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JOURNAL OF PSYCHOSOMATIC RESEARCH - VOL. 48, N. 4-5 / 2000
Special Issue: Cardiology

Questo numero doppio del Journal of Psychosomatic Research è monograficamente dedicato ai problemi psicosomatici in cardiologia. La heart-mind relationship pone a tutti i clinici (sia nel versante psy che in quello cardiologico) numerosi problemi di tipo sia diagnostico che terapeutico. Oggi si sa benissimo che il sistema cardiovascolare è, insieme a quello gastrointestinale, fra i primi sistemi funzionali ad attivarsi in condizioni di stress, sia per i legami diretti di tipo neurofiologico che per quelli indiretti di tipo ormonale.
Lo stato dell'arte della ricerca attuale di psicosomatica cardiovascolare si indirizza essenzialmente lungo tre linee direttive principali di ricerca. La prima considera tutti i fattori psicologici interni che possono portare a disturbi cardiovascolari, a cominciare dai tratti della famosa Type A Personality fino ai problemi di comorbidità con emozioni negative, ostilità, depressione e disturbo di panico. Ciò ha ovviamente un grosso significato diagnostico: basti pensare alle accettazioni nei Pronto Soccorso ospedelieri di pazienti con depressione maggiore o attacchi di panico con sintomi sovrapponibili a disturbi anginosi e infartuali. La seconda linea di ricerca considera i fattori di rischio comportamentali che favoriscono l'insorgenza di patologie cardiovascolari anche mortali. Considerando i costi sociali del sistema sanitario per patologie cardiovascolari croniche e l'elevata incidenza di mortalità cardiaca nella popolazione occidentale, l'indagine sui fattori di rischio psico-comportamentali assume un'importanza politica strategica per la prevenzione, come ben sanno gli americani che spendono moltissimo nelle campagne pubbliche di prevenzione. La terza linea di ricerca riguarda gli interventi terapeutici. Il trattamento per questi disturbi deve necessariamente indirizzarsi anche verso quelle forme non-farmacologiche che incidono proprio sui fattori comportamentali di rischio. Per questa ragione, le maggiori associazioni professionali nazionali statunitensi (come quella dei cardiologi e degli psicologi o quella dei dentisti e quella degli psicologi), corrispondenti grosso modo ai nostri Ordini professionali, hanno da tempo organizzato iniziative comuni sul fronte clinico. Si tratta cioè di affrontare un problema naturalmente psicosomatico in modo intelligente e produttivo: mettere in comune le rispettive armi diagnostiche e terapeutiche per allearsi nella pratica clinica, oltre che di ricerca. E' una situazione lontana anni luce da quella italiana, in cui lo spazio per iniziative comuni psico-mediche è relegato a qualche gruppo di ricerca, con scarse se non nulle ricadute cliniche sul piano istituzionale-organizzativo. Da un lato l'inerzia e la miopia delle istituzioni politiche e dall’altro una perdurante tradizione dualistica che inizia dalla formazione e dell'organizzazione delle nostre facoltà universitarie impedisce ogni discorso concreto che avrebbe benefici enormemente maggiori rispetto ai costi da sostenere per metterlo in pratica. Probabilmente gli Ordini dei Medici e degli Psicologi dovrebbero inviare questi numero del JPR a direttori generali di ASL, aziende ospedaliere, assessori regionali e divisioni ministeriali come regalo natalizio...
Per tornare al contenuto di questo numero del JPR, il volume è diviso in sezioni. Oltre ad alcuni editoriali su argomenti generali attinenti il tema, vi sono alcune interessanti reviews ed alcuni articoli originali di ricerche empiriche. I singoli argomenti di reviews e articoli originali riguardano essenzialmente le principali linee di ricerca prima menzionate: ruolo dei fattori psicosociali e delle emozioni negative, comorbidità psichiatrica, qualità di vita, modelli biopsicosociali per patologie cardiovascolari, trattamenti psicologici, dati neurofisiologici per modelli di stress.
Da segnalare la review di Kubzansky e Kawachi per il rapporto emozioni negative - malattia coronarica, quella di Fleet et al. sull'associazione della pataologia coronarica con il disturbo da attacchi di panico e quella di Lespérance e Frasure-Smith con la depressione maggiore, quella di Jeejeebhoy et al. sulle indicazioni pratiche per la procedura diagnostico-differenziale a step fra attacchi di panico e patologia cardiaca, quella di Sebregts et al sulla modificazioni dei fattori di rischio attraverso interventi non-farmacologici, e quella di Linden sui trattamenti psicologici nella riabilitazione cardiologica. Infine, è da evidenziare l'interessante studio canadese di Frasure-Smith et al. che hanno valutato i costi sanitari nel primo anno che segue l'infarto miocardico. Dal database del Quebec Medicare su quasi 900 soggetti sopravvissuti ad infarto del miocardio è risultato che i costi per pazienti con comorbidità depressiva sono del 40% maggiori rispetto ai non-depressi nell'anno seguente all'episodio infartuale, dovuti soprattutto a maggiori visite ambulatoriali e di emergenza, maggiori ricoveri e maggiore lunghezza dei ricoveri, indipendentemente da visite psichiatriche specialistiche e ricevori per rivascolarizzazione. Lo studio è interessante, oltre che per i suoi contenuti, anche perché mostra come sia impossibile effettuare una simile valutazione in Italia. Da noi non esiste infatti un registro epidemiologico nazionale e soprattutto a nessun paziente ammesso in divisioni ospedaliere di cardiologia viene somministrato di routine il Beck Depression Inventory.

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