morte con avallo del collettivo (gli dei omerici) e certezza di vittoria. Induce a uccidere altri per sopravvivere alla propria decimazione. Il collettivo delega i suoi membri ad affrontarsi, mentre dà loro speranza di non far parte dei “decimabili”. Ciascuno di noi, pur soggetto alla dittatura del collettivo (ricordiamo la famosa “dittatura del proletariato”), spera di modificare parte del compito assegnato. La mente può conservare anche a lungo capacità evolutive e creative che il resto della biologia ha perso, logorata dalla lotta per la sopravvivenza e dal rapporto con l’ambiente. 7) La mente rimane più attiva del suo corpo, quando non si ammala. Capace di assestamenti progressivi, spesso permane duttile anche quando il resto della persona ha compiuto ogni possibile sviluppo. Rischia tuttavia di ammalarsi mentre cerca di variare il proprio assetto per lottare contro la costrizione e la morte del corpo. L’evoluzione mentale culturale comporta un compromesso nei confronti della morte. Compromesso significa assorbimento e contrasto in commistione parziale. L’attuale apparente aumento delle malattie mentali che accompagna il miglioramento generale della salute corporea dipende in parte da questo. La frazione di morte sottratta al corpo penetra nella mente che ha lottato. Ricordo, in proposito, che la nevrosi è legata ad una situazione di morte parziale, è una tregua al potere della morte. E’ una maniera di rimanere in dormiveglia, reagendo in parte ma legati primitivamente al collettivo, al passato. Si tenta così di soffrire meno e di far riposare le strutture interne, schiacciate dalla pressione del mondo esterno. In vari casi l’ambiente sembra addirittura un disturbo, perché tende a svegliare e costringe ad incontrarlo.] (r) Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti: Prof. Pisani propone di inserire Majore tra i precursori della gruppo analisi, per come ha illustrato magnificamente cosa è un collettivo arcaico. Il collettivo arcaico è un collettivo spontaneo, congenito; è la prima struttura mentale che sorge dalla biologia, come tale ne è espressione. Come nella biologia, le sue finalità sono la difesa della vita e la lotta contro la morte, è la sessualità che dà seguito alla vita ed è il rimedio fondamentale ed arcaico contro la distruttività della stessa morte. E’ d’accordo con Freud sulla pulsione di morte: ricorda che ci si unisce insieme proprio per difendersi dalla morte. Prof. Majore ricorda che i vari gruppi organizzati si difendono dalla morte rimanendo insieme, attaccandosi però a vicenda e tentando così di scaricare altrove la stessa morte. Prof. Pisani ha imparato da Gianfranco Tedeschi che il collettivo arcaico è l’archetipo della grande madre divorante, addirittura l’uroboros che è l’archetipo dell’archetipo della grande madre: il principio iniziale che distrugge e rigenera continuamente il collettivo arcaico. Freud a proposito della psicologia delle masse, sostiene che le stesse si formano per difendersi, e proiettano un io ideale grandioso, narcisistico su un capo, su un’idea, mentre si massificano. Prof. Majore considera che l’io ideale è una scusa per favorire l’aggregazione collettiva. Prof. Pisani conferma che non c’è dubbio che sotto il meccanismo con il quale si sceglie un capo grandioso (immortale), v’è una difesa dalla distruttività della morte : “è lui che ci salva”. Bion valorizzando il concetto di pulsione di morte dice che i gruppi si riuniscono seguendo degli assunti di base: la dipendenza, l’attacco e fuga, l’accoppiamento ecc. Ciò, appunto, per difendersi dalla morte e valorizzare la vita: è proprio questo il meccanismo del collettivo arcaico. Foulkes dice, “bene io organizzo un collettivo arcaico; io sono il grande capo di questo collettivo arcaico, però a partire da questo momento comincio una ritirata progressiva in favore della libera discussione, del dialogo e del processo di individuazione. Sto qui finché serve questa mia funzione, cioè uso la mia autorità non per creare dipendenza, ma ciò per far in modo che gli altri siano indipendenti. Uso la mia autorità proprio per facilitare l’indipendenza”. Il processo di questo tipo è il processo dialogico della discussione libera che ha due versanti: uno è proprio la stessa discussione libera; l’altro, che passa attraverso la discussione libera, è quello di capire le trappole che il nostro inconscio ci riserva a favore della distruttività, della morte. Pisani evidenzia inoltre che il collettivo arcaico ha molti legami con gli approfondimenti forniti da Lusetti, secondo il quale un meccanismo dello stesso collettivo arcaico consiste nel difendersi dalla propria morte con il “mangiare” l’altro; ciò in senso proprio e in quello metaforico “mors tua vita mea”. Majore nel 1968 ha già scritto tutto questo nel suo “Principi di psicoanalisi clinica” dove parla della Gruppoanalisi di Foulkes. Ha descritto magistralmente da dove partiamo, cioè dall’indifferenziato per sviluppare il differenziato e le individualità che non si mangiano a vicenda ma si mettono insieme per uno scambio sociale. Potremmo dire: escono da un narcisismo arcaico, primitivo, orale, divorante, ed entrano in una relazione più genitale, in senso freudiano. Queste sono le nostre idee, quelle del gruppo che Pisani ha creato insieme con la Dr.ssa Meoni, la Dr.ssa Ferrante, il Dr. Surianello alla fine degli anni 80. La vera finalità era quella della libera discussione; al gruppo si sono in seguito aggiunti altri partecipanti tra i quali la Dr.ssa Taborra, la Dr.ssa Franco. Dr. Zipparri pensa che il discorso della Gruppoanalisi non sia in contraddizione con le teorie sul collettivo di Majore. Gli sembra che la Gruppoanalisi si occupi di creare gruppi, di portare le persone ad aggregarsi, quindi è un processo in formazione mentre il collettivo organizzato, di cui parla Majore, è un gruppo che ormai si è già formato; si è in qualche modo strutturato e ha perso le dinamiche originarie. Chiede inoltre in che misura l’esperienza dello psicoanalista Majore con la Società di Psicoanalisi abbia contribuito a creare l’ipotesi del collettivo, quanto questa ipotesi sia legata alla sua vicenda personale e professionale. Prof. Majore presume che la domanda significhi che sembrerebbe evidente che si sentiva soffocato in una società psicoanalitica fatta di un collettivo un po’ opprimente; ne è quindi uscito. Ammette che non poteva condividere certe situazioni. Fu molto traumatizzato da un brutto pasticcio opera di un collega che era uno dei maggiorenti della società stessa. Ciò lo portò a riflettere che una certa psicoanalisi supposta elevata permetteva di fare ben altra cosa un po’ meno elevata. Prof. Pisani osserva che la società psicoanalitica sembra un collettivo massificante perché, tra l’altro, i suoi dogmi alimentano molto la massificazione, cioè il suo collettivo arcaico. Dr.ssa Taborra ricorda l’esperienza di Gianfranco Tedeschi con l’AIPA e la collega all’aspetto massificante della SPI, di cui sta parlando Pisani. Prof. Majore aggiunge che ogni ideologia è sempre collettiva. Ricorda che ogni discorso iniziava sempre con: Freud ha detto. Sembrava come in Russia quando si cominciava con :Lenin ha detto. La società psicoanalitica, non era solo tutto questo. Vari dei suoi membri erano ottimi e seri professionisti, oltre che validi pensatori. Tuttavia anche quella società cedeva a comportamenti primitivi collettivi. Dr.ssa Di Gennaro si collega con quanto detto da Zipparri circa l’ identità tra collettivo e gruppo e la nascita in qualche modo spontanea del collettivo e successivamente del gruppo. Sottolinea un aspetto di fondo: il gruppo può essere terapeutico se ben condotto, il collettivo no. Noi valutiamo i lati positivi e negativi del collettivo, mentre gli individui arrivano nel gruppo con le loro problematiche. Il gruppo se diventa terapeutico modifica e fa accettare le loro problematiche. Prof. Majore il gruppo viene costituito anche per vedere quali sono i suoi funzionamenti e cercare così di intervenire sui problemi dell’individuo. Dr. Lo Turco porta la discussione sul piano del collettivo interno endopsichico e del collettivo esterno che a qualche livello coincidono. Parla di quanto sia positivo che l’analista e forse anche l’analizzando, abbiano la percezione di vivere in una dimensione collettiva e di avere anche un collettivo interno che lo condiziona, anzi spesso agisce nella mente di analista e di analizzando. Tutto questo incide anche a livello psicopatologico. Il collettivo crea una frazione patologia all’interno della mente: ci sono persone completamente in balia delle dinamiche collettive senza capacità di relazioni individuali. Altri pazienti sono continuamente preoccupati di quello che pensa la gente (“che diranno di me”) e sono quasi immobilizzati, incapaci di qualsiasi iniziativa. Al di là delle posizioni di Majore che ha parlato di che cosa sia la nostra vita del collettivo, crede molto importante che da clinici si debba scorgere questo collettivo nella mente delle persone. Chiede quanto sia utile al nostro lavoro che l’analista percepisca il conflitto individuo/collettivo, sempre presente nella mente. Prof. Majore conviene di non aver parlato dell’aspetto patologico del collettivo che crea nevrosi e psicosi.Afferma che il nevrotico ha una sorta di accordo con il collettivo specialmente con la sua parte mortifera che cerca di filtrare e di padroneggiare; lo psicotico invece sta sotto lo stesso: è sommerso non soltanto dal collettivo (che può essere anche organizzativo e producente), ma essenzialmente dalla morte del collettivo. Ne fornisce una sua definizione: il nevrotico tratta con il collettivo e con la morte, lo psicotico ne è completamente sottomesso. Prof. Pisani reputa che tutto ciò, oltre a stimolare il dialogo, sia estremamente importante. Gli sono venute in mente le considerazione di due gruppoanalisti. Denis Braun psicoanalista inglese, che purtroppo non c’è più, il quale ha messo a fuoco la continua correlazione tra il collettivo esterno arcaico e il collettivo interno arcaico e come il relativo processo dialogico, il dialogo esterno che facilita il dialogo interno in un continuo va e viene. Un altro gruppoanalista italiano della Sicilia che si chiamava Salvatore Franco, acutissima mente che purtroppo non c’è più, ne ha data una bellissima immagine. Diceva che le persone esterne corrispondono alle parti di Sè interne, e che queste parti di Sè interne all’inizio sono come un’orchestra che emette dei suoni inarticolati, poi a mano a mano che il processo dialogico va avanti, le parti del Sè rappresentate dagli altri, diventano come una specie di orchestra che suona sempre meglio, compone sinfonie sempre più belle a mano a mano che viene il direttore di orchestra. Il direttore d’orchestra è il nostro Sè, anzi il nostro Me. Dr. Zipparri fa riferimento a “Prova d’orchestra” - il bellissimo film di Fellini sull’orchestra e il suo direttore. Prof. Pisani osserva che vi è rappresentato un gruppo arcaico dove inizialmente gli uni si affrontano con gli altri. Prof. Majore fa presente di non aver sottolineato il rapporto molto importante del collettivo interno con il collettivo esterno. Vediamo infatti che chi possiede un collettivo interno aggressivo e mortifero è molto più sensibile alle variazione negative del collettivo esterno. Ci sono persone che sballano completamente e magari si ammazzano perché hanno ricevono una comunicazione negativa, per esempio una svalutazione, oppure una minaccia di condanna. Come è successo a Gardini che non era neanche stato indagato, ma aveva la paura di poterlo essere: si è ammazzato. Era uomo potentissimo nel quale il collettivo cattivo interno si era associato immediatamente con la minaccia esterna, come è molto frequente. Altre persone più strutturate, più individualizzate non sposano in tal modo l’aggressione esterna con il collettivo interno. In sintesi: collettivo esterno e il collettivo interno si corrispondono; qualche volta corrispondono troppo e l’individuo rimane in balia di ogni imprevisto. Dr.ssa Taborra si congratula per l’ esposizione di questi concetti che sono molto interessanti, ma che la lasciano un po’ pensierosa forse perché di scuola junghiana. Si riferisce al concetto di trascendenza e al come venga collocato in questa ipotesi di lavoro in rapporto con le strutture mentali superiore. Rientra forse sempre nel collettivo interno ma non fuoriesce dallo stesso, non è qualcosa che si veda al di fuori del collettivo. Il termine trascendenza indica qualcosa di concreto o è soltanto speculativo; se esiste dove si colloca in questa ipotesi? Prof. Majore E’ difficile rispondere. Dr. Lo Turco: ha bisogno di capire che cosa sia la trascendenza. Reputa che la spiegazione che chiede la Dr.ssa Taborra, permetterà la risposta di Maiore. Dr.ssa Taborra : trascendenza è qualcosa che è sopra di noi, oltre noi, che va oltre; quindi si chiede se rientra egualmente nel collettivo. Prof. Pisani: comunica che quest’anno ci sarà un seminario che toccherà questi temi tenuto da un fisico nucleare: “Dal caos al cosmos”. Prof. Majore spiega che la difficoltà nel rispondere gli deriva dal fatto che si tratta di una questione semi religiosa.E’ quasi impossibile discutere di religione, di politica e persino di tifo di calcio. La Dr.ssa Sgattoni rileva l’excursus tra l’aspetto trascendente che si può collegare a quello religioso e anche al collettivo perché tutto sommato, il collettivo diventa la parte divinatoria che può decidere la morte o la vita. Prof. Majore riporta una frase di Esenin un poeta russo che dice: “ Mi vergogno di aver creduto in Dio ma mi dispiace di non crederci più”. Dr.sssa Sgattoni evidenzia di aver colto un aspetto funzionale del collettivo, come qualcosa che modifica gli elementi che regola; questo regolatore è un sistema entro cui avviene un processo di appartenenza da una parte, ma anche di lotta per uscirne fuori quando diventa qualche cosa che schiaccia e soffoca. Lo sforzo individuale è di rendersi conto di ciò e permettere che si riformino altri sistemi collettivi; lo stesso individuo che ne è uscito costituisce anche lui un elemento collettivo. E’ un modo di funzionare che ha la capacità di mantenere il circuito vita - morte in continua attività. Prof. Pisani specifica che il collettivo arcaico è assolutamente in opposizione al processo d’individuazione, come Majore ha meravigliosamente detto, è la negazione del processo di affermazione delle proprie personali identità. Dr.ssa Sgattoni pensa che se non si impatta e non si percepisce qualcosa che può distruggere, non c’ è la molla che fa reagire e attivi un processo che poi permette di selezionare e di far emergere parti sempre più articolate sia sul piano individuale che su quello del collettivo. Si passa da una parte arcaica a qualcosa sempre più articolato che ha dentro di se anche la parte arcaica. Prof. Pisani Jung direbbe che il processo di individuazione implica l’integrazione di tutte le parti a cominciare da quelle collettive a quelle individuali, le parti inconsce, le integrazioni del Sè. Dr.ssa Taborra aggiunge che la parte ombra è la parte mortifera. Dr.ssa Meoni: propone una riflessione da un punto di vista terminologico, perché le sfugge il significato di arcaico. Cioè se arcaico corrisponde a primario, inconscio, oppure primitivo, poco evoluto ecc. Prof. Majore non crede che sia qualcosa di primitivo, è di base: biologico. Dr.ssa Meoni: chiede se “Arcaico” perché è inconsapevole o perché viene prima di tutto? Prof. Majore: chiarisce di non aver detto arcaico, ma indifferenziato, primitivo. Dr.ssa Meoni sottolinea che se si parte dal concetto fisico di materia biologica significa indifferenziato, come la cellula prima che si divida. Dr. Lusetti: visto che il collettivo è la vita, si stava chiedendo se paradossalmente un modo per differenziarsi dal collettivo non possa essere da parte dell’individuo, quello di rivendicarlo, di farlo proprio e agirlo. Cita il bellissimo film “Gran Torino”, lo ha colpito molto perché rappresenta in forma plastica l’intreccio pressoché inestricabile che c’è tra l’individuo e il collettivo. Un punto del film molto interessante è quando il protagonista dialoga con il giovane sacerdote che lo vuole redimere su mandato della moglie morta, questa lo aveva incaricato di convincerlo a confessarsi. Dopo tante resistenze il giovane sacerdote ottiene una qualche confessione, qualche confidenza da parte dell’eroe del film. Questo vecchio misantropo, che vive da solo in un quartiere di periferia ex operaio della Ford, ad un certo punto gli racconta le vicissitudini della guerra in Corea, gli fa intendere di atrocità che ha compiuto in guerra. Il sacerdote pensando di aver capito gli dice: certo capisco le cose atroci che ha dovuto fare perché gli era stato ordinato. Lui risponde: no padre, il problema non è quello che mi era stato ordinato, il problema è quello che non mi è stato ordinato ed io ho fatto lo stesso. Il punto interessante non è che potrebbe essere semplicemente un differenziarsi dal collettivo prendendone consapevolezza; il punto interessante è lo svolgimento del film, è il finale del film perché alla fine lui agisce il collettivo e si sacrifica per il collettivo stesso. Sembra trovare così una via di uscita individuale, vitale proprio agendo il collettivo; identificandosi con il collettivo e sfruttando la vita del collettivo si fa ammazzare. Vuole sapere cosa ne pensa Majore Prof.Majore: conferma che si agisce spesso il collettivo credendo di fare qualcosa di individuale. Porta l’esempio delle Brigate Rosse che si sono lanciate contro il collettivo, mentre il collettivo erano proprio loro. Dr. Lusetti: valuta quella del protagonista del film come una azione vitale che compie perché sa che è malato: andare incontro alla morte e farla diventare un fatto volontario, un sacrificio, manifesta vitalità rispetto a subirla in termine passivi; in quel momento v’è anche però identificazione con il collettivo. Dr.ssa Ferrante fa presente di essere venuta con un’idea personale circa la connotazione positiva del collettivo. Sebbene ci sia discontinuità, tutti andiamo avanti e continuiamo ad esistere proprio in virtù della positività del collettivo. Pensava all’adattamento dell’uomo all’ambiente. Forse perché laureata in archeologia, è un po’ infarcita di questi processi evolutivi che hanno richiesto adattamento, sacrificio, abnegazione per cui siamo arrivati alla civiltà attuale. Pensava a quanto il collettivo richieda una visione, una compartecipazione. Majore ha parlato anche di chi è costretto ad entrare in un collettivo perché forzato; secondo lei, se c’è la costrizione viene meno il significato della parola perché in quella testa c’è l’idea di collaborazione di tutti: la parte mortifera viene esclusa, viene eliminata altrimenti la collettività non può esistere. Questa sera si è puntato di più sugli aspetti negativi, mortiferi che non su quelli con i quali lei connota la collettività Prof. Majore sottolinea che anche il collega (Lusetti) ha appena detto che il collettivo è la vita e non ce l’ha contro la vita. La vita che scorre collettivamente è una cosa, la nostra capacità di affrontarla in termini individuali è un’altra. Stiamo dicendo che l’individuo cerca di emergere dal collettivo, non che il collettivo sia la morte, sia il peggio. Il collettivo è tutto. Prof. Pisani: associa il profondo fondamento biologico del collettivo, di cui ha parlato Majore, con la storia della massa primordiale prima del Bing Bang , parlando di trascendenza. La massa primordiale è prima del Bing Bang, perché dopo il Bing Bang una miriade di particelle si sono diffuse nell’universo e lavorano in sintonia: c’è un’armonia. Non è più un collettivo primitivo materialmente e biologicamente indifferenziato. Prof. Majore fa presente che l’ultimo capitolo del suo ultimo libro “Il corpo, la mente e la speranza” parla del tempo e anche del Big Bang.
Note di redazione: (r) dialogo nel dibattito a seguire la registrazione vocale degli interventi dei partecipanti rivista dal relatore Prof. Ignazio Majore Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com |
|
|