In questo simposio viene affrontata l'annosa questione
della differenza tra la psicoanalisi "interpersonale" e quella "relazionale",
due anime cha da tempo attraversano i dibattiti e dividono in fazioni
il William
Alanson White Institute e più in
generale la comunità psicoanalitica nordamericana "non
classica", cioè
variamente definita appunto interpersonale, relazionale
o intersoggettiva (per un dibattito precedente su Contemporary Psychoanalysis, vedi la recensione-saggio di
Hirsch nel n. 4/1997, l'articolo di Frankel con la replica di Hirsch e la
controreplica di Frankel sul n. 1/1998, e la lettera di Mitchell sul
n.
2/1999:
vedi le segnalazioni su Psicoterapia e Scienze
Umane, rispettivamente nei
numeri
1/1998 p. 170,
2/1999 p. 160,
4/1999 pp. 158-159, e
la recensione
sul n. 2/1999). La
maggioranza degli interventi (Tublin, Ehrenberg, Hirsch, D.B. Stern) si
limitano ad analizzare gli aspetti politici e sociologici di questi
schieramenti, peraltro variegati e poco definiti, mentre solo nel primo (di
Margaret Crastnopol) si tenta una teorizzazione sulle differenze tra queste due
correnti.
Margaret Crastnopol abbozza un tentativo di rintracciare
differenze teoriche, e lo fa discutendo la definizione del concetto
di Sé e
tornando sul problema del "Sé multiplo" o "plurale" (argomento su cui
interviene anche nel numero successivo, il n. 1/2007), in cui vi
sarebbe - secondo un continuum che va dall'intrapsichico
all'interpersonale
- una componente unica, interna o privata, e una componente
relazionale così
come la intendeva Mitchell (soprattutto nei suoi libri del 1988 Gli
orientamenti relazionali in psicoanalisi [Torino : Bollati
Boringhieri, 1993] e del 2000
Il
modello relazionale. Dall'attaccamento all'intersoggettività
[Milano:
Raffaello Cortina, 2002]). La
Crastnopol comunque si limita più che altro a esporre una rassegna di
posizioni, ammettendo la complessità e implicitamente anche la
confusione in
questo campo. Tutti gli altri partecipanti a questo simposio
(Tublin,
Ehrenberg, Hirsch, Levenson, D.B. Stern) invece si limitano
sostanzialmente a raccontare - in modo peraltro interessante - i risvolti
storici e politici di queste divisioni, a volte con aneddoti e dettagli sul
proprio percorso e sulle vicissitudini storiche del William
Alanson White Institute (i rapporti con Sullivan, Fromm,
la Thompson,
ecc.); come se ce ne fosse ancora bisogno, ammettono che è la
storia affettiva,
politica e sociale quella che spesso è parte integrante degli
sviluppi teorici.
Delle vicissitudini storiche e dei modi con cui sono state esplicitate le
differenze teoriche tra la componente "interpersonale" e quella "relazionale",
su Contemporary Psychoanalysis erano già usciti negli
anni scorsi vari
contributi, ad esempio di Hirsch, Frankel e
dello stesso Mitchell, segnalati in numeri precedenti di
Psicoterapia
e Scienze Umane a cui
si rimanda
(vedi il
sito
Internet prima
citato).
Questo dibattito non sembra aggiungere niente di nuovo, a parte, come
si diceva,
importanti aneddoti e dettagli storici. L'impressione che si ha - peraltro
condivisa da alcuni degli autori qui intervenuti - è che
questo gruppo ha
costruito la sua identità in buona parte in negativo,
cioè in reazione alla "scomunica"
da parte dell'American Psychoanalytic Association nei loro confronti:
come dice Levenson nel suo intervento, quello che teneva insieme questa
variegata comunità di psicoanalisti (già "nata
post-moderna" [p. 558]) era il
rifiuto della teoria della libido. Non a caso Mitchell arriverà a dire
apertamente, una volta consolidata l'importanza del movimento relazionale e
quasi invertita la situazione precedente in termini di maggioranza e minoranza
(cioè una volta divenuti loro stessi, per così dire, il
mainstream),
che poteva essere arrivato il momento di guardare con più
serenità a certi
aspetti della teoria delle pulsioni o dell'intrapsichico per eventualmente
integrare o perfezionare la propria teoria.
Come si diceva, questo
simposio nel complesso è molto interessante per chi vuole conoscere le
vicissitudini storiche, politiche e personali che hanno accompagnato la nascita
e gli sviluppi del movimento che ha portato in America alla "svolta
relazionale"
(oggi così influente in tutto il mondo), nel suo tentativo di
darsi una identità
diversa da quella di coloro che possono essere definiti i suoi "tre genitori" -
gli interpersonalisti tradizionali, i teorici delle relazioni oggettuali e gli
psicologi del Sé - anche perché ben sappiamo che
è solo in questo modo che si
può comprendere gli stessi sviluppi teorici (per fare un
esempio, anche i
conflitti tra medici e psicologi e tra uomini e donne hanno avuto un peso
notevole, come alcuni sostengono in questo dibattito).
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