Perché alcuni pazienti consultano il medico più spesso
di altri? Questo problema è oggetto di molti studi, sparsi in varie
riviste. In questo lavoro, i due autori inglesi hanno effettuato una review
sistematica su alcune fonti (Medline, PsycLit, Embase, pubblicazioni SCI,
ricerca manuale) ed hanno selezionato 34 studi (elencati e descritti in
una apposita tabella) con lo scopo di valutare le variabili cliniche e
sociodemografiche associate al paziente che si sottopone spesso a visite
mediche (frequent consulter).
Gli studi sono stati effettuati prevalentemente nel Regno Unito, negli
USA e nei paesi scandinavi, ossia in quei paesi che adottano il sistema
di managed care e che quindi hanno maggior interesse a promuovere queste
indagini. La maggior parte degli studi ha usato il criterio di definire
un numero minimo di consultazioni per stabilire il frequent consulter,
generalmente da 9 a 14 visite annuali.
Il risultato maggiore è che una piccola proporzione di pazienti
è responsabile per un numero sproporzionatamente elevato di visite
mediche. I pazienti sono maggiormente rappresentati da donne, anziani,
singoli o separati e con un basso livello economico. Le ragioni delle consultazioni
sono di tipo medico (soprattutto malattie croniche) per una metà
dei pazienti ma di tipo non medico nell’altra metà: disturbi psichiatrici
(soprattutto depressione maggiore e distimia) e di somatizzazione da distress
psicosociale (soprattutto solitudine e disoccupazione: in uno studio israeliano,
ad esempio, solo uno dei 12 pazienti con oltre 30 visite annuali aveva
un problema puramente organico). E’ interessante notare che uno dei fattori
che maggiormente influenza la “decisione” di diventare un frequent consulter
è l’insieme delle convinzioni (beliefs) sui propri sintomi: la maggior
parte dei frequent consulters considerano con maggiore probabilità
le proprie normali sensazioni fisiche come anormali o segni di malattia,
e adottano per questo uno stile di external locus of control per cui tendono
a percepire una grande influenza e potere del medico sulla propria salute.
Gli autori concludono questa review (che è una delle poche review
che analizza una gran mole di dati sparsi in letteratura) ribadendo l’idea
che l’approccio clinico ai pazienti, specialmente di primary care, dovrebbe
essere integrato a livello multidisciplinare e differenziato a livello
individuale. Il medico di base non ha tutte le necessarie competenze per
trattare ogni problema presentato dal paziente. Un approccio basato esclusivamente
sui sintomi fisici produce un circolo vizioso che rinforza le convinzioni
ipocondriache dei pazienti frequent consulters. Un approccio basato soltanto
sulla prescrizione di psicofarmaci non tiene in considerazione la bassa
probabilità di efficacia a causa della convinzione di questi pazienti
di avere una malattia organica e non mentale. Un approccio basato sul “modello
biopsicosociale” consentirebbe invece di intervenire sulle convinzioni
e le misinterpretazioni dei pazienti sulle sensazioni corporee e sui propri
sintomi somatici. Ciò significa che tale approccio multidisciplinare
e integrato può avere anche conseguenze economico-sanitarie importanti
di risparmio su consultazioni specialistiche, esami e consumo di farmaci.
Ma questo presupporrebbe una politica di indirizzo sanitario precisa che
miri a individuare e far emergere quel mare magnum di disturbi di somatizzazione
grazie al quale ansiolitici e antidepressivi risultano oggi fra i farmaci
più venduti.
Dr. David Gill
University of Oxford Institute of Health Sciences
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