Questo articolo rappresenta una rielaborazione personale
dei concetti bioniani di "contenimento" e di "reverie",
derivati dalle intuizioni di Melanine Klein sulla identificazione proiettiva,
che sono alla base degli aspetti più importanti e terapeutici
del rapporto sia
tra l'analista e il paziente sia tra la madre e il bambino. L'articolo
fondamentale di Bion a cui viene fatto riferimento, e di cui viene riportato
fedelmente un lungo brano all'inizio dell'articolo, è "Attacchi al
legame", del 1959, contenuto nel libro Second Thoughts, del 1967
(trad. it.: Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma:
Armando, 1979). Il passo terapeutico
cruciale è quello di potersi identificare completamente e fino
in fondo, da
parte del terapeuta, nelle esperienze dolorose proiettate dal
paziente, processo
che viene qui chiamato "I-identification". E' il contenimento di queste emozioni, fino alla identificazione con
esse, che costituisce in definitiva la trasformazione di queste parti che poi
vengono terapeuticamente reintroiettate dal paziente. A questo riguardo vengono
citati tutti quegli autori che hanno discusso questo tema, ad esempio
Grotstein,
che per descrivere meglio questo delicato e cruciale aspetto del processo
terapeutico ha usato metafore mitiche e religiose, e precisamente ha fatto
riferimento al mito della crocifissione di Cristo, della pietas, dell'esorcismo, della perdita dell'innocenza, dell'analista come
capro espiatorio e così via (vedi l'articolo in due
parti nei numeri
4/1994 e 3/1995 di Contemporary
Psychoanalysis e segnalato su Psicoterapia
e Scienze Umane, 1/1996, p. 162, in parte ripreso nell'articolo
di Kerry Gordon
sul n. 1/2004
di Contemporary
Psychoanalysis e segnalato su Psicoterapia
e Scienze Umane, 2/2002, p. 279). Infatti in questa fase l'analista in questa
"convergenza" col paziente soffrirebbe realmente quanto il paziente,
assumendo su di sé, per così dire, la sua sofferenza, e
non si tratterebbe
solo di una identificazione parziale. Vengono citati tanti altri autori, come
Grinberg, Bollas, la Little, Maroda, Kristeva, Bianchedi, e Ogden. Di
quest'ultimo però viene citato solo il libri Subjects
of Analysis,
del 1994, e non Projective
Identification and Psychotherapeutic Technique,
del 1982 (trad. it.: Identificazione proiettiva e tecnica psicoanalitica. Roma:
Astrolabio, 1994), in cui tratta questo stesso argomento e in modi molto simili
(vedi l'articolo "La identificazione proiettiva", pubblicato
Internet al sito http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt49ip88.htm).
Come si può vedere,
questi
studi clinici del processo terapeutico riprendono, in modo più o meno
consapevole, tematiche fenomenologiche; non solo, ma riprendono anche sviluppi
della psicoanalisi discussi negli anni 1930-40, si pensi ad esempio
al concetto
di "esperienza emozionale correttiva" di Alexander del 1946 (sugli
aspetti fenomenologici di certa psicoanalisi contemporanea, e sul ritorno di
idee del passato, si veda l'editoriale
del n. 2/2004 della rivista Psicoterapia
e Scienze Umane).
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