Greenberg, direttore della rivista, affronta la questione della "autorevolezza"
dell'analista dopo la crisi del mito della "obiettività analitica"
e della verità della interpretazione. Non a caso l'articolo inizia
con una disamina del classico articolo di Glover del 1931 sulla efficacia
della interpretazione inesatta. Prende in considerazione le posizioni neopragmatiste
del filosofo Richard Rorty, che considerano i valori sociali e della comunità
esterna come quelli che garantirebbero la autorevolezza dell'analista.
L'ultima parte dell'articolo affronta la questione (direttamente connessa
a quella della obiettività analitica) dell'autocontrollo, dell'astinenza
analitica (restraint), e cerca di discuterne le origini storiche nel pensiero
freudiano. Greenberg compie qui un pregevole sforzo di revisione di questi
concetti chiave della psicoanalisi alla luce della prospettiva relazionale,
di cui egli, nella tradizione del William Alanson White Institute,
è uno dei principali esponenti. Non arriva a sposare apertamente
le posizioni di Rorty, lasciando volutamente aperto il problema nella sua
complessità, e dichiarando che siamo solo all'inizio della esplorazione
di un campo ricco di prospettive e di possibili revisioni teoriche. Alla
fin accenna anche alla proposta di Irwin Hoffman che, come è noto,
sottolinea i concetti di ritualità e spontaneità, e si chiede
come possono intrecciarsi col problema della autorevolezza dell'analista. |