"Io sono il mio corpo” (Merleau-Ponty,1945, p.197), questa è una
delle affermazioni chiave contenuta in “Fenomenologia della
Percezione” di Merleau-Ponty, che vuole sottolineare l’inscindibile
legame mente/corpo, il ruolo fondamentale che il corpo riveste nel processo di
acquisizione/costruzione dell’identità.
L’identità passa dal corpo. Ma oggi
cos’è il corpo? Che valore ha e che ruolo riveste
nell’essere persona? Questi interrogativi non avrebbero senso se non si
fosse arrivati a un progresso tale tra medicina e biotecnologie, per cui si
cerca (e si può agire) di condizionare quelle che erano le certezze
naturali aldilà di ogni controllo umano: la vita, la morte e la
realtà del mondo in cui si è inseriti.
Temi
come fecondazione artificiale, manipolazione genetica, clonazione, trapianti
d’organo sono diventati argomenti “caldi” di questi ultimi
anni. Si moltiplicano i dibattiti di ordine etico tra religiosi e laici o
semplicemente tra persone che discutono di vita e di umanità.
Di
pari passo poi la costruzione di una realtà parallela a quella da sempre
conosciuta, ha aggiunto interrogativi ad altri interrogativi. Si tratta della
realtà virtuale, una realtà digitalizzata che rimanda a un corpo
virtuale e conseguentemente pone questioni riguardo all’esserci, al senso di presenza del soggetto nel mondo.
E
soprattutto si creano domande intorno a un corpo che diventa altro rispetto al
semplice essere biologico arricchito nel suo ruolo dall’importanza che
riveste nella costituzione dell’identità del soggetto.
IL CORPO OGGI
La situazione odierna pone il corpo in una posizione
subalterna rispetto alla mente, perché fondamentalmente è
cambiato il modo di vedere e considerare il corpo e perché, quasi con un
delirio di onnipotenza, si vanno via via realizzando quelle fantasie di
superamento dei limiti umani grazie al progresso e alle tecnologie, creando
paradossalmente sentimenti di smarrimento e paura[1].
Una volta che l’uomo ha imparato a conoscere e a
controllare la realtà esterna, che cosa gli rimane se non rivolgersi
verso l’interno, cioè verso se stesso e controllare e perfezionare
la macchina più complessa che ci sia in natura: il corpo umano?
Questo significa superare i limiti stessi
dell’essere umano in quanto corpo, superare “ciò che non si
può fare” e non rassegnarsi al destino scritto nella natura.
Significa perfezionarsi e affrancarsi dai vincoli impostici naturalmente prima
fra tutti quello della morte: la fine del corpo.
Allora cos’è il corpo? Non è
più l’altra faccia della mente, ma una macchina che si trova ad
essere controllata, perfezionata, rivisitata e soprattutto liberata. Liberata
dai vincoli naturali, liberata da un destino segnato nei geni o da ciò
che accidentalmente può capitare nel corso dell’esistenza.
Si
realizza un superamento del corpo, ma anche a un dissolvimento dei confini del
corpo in due sensi:
¨
Lo sviluppo delle
biotecnologie permette di superare i limiti imposti dalla natura. La massima
espressione si ha applicata a quella che è la stessa origine della vita:
sessualità, gravidanza, maternità si ritrovano d’improvviso
a essere indipendenti l’una
dall’altra.
¨
il progressivo
avanzamento e inserimento di Internet nella quotidianità, pone il
problema del “virtuale” che supera il “reale” e rimette
in discussione la stessa identità di un soggetto cancellando i parametri
di spazio e tempo, coordinate in cui il corpo si inserisce e in cui trova la
sua definizione [2].
CORPO/MENTE
Il corpo diventa in entrambi i casi separato dalla
mente: diventa l’altro che può essere controllato e guidato nella
realizzazione dei desideri inconsci della mente. Si assiste a una vittoria
della mente sul corpo, salvo poi dover elaborare a livello psichico tutti gli
accadimenti fisici con le
sintomatologie possibili. Le modificazioni fatte a livello corporeo
comportano infatti una rielaborazione interna della propria immagine, una sorta
di assestamento che permette di adattare il cambiamento a sé e di
integrare ciò che è accaduto per rafforzare la propria
identità[3].
C’è un legame forte tra corporeità
e stati mentali: in generale i cambiamenti che si verificano a livello del
vissuto corporeo comportano una modificazione degli stati mentali e del senso
di identità del soggetto (Di Chiara, 1999, pp.110ss.) proprio perché è a
partire dall’esperienza corporea e percettiva che il soggetto si
costruisce (Merleau-Ponty, 1945).
Accade uno smembramento e sezionamento di una
parte del corpo in nome della libertà di scegliere e selezionare,
andando contro (o manipolandn
gruppo sociale e intervenendo sullo sviluppo dell’esistenza futura sia da
un punto di vista fisico che di personalità (Rodotà, 1999, pp.
91ss.)
Io
so chi sono, so che esisto, perché vedo e sento, perché posso
toccare e muovermi, perché i miei sensi raccolgono le informazioni dal
mondo esterno e mi trasmettono un senso di esistenza nel mondo.
Il corpo è identità, è la mia
definizione e distinzione in mezzo agli altri, quindi manipolarlo e cambiarlo
non è semplice soddisfazione di uno stato mentale, ma il desiderio di
una insoddisfazione profonda a livello psichico che in realtà porta a
non accettarsi non come corpo ma come persona. E’ questo che bisogna
considerare: la direzione in cui si va porta a una dissoluzione del corpo, con
il rischio di cancellare lo stesso essere persona e moltiplicare i disturbi di identità e di
personalità se non si hanno le strutture mentali adatte per
“sfruttare” le tecnologie e le biotecnologie e non abusarne.
SUPERAMENTO
DEL CORPO
Nella
definizione di biotecnologie si fanno rientrare tutte le attuali tecniche che
prevedono un intervento della medicina e dell’uomo nel corpo del
paziente. Si parla di trapianti d’organo, di fecondazione artificiale,
manipolazione genetica, clonazione…
E’ un tema ricco di contraddizioni e di
interrogativi perché superare un limite posto dalla natura, e quindi un
“handicap” del corpo, può portare certo benessere e
miglioramento nella qualità di vita del paziente. Non si tratta tanto di
discutere se è giusto o sbagliato, ma piuttosto intorno al nuovo
significato di “corpo” che introducono e agli effetti psichici ne
seguono. Probabilmente un discorso a parte meritano i trapianti d’organo:
in questo caso la scelta di un soggetto è tra la vita e la morte, mentre nella fecondazione
artificiale o anche nella clonazione quello che si realizza è un
desiderio psichico profondo che permette il completamento e la piena
realizzazione della persona.
Occorre partire dalla concezione di corpo “medicalizzato”:
la medicina ha il dovere di portare benessere all’uomo senza fermarsi di
fronte a chi è geneticamente svantaggiato. La sua caratteristica
è quella di essere per definizione contro natura, proprio perché
deve guarire il “corpo malato”[4].
Questo
enorme progresso e superamento dei limiti del corpo (intese nel senso di
potenzialità) si realizza nella fecondazione artificiale, in cui si ha
una scissione del ciclo sessualità- gravidanza- parto[5]
e in cui la procreazione non è più un fatto biologico, ma si pone
l’accento sulla successiva relazione sociale[6].
Le coppie che scelgono la fecondazione artificiale sono quelle che
hanno già provato di tutto da un punto di vista farmacologico e
nonostante questo il loro corpo non reagisce e non realizza il desiderio di
fare un figlio.
“Fare
un figlio” non più “avere
un figlio” (Vegetti Finzi,
1997, p. 209) a sottolineare il fatto che ci possono altre tecniche per la
procreazione aldilà dell’atto sessuale.
Il motivo che spinge le
coppie a rivolgersi verso questa soluzione è il mantenimento di un
vincolo biologico “..che il figlio, sia parzialmente nostro”,
“..che assomigli almeno a uno dei due..”. Paradossalmente è
il desiderio di consanguineità che dà il permesso a una terza
figura di violare l’intimità di una coppia. In questo modo la
sessualità è scissa dall’atto di amore che porta alla
procreazione (Vegetti Finzi, 1997, pp.209). Il figlio è parte di
sé, non perché nato dall’unione completa tra le due
persone, ma per la sua presenza nella famiglia dal momento in cui nasce.
L’essere genitori parte dalla gravidanza o dall’atto che porta a
scegliere di esserlo?
Il corpo diviene una sorta di contenitore in cui si
fabbrica un figlio[7]. E la sua
generazione diviene più una questione medica. Ci sono numerose
contraddizioni intorno a questo tema perché in fondo è il
desiderio di maternità e paternità che conduce a compiere questa
scelta, che si propone come una cura non una strada più facile e sicura.
Quel che è certo è che se anche si dà un aiuto al corpo
della donna, a livello psichico gli accadimenti sono complessi segno del forte
vincolo che esiste tra il corpo e la mente.
A questo proposito bisogna anche sottolineare il fatto
che molto spesso la causa dell’infertilità dalla coppia è
determinata non da cause genetiche ma dallo stress, quindi un esaurimento del
corpo dai ritmi frenetici cui lo si sottopone. Un altro aspetto da considerare
è che molte gravidanze iniziate con questi metodi conducono ad aborti
spontanei (Vegetti Finzi, 1997, p.213), simbolo di un forte rifiuto: il corpo
non riconosce come proprio quell’embrione accolto e lo rigetta. O forse
è la mente che non riesce a elaborare il vissuto del corpo e lo rigetta.
D’altra parte la gravidanza e la voglia di
gravidanza come completamento del sé femminile sono la testimonianza di
un indissolubile legame tra la dimensione corporea e l’identità,
al punto che comunque la sterilità e il ricorso a tecniche di
fecondazione e di procreazione assistita sono accompagnate da un forte senso di
frustrazione e necessitano di un solido supporto psicologico ( Di Chiara, 1999,
pp. 155ss.)
In qualsiasi processo è necessario avvertire la
sensazione di “esserci” per avere la certezza psicologica di aver
fatto, aver partecipato ed essere protagonisti dall’evento. E una persona
realizza questa sicurezza se c’è stato fisicamente. Se non
c’è l’atto che porterà a generare naturalmente un
embrione, la sicurezza psichica di essere completamente madre e padre non ci
sarà, ma dovrà essere supportata da altri fattori. Bisogna
però considerare il caso dell’uomo e della donna, del futuro padre
e della futura madre, perché comunque quest’ultima potrà
rimediare con la gravidanza alla mancanza della fecondazione naturale.
In ogni caso si cercherà di sminuire
l’importanza del processo biologico per difesa. E’ dal corpo che la
mente trae le sue certezze e la sua stabilità: quando il corpo è
messo in discussione, la mente deve essere forte al punto da sostenerne la
parziale assenza. In questo modo si tratta di elaborare la freddezza e
l’artificiosità, che portano alla fecondazione dell’ovulo e
all’inizio della gravidanza.
TECNICHE DI
FECONDAZIONE
Ci sono principalmente due
modalità di fecondazione:
¨
fecondazione omologa
¨
fecondazione indotta
La
prima è quella che avviene all’interno della coppia mentre nel
secondo caso si ricorre alla figura del donatore, quindi oltre al ginecologo e
al biologo si introduce un’altra figura all’interno della coppia
(pur restando una figura dell’immaginario, dal momento che il donatore
rimarrà anonimo) (Vegetti Finzi, 1997, pp.273ss.).
A
seconda della tecnica che si utilizza quindi il grado di colpevolezza di
mancato funzionamento attribuito al corpo si modifica.
E’
evidente che nel caso della
fecondazione omologa, sperma e ovociti appartengono all’uomo e alla donna
della coppia. Quello che deve essere compiuto e seguito medicalmente è
la fecondazione. Nel secondo caso invece è uno dei due partner che non
“funziona” ragion per cui si inserisce la figura del donatore di
sperma o donatrice di ovociti o di embrioni.
La fecondazione in entrambi i casi
può seguire due vie:
¨
FIVET , fertilizzazione
in vitro e trasferimento degli embrioni;
¨
GIFT, inserimento dei
gameti nelle tube.
La differenza sta nel fatto
che nel primo caso tutto avviene al di fuori del corpo della donna e in seguito
verranno trasferiti gli embrioni, mentre nel secondo caso si cerca di mantenere
una maggiore naturalità del processo (Flamigni, 1997, pp.254ss.).
Prima
però che ci sia l’incontro tra ovulo e spermatozoi è
necessario sottoporre l’uomo e in particolare la donna a dei trattamenti.
Per l’uomo si tratta della raccolta dello sperma attraverso la
masturbazione o raccogliendone una parte depositata nella vagina dopo il
rapporto sessuale. Mentre la donna viene sottoposta ad una iperstimolazione
ovarica che permette una maggiore produzione di follicoli e di conseguenza un
aumento delle possibilità di successo nella fecondazione.
Si ha un monitoraggio del corpo molto assiduo che
porta allo scoperto quei meccanismi che rendono affascinante e
“magica” l’inizio della vita e rendeno più freddo e
meccanico un processo che prima era investimento emotivo e fisico solo di una
coppia e ora diviene questione di più personaggi.
ESSERE UOMO
ESSERE DONNA
C’è un fattore fondamentale che determina
le caratteristiche di personalità in una persona: il genere. Non ci si
riferisce solo all’aspetto fisico ma anche all’identità
sessuale e allo sviluppo psichico. Sentirsi “a proprio agio” nel
proprio corpo, comporta equilibrio emotivo e stabilità, se ciò
non accade il malessere psichico si trasforma in malessere fisico. Questo vale
in tutte le forme di malattie psicosomatiche che se si cronicizzano vengono
assorbite come se fossero parte della personalità e identificatrici
della persona.
Il corpo malato è una sconfitta e la maggiore
fra esse è sicuramente quella dell’incapacità a generare
dei figli. L’essere sterile porta alla sensazione di non essere
completamente donna o completamente uomo, perché manca qualcosa,
perché il corpo non funziona come dovrebbe. Ma come viene vissuta la
donazione di sperma o di ovociti?
Nel caso in cui ci sia la donazione di sperma,
l’uomo si sente completamente escluso dalla procreazione visto che il
solo modo che ha di parteciparvi è quello mentale. Rimane comunque un
fantasma, quello del donatore, che sarà pur sempre il padre naturale e
un’idealizzazione nell’immaginario della sua compagna[8]
(Vegetti Finzi, 1997, pp.218ss.). In realtà l’uomo si
sentirà padre nel momento in cui nascerà quel bambino
perché solo a quel punto potrà essere partecipe attivamente sotto
ogni punto di vista. In questo caso l’essere padre si sposta dal potere
generativo del corpo alla figura sociale che si riveste.
Allo stesso modo chi dona il suo sperma alla banca del
seme è sicuramente mosso da una solidarietà e umanità
volta aiutare chi ne ha bisogno, ma poterlo fare è sicuramente un
rinforzo alla propria virilità e al sentirsi completamente uomo.
Viceversa,
nel caso in cui sia la donna a dover ricevere ovuli e embrioni i processi di
accettazione all’interno della coppia sono agevolati. Infatti resta pur sempre
alla donna la gravidanza e il parto che rendono quel figlio suo(Vegetti Finzi,
1997, pp.219ss). L’essere madre in questo caso parte dalla gravidanza,
dalle modificazioni fisiche (seppur indotte medicalmente) del corpo che si
adatta ad accogliere una nuova vita.
Più difficile da elaborare da parte della
donna è il caso della maternità surrogata o utero in affitto: la
donna non è in grado di portare avanti una gravidanza e si rivolge a
un’altra donna. In questo caso veramente il corpo diventa un semplice
contenitore o almeno apparentemente perché comunque, per quanto la donna
che si è prestata non lo consideri suo, si creeranno dei legami forti
tra lei e quella creatura ( Flamigni, 1197, pp.285ss). L’essere madre si
sposta allora dalla gravidanza alla figura sociale che rappresenta.
Quello che non bisogna dimenticare è il
necessario supporto psicologico, perché non è solamente una cura
del corpo quella a cui ci si sottopone[9]:
c’è l’investimento di due persone che cercano il loro
completamento. Il corpo che non funziona è uno scacco della mente, ed
è dal suo perfetto funzionamento che passa l’equilibrio della
stessa.
Se dopo tutti questi tentativi la donna non resta
incinta, l’incapacità del proprio corpo si fa palese, soprattutto
in confronto al successo delle altre pazienti con cui si è condiviso
l’iter procreativo, al medico curante, ai parenti e agli amici fiduciosi.
La donna a questo punto rimane sola nel vivere il lutto perché nessuno è in grado
di sintonizzarsi con il suo dolore. Deve elaborare il fallimento del suo corpo
che comporta il fallimento del suo desiderio edipico di divenire madre. Il
dolore non è dolore fisico, ma un dolore dell’anima, dolore di un
vuoto che non si riesce a colmare e che ora è palese che non si
potrà riempire. E’ un lutto radicato profondamente dove sensazioni
ed emozioni emergono dal corpo (Vegetti Finzi, 1997, pp. 227ss).
Le biotecnologie dunque permettono di superare i
limiti del corpo, o meglio ne offrono la possibilità, ma ciò di
cui bisogna sempre tener conto è che il successo dipenderà
dall’equilibrio tra mente e corpo, perché comunque la guarigione
del corpo si deve inserire all’interno dell’identità del
soggetto. Superare i limiti significa considerare il corpo come parte biologica
della persona, ma grazie alla psicanalisi e alla scienze umane riscoprirne
altre valenze che ne permettono la sopravvivenza di fronte al superamento e al
dissolvimento, quest’ultimo caratterizzante la realtà virtuale.
CORPO NON CORPO
Quindi
ciò a cui bisogna prepararsi è una nuova rappresentazione di
corpo che non deve sostituire o cancellare la precedente ma integrarla.
Il corpo non scompare o perlomeno non scompare nella
sua funzione di campo simbolico dei processi di interazione tra uomo e uomo e
tra uomo e mondo. Ai processi di replica e di invasione del corpo si inserisce
un terzo processo e cioè quello di disseminazione del corpo nelle reti e
negli spazi virtuali, immateriali della macchina digitale (Caronia, 1996).
Quello che si ritrova ad essere ribaltato è il rapporto
corpo/identità perché il corpo diviene un non corpo e
l’identità indipendente dal suo essere biologico e fisico.
La cybercultura sostituisce alla concezione di corpo
fisico e biologico quella di corpo etereo dell’informazione (Rella, 2000,
p.186).
Questa
riflessione è permessa dal sempre più inesistente inserimento di
Internet e della realtà virtuale nella nostra quotidianità.
Collegarsi alla rete è come affacciarsi su una porta che divide il reale
dal virtuale (Longo, 1998). Si entra in un cyberspazio in cui non valgono
più i confini reali, non c’è spazio, non c’è
tempo: c’è solo il soggetto con la sua volontà.
Il corpo perde la sua consistenza per essere
smaterializzato in un luogo dove il reale lascia il posto al virtuale e
l’essere persona non si identifica più con un Sé corpo, ma
con un Sé che ha la libertà di reinventarsi e di essere
contemporaneamente uno e molteplice[10].
In un certo senso nel virtuale c’è tutto
ciò che l’uomo desidera sottratto a una dimensione reale
caratterizzata da vincoli, limiti e confini. Il problema che si crea è
relativo all’identità e all’identificazione della persona in
rete.
Quando ci si collega a Internet la persona diventa una
user-id e una password e sono queste due cose che la identificano
all’interno della rete, non la voce, l’aspetto fisico o qualcosa
che sia altro fuorché i caratteri digitati[11].
Ma la dissoluzione del corpo e il problema
dell’identità si pone in particolare quando ci si relaziona con
altri nelle cosiddette comunità virtuali[12]:
chat, forum, mailing list[13]…Si
tratta appunto di luoghi virtuale in cui si può inventare, costruire o
rafforzare la propria identità.
Principalmente gli aspetti su cui ci si concentra in
questo processo di “costruzione di un’identità” senza
corpo, sono: il nome e il genere. Il primo viene spesso sostituito da un nick
name, una sorta di soprannome che pone una barriera tra ciò che si
è realmente e virtualmente, ma che cela anche una certa diffidenza nei
confronti degli altri utenti. Il secondo, il genere sessuale, porta in primo
piano il problema della dissoluzione del corpo. Infatti il primo aspetto che ci
contraddistingue fisicamente è il sesso, ma in questo caso, avendo un
non corpo in un non spazio, esso diventa non un carattere distintivo, ma una
materia di scelta. Si può essere uomini o donne, non necessariamente per
nascondere la propria identità, ma per giocare, per reinventare la
propria persona (Mindy McAdams, 1996).
Il corpo sessuato in quanto portatore di differenza
è destinato a sparire. Esso diviene nella cyberculture, un luogo di intensità pure: un non corpo
(Rella, 2000, p.190). C’è una smaterializzazione dalla carne
portata all’estremo nel caso della cybersex, la sessualità
virtuale[14].
Il fatto di scegliere nome, sesso, età, luogo
di abitazione, etc.. permette di
realizzare quella che è l’immagine ideale di sé. Il problema
non sta nella libertà di reinventarsi, ma di confondere quella per la
realtà vera, perché in questo caso il dissolvimento del corpo
nella rete comporta anche un dissolvimento della propria identità. Se
l’identità è forte il dissolvimento del corpo rimane
momentaneo, ma se l’identità è debole, l’avere un
non-corpo, agevolerà ancora di più la perdita di senso del reale[15].
Il passaggio da reale a virtuale, da spazio a
non-spazio, non necessariamente comporta una perdita, o meglio una momentanea
esclusione della ricettività e propriocettività corporea. Infatti
se si considera la realtà virtuale non a livello di Internet, ma come
ambiente proprio in cui è
possibile un’immersione tramite appositi strumenti, si possono trarre
benefici effetti a livello di percezione corporea. Infatti è dimostrato
da diversi studi e sperimentazione che la realtà virtuale ha un effetto
terapeutico in diversi casi: riabilitazione motoria, cura di ansia[16]
e fobie, cura della percezione errata dell’immagine corporea (in
Communication of the ACM, 1997).
Il corpo si ritrova ad essere il protagonista in
quanto la mente è fortemente concentrata sulle sensazioni fisiche, dal
momento che deve ricostruire il contatto con un mondo sconosciuto in cui i parametri
abituali (spazio e tempo) sono assenti. La dimostrazione dell’esigenza di
adattamento del corpo e dello smarrimento che il soggetto subisce nel passaggio
a una dimensione virtuale è documentata dall’insorgenza di nausea,
vertigini e disturbi oculari che scompaiono aumentando il tempo e la frequenza
dell’esposizione in ambiente virtuale (Lewis, Griffin, 1997).
CONCLUSIONE
In che condizioni si ritrova allora il corpo?
E’
un corpo frammentato, usato, esibito, riprodotto.
E’
un corpo totale, proiettato in una dimensione sincronica, smaterializzato nella
rete.
E’
un corpo controllato e deciso a tavolino.
E’
un corpo che urla nelle somatizzazioni.
E’
un corpo che si scinde da una stabile identità e pone il problema del
sé.
E’
un corpo che fa sentire la sua materialità nella sofferenza e nel dolore[17].
In realtà l’uomo attraverso le
biotecnologie e attraverso tecnologie sempre più complesse aspira a un
improbabile trionfo sulla vita e la morte: tentando di manipolare ambedue
queste realtà alla ricerca di un illusorio controllo su di esse
(Bartolomei, 1999, pp.220ss.).
Si cerca di programmare e controllare la vita, rimane
ora da perfezionare le biotecnologie per controllare ed annullare la morte (non
solo allontanarla con farmaci o trapianti) e un modo per farlo potrebbe essere
la clonazione attraverso cui si realizzerebbero desideri di eternità.
Significativa
è l’affermazione di Richard Seed a proposito della clonazione: “Clonare
e riprogrammare il DNA è il primo passo serio per diventare
tutt’uno con Dio” (
A.Scuteri, La Repubblica, 7/01/98).
L’uomo non è in grado di affrontare il
lutto della sua non onnipotenza perché è solo “abitando il
proprio limite che l’uomo può abitare il mondo” (Bartolomei,
1999, pp.203ss.).
Il
corpo infatti è il solo mezzo che abbiamo a disposizione per avere un
mondo (Merleau-Ponty, 1945, p.202). Pertanto è necessario capire che
esiste un limite al superamento e al dissolvimento: si possono creare nuovi
significati e nuove rappresentazioni di corpo, ma ci sarà sempre un
legame indissolubile da cui non si può trascendere: quello con
l’identità.
Rimane da chiedersi allora se noi abbiamo le strutture
mentali adatte per affrontare tutto ciò che sta avvenendo, questo
stravolgimento identità/corpo all’interno di una nuova concezione
di corpo?
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