Subject: [PM-SMC] Attentati e traumi...
Anche per calmare l'ansia ed il disagio che ieri mi giravano dentro - come
immagino anche ad altri - mi sono buttato su una difensivissima
intellettualizzazione, ed ho messo giù dei pensieri sugli aspetti
traumatologici di quanto è successo...
Le conseguenze psicotraumatologiche dei drammatici attentati di oggi negli
USA saranno con ogni probabilita' enormi, sia a livello individuale per i
sopravvissuti e le vittime secondarie (alcune centinaia di migliaia di
amici e parenti delle vittime), sia a livello collettivo per l'intera nazione.
I riverberi di questa massiva traumatizzazione collettiva rischiano anche
di riflettersi in maniera pervasiva sulle scelte strategiche che i vertici
americani dovranno intraprendere nei prossimi giorni e nelle prossime
settimane.
La traumatizzazione a livello collettivo, negli USA, e' enormemente
incrementata dall'attacco diretto e consapevole, e soprattutto "riuscito e
devastante", sui simboli del potere e dell'Identita' Americana, tante volte
drammatizzato ed esorcizzato in film e romanzi, ma mai concretizzatosi fino
ad oggi. Si puo' anzi pensare che il continuo tentativo di tenere
simbolicamente lontana quella paura, tramite la sua ripetuta
rappresentazione drammatica, adesso possa produrre un effetto di ricaduta
molto amplificato.
In generale, e' assodato che gli effetti traumatici di un evento violento
sono molto piu' significativi laddove un attacco venga esercitato contro
gli aspetti simbolici di un'identita': in questo caso, l'attacco contro il
Pentagono (simbolo della forza militare, e quindi della capacita' stessa
del Paese di difendersi e tutelarsi contro le minacce esterne), le Twin
Towers del World Trade Center (simbolo, gia' attaccato nel 1993, del potere
economico), l'evacuazione della Casa Bianca (simbolo di rilevanza quasi
"mitologica", sede del potere esecutivo; antropologicamente, una "Casa del
Capo" che viene "svuotata" ed abbandonata per la paura).
L'improvvisa scoperta dell'estrema vulnerabilita' "dell'Isola Sicura"; il
numero delle vittime, talmente elevato da eccedere qualunque forma di
ancoraggio cognitivo per gli eventi violenti della sua stessa categoria (il
"terrorismo"), e probabilmente paragonabile solo ad azioni di guerra come
il bombardamento di Dresda o perfino il lancio dell'atomica su Nagasaki; le
modalita' atroci dell'attacco (la ferocia psicopatica e lucidissima che
porta al dirottamento in contemporanea di diversi aerei civili di linea
carichi di passeggeri, ed il loro utilizzo come armi di distruzione di
massa); l'imprevedibilita' degli attacchi successivi, costruiti secondo una
precisa "timetable del terrore" che ha esasperato l'incertezza e la paura;
la palese organizzazione ad alto livello e di alta precisione che sta
dietro gli attacchi; l'altrettanto palese incapacita' dei potenti servizi
di sicurezza americani di prevederli e prevenirli sono tutti elementi che,
fondendosi insieme, rendono acutissimo il senso di sconcerto per la
popolazione americana, e fortissime le sue ricadute emotive e psicologiche.
Per riprendersi da tale confusione e panico, una delle poche strade
percorribili e' quella di una risposta di grande energia, tale da
rassicurare "l'Aquila" americana della sua forza.
Psicologicamente, e' necessario, per ridurre gli effetti di impatto
traumatico sulla collettivita' statunitense, che i vertici statunitensi
mantengano un sangue freddo ed una capacita' di guida non obnubilata dalla
confusione collettiva, dando un senso di "agency" ed efficacia nella
risposta strategica.
Se non verra' operata una elaborazione di forza e "guidance" collettiva,
tutto il "trauma inespresso" potra' ripercuotersi e "percolare"
pericolosamente anche sul livello delle scelte politiche, pervadendolo di
ombre ed angoscie distruttive.
Diecimila vittime e la distruzione dei simboli del potere nazionale sono
una ferita atroce; quasi inelaborabile, in prima battuta.
Sara' rimarginabile, anche a livello delle singole persone coinvolte, solo
se gli americani "sentiranno" collettivamente di non aver perso il senso
psicologico del "controllo della situazione". Questo permettera' loro, nel
lungo termine, di reinserire l'evento in una narrativa coerente e
sufficientemente "positiva" (o quanto meno non del tutto distruttiva od
incoerente), riducendo di conseguenza la traumatizzazione collettiva.
Peggio di un "cattivo senso" c'e' forse solo l'assoluta mancanza di un
Senso, di un significato coerente degli eventi.
Se invece i terroristi saranno riusciti a veicolare un forte senso di
impotenza o di "inefficacia dell'azione" agli americani, gli effetti
post-traumatici a livello collettivo saranno gravissimi e di difficile
cicatrizzazione. Le vittime ed i sopravvissuti dovranno essere aiutati a
ricostruire una narrativa di quello che gli e' successo; e questa narrativa
dovra' essere in gran parte ricostruita anche in base a quelli che saranno
gli avvenimenti collettivi (la risposta strategica, il "Senso" storico che
verra' costruito intorno all'evento, la sua cornice di significato e
comprensibilita'). Anche per molti paesi occidentali il trauma collettivo
sara' (e') forte: "Papa' si e' fatto male", e non e' stato nemmeno capace
di difendersi.
Gli interventi clinici attuati ad Oklahoma City dopo l'attentato del 1995,
per supportare le vittime ed i sopravvissuti, dovranno essere ripetuti su
scala molto, molto, maggiore, cosi' come su scala enormemente maggiore
dovra' riavvenire la "ricostruzione narrativa" della ferita emotiva
collettiva. Una narrazione che in questo caso sfiora la portata degli
"eventi storici": le vittime sono state coinvolte in quello che sara'
ricordato in futuro come un evento di portata storica, da "libro di testo",
e parte del loro benessere psicologico, anche individuale, dipendera' dalla
risoluzione ed elaborazione "collettiva" di quello che e' successo oggi.
A livello operativo, il FEMA, l'agenzia federale statunitense di Protezione
Civile, sara' in grado di gestire con l'efficacia necessaria l'immane opera
di soccorso ? Sarà in grado di sostenere lo sforzo organizzativo atto ad
assicurare un livello decente di assistenza socio-sanitaria e di supporto
psicologico alle persone coinvolte, ed ai loro parenti ?
Un altro problema e' se i professionisti della salute mentale americani
esperti di patologie post-traumatiche siano numericamente sufficienti per
assistere tutte le persone coinvolte, direttamente od indirettamente
(decine di migliaia di esseri umani). Probabilmente no, e questo conduce ad
un rischio ulteriore per il benessere dei sopravvissuti: quello che sul
luogo inizino ad operare senza controllo centinaia o migliaia di
autoproclamati "Disaster Counselor", come spesso purtroppo succede negli
Stati Uniti, in occasione di disastri anche di dimensioni molto minori.
Massima solidarieta' ai colleghi impegnati in un tale, impressionante,
compito di sostegno ed intervento.
Speriamo bene.
Luca Pezzullo
Editorial Staff Member of Psychomedia Telematic Review