Linserimento dei nuovi pazienti: alleanza terapeutica, protocolli di prima accoglienza e problemi di ricerca clinica P. Ambrosi
Il mio intervento riguarda la prima fase dell'inserimento del paziente in un progetto terapeutico-riabilitativo residenziale: quella che inizia con la formulazione della richiesta del servizio committente e si conclude con l'ammissione del paziente nel Centro. I termini alleanza terapeutica e protocollo di prima accoglienza si riferiscono perciò principalmente alla relazione tra il Centro e il servizio committente: va da sé che l'alleanza e i protocolli di accoglienza, stabiliti tra le istituzioni, sono la premessa indispensabile perché si istituisca successivamente l'alleanza terapeutica tra il Centro e l'utente e si possano formulare protocolli di prima accoglienza del paziente nel centro residenziale.
Per quanto concerne la ricerca clinica, la riflessione sulle procedure di accoglienza si inserisce in un progetto di ricerca avviato da qualche anno, su iniziativa del dr. Foresti, presso il nostro Centro di S. Colombano, denominato VIRI (Verifica Impiego Risorse Istituzionali). Secondo le nostre intenzioni, questo progetto si configura come una ricerca sui servizi clinici. La ricerca sui servizi clinici, secondo il Rapporto del NIMH del 1991, si occupa dell'efficacia degli interventi clinici nei contesti comunitari: "La ricerca sui servizi clinici inizia là dove la ricerca clinica stessa si ferma. Essa si occupa dell'applicazione della conoscenza clinica, ottenuta in un ambiente di ricerca controllato, all'ambiente più ampio e relativamente incontrollato in cui vive di fatto il malato mentale. Il suo obiettivo è di migliorare la qualità della cura così che le pratiche cliniche quotidiane, disponibili nei servizi di salute mentale, soddisfino adeguatamente i criteri attuali dello stato dell'arte." Queste sono le domande essenziali: 1) Quanto sono accurate le diagnosi cliniche nella pratica e quanto può essere migliorata l'accuratezza? 2) Quanto un piano di trattamento può essere elaborato al meglio per far fronte ai bisogni individuali di assistenza? 3) Come possono essere coordinati i servizi di terapia e di riabilitazione? 4) Quanto sono efficaci i servizi forniti ad individui affetti da malattia mentale grave? Come si vede, si tratta di domande che interessano tutte il tema dell'accoglienza: questa è subordinata ad una corretta valutazione diagnostica, preliminare alla formulazione del piano di trattamento, che si deve articolare tra terapia e riabilitazione per fornire servizi efficaci a utenti altamente problematici in quanto affetti da malattia mentale grave. E' lecito quindi iniziare a trattare il tema dell'Accoglienza a partire dall'efficacia del trattamento, che rappresenta l'ultimo tempo del processo avviato dall'accoglienza stessa. Per quanto concerne l'efficacia del trattamento terapeutico-riabilitativo residenziale delle malattie mentali gravi e croniche, i risultati delle innumerevoli indagini catamnestiche, di follow-up, su questo tema non sono ovviamente univoci; mi limiterò a riproporre i risultati di un'indagine che mi sembra paradigmatica e attendibile per la vastità, sia del campione studiato sia del periodo di tempo considerato, e per l'autorevolezza e competenza clinica dell'autore: Luc Ciompi. Egli nei primi anni '80 ha condotto una serie di ricerche presso il Servizio di Riabilitazione Psichiatrica di Losanna, organizzato mediante una serie di strutture articolate su due assi: Casa e Lavoro.
Egli afferma che "dall'analisi trasversale dei pazienti ricoverati in Ospedale per più di un anno è emerso che la possibilità di riabilitazione globale favorevole era favorevole in circa la metà dei pazienti." Le tabelle successive riassumono i principali indicatori prognostici emersi dalla ricerca.
Ciompi conclude la serie di ricerche affermando che "è stato sorprendentemente confermato che persino per gli schizofrenici cronici a lungo ospedalizzati le aspettative verso il futuro sono predittori migliori per la riabilitazione, rispetto a qualsiasi altra variabile generale, considerata singolarmente (life events, variabili situazionali e psicopatologiche)". Ma ciò non ha consentito di intervenire in senso favorevole su questo fattore: "...al contrario, si è dimostrato straordinariamente difficile modificare tali aspettative orientate verso il futuro", per cui "...non si è ancora concretizzata la speranza di influire favorevolmente, in questa direzione, sull'esito della riabilitazione stessa". Il fatto è che "...le aspettative verso il futuro sembrano nell'insieme un costrutto altamente complesso, la cui origine e struttura per così dire sotterranee sono conosciute solo parzialmente, nonostante i progressi ottenuti." Emerge chiaramente che, "nel caso di paziente ospedalizzati da tempo, la leva più efficace per intervenire sulle loro aspettative verso il futuro possa trovarsi soprattutto presso le figure più significative del loro ambiente, piuttosto che presso i pazienti stessi"; possiamo aggiungere che, nel caso dei pazienti inviati dai servizi territoriali, spesso privi di un supporto familiare minimamente adeguato, tale leva è nelle mani del servizio e dei suoi operatori e viene messa in gioco nel momento della formulazione del progetto di inserimento residenziale e, quindi, dell'accoglienza nel centro. Da questa ricerca dettagliata di Ciompi emerge il ruolo fondamentale dell'accoglienza - colta soprattutto nel corredo di aspettative che la definisce, sia dei pazienti sia degli operatori - per favorire un'alleanza terapeutica che produca interventi riabilitativi efficaci. L'efficacia terapeutica in psichiatrica si misura generalmente con la dimensione temporale, scandita dalla dialettica continuità/discontinuità, come illustrato dai suoi "infortuni" più frequenti e problematici, sia nella pratica territoriale sia in quella residenziale.
Tutti questi infortuni della presa in carico ruotano intorno al tema della continuità/discontinuità del trattamento; questo tema è inscritto nella contrattualità che presiede all'accoglienza del paziente; la psichiatria, infatti, diversamente da altre discipline mediche, colloca in primo piano la continuità del trattamento, come un elemento scontato della presa in carico iniziale; non si vuole effettuare solo interventi estemporanei in situazioni critiche, prevalentemente volti a tamponare gravi situazioni di sofferenza psico-sociale; l'acquisizione di un bagaglio consistente di conoscenze in ordine alle determinanti biologiche e socio-relazionali della sofferenza psichica ha consentito di rinunciare al contenitore a tempo indeterminato del manicomio, autorizzando il progetto ambizioso di approntare sul territorio strutture assistenziali articolate fra loro e diversificate, in grado di offrire e garantire trattamenti prolungati nel tempo; idealmente la scansione temporale degli interventi dovrebbe essere commisurata alle reali esigenze cliniche e ispirata dalla necessità, comunque motivata, del mantenimento del contatto clinico-terapeutico fino al conseguimento delle sue finalità. Si è indotti a ritenere che il realizzarsi della continuità terapeutica scaturisca quasi "naturalmente" da una sistemazione psicopatologica delle malattie psichiche che ha progressivamente valorizzato il trattamento di lunga durata di pazienti psicotici cronici: l'endogenicità del processo schizofrenico e delle oscillazioni timiche, così come la definizione della corrispondente struttura della personalità in termini di distorsioni e/o di deficit funzionali, implicano un trattamento che di necessità si dispiega su tempi lunghi. Alcuni anni fa abbiamo condotto, con Petrella e Risaro una ricerca sul fenomeno del drop out nel nostro servizio ambulatoriale, riscontrando che si tratta di una modalità molto diffusa di interruzione prematura della presa in carico; analizzando i principali fattori responsabili di questa evenienza clinica, abbiamo notato come in gran parte si possano far risalire alle modalità del primo contatto dell'utente con il servizio, quando si tratta di instaurare una "contrattualità terapeutica condivisa"
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