In questo articolo Edgar Levenson, che è una delle figure più note e
rappresentative della tradizione sullivaniana del William Alanson White
Institute, parla della importanza della prospettiva visiva e spaziale, più
che verbale, nella situazione analitica. Partendo da uno dei punti centrali di
Sullivan per cui quello che conta non è la comprensione verbale secondo una
ipoteticamente corretta metapsicologia, ma quello che accade realmente, quello
che facciamo, cioè la prassi, Levenson ora suggerisce un ulteriore passo avanti
in questa direzione: egli dice che la nostra prassi, per sua stessa natura, è
più organizzata in immagini che in parole, più in interazioni che in
spiegazioni. Fornisce molti esempi del lavoro analitico, del funzionamento
inconscio, delle libere associazioni, dei sogni, ecc., in cui si può vedere
come in realtà sia attivo il codice visivo-spaziale, sia per il paziente che
per l'analista. La tradizione psicoanalitica invece ha sempre privilegiato il
codice verbale, e questo può aver portato a distorsioni sia nella pratica
clinica che nell'insegnamento. Anche se la investigazione analitica sembra che
avvenga tramite il linguaggio, può essere fuorviante concepirla solo come una
elaborazione verbale delle narrative, e sembra più appropriato concepire le
narrative analitiche come un modo per riaggiustare o riordinare il mondo
visivo-spaziale del paziente. Levenson cita a questo proposito un noto lavoro di
Marshall Edelson ("Telling and Enacting Stories in Psychoanalysis and
Psychotherapy: Implications for Teaching Psychotherapy", The
Psychoanalytic Study of the Child, 1993, 48: 293-325; una versione di questo
lavoro compare anche on: Barron J.W., Eagle M.N., Wolitzky D.L., editors, Interface
of Psychoanalysis and Psychology. Washington, D.C.: American Psychological
Association, 1992), in cui viene sottolineata l'importanza delle immagini e
delle storie (film, romanzi, ecc.) che vengono in mente sia all'analista che al
paziente durante il lavoro analitico (per un commento di questo lavoro di
Edelson, vedi Migone P., "L'approccio narrativo in psicoterapia", Il
Ruolo Terapeutico, 2001, 87: 93-101. Edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt87-01.htm).
Levenson fornisce supporto a queste sue posizioni sulla importanza del codice
visivo-spaziale nel lavoro analitico anche tramite alcune acquisizioni della
neurobiologia che negli ultimi anni hanno suscitato un grande interesse in
psicoanalisi (si pensi alla importanza dell'emisfero destro, della memoria
procedurale ecc.), e cita soprattutto i lavori di Allan Schore (autore del libro
Affect Regulation and the Origin of the Self, Hillsdale, NJ: Erlbaum,
1994) e di Daniel Siegel (autore del libro del 1999 La mente relazionale:
neurobiologia dell'esperienza interpersonale, Milano: Cortina, 2001 - vedi
scheda su Psicoterapia e
Scienze Umane, 4/2001, pp. 131-132) (sia Schore
che Siegel, che sono essenzialmente due neurobiologi, collaborano ad un gruppo
di studio su questi temi, il primo da una prospettiva che Levenson definisce
"kleiniana", mentre il secondo da una prospettiva interpersonale).
Schore, ad esempio, sottolinea l'importanza anche di tecniche terapeutiche di
"immaginazione guidata" (vedi l'articolo di Schore sul Journal of
the American Psychoanalytic Association, 1997, 45: 807-840). Secondo
Levenson uno dei motivi per cui la tradizione psicoanalitica ha privilegiato il
livello verbale a scapito degli altri livelli che arricchiscono la complessità
della esperienza umana è legato al fatto che vi era l'esigenza di conferire
chiarezza alla situazione clinica, per sua natura costituita da un amalgama
intricato di componenti molto diverse tra loro. Levenson aggiunge che una
chiarezza definitiva di quello che accade in analisi non solo non è
raggiungibile, ma forse neppure auspicabile. Inoltre, citando Howard Gardner (La
nuova scienza della mente. Storia della rivoluzione cognitiva [1985],
Milano: Feltrinelli, 1988), fornisce vari esempi del lavoro di ricerca di alcuni
scienziati e filosofi (Russell, Einstein, Darwin, Kekulé [che anticipò la
struttura dell'anello benzenico con un sogno], ecc.) in cui l'immagine visiva è
servita come punto di partenza di grandi scoperte. Nell'ultima parte
dell'articolo Levenson, nel sottolineare l'importanza del livello delle immagini
e del codice visivo-spaziale (regolate dall'emisfero destro), elenca quattro
"immagini visive" da lui ritenute utili nel lavoro con i pazienti:
queste sono il quadrato (square), il piano (plane), il cerchio (circle)
e l'elica (helix). Queste quattro immagini per Levenson sarebbero alla
base di ogni tecnica psicoanalitica, indipendentemente da qualsivoglia
metapsicologia venga adottata.
In sintesi, questo lavoro di Levenson si inserisce all'interno di un filone,
molto in voga nella psicoanalisi americana contemporanea, in cui, alla luce sia
di recenti acquisizioni delle neuroscienze sia degli studi provenienti dall'area
della infant research, viene rivisitata la concezione psicoanalitica
classica della terapia e del funzionamento mentale: vi è un ridimensionamento
del ruolo della interpretazione verbale e una valorizzazione degli aspetti
esperienziali, nel "qui ed ora", della relazione terapeutica. La
psicoanalisi così, in modo più o meno sottile, viene trasformata in una
terapia "esperienziale" (ad esempio così come insegnata e praticata,
peraltro molto bene, dalla terapia della gestalt), oppure in una
psicoterapia rogersiana (che aveva elaborato questi temi in modo molto
sofisticato circa fin dalla metà del 1900), oppure in un approccio
fenomenologico (vedi gli approcci "intersoggettivi" e della psicologia
del Sé, la rivalutazione del concetto di enactment, le posizioni della
psicoanalisi "post-moderna", ecc.). Le riflessioni di questi autori
sono brillanti, ma si fa fatica a intravedere una reale differenza dalle
posizioni esposte ad esempio da Alexander negli anni 1930 e 1940 con concetto di
"esperienza
emozionale correttiva" (per un approfondimento di queste tematiche,
vedi Migone P., "Riflessioni sulla linea di ricerca di Daniel Stern", Il
Ruolo Terapeutico, 2003, 92: 54-62, edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt92-03.htm;
vedi anche: Meneguz G., "La psicoanalisi dello Zeitgeist aderente
alla prospettiva post-moderna", Psicoterapia e
Scienze Umane, 2003,
2: 5-33; Eagle M.N., "La svolta postmoderna in psicoanalisi", Psicoterapia e
Scienze Umane, 2000, 4: 5-44, edizione Internet in inglese: http://www.psychomedia.it/rapaport-klein/eagle00.htm).
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