In questo saggio-recensione di Lallene Rector viene discusso l'ardito tentativo
del libro di Rochelle G.K. Kainer The Collapse of the Self and Its
Therapeutic Restoration (Hillsdale, NJ: Analytic Press, 1999) di trovare dei
collegamenti tra la teoria delle relazioni oggettuali di Melanie Klein e la
Psicologia del Sé di Heinz Kohut, due teorie tradizionalmente considerate molto
diverse e lontane. La prima fu formulata vari decenni prima della seconda, e in
un humus culturale e teorico europeo, estremamente differente. La seconda
nacque negli Stati Uniti, allora ancora impermeabili alla cultura kleiniana, si
può dire come reazione a certi aspetti della psicologia dell'Io (neutralità,
anonimità, ecc.) che costituiva la matrice teorica di Kohut così come del mainstream
psicoanalitico nordamericano (per un approfondimento, vedi "Il
concetto di narcisismo"). La Keiner in questo libro cerca di sviluppare
la sua tesi trovando dei ponti tra le due teorie essenzialmente riguardo ai
seguenti quattro aspetti: (1) riguardo al concetto kleiniano di
"contenimento", che viene reinterpretato come una funzione che può
essere svolta dall'oggetto-Sé kohutiano, che, come è noto, funge da
equilibratore per certe tensioni del Sé; (2) riguardo al ruolo dell'empatia di
cui ha parlato Kohut, che può essere letta anche come una dimensione della
identificazione proiettiva descritta dalla Klein (si pensi al concetto di reverie,
cioè il "leggere", il "pensare" la mente del bambino da
parte della madre mentre "contiene" il bambino, nel senso che la reverie
materna permette al Sé del bambino di rispecchiarsi in essa e quindi di
crescere, di svilupparsi, di costruire - direbbe Fonagy - la propria capacità
di riflettere sui propri stati mentali [rimando all'articolo
di Fonagy del 1996 "Attaccamento, sviluppo del Sé e sua patologia nei
disturbi di personalità"]); (3) riguardo alle ferite narcisistiche,
descritte da Kohut, che possono far precipitare una "frammentazione del
Sé" con l'effetto di far oscillare il soggetto verso la posizione
schizo-paranoide descritta dalla Klein, in cui non a caso la rabbia
(narcisistica) e la paranoia sono sentimenti tipici; (4) riguardo al fatto che
le posizioni schizo-paranoide e depressiva, descritte dalla Klein, possono
essere anche concepite come dimensioni esperienziali, vicine al livello
soggettivo, che in un qualche modo ricordano gli "stati del Sé" (Self-states)
di cui ci ha parlato Kohut.
Questo tentativo della Keiner di trovare dei ponti ("New Bridges",
come recita il titolo del suo libro) tra due teorie o universi di pensiero così
diversi come la teoria delle relazioni oggettuali di Melanie Klein e la
Psicologia del Sé di Heinz Kohut è senza dubbio interessante, ma rimane al
livello clinico, non penetra assolutamente nella struttura teorica, cioè non
interviene ad un livello alto di integrazione teorica, cosa che sarebbe comunque
impossibile dato che si tratta di due teorie completamente diverse e non
integrabili - a parte il fatto che il concetto stesso di integrazione non ha
senso, casomai si può costruire una "terza" teoria diversa da
entrambe (rimando qui, per un approfondimento, al dibattito
pre- e post-congressuale del primo
congresso della sezione italiana della Society for the Exploration of
Psychotherapy Integration [SEPI-Italy]). La teoria delle relazioni
oggettuali di Melanie Klein e la Psicologia del Sé di Heinz Kohut sono separate
da steccati insormontabili, ammesso che ancora si voglia rispettare il legame
tra teoria e clinica (si pensi solo alla teoria delle pulsioni - enfatizzata
dalla Klein che come è noto attribuì un importante ruolo anche all'istinto di
morte - e abbandonata da Kohut, soprattutto negli ultimi scritti). La Keiner
sembra dire invece che determinati fenomeni clinici simili possono essere letti
da entrambe le teorie, in un modo apparentemente adeguato e utile per il
clinico, con costrutti teorici diversi perché entrambi hanno una certa
pregnanza clinica. Si potrebbero fare tantissimi esempi come questi, usando sia
le varie teorie psicoanalitiche che i tanti approcci psicoterapeutici presenti
sul mercato, il che possibilmente rivela che i fenomeni clinici osservati sono
gli stessi mentre tanti sono stati i modi per comprenderli, a seconda del
contesto storico-culturale in cui sono stati prodotti, raggiungendo ciascuno un
certo potere di convincimento. Cosa ben diversa invece è costruire una teoria
generale della psicoterapia che sia sobria, coerente al suo interno, e capace di
fornire un rendiconto completo del rapporto con la clinica.
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