Già nel II secolo d.C. Galeno affermava che le donne che sviluppavano
un cancro alla mammella avevano un temperamento più melancolico
che sanguigno. L’idea, quindi, che i fattori psicologici siano legati all’insorgenza
ed alla progressione del tumore non è nuova. Oggi, dato il nostro
modo di fare scienza in Occidente, non possiamo più accontentarci
dell’aneddotica, della mera esperienza clinica o dell’intuizione. Questo
editoriale intende fare il punto sulle evidenze empiriche esistenti grazie
alle quali confermare l’idea galenica.
Tradizionalmente la ricerca su questo argomento si è occupata
negli anni scorsi di valutare se l’esordio della malattia neoplastica fosse
stata preceduta da un evento stressante (life events). Questa linea di
ricerca ha però incontrato enormi problemi metodologici: difficoltà
di valutare retrospettivamente gli eventi stressanti, difficoltà
di datare con esattezza l’inizio della malattia, l’importanza del vissuto
individuale verso un dato evento stressante che è diverso da soggetto
a soggetto a parità di registrazione dello stesso evento.
Una linea di ricerca che si è andata affermando negli anni ’90
ha riguardato un aspetto diverso del rapporto fra psicologia e cancro:
la valutazione dell’influenza dei fattori psicosociali sulla sopravvivenza.
Vi sono ormai numerosi trials randomizzati in cui i pazienti oncologici
vengono inseriti in bracci sperimentali in cui si offrono “pacchetti” integrati
di intervento psicologico (terapia di gruppo, counseling supportivo, terapia
di rilassamento, biofeedback, ipnosi). I risultati, benché non sempre
univoci, tendono a dimostrare che l’intervento psicologico influisce positivamente
sulla sopravvivenza dei pazienti, con follow-up molto lunghi, anche di
10 anni dalla terapia. Fino ad oggi, l’interpretazione prevalente di questi
studi puntava verso l’idea che il maggior benessere psicologico e una migliore
qualità di vita aumentassero il senso di controllo del paziente
sulla malattia e quindi la compliance terapeutica.
Negli ultimi anni sta emergendo un’altra ipotesi di spiegazione. La
sopravvivenza potrebbe essere dovuta alla mediazione dei meccanismi neuroimmunologici.
Alcuni studi pubblicati negli ultimi 2-3 anni hanno dimostrato che tecniche
di rilassamento, guided imagery o la partecipazione anche per breve periodo
(ad esempio, 6 settimane) a gruppi psicoeducativi o di counseling supportivo
hanno effetti positivi su una serie di parametri immunologici (linfociti,
cellule T, cellule NK).
La linea di ricerca di psiconeuroimmunologia è fra le più
interessanti nella psicosomatica contemporanea. La psicosomatica ha conosciuto
una parabola storica particolare nel corso della sua breve vita (la psicosomatica
in senso scientifico ha grosso modo 50 anni). Ha iniziato occupandosi di
meccanismi etiopatigenetici di tipo psicologico nelle patologie somatiche,
compreso il cancro. Questa linea di ricerca, fortemente influenzata dalla
psicoanalisi, non ha condotto a grandi risultati, dal punto di vista sia
conoscitivo che terapeutico. Si e’ quindi passati, soprattutto negli anni
’80 e ‘90, a indagare gli effetti psicologici delle malattie organiche
e neoplastiche (studi sulla Health-related Quality of Life) e il modo di
affrontare la malattia da parte dei pazienti (studi sui meccanismi di coping
e su costrutti come l’abnormal illness behavior o il locus of control).
Oggi probabilmente la psicosomatica è abbastanza matura per poter
ritornare alle sue origini ed indagare i meccanismi etiopatogenetici delle
malattie a partire dallo studio dei meccanismi di mediazione fra mente
e corpo, come i meccanismi immunologici o endocrinologici. Il tempo ci
dirà se questa strada porterà nuove conoscenze e soprattutto
nuovi modi di affrontare terapeuticamente i problemi del paziente.
Prof. Lesley G. Walker
Institute of Rehabilitation
University of Hull
215 Anlaby Road
Hull, HU3 2PG, UK
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Fax: 01482 635589
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