Ian Deary, autore di questo editoriale, è un esperto ricercatore
nel settore della somatizzazione e in questo lavoro espone lo stato dell’arte
per quanto riguarda un aspetto specifico del campo psicosomatico: i sintomi
non spiegabili dal punto di vista medico (medically unexplained symptoms,
MUS).
Il campo dei MUS è storicamente e clinicamente frammentato.
Storicamente, i MUS hanno ricevuto molte definizioni, tutte sostanzialmente
equivalenti: sintomi psicosomatici, disturbi di conversione, disturbi somatoformi,
sintomi somatici funzionali, ecc. Il termine MUS è stato introdotto
da Richard Mayou nella prima metà degli anni ’90 ed ha il grande
vantaggio di essere un termine onestamente descrittivo (sintomi che si
presentano clinicamente ma per i quali l’osservatore non può trovare
alcuna causa medica riconosciuta sulla base dell’evidenza clinica o di
esami diagnostici). Clinicamente, i MUS sono ben conosciuti soprattutto
ai medici di base e vengono poi “ripartiti” fra vari specialisti di diverse
branche della medicina e ricevono nomi diversi a seconda dell’area specialistica
interessata: sindrome dell’intestino irritabile in gastroenterologia, disfonia
in otorinolaringoiatria, fibromialgia in reumatologia, dolore toracico
non-cardiaco in cardiologia, lombalgia in ortopedia, ecc. Il quesito che
si pone Deary in questo articolo è: i MUS costituiscono una singola
entità diagnostica (poiché condividono una comune etiologia,
tanto da giustificare l’esistenza di un unico termine) o si tratta di fenomeni
diversi a seconda dei sintomi e degli organi interessati?
Da parte dei clinici sono state riportate molte osservazioni e case
reports di soggetti che in un certo periodo della loro vita manifestano
un MUS (ad es. fibromialgia) e che hanno una elevata probabilità
di manifestare – contemporaneamente o in periodi di tempo successivi –
un altro MUS in diversi distretti somatici (ad es. intestino irritabile
e affaticamento cronico). Ora, esistono evidenze empiriche di tale predisposizione
individuale a più MUS? Deary riporta i risultati dell’analisi dei
dati aggregati elaborati dal suo gruppo di ricerca di Edimburgo su campioni
sia clinici che di popolazione generale ottenuti per mezzo di un questionario
appositamente costruito che, in sostanza, elenca i sintomi della diagnosi
di “disturbo di somatizzazione” del DSM-III-R.
Una prima parte di risultati riguarda l’analisi fattoriale esplorativa
(Varimax principal component rotation), da cui emerge che – sommando tutti
i dati – vi è un componente principale che spiega il 40% della varianza
totale dei sintomi. Ciò significa che un singolo MUS tende ad associarsi
significativamente a tutti gli altri MUS, e che quindi i soggetti tendono
ad avere somatizzazioni funzionali multiple e persistenti, ad essere –
per dirla con l’autore – dei serial somatizers.
La seconda parte dei risultati riguarda l’analisi fattoriale confirmatoria
(confirmatory factor analysis), da cui emerge un preciso modello statistico
di equazione strutturale dei MUS. I 26 sintomi elencati nel disturbo di
somatizzazione del DSM-III-R si raggruppano significativamente (coefficienti
varianti fra 0.21 e 0.84, con media di 0.60) in 5 fattori o tratti latenti
di secondo livello, fattori a cui (sulla base dei singoli sintomi clusterizzati)
corrispondono clinicamente a 5 entità diagnostiche: sindrome fibromialgica,
sindrome da fatica cronica, depressione somatizzata, ansia somatizzata
e sindrome dell’intestino irritabile. Sembrerebbe quindi che i sintomi
debbano essere attribuiti a 5 diverse categorie diagnostiche. Tuttavia,
si evidenzia un fattore di terzo livello (quindi più generale ed
inclusivo) di varianza comune che spiega ben il 69% (cioè fra i
2/3 ed i 3/4) della varianza totale delle 5 sindromi. Questo terzo fattore
generale non viene denominato in alcun modo (se non descrittivamente
come general MUS latent variable) poiché è la parte comune
di sintomi appartenenti a sindromi cliniche diagnosticamente eterogenee.
Storicamente vi sono stati molti tentativi per denominare questo fattore
comune a tutte le somatizzazione: la teoria dell’isteria di Freud (“gli
isterici soffrono soprattutto di reminiscenze”), il costrutto di somatopsychic
distress di Watson e Pennebaker o quello di abnormal illness behavior di
Pilowski, e così via.
La conclusione dell’autore è essenzialmente clinica. L’organizzazione
sanitaria in generale (inglese ma anche italiana) determina il fatto che
i pazienti “difficili” con sintomi “strani” vengano inviati dal medico
di base a specialisti i quali tendono a sovra-prescrivere visite, esami,
controlli e trattamenti farmacologici per vari motivi (scrupolosità
o accanimento diagnostico, diagnosi di esclusione, risposta ai bisogni
di rassicurazione del paziente, ecc). A volte i problemi restano poiché
l’etiologia è “extra-organo”, per così dire; altre volte,
i sintomi si attenuano o anche scompaiono ma – come si è visto –
tendono a ricomparire in altri distretti corporei. Per questo motivo, Deary
auspica che a livello della secondary e tertiary care il singolo specialista
a livello di organo venga affiancato da una nuova figura professionale:
lo “psicologo della salute” (health psychologist) che dovrebbe provenire
da aree affini (psicologia clinica, psichiatria di consultazione), conoscere
la letteratura e avere specifiche competenze nel campo psicosomatico per
poter trattare i pazienti con MUS. Anche noi, con Deary, sogniamo un’organizzazione
assistenziale in sanità interdisciplinare e integrata, con le sue
stesse speranze di realizzazione ma con un pizzico di sfiduciato realismo
in più che ciò possa avvenire nel nostro paese.
Prof. Ian J. Deary
Department of Psychology
University of Edinburgh
7 George Square
Edinburgh EH8 9JZ, UK
Phone: +44 131 650 3452
Fax: +44 131 650 3461
Email: I.Deary@ed.ac.uk
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