Daniela Berti e Gilles Tarabout (a cura di) Terra, territorio e società nel mondo indiano in Etnosistemi, anno X, numero 10, 2003 CISU (Centro d'Informazione e Stampa Universitaria) (1) Recensione di Stefano Beggiora
L'interessante lavoro a cura di Berti e Tarabout consiste in una raccolta densa e ricca di contributi sul tema del territorio nel Subcontinente indiano. Come sottolineano i curatori, sovente, nella storia delle scienze umane, anche relativamente a differenti aree geografiche, si è tenuto poco conto della dimensione spaziale dell'agire umano. Sembrerebbe quasi che le diverse discipline siano spesso state più volte a un'analisi della cultura delle popolazioni del mondo in senso verticale, tramite l'esame diretto delle consanguineità e della tradizione intesa come discendente da un lignaggio di pertinenza al gruppo studiato. Eppure il territorio è la matrice orizzontale sulla quale, soprattutto in India, si sviluppa il rapporto osmotico fra le culture; una matrice sensibile che sembra in certa misura conservare il calco dei secoli e delle genti che su di essa transitano. Il suolo, quindi, diventa in senso lato, pur attraverso le molteplici varianti e componenti geomorfologiche, la memoria di un popolo. Ed è proprio l'India, il Subcontinente che potremmo definire multietnico e multiculturale per eccellenza, dalle antichissime tradizioni che pur ancora vivono nell'attualità quotidiana, a offrire agli studiosi della presente raccolta l'occasione di fermarsi e sviluppare una riflessione scientifica secondo una diversa prospettiva. Perché proprio in India sembra tornare costante il concetto di unione fra quei principi che Gérard Toffin ci indica come ius sanguinis e ius loci, come un pensiero unico e persistente di appartenenza alla propria terra. Si estende quindi l'indagine sull'idea di terra come suolo, ma anche di territorio come società attraverso concetti primi come mittI, bhUmi, zamIn, kshetra *(2), che assumono valenze ed importanza differenti a seconda della tradizione presa in esame. Un argomento quindi ampio, se non vastissimo, la cui trattazione, come evidenziano gli stessi autori, ben lungi dall'essere esaustiva, offre tramite la presente raccolta uno spunto di approfondimento. La disposizione dei contributi segue in certa misura un ordine cronologico. Cominciando con la partecipazione di tre sanscritisti, attraverso all'analisi letteraria di alcuni testi antichi della tradizione indiana, si giunge ad un viaggio socio-antropologico che percorre il Subcontinente da nord a sud indagando sugli usi e costumi di differenti comunità dell'India moderna con particolare attenzione ad alcuni gruppi tribali. Secondo Michel Angot, nella battaglia cosmica fra deva ed asura, dei e demoni, si delineano, principalmente nel periodo vedico, caratteristiche di movimento e stanzialità relative ai due gruppi. Come egli segnala, anche nel RAmAyana, per esempio, gli dei si muovono senza sosta; erranti in luoghi aperti si scontrano con la controparte che è ferma, stanziale, quasi arroccata in fortezze cinte da alte mura di pietra. Angot afferma che è proprio la rottura di ciò che è fisso attraverso la dinamicità divina, che rivive nel dinamismo stesso del rituale, a testimoniare una cultura vivace che sopravvive proprio attraverso la sua attitudine feconda a mettersi in relazione con la diversità, con lo spazio e, per esteso, con il macrocosmo. Dai testi e dalle fonti epigrafiche del IV e V secolo analizzate da Gérard Colas nel contributo successivo, emerge un quadro assolutamente diverso, se non opposto. Non solo le divinità appaiono più stanziali, ma esse prendono dimora all'interno del tempio, assumendo le forme specifiche dell'iconografia. La divinità prende quindi possesso della terra in un processo sincretico fra culto, devozione ed autorità temporale e spirituale; processo che inequivocabilmente scaturisce, in diversa misura, un potere sociale ed un diritto politico attraverso lo stesso territorio. L'incipit letterario alla raccolta si conclude col terzo contributo ad opera di Phyllis Granoff, che traccia una sorta di geografia sacra fra vari gruppi e correnti religiose dell'India medievale. Partendo da uno studio e dalla traduzione di fonti buddhiste e testi jaina, l'autrice ipotizza che i frequenti dibattiti su dottrina e rituale fra i diversi gruppi in ambiente monastico rappresenterebbero più che una vera disamina su questioni di metodo, un reale confronto fra tradizioni diverse. Tradizioni che hanno origini geografiche e culturali differenti, in relazione alle quali ogni corrente viveva un senso di appartenenza, così come per il proprio territorio o villaggio d'origine. Un'articolo interessante e particolare per il tema trattato, è lo studio sulla pratica geomantica di Jyotis (3) ad opera di Caterina Guenzi e Sunita Singh. Seppure questa tecnica sia in uso oggi fra gli astrologi di Benares e goda di una certa popolarità, proprio perché per Jyotis si intende una scienza sacra della tradizione 'classica' indiana, non lo definiremmo, come affermano Berti e Tarabout e inoltre riportato nel testo, esclusivamente un contributo di taglio etnologico. Tuttavia è interessante notare come spesso colui che è dedito a questo tipo di conoscenza sia generalmente considerato come astrologo. In altre parole, in questo contesto, si tende a considerare solo parte degli aspetti applicativi e interpretativi della dottrina - come carte natali, oroscopi e così via - mentre l'astrologia indiana è concretamente rivolta ad un'analisi scientifica dell'intero macrocosmo. Come affermano le autrici, effettivamente la competenza professionale dell'astrologo è rivolta tanto verso il cielo quanto verso la terra. Sulla base di una serie di interviste raccolte nella città di Benares, si ricostruisce quindi la tecnica geomantica di indagine e ispezione del suolo. Non solo in relazione all'individuazione di momenti (muhUrta) o luoghi propizi per acquistare un terreno o per edificare una casa, ma nel contributo si riassume la tecnica di esame della qualità e della carica karmica stessa della terra, che influenza ed è a sua volta influenzata dalle genti che vi vivono. Pier Giorgio Solinas, invece, con efficacia evocativa e tramite una narrazione delicata e attenta, ci porta in un villaggio Santal(4) del West Bengal, aprendo uno squarcio sulla vita quotidiana di questa comunità tribale dedita all'agricoltura. Egli ci narra di una contesa fra famiglie schierate in base al lignaggio di appartenenza che spaccò in due il microequilibrio sociale del villaggio di Garra. La frattura porterà ben presto ad una rivalità fra i capi e le figure sacerdotali dei due gruppi, conseguente ad una suddivisione dello spazio sacro del paese e all'influenza - contrapposta e in certa misura sovrapposta - degli stessi sul territorio. Episodi del genere sono frequenti nelle comunità tribali dell'India e generalmente sono tipici di società in cambiamento e sotto forti pressioni di tipo politico e sociale. Le contraddizioni della modernizzazione e delle esigenze di produzione creano spesso attriti in queste comunità che spesso ancora, come ci segnala Solinas, conservano culti antichi di tipo sciamanico. Il nuovo si sovrappone alla tradizione, i moderni del villaggio si scelgono un nuovo sacerdote che proviene addirittura da un'altra casta. E' palese quindi che la religiosità degli abitanti di Garra stia subendo un momento di passaggio, se non di crisi. Verrebbe spontaneo chiedersi se più che un aggiornamento questo costituisca una vera e propria scomparsa della tradizione antica, se gli sciamani santal rimasti siano giunti all'ultima generazione, se infine questo sviluppo fatale degli eventi sia per moltissimi gruppi tribali e castali il risultato di un'omologazione delle minoranze e segni la conseguente perdita dell'identità culturale e religiosa della comunità. L'autore, nel presente contesto, opta altresì per un'interpretazione di tipo sociologico sulla natura di tale fenomeno che, seppure frequente, a causa della sua conflittualità è di per sé un'anomalia. Il tema dei rapporti di consanguineità di un gruppo appartenente a un determinato territorio è approfondito dal contributo di Gérard Toffin che analizza il concetto di ancestralità nei villaggi nevar (5) della valle di Kathmandu. L'identità collettiva trova la sua riconferma ed affermazione attraverso il culto dei defunti operato da particolari associazioni funerarie e attraverso il culto di una divinità locale. La documentazione etnografica di Toffin è, a nostro avviso, molto buona e di estremo interesse e riconferma concetti base, pur nella peculiarità nevar, di molti altri gruppi e tribù del Subcontinente indiano. Tipicamente anzi, osserveremo che il tema di unione fra ancestralità e territorialità si riscontri ovunque sopravvivano elementi di un culto di tipo tribale-sciamanico. Lo sciamanismo in India e nell'Asia Centrale contempla generalmente un universo pluridimensionale fatto effettivamente di territori fisici che fra loro si intersecano lungo quello che fu definito axis mundi. La comunità del villaggio è spesso intesa come la comunità dei vivi assieme a quella dei defunti, o per esteso degli antenati. Il costante rapporto di normalizzazione degli equilibri fra le forze che popolano i diversi piani del macrocosmo sciamanico avviene, oltre che tramite lo stesso sciamano, fondamentalmente attraverso il territorio. L'argomento è molto trattato in antropologia, tuttavia Toffin, pur senza entrarvi propriamente, sottolinea solo alcune delle affinità. Del resto il tema di reciproco nutrimento fra vivi e defunti è ripreso e discusso esaurientemente nell'ottimo contributo di Caroline e Filippo Osella, relativo ai culti funebri di una zona del Kerala. Da una parte i vivi nutrono i defunti attraverso le offerte ed il culto degli antenati, mentre dall'altra gli stessi defunti contribuiscono a rendere fertile il terreno e, di conseguenza, garantiscono un'abbondanza di raccolti per i propri discendenti. Il concetto di fertilità della terra - ed è questo a nostro avviso il nodo centrale della questione - è garantito, dopo la cremazione stessa dei defunti e quindi dopo il disgregamento dei corpi e di quelle che potremmo definire rimanenze prAniche, da una sorta di giacenza sottile, un substrato karmico che è foriero di frutti propizi o nefasti soprattutto per le generazioni future. Ritornando al contesto himalayano, Daniela Berti propone un lavoro circa le giurisdizioni divine e le relative forme di governo in una zona dell'Himachal Pradesh. Il culto della divinità, nel presente caso, assorbe in se stesso una molteplice funzione: politica, sociale, amministrativa, fiscale, addirittura elettorale, oltrechè indubbiamente religiosa. Il territorio stesso, per un insieme di fattori storico-culturali, è inteso - e risulta di fatto - essere proprietà della devI o del devtA locale. I cambiamenti di governo e i diversi assetti delle circoscrizioni territoriali sembrerebbero da sempre dare una spinta dinamica ai culti delle diverse divinità. Sono questi degli dei erranti che, tramite la tradizione della processione dei rath (palanchini), si spostano, riconfermano la propria autorità fra i villaggi e contendono zone d'influenza gravitanti sotto altri culti. Il lavoro è sicuramente interessante e fa luce in maniera esaustiva su uno degli aspetti più singolari di sincretismo fra religiosità e autorità politica dell'India settentrionale. Da questo punto di vista, emerge primaria, proprio come strumento politico, la funzione dei grock, degli oracoli, qui indicati genericamente col termine di medium. A nostro avviso c'è dell'altro, poiché è proprio questa particolare forma di oracolarità il fulcro della religiosità di un paese che effettivamente per tradizione incorpora elementi di buddhismo tibetano, tradizione sciamanica e infine pratiche più propriamente hindU. Frequenti sono i rimandi dell'autrice alla storia del Kinnaur, regione limitrofa a quella presa in esame e forse di maggior interesse, proprio perché di difficile accesso, meno studiata e probabilmente più genuina. Esauriente ed utile alla presente tesi sarebbe stata proprio una disamina degli elaborati e complessi rapporti esistenti in questa zona fra di teg, nak e kim SugA, i cosiddetti devtA dei thAkurai, delle circoscrizioni territoriali, dei villaggi ed infine familiari. Il nostro viaggio attraverso il Subcontinente termina in India del sud con un articolo di Gilles Tarabout che illustra il singolare caso di un conflitto circa il territorio del tempio di Annamanada, fra il regno di Cochin e quello di Travancore. A conclusione della raccolta il contributo di Christiane Brosius approfondisce argomenti di assoluta attualità, prendendo in esame il processo non nuovo, ma tuttora in atto, di rimappatura del corpo stesso della nazione indiana attraverso la propaganda dei movimenti conservatori hindU. Si tratta di un'analisi basata fondamentalmente sulla visione di alcuni film proselitistici, ma anche su di una serie di interviste e pubblicazioni che evidenziano come ideali di nazionalismo e appartenenza socio-religiosa possano essere coesi nella dottrina di uno stato-territorio-nazione. Una nazione che da una parte è sicuramente giovane secondo un'ottica politica internazionale, ma dall'altro, almeno in parte proprio come Madre-India, effettivamente esiste o è esistita nella percezione che la società indiana - in questo caso hindU e non necessariamente politicizzata o conservatrice - ha di sé stessa. Nel complesso osserviamo che la pubblicazione è molto ordinata, curata ed effettivamente si presenta come una monografia. Essa inoltre include, a seconda dei contributi, sezioni fotografiche in bianco e nero, bibliografie tematiche ed estratti di ogni articolo in lingua francese e inglese. Alcune pagine conclusive includono diverse recensioni circa recenti pubblicazioni di tema vario etnografico ed antropologico; e infine vi è inserita una scheda di profilo per ogni autore. In conclusione reputiamo il presente lavoro di un certo interesse, anche se probabilmente uno degli aspetti tecnici più evidenti sia il forte imprinting della scuola francese per la maggior parte dei contributi e dei materiali proposti. Proprio perché il presente lavoro è pubblicato in Italia, fatta eccezione solo di Pier Giorgio Solinas, non avrebbe forse guastato, a nostro avviso, la partecipazione di qualche addetto ai lavori del nostro paese. Il carattere multidisciplinare della raccolta la rende comunque preziosa e versatile per lettori di formazione e interessi diversi, fruibile da specialisti così come da studenti a da chi, per la prima volta, voglia affacciarsi su alcuni aspetti e peculiarità delle tradizioni del Subcontinente indiano. Note: * Per problemi di trascrizione di alcuni caratteri diacritici, le lettere maiuscole, che compaiono in alcune parole codificate, indicano la medesima vocale lunga 1) CISU (Centro d'Informazione e Stampa Universitaria - Via dei Tizi, 7 - 00185 ROMA) 2) Termini sanscriti, in certa misura sinonimi ma con sfumature di significato differenti quali terra, terreno, territorio, campo, intesi in tutte le diverse accezioni a seconda del contesto. 3) Si tratta, in breve, dell'astronomia e dell'astrologia tradizionale indiana. Disciplina a carattere speculativo, vanta le sue origini nella letteratura sacra dell'India ed è considerata - nelle sue varie applicazioni pratiche, come si dimostra nell'articolo - un scienza esatta. 4) Si tratta di uno dei gruppi tribali più numerosi dell'India la cui popolazione è distribuita prevalentemente negli stati del Bihar, West Bengal, Orissa, Tripura, e vanta numerosissimi sottogruppi. 5) Si trova codificato anche come Newar o Newah. E' un imporante gruppo autoctono della valle di Kathmandu in Nepal. |