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PSYCHOMEDIA
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Magia, sciamani e guaritori
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Metamorfosi feline dei vivi e dei morti fra i Kondh dell'Orissa
di Francesco Brighenti
La possessione rituale di un operatore del sacro per opera di uno spirito-tigre è una manifestazione sciamanica tipica soprattutto dei paesi dell'Asia del sudest. Nella penisola di Malacca e a Sumatra, in particolare, essa è parte integrante dei metodi classici per la cura sciamanica delle malattie del corpo e dello spirito. In molte delle tradizioni sciamaniche presenti in quest'area, includendo fra queste sia quelle di origine tribale (ad es. quelle delle tribù di lingua austroasiatica dell'interno della penisola di Malacca) che quelle di origine malese, influenzate dallo shivaismo un tempo egemone in queste regioni ed in seguito tollerate dall'Islam, gli spiriti-tigre sono considerati delle entità amiche e, in molti casi, i guardiani dell'ordine socio-religioso a livello locale; si ritiene, infatti, che essi siano le manifestazioni viventi di insigni antenati, di operatori del sacro defunti (generalmente degli sciamani-guaritori), o di divinità dimoranti nella foresta. Gli spiriti-tigre sono considerati i "familiari" di certe classi di sciamani-guaritori, che a loro si rivolgono per ottenere successo nella cura delle malattie; essi, inoltre, possono aiutare gli uomini che li "conoscono" a combattere i loro nemici infondendo loro i riflessi, la forza e l'agilità di un grande felino.(1)
Nella Cina imperiale la facoltà di mutarsi in tigre era attribuita a certi gruppi etnici non-han sottomessi dall'impero, in maggioranza stanziati nel sud del paese; erano soprattutto le femmine di tali gruppi tribali ad essere demonizzate in questi termini dalle classi dirigenti confuciane. Gli antichi autori cinesi consideravano la trasformazione di un essere umano in una tigre un fenomeno sacro, ma non ne coglievano che l'aspetto demonico, non rendendosi conto che i protagonisti di tali metamorfosi soprannaturali erano degli sciamani tribali che avevano il compito di esorcizzare la morte per tigre con cerimonie estatiche durante le quali essi entravano in rapporto con lo spirito della tigre (a quanto pare travestendosi essi stessi da tigri).(2) Possiamo aggiungere che lo stesso termine antico-cinese indicante la tigre è ritenuto da alcuni un prestito dalle lingue tribali della Cina del sud appartenenti alla famiglia linguistica austroasiatica.(3)
La regioni dell'Asia del sudest in cui esistono tradizioni concernenti quello che potrebbe essere definito "sciamanismo della tigre" si estendono fino alle propaggini orientali della catena himalayana nell'India nordorientale. Questa tipologia sciamanica, infatti, ha un posto importante nella cultura religiosa di alcune tribù di lingua tibeto-birmana stanziate nel Nagaland, ad es. i Lhota Naga,(4) e nell'Arunachal Pradesh, ad es. i gruppi Monpa e gli Adi.(5)
Esiste poi, in alcune zone dell'Asia tropicale popolate dalla tigre o dal leopardo, un'altra concezione della metamorfosi soprannaturale di un essere umano in un felino, molto più condizionata dalle idee sulla stregoneria. A Giava, ad esempio, si crede che la trasformazione in tigre possa essere ottenuta attraverso l'apprendimento di speciali formule magiche o incantesimi per essere usata contro i nemici a scopo di vendetta.(6) Nell'India tribale credenze analoghe sono diffuse, in particolare, fra le popolazioni di lingua munda.(7)
Fra alcune popolazioni tribali distribuite fra l'India orientale e quella del nordest persiste anche un'atavica credenza in un terzo tipo, alquanto diverso dai due ricordati in precedenza, di relazione soprannaturale che unirebbe l'uomo ai grandi felini. Tale relazione, che per comodità definiremo di tipo licantropico, non implica la possessione di esseri umani ad opera di spiriti felini come nel caso dei sopraccitati fenomeni sciamanici del sudest asiatico, ma piuttosto il suo esatto contrario, potendo essere definita come una trasfusione dell'energia psichica di un essere umano nel corpo di un grande felino, la cui volontà viene in tal modo ad essere interamente controllata dal "licantropo". Un elemento essenziale che consente di assimilare questo genere di credenze tribali alla cosiddetta sindrome licantropica, e allo stesso tempo di dissociarle dalle credenze nella stregoneria, consiste nel fatto che il trasferimento di coscienza dall'uomo al felino avrebbe sempre luogo durante il sonno profondo, oppure mentre il soggetto della trasformazione è immerso in uno stato catalettico.
Va premesso che con il termine licantropia non s'intende qui designare la trasformazione di un individuo nel lupo mannaro della tradizione europea, bensì, più in generale, la facoltà, considerata come innata in alcune persone, di trasformarsi in animali feroci che attaccano l'uomo per cibarsene. Poiché la lingua italiana non possiede un termine atto ad esprimere il concetto, tipicamente asiatico, di metamorfosi felina, nel presente articolo i termini "licantropia" e "zooantropia" saranno alternativamente usati per designare tale concetto.(8)
I pochi gruppi tribali dell'India che preservano nelle loro rispettive culture un complesso organico e coerente di credenze riguardanti il fenomeno della metamorfosi felina di modello licantropico sono concentrati per la maggior parte nella regione assamese - varie tribù Naga del Nagaland, i Khasi e i Garo del Meghalaya(9) ed alcune tribù tibeto-birmane dell'Arunachal Pradesh(10) hanno un'antica familiarità con questo fenomeno - e lungo la catena montuosa dei Ghati orientali nello stato dell'Orissa, dove un complesso di riti, simboli e credenze connessi alla zooantropia è prerogativa delle sole tribù Kondh, di lingua dravidica, le quali formano l'oggetto del presente studio. Nonostante le grandi differenze etniche, linguistiche e culturali e le distanze geografiche che separano le popolazioni nominate, le loro rispettive tradizioni riguardo alla zooantropia presentano alcuni interessanti aspetti comuni. Poiché le trattazioni etnografiche dedicate in modo specifico a ciascuna di queste tradizioni magico-religiose sono assai frammentarie e carenti, soprattutto dal punto di vista comparativistico, non ci sentiamo in alcun modo in grado di affermare che le manifestazioni di licantropia riscontrabili fra i Kondh, i Naga, i Khasi e le altre tribù della regione assamese siano state mutuate, nel loro insieme, da un arcaico modello culturale comune. Al contempo, i dati etnografici di cui finora disponiamo suggeriscono che le credenze di tutti questi gruppi tribali nel fenomeno della licantropia rappresentino dei residui culturali arcaici sostanzialmente estranei alle tradizioni dell'induismo, nel cui ambito sono presenti, invece, fenomeni di possessione attribuiti a spiriti-tigre o spiriti-leopardo assimilati nel culto a manifestazioni inferiori di Shiva o della grande Dea. Un caso paradigmatico in questo senso è costituito dalle danze rituali - puli vesham, pulikali ecc. - eseguite nell'India del sud da uomini mascherati da tigri, leopardi o pantere nere.
La venerazione di antenati-tigre divinizzati, che contraddistingue la cultura religiosa di popolazioni tribali parzialmente induizzate come i Bhil dell'India occidentale, sembra avere anch'essa un fondo shivaita.(11) Per contro, molti gruppi tribali della regione dell'Assam, come ad es. alcune tribù Naga(12) o i Kachari,(13) rivendicano una relazione di discendenza o di parentela con la tigre o il leopardo senza che ciò implichi un'influenza dello shivaismo su questa loro concezione religiosa. Tuttavia, non è di queste manifestazioni di culto o di venerazione della tigre che intendiamo occuparci in queste pagine; il presente articolo, infatti, prende in esame il solo caso relativo alla licantropia fra i Kondh, le cui credenze riguardo al fenomeno della metamorfosi felina sono state finora scarsamente studiate. Non si ometterà, in ogni caso, di evidenziare, soprattutto all'interno dell'apparato di note, i punti di convergenza più notevoli con le analoghe credenze dei Khasi e dei Naga, nella speranza che successive ricerche etnografiche sul campo possano gettare in futuro maggior luce su quest'importante componente residuale del folklore tribale indiano.
La licantropia Kondh
Le tribù Kondh, le quali, prese nel loro insieme, rappresentano la più numerosa popolazione tribale di lingua dravidica dello Stato indiano dell'Orissa, annoverano fra le loro tradizioni culturali un complesso di credenze magico-religiose riferite alla temibile figura della tigre mangiatrice di uomini. I Kondh hanno sempre attribuito il comportamento anomalo di tali animali, che fino a pochi decenni fa seminavano la morte nei territori montuosi e ricoperti di giungla da loro abitati, ad un insieme di cause soprannaturali. Secondo le credenze tramandatesi fra questa popolazione tribale, quattro diverse classi di esseri coscienti sarebbero in grado di scatenare l'istinto omicida in una tigre infondendovi la propria energia psichica. Esse sono:
a) alcune divinità;
b) gli spiriti di persone morte a causa dell'attacco di una tigre;
c) certi nemici capaci di trasferire a piacimento la propria energia psichica nel corpo di una tigre;
d) certi individui predestinati dalle divinità a sviluppare il potere di trasferire la propria energia psichica nel corpo di una tigre durante il sonno.
Negli ultimi due casi citati si può parlare di una vera e propria credenza dei Kondh nella licantropia. Fra i Kondh, in effetti, è assai diffusa la convinzione che esistano delle persone, generalmente malintenzionate a causa di tensioni sociali, capaci di sviluppare nel corso della propria vita il potere di trasformarsi in una tigre o in un leopardo (entrambi chiamati kradi o krani dai Kondh secondo il dialetto usato) con l'intento di assalire e, in certi casi, uccidere un loro nemico o, in subordine, gli animali di sua proprietà. Ad esempio, nel distretto di Kandhamal alcuni gruppi Malia Kondh ("Kondh delle colline", che rappresentano la sezione maggioritaria dei Kondh di lingua kui) propiziano con sacrifici di polli e maiali una divinità domestica che ha il compito di sorvegliare il retro delle abitazioni, proteggendo il villaggio sia dalle divinità maligne della foresta, sia da eventuali nemici mutatisi in tigri che potrebbero balzare fuori dalla giungla per assalire gli uomini e gli animali del villaggio.(14)
Nel XIX secolo, fra i Malia Kondh del distretto di Kandhamal, coloro che intendevano scagionarsi dall'accusa di essere un uomo-tigre, ad esempio nel corso di dispute terriere fra clan contrapposti, erano tenuti a pronunciare un giuramento solenne attenendosi ad un minuzioso rituale. Il giuramento doveva essere compiuto di fronte ad un termitaio attorno al quale fosse stato sparso del sale. Colui cui toccava giurare di non conoscere il segreto della metamorfosi felina doveva toccare delle foglie di olua (una pianta), il termitaio ed il sale e, stringendo fra i denti un tangi (ascia sacrificale), doveva dichiarare che, nel caso stesse commettendo uno spergiuro, il suo corpo si sarebbe dissolto come sale nell'acqua, sarebbe stato divorato dalle termiti, si sarebbe seccato come foglie di olua, o sarebbe caduto a pezzi come se fosse stato dilaniato a colpi d'ascia.(15)
In via generale si ritiene che il potere di mutarsi in un grande felino tragga vigore dal desiderio di vendetta suscitato in taluni Kondh da frustrazioni, conflitti o incomprensioni di varia natura. La credenza in questo fenomeno, conosciuto come kradi mliva (o mlipa, ossia "trasformazione prodigiosa") nel dialetto kui, parlato dai Kondh settentrionali, e come kai krani nel dialetto kuvi, parlato dai Kondh meridionali, è radicata nei miti riguardanti la dea della terra Darni Penu, il cui culto è largamente diffuso fra tutti i gruppi Kondh. Nei miti che spiegano l'origine di questo fenomeno, raccolti dagli ufficiali inglesi che, nel corso del XIX secolo, contribuirono a sopprimere la pratica del sacrificio umano nei territori abitati dai Kondh, Darni Penu è considerata la creatrice di quest'arte soprannaturale, i cui segreti furono in seguito da lei trasmessi al popolo Kondh. Benché attualmente i Kondh abbiano in gran parte dimenticato tali miti, molti di loro sono tuttora convinti che la facoltà di trasformarsi in una tigre o in un leopardo sia prerogativa di certe persone e che essa abbia, in ultima istanza, un'origine divina.(16) La dea della terra, la tigre e il sacrificio umano
Secondo l'antropologa Barbara M. Boal, la documentazione raccolta nel XIX secolo dagli ufficiali (ed etnografi) britannici dimostrerebbe come a quell'epoca, quando una tigre o un leopardo iniziava ad aggredire uomini o animali domestici nei pressi di un loro villaggio, i Kondh fossero soliti reagire alla minaccia rappresentata dalla vicinanza della fiera con metodi rituali immolando immediatamente a Darni Penu una vittima umana, sperando così di placare l'ira della dea. Se le testimonianze in questione corrispondono al vero, questa divinità femminile sarebbe stata considerata dai Kondh, a tutti gli effetti, la diretta e unica responsabile degli attacchi mortali sferrati contro i loro villaggi da tigri o leopardi presumibilmente controllati da una volontà esterna, i soli che, secondo le ataviche credenze dei Kondh, si spingerebbero ad attaccare l'uomo. La dea della terra, presumibilmente, ordinerebbe tali attacchi - procurandosi, per così dire, da sé la carne ed il sangue di cui ha bisogno per "nutrirsi" - in quanto insoddisfatta delle oblazioni sacrificali in precedenza ricevute dalla comunità del villaggio attaccato.(17) Il sacrificio umano offerto a Darni Penu in questo frangente avrebbe, pertanto, avuto la funzione di sostituire la "scelta diretta" del proprio cibo (un essere umano) da parte della dea, della cui volontà la tigre o il leopardo, nella visione magico-religiosa dei Kondh, non sarebbero stati che un mero strumento.
Negli anni '40 del XX secolo l'antropologo inglese V. Elwin fu testimone di un sacrificio del bufalo in un villaggio abitato dai Kutia Kondh, un sottogruppo del popolo Kondh insediato nelle aree montuose sudoccidentali del distretto di Kandhamal. Per esplicita ammissione dei suoi officianti, il sacrificio del bufalo era stato eseguito in quell'occasione secondo l'antico rituale del Meria, il sacrificio umano in onore di Darni Penu. In quella particolare circostanza il bufalo era stato offerto per far cessare gli attacchi di una tigre, che avevano già causato la morte di parecchie persone nei dintorni del villaggio.(18) Ciò sembra suggerire che, in passato, il terrore suscitato nei Kutia Kondh dall'idea che una tigre potesse uccidere a causa dell'insoddisfazione di Darni Penu comportasse, in modo quasi automatico, la necessità di placare quest'ultima mediante l'offerta di un sacrificio umano (rimpiazzato nella cerimonia descritta da Elwin con quello di un bufalo).
A sostegno di questa tesi s'invoca anche il fatto che un tempo era usanza comune fra i capifamiglia di alcune comunità Malia Kondh promettere a Darni Penu, con un giuramento solenne, di offrirle un sacrificio umano in forma privata - vale a dire, non in forma pubblica come avveniva in occasione delle celebrazioni cicliche del Meria - dopo che un membro della loro famiglia era stato aggredito da una tigre mentre badava alle greggi sulle colline.(19)
Le ragazze Desia Kondh e il marchio della tigre
Benché la credenza nella zooantropia sia radicata soprattutto fra i gruppi Kondh insediati in aree montuose che un tempo costituivano l'habitat naturale di tigri e leopardi, vi sono delle sue tracce anche presso i Kondh delle pianure, i quali formano una popolazione di agricoltori semi-induizzati conosciuta con il nome collettivo di Desia Kondh. L'esistenza di individui in grado di trasformarsi in tigri è ammessa, ad esempio, fra i Desia Kondh del comprensorio di Phiringia nel distretto di Kandhamal.(20) Queste comunità tribali di pianura, a differenza dei Kondh di montagna, sottopongono per tradizione ad un particolare tatuaggio facciale tutte le ragazze in età pre-pubere. Fra i Desia Kondh occidentali tale tatuaggio include sempre tre linee diritte tracciate su ciascuna guancia che, si sostiene, rappresenterebbero in forma grafica, probabilmente a scopo apotropaico, le vibrisse della tigre Secondo un'atavica superstizione le donne Desia non tatuate in questo modo riuscirebbero facilmente a sviluppare la capacità di trasformarsi in tigri. Tale credenza è spesso agitata come una minaccia dai genitori delle giovinette riluttanti a farsi tatuare il viso, alle quali sovente si prospetta l'imposizione del tatuaggio come l'unico mezzo per evitare di trasformarsi in donne-tigre. Un tempo, anche a causa di questa superstizione, le ragazze non tatuate faticavano parecchio a trovare qualcuno disposto a sposarle.(21)
Per una moglie Kondh l'accusa di essere "divenuta una tigre" - anche se riferita soltanto al suo comportamento esteriore! - costituiva un tempo causa sufficiente per essere ripudiata dal marito. Le donne sterili erano talvolta accusate dai loro mariti di avere una relazione segreta con una tigre di sesso maschile, nel qual caso esse potevano essere costrette ad abbandonare la casa del marito e a far ritorno al villaggio natio.(22) Fra i Desia, in particolare, si sostiene ancora ai nostri giorni che è la stessa dea della terra ad esigere il tatuaggio facciale delle ragazze pre-puberi, e che quelle fra loro che rifiutano di sottoporsi al rito del tatuaggio svilupperanno facilmente la facoltà della mlipa, la trasmigrazione dell'anima umana all'interno del corpo di un animale feroce, venendo con il tempo a costituire una seria minaccia per l'intera comunità di villaggio. Le ragazze Desia prescelte in sogno dalla dea sono condotte in un luogo segreto nella giungla per la cerimonia del tatuaggio. Mediante questo rito esse saranno ammesse nella cerchia delle pretendenti al matrimonio. Dopo l'operazione, le giovani iniziate restano isolate per sette giorni nel dormitorio delle ragazze e curano le loro dolorose ferite; esse riappaiono infine in pubblico con i loro tatuaggi, che recano impresso il marchio felino di Darni Penu. Una ragazza cresciuta senza aver praticato la cerimonia del tatuaggio non ha vissuto il mutamento "nel tempo giusto, nel luogo giusto". La ragazza non ha eseguito l'ordine della dea, e pertanto non è stata ammessa nella cerchia delle pretendenti al matrimonio. Nessuno la chiederà in sposa ai suoi genitori. Con lei, infatti, non può essere proseguita la stirpe. In aggiunta a ciò, la ragazza è considerata una che porta sfortuna, e non può quindi partecipare alle feste religiose della comunità.(23)
Licantropia e magia nera
Diversi gruppi Kondh credono che certi individui mirino a causare, per il tramite degli esemplari felini che essi sono in grado di controllare, la morte dei loro nemici, ad esempio nel corso di faide fra clan. Ancora agli inizi del XX secolo le autorità britanniche registravano fra i Kondh diversi casi di uomini uccisi da nemici che essi avevano in precedenza minacciato di attaccare sotto sembianze feline.(24) Da ciò potremmo dedurre che a quell'epoca certi abitanti dei villaggi Kondh cercassero intenzionalmente di impadronirsi del controllo di una tigre o di un leopardo per poi attaccare in questa forma i propri nemici, o perlomeno che la minaccia di compiere tale atto risultasse efficace nel risolvere una faida in favore di coloro che riuscivano a dare a credere al partito avverso di essere in grado di eseguire la mlipa (metamorfosi prodigiosa).
In oriya, la lingua indo-aria parlata delle popolazioni hindu insediate da lunghissimo tempo nelle zone più fertili degli altipiani abitati dai Kondh, e usata come lingua franca dagli stessi Kondh, il fenomeno della metamorfosi felina è conosciuto come palto bagho, un'espressione colloquiale che significa che una tigre o un leopardo sono "convertiti" o "trasformati" (dal verbo oriya palatiba) in strumenti al servizio di un essere umano dotato del potere di controllarli a distanza. Sembra, tuttavia, che con tale espressione gli hindu dell'Orissa intendano indicare specificamente i fenomeni di zooantropia collegabili con la cultura magico-religiosa ed il folklore dei Kondh; a riprova di ciò, nelle leggende e nel folklore hindu dell'Orissa il tema della metamorfosi felina di modello licantropico spicca per la sua assenza a dispetto del fatto che i culti shakta della regione includano, anche nelle aree abitate dai Kondh, delle varianti locali in cui la grande Dea dell'induismo è venerata come dea tigre (o è associata alla figura della tigre), in modo analogo a quanto avviene con la divinità suprema del pantheon Kondh, Darni Penu. A questo riguardo, una completa assimilazione della Dea allo spirito della tigre è riscontrabile nell'Orissa sudoccidentale (l'area d'insediamento dei Kondh) soltanto nell'ambito del culto tributato all'antica divinità tutelare della dinastia Bhanja di Ghumsar, Vyaghra Devi (in sanscrito, dea tigre). Significativamente, l'origine di tale culto è fatta risalire nelle tradizioni locali all'appropriazione di una dea tigre Kondh (Darni Penu?) da parte del primo raja di Ghumsar dopo che questi ebbe ucciso i due capi Kondh che la veneravano come divinità protettrice della loro tribù.(25)
Le credenze tradizionali riguardanti la trasformazione di un uomo in una tigre, in modo particolare quelle riscontrabili fra i Dongria Kondh, insediati nell'area dei monti Niyamgiri (distretto di Rayagada), includono riferimenti alla magia nera che suggeriscono che il procedimento necessario ad impadronirsi di questo potere potrebbe aver incluso, perlomeno in passato, delle pratiche di natura occulta. Questa convinzione, tuttavia, è radicata specialmente fra i non tribali locali, in maggioranza appartenenti alla casta intoccabile hindu dei Dom, mentre i Dongria stessi attualmente escludono che la magia nera giochi un qualsiasi ruolo nell'ambito di questo fenomeno. Si ammette, in ogni caso, che la trasformazione di un uomo o di una donna in kai krani possa aver luogo con l'aiuto interessato di una persona che già detenga lo stesso potere.(26) Sull'aiuto in certi casi offerto da un kai krani ad un'altra persona che voglia divenire tale disponiamo di una testimonianza raccolta in un villaggio Dongria da un etnografo: Una mia zia paterna, che vive in un villaggio situato nell'area di Kalyansinghpur, mi propose tempo fa di aiutarmi a diventare un kai krani. Benché inizialmente la cosa non destasse in me alcun interesse, la zia iniziò a provocarmi così insistentemente, dandomi del codardo e ferendo il mio orgoglio, che mi risolsi infine a provare quest'esperienza, tanto per dimostrare che non avevo paura di diventare un uomo-tigre. Pertanto, una notte decidemmo di trasformarci entrambi in tigri. Una volta che ebbi raggiunto il sonno profondo, la zia chiamò ad alta voce la mia anima, e questa, che aspettava soltanto quel segnale, si separò dal mio corpo. Subito dopo io mi trasformai in una tigre maschio, mia zia in una tigre femmina. Seguii la zia attraverso una grande distanza finché non giungemmo al villaggio di Raeluma, nell'area di Devagiri. Lì la zia ghermì, senza però ucciderlo, un bambino addormentatosi davanti alla propria abitazione e lo trasportò, sempre seguita da me, fino ad un luogo dove trovammo radunate molte altre tigri. Mia zia allora uccise il piccolo e ne divorò il cadavere assieme alle altre tigri, che erano, in realtà, dei kai krani come noi. Fu un'esperienza terribile, che non volli mai più ripetere.(27)
La menzione di convegni notturni fra uomini-tigre appare di grande importanza dal punto di vista etnologico, giacché la ritroviamo anche in tradizioni orali raccolte fra alcune comunità tribali Khasi del Meghalaya (India nordorientale).(28)
La maggioranza dei Dongria, inoltre, crede che la metamorfosi felina sia una prerogativa degli operatori del sacro. In un villaggio Dongria, il dissari (veggente, guaritore ed astrologo), il bejju (sciamano-guaritore) e la bejjuni (sciamana-guaritrice) sono, pertanto, le persone più adatte a sviluppare il potere in questione. In rari casi la trasformazione interessa anche membri laici della società.(29)
Alcune comunità Dongria Kondh ritengono che determinati poteri magici, incluso quello che consentirebbe di sviluppare la facoltà zooantropica, siano donati in segreto da alcuni penu (spiriti divini) dal carattere estremamente malevolo a certi loro adepti una volta che questi ultimi abbiano dato prova di un'incondizionata devozione nei loro confronti mediante offerte e sacrifici compiuti nottetempo nel folto della foresta. Lo sviluppo di facoltà magiche, inclusa la zooantropia, è in ogni caso inteso dalla maggioranza dei Dongria principalmente come un processo spirituale spontaneo e predeterminato dalla volontà divina. Le conoscenze magiche che favoriscono tale processo, acquisite in modo quasi del tutto automatico ed istantaneo, non sono organizzate in un sistema di dottrine occulte o di "stregoneria" di modello tantrico, come sembra invece avvenire fra i Munda e gli Ho del Chotanagpur,(30) né si apprendono nel corso del tempo in modo diacronico, essendo iscritte inconsapevolmente nel destino di individui prescelti a tale scopo dalle divinità fin dalla nascita.(31) Si ha notizia anche di casi in cui il potere di trasformarsi in un felino è acquisito inconsapevolmente da un bambino, il che sembrerebbe escludere che vi sia la necessità di compiere dei riti magici per ottenere questa facoltà. Pertanto, non sembra affatto corrispondere al vero l'affermazione, fatta da diversi studiosi inglesi nel corso della seconda metà del XIX secolo, che la metamorfosi felina fosse un'arte magica praticata da presunte "streghe" Kondh.(32)
Dongria Kondh: il fenomeno del kai krani
I Dongria Kondh hanno elaborato un complesso di credenze magiche al fine di razionalizzare il fenomeno della presunta trasformazione notturna di alcuni individui in tigri o in leopardi. La metamorfosi può aver luogo soltanto a mezzanotte, orario in cui si pensa abbia inizio la fase del sonno profondo. Prima di addormentarsi il soggetto deve necessariamente aver provato il desiderio di trasformarsi in un felino ed essersi raffigurato il percorso che l'anima dovrà seguire per entrare nel corpo dell'animale, percorso spesso visualizzato come un passaggio nella foresta. Durante la fase di sonno R.E.M., in un momento preordinato dalle divinità o dal fato, la parte senziente dell'anima, credendo di sognare, lascia il corpo umano per entrare in quello di un animale della foresta, che è generalmente un felino, ma che in alcuni casi può essere anche un serpente o un orso, secondo i desideri reconditi della persona che subisce la trasformazione. Quest'ultima continua a rimanere immersa in un sonno profondo, mentre l'animale è ora totalmente sotto il suo controllo. Il corpo del dormiente, privato in tal modo di volontà, coscienza e riflessi propri, è ora in uno stato catalettico di quasi-morte, e non può reagire agli stimoli esterni. Se il dormiente è disturbato nel sonno o svegliato, con conseguente interruzione dell'attività onirica, esiste il rischio che egli sia assalito da un violento accesso di tremore, che può anche avere conseguenze mortali. Il tremore indicherebbe lo sforzo compiuto dall'anima trasmigrata per ritornare nel corpo umano. Per non mettere a repentaglio la vita del presunto licantropo, è tassativamente proibito svegliarlo durante tali momenti di parossismo.(33)
Nel caso in cui qualcuno ferisca o uccida l'animale controllato dal kai krani, quest'ultimo riceve nel sonno delle ferite identiche a quelle inferte all'animale oppure muore a sua volta.(34) La credenza in tale fenomeno di ripercussione, tuttora viva fra i Dongria e i Kutia Kondh, potrebbe ben spiegare l'origine del tabù, in vigore presso alcuni gruppi Kondh ancora alla metà del XIX secolo, relativo all'uccisione delle tigri mangiatrici di uomini.(35) Nella visione Kondh delle cose, infatti, tale proibizione potrebbe essere stata motivata dalla necessità di salvaguardare la vita dell'essere umano che avesse eventualmente preso possesso del corpo di una tigre.
In modo speculare i Dongria sono convinti che, se qualcuno fa del male al dormiente nel suo letto, l'animale che vaga nella foresta come suo alter ego felino, in virtù di un analogo fenomeno di ripercussione, crollerà a terra privo di sensi. Tuttavia, se il kai krani muore durante il sonno, l'animale non muore, ma riguadagna invece la propria libertà poiché, a differenza della persona che lo controlla, esso possiede ancora interamente la propria anima, che non si è mai allontanata dal corpo.(36)
La trasformazione può interessare indifferentemente un uomo od una donna. Gli uomini tendono a trasformarsi in animali di sesso maschile, le donne in animali di sesso femminile. La tigre controllata dall'anima umana può percorrere anche centinaia di chilometri al giorno per eseguire la volontà di chi la controlla. È la parte dell'anima umana in cui risiede l'istinto a costringere l'animale posseduto ad obbedire al suo controllore. Il movente può consistere nel desiderio inconfessabile di nutrirsi di carne cruda oppure in un desiderio di vendetta.(37)
Secondo i Dongria, infine, un kai krani può essere identificato da individui che detengano il suo stesso potere. In certi casi, per smascherare gli uomini-tigre considerati più pericolosi, si celebrano speciali riti finalizzati ad invocare l'aiuto dei penu della foresta e delle colline nell'opera di ricerca del reo.(38)
Ecco come una bejjuni (sciamana-guaritrice Dongria Kondh) residente nel villaggio di Parsali, Sikoka Lacchi, descrive, in una testimonianza raccolta dallo scrivente, il fenomeno del kai krani(39)
Sono stata una kai krani per circa sette anni, quando ero ancora una bambina,(40) ma poi un bejju (sciamano-guaritore) ha posto termine alle mie trasformazioni notturne. A quel tempo ricevevo già da alcuni anni, esattamente dall'età di cinque anni, visite in sogno da parte della mia divinità tutelare, che mi ha aiutato a diventare una bejjuni. Ora non ricordo più nulla di quel periodo: so soltanto che, quando esso terminò, ero divenuta una bejjuni. Del fenomeno chiamato kai krani, la trasformazione di un essere umano in un felino, so perciò quanto sanno tutti gli altri sciamani: non ricordo nulla della mia personale esperienza. Quando la sostanza animica del kai krani, una volta che questi abbia iniziato a sognare, esce dal corpo umano, essa trasmigra inizialmente nel corpo di un gatto selvatico, il quale è dello stesso sesso del kai krani.(41) Nel giro di poche ore il gatto cresce fino a trasformarsi in una tigre adulta. Il kai krani, una volta raggiunta questa forma, prende immediatamente a vagare in cerca di prede. Se qualcuno uccide la tigre, anche la persona che la controlla muore nel sonno. Se l'animale si allontana troppo dal villaggio dove risiede il kai krani, il mattino seguente quest'ultimo appare totalmente privo di volontà propria e capacità intellettive. Il ritorno alla normalità avviene quando la tigre si riavvicina al villaggio in misura sufficiente a consentire la trasmigrazione dell'anima del kai krani nel corpo umano d'origine.
La trasformazione di un essere umano in una tigre non è un fenomeno di magia nera, ma è, invece, una dote innata in persone prescelte a tale scopo, con un giudizio imperscrutabile, da Darni Penu, la dea della terra. Fu la dea stessa, all'inizio del tempo, a stabilire che un certo numero di individui potesse sviluppare la capacità miracolosa di trasferire temporaneamente e periodicamente la propria anima nel corpo di un felino. Per questo motivo io sostengo che dietro ogni attacco sferrato da un kai krani contro un uomo o un animale c'è sempre la volontà occulta di Darni Penu. Si tratta, in questo caso, di una volontà malefica, che la dea infuriata fa valere per vendicare se stessa od un suo protetto, da lei stessa trasformato in un kai krani, di qualche offesa subita.
Normalmente è il jani, il prete di villaggio, ad annunciare alla comunità la presenza di un kai krani nel territorio circostante. Ciò avviene quando gli abitanti di un villaggio o i loro animali domestici siano stati ripetutamente attaccati da una tigre. Tipicamente, un uomo-tigre non divora le proprie vittime per intero, ma soltanto a metà, lasciando l'altra metà del cadavere o della carcassa sul luogo dov'è avvenuto l'attacco. Ciò costituisce un segno quasi certo del fatto che la tigre assassina è, in realtà, controllata da un essere umano. Dal momento in cui si è accertato che nei pressi del villaggio è attivo un kai krani, una parte degli abitanti cerca di scoprire la sua identità vigilando durante la notte su tutte le persone che stanno dormendo in modo da individuare i tipici segnali fisici che contraddistinguono il comportamento di un kai krani immerso nel sonno profondo. I segnali ai quali mi riferisco sono, essenzialmente, l'impossibilità di svegliarsi, anche dopo ripetuti solleciti, ed una palpitazione ritmica delle mani simile a quella che si può vedere guardando le zampe di un cane o un gatto addormentati.(42)
Una volta che il kai krani sia stato finalmente individuato, il bejju o la bejjuni del villaggio sono incaricati di curarlo, riconvertendolo in una persona normale e non pericolosa per gli altri. Il metodo usato a tale scopo per gli uomini differisce da quello usato per le donne: ai primi si impone d'indossare un cordone di cotone interrotto da tre nodi, mentre alle seconde si impone una cura a base di erbe medicinali. Se il presunto kai krani rifiuta la cura, gli abitanti del villaggio lo abbandonano al suo destino, che è quello di essere prima o poi ucciso dagli abitanti infuriati di un villaggio vicino.
Kutia Kondh: il fenomeno del kradi mliva
Appare sorprendente che le descrizioni del fenomeno zooantropico fornite dai Kutia Kondh siano quasi del tutto identiche a quelle fornite dai Dongria Kondh. Le zone d'insediamento di queste due popolazioni di montanari tribali, infatti, non sono affatto contigue, essendo separate da vaste distese di giungla scarsamente popolata. Inoltre, i dialetti parlati, rispettivamente, dai Kutia e dai Dongria sono reciprocamente intelligibili soltanto con grande difficoltà.(43) Poiché, sulla base di queste constatazioni, sembra difficile che una di queste due tradizioni in materia di zooantropia abbia potuto influenzare l'altra, si è portati a credere che entrambe derivino da un più antico complesso magico-religioso comune a tutto il popolo Kondh, che tuttavia soltanto i montanari Dongria e Kutia hanno preservato nella sua interezza.
Qui di seguito si riporta la testimonianza di un jani (prete di villaggio Kondh), di nome Jayadeva Jani, che officia al culto dei penu nel villaggio Kutia di Deogada(44)
L'anima di un kradi mliva abbandona il corpo umano, uscendone dalla parte anteriore, dopo il calare della notte, quando tutti gli abitanti del villaggio sono già andati a dormire. Solo una parte della sostanza animica lascia il corpo, poiché altrimenti il kradi mliva morrebbe. Essa entra dapprima nel corpo di un cucciolo di tigre che subito inizia a svilupparsi fino a trasformarsi, nel giro di poche ore, in un animale adulto. Se il kradi mliva è un uomo, la tigre a lui associata è di sesso femminile; viceversa, se si tratta di una donna, la tigre è di sesso maschile.(45) La tigre così controllata spesso uccide animali domestici appartenenti ad una persona contro la quale il kradi mliva nutre propositi di vendetta. Nelle ore in cui l'anima del kradi mliva è nel corpo della tigre, egli resta immerso in uno stato di sonno assoluto, non si muove e non reagisce agli stimoli esterni. Se l'animale è ucciso, anche la persona dormiente che lo controlla muore nel sonno. Verso mezzanotte l'anima del kradi mliva fa ritorno nel corpo umano. Se, però, l'animale si è spinto troppo lontano nel suo vagabondare, l'anima non può fare ritorno nel corpo del kradi mliva, il quale, il mattino seguente, appare sprofondato in uno stato catatonico, senza volontà propria e privo di forze. Tale situazione perdura fino a quando l'animale, nel corso di una delle notti successive, non fa ritorno nei pressi del villaggio, consentendo così all'anima di trasmigrare.(46) L'anima deve rientrare nel corpo dal lato frontale, lo stesso da cui ne era fuoriuscita; se, per qualche circostanza imprevedibile, essa fa invece ritorno nel corpo dal lato posteriore, il giorno seguente il kradi mliva non riesce più a riconoscere nessuno.
Il potere di trasformarsi in una tigre è prerogativa esclusiva di persone prescelte a tale scopo dalle divinità delle colline e della foresta, soru penu, le stesse che designano gli sciamani-guaritori di villaggio, il kutaka (maschio) e la kutakaru (femmina), apparendo loro in sogno durante l'infanzia per chiamarli al proprio servizio. Lo sciamano o la sciamana, essendo in grado in ogni momento di stabilire un contatto spirituale con queste divinità, possiedono la facoltà di capire se una serie di attacchi sospetti attuati da una tigre nei pressi di un villaggio siano opera di un kradi mliva oppure no, come pure quella di individuare l'eventuale responsabile tramite l'osservazione dei comportamenti di tutti gli abitanti del villaggio. La rivelazione dell'identità di un kradi mliva, ad esempio, può avvenire dopo che egli abbia minacciato ripetutamente di distruggere il bestiame di un proprio nemico, ed in seguito un animale domestico appartenente alla persona minacciata sia stato ferito o ucciso da una tigre. Un tempo, si dice, un kradi mliva poteva tramare nell'ombra per provocare, tramite la tigre da lui controllata, la morte di un nemico residente in un villaggio diverso dal suo nel corso di una faida fra clan.
Ecco invece la testimonianza resa da Sendhe Majhi, l'anziano kutaka (sciamano-guaritore) dello stesso villaggio cui appartiene Jayadeva Jani, sul fenomeno del kradi mliva; essa risulta di particolare interesse in quanto vi si menziona lo stesso metodo esorcistico - l'imposizione al kradi mliva di un cordone di cotone dotato di tre nodi e consacrato dallo sciamano con speciali formule magiche - usato dai Dongria Kondh per curare le persone affette dalla "malattia" del kai krani(47)
Nella mia lunga attività di kutaka ho esorcizzato cinque kradi mliva nei villaggi di Deogada, Talangapada e Kadapana, ponendo fine per sempre alle loro metamorfosi notturne. In base alla mia esperienza posso affermare che non esistono riti, incantesimi o formule magiche che permettano di ottenere il potere di trasformarsi a proprio piacimento in un animale: si tratta, al contrario, di un processo interamente spontaneo causato da una decisione divina.(48) A livello individuale, un kradi mliva è destinato ad essere tale per volontà degli spiriti delle colline, soru penu, ma in origine, al momento della creazione del mondo, fu Darni Penu stessa che stabilì che ci dovessero essere uomini investiti dell'autorità sacerdotale e del potere magico-religioso ad essa inerente, uomini o donne dotati di poteri sciamanici e medianici, divinatori, guaritori, ed infine persone predestinate a sviluppare la facoltà della trasformazione in felino.
Fra il kradi mliva e la tigre da lui (o da lei) controllata esiste una relazione individuale: l'animale in cui l'anima s'incarna è, in pratica, sempre lo stesso. Se l'animale è ucciso o ferito, il corpo addormentato del kradi mliva patisce la medesima sorte. La tigre può essere spinta ad attaccare un uomo o un capo di bestiame sia perché il kradi mliva è affamato di carne fresca, in caso estremo anche umana, da procurarsi attraverso la caccia, sia perché egli intende in tal modo soddisfare un desiderio di vendetta da lungo tempo covato nei confronti di un nemico o di un avversario.
È il kutaka, lo sciamano del villaggio, od il suo corrispettivo femminile, la kutakaru, a stabilire se una serie di attacchi da parte di una tigre siano causati da una tigre controllata da un kradi mliva oppure da una tigre comune. Ciò avviene attraverso l'uso di particolari tecniche divinatorie che non prevedono, in ogni caso, fenomeni di trance. Una volta individuato il responsabile, lo sciamano, su richiesta degli abitanti del villaggio minacciato, è in grado di por fine alle metamorfosi notturne del kradi mliva. Il principale metodo esorcistico impiegato a tale scopo da noi sciamani Kutia Kondh consiste nel costringere il presunto kradi mliva ad indossare permanentemente un cordone di cotone consacrato a Darni Penu con particolari formule magico-religiose. Il cordone utilizzato è interrotto da tre nodi e, come quello brahmanico, deve essere indossato attraverso il torso, poggiando sulla spalla destra. Inizialmente si cerca di convincere la persona accusata d'essere un kradi mliva ad accettare di sottoporsi a questo rituale senza opporre resistenza. Se il supposto kradi mliva risiede in un villaggio diverso da quello minacciato dalla tigre, un'assemblea tribale, alla quale partecipano gli abitanti di entrambi i villaggi, è convocata per informare la popolazione delle conclusioni raggiunte dallo sciamano o dalla sciamana del villaggio che sta subendo gli attacchi della tigre e per decidere in comune le misure da prendere per neutralizzare il presunto responsabile di tali attacchi. Se questi rifiuta di sottoporsi alla cura, gli abitanti del villaggio colpito dalle scorrerie della tigre minacciano, in molti casi, di ucciderlo, ottenendo generalmente in questo modo la sua sottomissione.
Tigri controllate da spettri di persone defunte
Oltre alla trasformazione di modello licantropico, di cui si è discusso finora, alcuni gruppi Kondh ritengono possibile anche una diversa forma di controllo di una tigre da parte di una volontà malintenzionata, appartenente in questo caso non ad una persona ancora in vita, ma allo spirito non pacificato di un individuo deceduto in seguito all'attacco di una tigre. Se nel caso del fenomeno denominato kradi mliva o kai krani la tigre rappresenta l'alter ego o il doppio animale di una persona vivente, nel complesso religioso che si andrà ora ad illustrare essa è il veicolo dello spettro di un defunto.
I Kondh ritengono che talune forme di morte improvvisa - ad es. quella causata dall'attacco di una bestia feroce, quella provocata dalla caduta da un albero, e quelle per annegamento, omicidio, suicidio o durante il parto - abbiano conseguenze molto pericolose per i membri della famiglia e per gli abitanti del villaggio del defunto. Queste forme di morte prematura, infatti, profanano la sacralità di Darni Penu, oltraggiandola e facendo sì che essa decida di abbandonare temporaneamente le pietre, installate nella strada centrale di ogni villaggio Kondh, in cui essa è creduta risiedere. Si ritiene, infatti, che le pietre sacre alla dea siano rese impure dalla morte innaturale di un abitante del villaggio. Ogni decesso per cause non naturali richiede la celebrazione di lunghi e complicati riti di purificazione e rinascita collettiva atti a ristabilire un normale rapporto fra il villaggio e le divinità. In passato la celebrazione di tali riti comportava la sospensione, per un periodo variabile, di qualsiasi attività lavorativa all'interno di un villaggio Kondh la cui sicurezza fosse minacciata dalla presenza di una tigre assassina. Gli abitanti di quel villaggio vivevano, per un certo tempo, pressoché segregati all'interno delle loro abitazioni, e l'ingresso al villaggio era interdetto agli abitanti di altri villaggi per tutta la durata dei riti di rigenerazione.(49)
Tutte le morti innaturali, essendo seguite, secondo il costume Kondh, da esequie più frettolose, incomplete e prive di sacralità di quelle celebrate in caso di morte naturale, determinano l'impossibilità per lo spirito del defunto di accedere alla comunità degli spiriti ancestrali, facendo sì che esso sia costretto a trattenersi in questo mondo in una condizione di morte "assoluta", ossia una morte non seguita dal passaggio dell'anima del defunto ad un nuovo stato di esistenza. In questa condizione di estrema solitudine lo spettro errante, invidioso sia della condizione dei viventi che di quella degli spiriti ancestrali, prova il desiderio di porre fine, in una maniera altrettanto innaturale di quella che ha avuto la sventura di sperimentare, alla vita di altre persone, possibilmente appartenenti al suo stesso lignaggio, allo scopo di procurarsi dei compagni.(50)
La più temuta fra le forme di morte innaturale è senza dubbio quella provocata dall'aggressione da parte di una tigre o di un leopardo. Secondo i Dongria Kondh,(51) ed anche secondo diversi sottogruppi Kondh del distretto di Kandhamal, chiunque sia stato ucciso da una tigre diviene uno spirito-tigre. In lingua kui tale spirito è detto bagole-enju se in origine era un uomo, bagole-eri se era una donna.(52) Dopo essersi impossessato del corpo della tigre che l'ha ucciso, il bagole-enju inizia a vagare a cavallo dell'animale sulle colline che circondano il villaggio, ponendo la propria dimora nei pressi del luogo, contrassegnato dall'erezione di speciali pietre, dove è avvenuto il suo decesso, oppure nel folto della foresta, in una gola inaccessibile, o nella forra di un torrente. Il bagole-enju si fa di tanto in tanto udire emettendo terribili grida. In questa condizione egli tenta di uccidere soprattutto i suoi congiunti.(53)
In tutti i casi di morte dovuta all'attacco di una tigre i resti del corpo della vittima non sono portati al campo d'incinerazione del villaggio, ma sono invece cremati, senza alcuna cerimonia funebre né offerta di cibo, sul luogo dove è avvenuto l'agguato fatale; si ritiene che essi abbiano un potere di contaminazione altissimo, e possano quindi essere toccati esclusivamente dai parenti più stretti del defunto, già contaminati a causa del loro legame di sangue con quest'ultimo. I Kondh, infatti, sono convinti che il sangue versato dalla vittima di una tigre "salti", come una vera e propria maledizione, sui membri della sua famiglia e che questi ultimi, a causa dell'infezione spirituale contratta, siano condannati a divenire prima o poi, a loro volta, vittime dello stesso felino che ha già ucciso il loro congiunto. La tigre diventa così lo strumento grazie a cui l'infezione/maledizione spirituale si propaga attraverso una catena di aggressioni potenzialmente interminabile.(54) Forse proprio a causa di questa superstizione, un tempo i Malia Kondh impedivano che le carcasse dei leopardi uccisi fossero portate all'interno dei loro villaggi.(55)
I Malia Kondh stanziati nella parte meridionale del distretto di Kandhamal ritengono inoltre che l'anima di una persona uccisa da una tigre monti a cavallo dell'animale assassino la terza notte dopo il decesso e inizi da allora a gemere e ad attaccare tutti gli esseri viventi che incontra lungo il proprio cammino. La forza della tigre cresce con il crescere del numero delle sue vittime. Le anime delle vittime, furiose per il destino loro toccato e per il modo irregolare in cui le loro esequie sono state eseguite, controllano collettivamente la tigre cercando continuamente di procurarle delle prede umane per aumentarne la potenza e la pericolosità. In questa parte del territorio Kondh, secondo testimonianze risalenti al secolo scorso, l'anima di ciascun individuo ucciso da una tigre era invitata ad abbandonare il corpo dell'animale assassino, di cui essa era ritenuta essersi impossessata, mediante uno speciale rito di esorcismo grazie al quale uno specialista religioso riusciva, in qualche modo, a convogliare su di sé la brama di uccidere che era creduta animare lo spettro non pacificato del bagole-enju. L'officiante al rito dapprima invocava lo spettro con delle speciali formule sacre, ed entrava quindi progressivamente in uno stato di trance, preparandosi ad introiettare magicamente la volontà omicida della tigre. Una capra era quindi condotta al cospetto del medium, il quale, imitando ritualmente il comportamento predatorio della tigre, la dilaniava a morsi e mostrava infine il proprio volto imbrattato di sangue alla folla degli astanti in un tumulto di gioia collettiva per l'avvenuta liberazione dal pericolo rappresentato dalla tigre mangiatrice di uomini.(56)
Tutto ciò dimostra quanto frequenti fossero gli attacchi all'uomo da parte delle tigri prima che la progressiva deforestazione delle colline e lo sterminio dei grandi felini promosso dal governo indiano dopo l'indipendenza causassero un drastico calo del numero di esemplari di tigre nel territorio Kondh. La serialità degli attacchi, che è probabilmente alla base della credenza nel fatto che il sangue delle vittime "salti" sui loro parenti, era un tempo un fenomeno comune in quella regione di foreste collinari. Essa può essere considerata un fenomeno naturale, tenendo conto che una tigre vecchia o malata, non potendo più cacciare gli animali della foresta, più veloci di lei, è spesso costretta ad attaccare l'uomo, una preda assai meno veloce di lei, se intende sopravvivere. Si crede che una tigre, una volta assaggiata la carne umana, continui ad attaccare l'uomo. I Kondh, però, pensano che soltanto gli esemplari di felino manovrati da una volontà esterna attacchino l'uomo per cibarsene, mentre gli esemplari ordinari si asterrebbero da tale comportamento. Ciò, probabilmente, riflette un dato ricavabile dall'esperienza, ovvero la nozione comune che soltanto un numero molto limitato di esemplari di tigre o di leopardo, generalmente vecchi o feriti, si spinge fino ai confini dei villaggi per assalire prede umane.
Secondo credenze comuni a diverse comunità Kondh, la contaminazione spirituale provocata dalla morte di un membro della famiglia per opera di una tigre avrebbe addirittura un carattere ereditario, potendo manifestarsi anche in una generazione successiva a quella cui appartiene la vittima. Allo scopo di impedire l'estensione di quello che è percepito come un potenziale rischio di contagio per l'intera collettività, i Malia Kondh dell'area di G. Udayagiri (distretto di Kandhamal) sono soliti eseguire un lungo rituale di purificazione chiamato kradi tinmba. Un jani (prete di villaggio) compie, per la durata di circa un mese a partire dall'uccisione di un abitante del suo villaggio da parte di una tigre, dei riti di aspersione con acqua accompagnati dal passaggio dei membri della comunità sotto archi fatti con i rami di particolari piante sacre o con la terra di un termitaio. Nell'ambito di questo rituale il jani compie anche dei riti di purificazione consistenti nel succhiare simbolicamente il sangue "infettato" dalla maledizione della tigre da tre punti situati sulla fronte di tutti i membri della comunità; egli poi finge di sputare questo sangue in modo da neutralizzarlo. Al termine del periodo di purificazione collettiva la comunità può considerarsi rigenerata: da questo momento, Darni Penu è invitata a prendere nuovamente dimora nelle pietre a lei sacre.(57)
In sostanza, la morte di un individuo a causa dell'attacco di una tigre è percepita come la morte potenziale dell'intera comunità, l'inizio di una vera e propria infezione che richiede che gli abitanti del villaggio si sottopongano, tutti assieme, ad una lunga quarantena rituale, durante la quale l'intera comunità rimane isolata dal mondo esterno. Come nel caso della sindrome zooantropica, che è ritenuta poter affliggere soltanto una persona ancora in vita, la trasmigrazione dell'anima di un individuo ucciso da una tigre entro il corpo dell'animale che ha posto fine alla sua esistenza terrena è percepita dai Kondh come l'episodio che dà inizio alla propagazione di una vera e propria malattia, alla quale va posto rimedio con speciali riti di rigenerazione collettiva officiati da un jani. Tali riti comunitari sembrano corrispondere ai riti di rigenerazione individuale imposti dagli sciamani-guaritori Kondh alle persone affette da sindrome zooantropica.
NOTE
1 Si vedano in proposito i seguenti links:
www.5tigers.org/Indonesia/PHVA/bakels.htm
www.sacred-texts.com/sha/sss.htm
2 Si vedano in proposito gli abstracts pubblicati alle seguenti pagine Web:
www.siu.edu/~dfll/Chinese/abstract8.htm
www.siu.edu/~dfll/Chinese/abstract10.htm
L'A., Charles Edward Hammond, ha pubblicato diversi saggi sull'elaborazione del tema della metamorfosi felina nella Cina imperiale; per la relativa bibliografia si vedano i seguenti links:
http://www.siu.edu/~flit/hammnd95.htm
http://www.siu.edu/~dfll/Chinese/teaching_and_research.html
3 J. Norman - Tsu-Lin Mei, "The Austroasiatics in Ancient South China: Some Lexical Evidence", Monumenta Serica 32 (1976), pp. 286-8.
4 Fra i Lhota Naga certi sciamani-guaritori manifestano la propria vocazione all'ufficio al quale si sentono chiamati dagli spiriti divini con stati di allucinazione durante i quali essi sono creduti stabilire un legame spirituale con un loro alter ego animale, generalmente una tigre (cf. L'etnologia / a cura di H. Tischner, Milano, Feltrinelli, 19703, p. 251).
5 Comunicazione personale del dr. Stefano Beggiora. Secondo lo stesso ricercatore, gli operatori del sacro Mompa includono figure di sciamani-guaritori cui si attribuisce il potere di essere posseduti da spiriti-guida o "familiari" felini in determinate occasioni rituali. Fra alcuni sottogruppi Monpa, come i But Monpa ed i Bangni, gli sciamani-tigre rappresentano gli operatori del sacro di grado più elevato. Essi hanno principalmente il compito di esorcizzare il rischio di morte per tigre. Il viaggio iniziatico di tali sciamani culmina nell'uccisione di una tigre, la cui mandibola è in seguito fissata su una tavoletta sacra che fungerà da catalizzatore dei poteri soprannaturali conferiti allo sciamano dal suo spirito-guida felino.
6 Encyclopedia Britannica, 191111, s.v. Lycanthropy consultabile online alla pagina:
http://100.1911encyclopedia.org/L/LY/LYCANTHROPY.htm
7 V. infra, nota 30.
8 Sin dal 1931 l'antropologo britannico J. H. Hutton suggerì di "relativizzare" il termine inglese lycanthropy usandolo per designare qualsiasi credenza nella trasformazione soprannaturale di un essere umano nell'animale carnivoro più temuto in una particolare regione geografica, ad es. l'orso in Scandinavia, il giaguaro nell'America centrale e meridionale, la tigre o il leopardo in Asia. Cf. J. H. Hutton, "Lycanthropy", Man in India 11 (1931), p. 208.
9 Per la menzione di fenomeni di licantropia fra i Garo cf. ibid., p. 213. Sui Naga e i Khasi v. infra nell'apparato di note.
10 Comunicazione personale del dr. Stefano Beggiora. I gruppi tribali di lingua tibeto-birmana dell'Arunachal Pradesh fra i quali questo ricercatore ha raccolto una documentazione orale relativa al fenomeno della metamorfosi felina (persone in preda a delirio e allucinazioni in concomitanza con attacchi di tigri o leopardi nelle vicinanze) sono principalmente gli Apatani, i Nishi ed i Miri-delle-colline.
11 Alcuni gruppi tribali Bhil del Gujarat venerano un dio-tigre dalla natura ctonia chiamato Wagh Dev, che è creduto risiedere sui monti ricoperti di giungla. Assimilato ad una manifestazione felina di Shiva, egli è invocato soprattutto per la protezione dagli attacchi da parte di bestie feroci. Fra certi gruppi Bhil esiste anche un mito relativo alla discendenza della tribù da un antenato-tigre.
12 J. H. Hutton, The Sema Nagas, London, Oxford University Press, 19682, p. 208. In alcuni miti delle tribù Naga del gruppo occidentale si afferma che l'uomo, lo spirito ed i grandi felini, tigre e leopardo, furono generati da una madre comune all'inizio del tempo.
13 Hutton, "Lycanthropy", cit., p. 213.
14 Le P. Rossillon, "Murs et Coutumes du people Kui, Indes Anglaises", IVe Partie: Vie religieuse, Anthropos 7 (1912), p. 650.
15 N. R. Patnaik, "Oath and Ordeal in Khond Society of Nineteenth Century Orissa", Adibasi 30 (1990), p. 21.
16 B. M. Boal, The Konds: Human Sacrifice and Religious Change, ediz. indiana, Bhubaneswar, Modern Book Depot, 1984, pp. 105, 177, 232.
17 Ibid., p. 109.
18 V. Elwin, "Notes on a Kondh Tour", Man in India 24 (1944), pp. 51-3.
19 Rossillon, op. cit., p. 652.
20 Comunicazione personale del dr. P. N. Sahu.
21 Boal, op. cit., pp. 18-9.
22 Rossillon, op. cit., IIe Partie: Vie politique et sociale, p. 100 e IVe Partie, p. 651.
23 A. Götzelmann, "Zur Tatauierung der Khond", manoscritto inedito (trad. dal tedesco a cura di Karoline Kleefisch).
24 T. J. Maltby, The Ganjam District Manual, Madras, Government Press, reprint 1918, p. 73. Questa documentazione giuridica rende possibile un paragone con l'attività omicida attribuita a presunti uomini-tigre presso alcune tribù Naga dell'India nordorientale, nell'ambito delle cui credenze socio-religiose, in modo del tutto analogo a quanto avveniva fra i Kondh dell'Orissa, la paventata trasformazione di un uomo in tigre o leopardo costituiva sovente un potente elemento di pressione nel corso delle faide fra villaggi.
25 F. Brighenti, Shakti Cult in Orissa, New Delhi, D.K. Printworld, 2001, pp. 160-1. Il santuario di Vyaghra Devi è situato sulla sommità di una collina rocciosa prospiciente il palazzo reale di Kuladha, la vecchia capitale del regno di Ghumsar, nei pressi dell'attuale Bhanjanagar. Sopra il santuario, un tempo collocato all'aperto, incombe un enorme masso il cui profilo richiama alla mente quello della testa di una tigre. Ciò sembra suggerire la probabile origine totemica di questa divinità, venerata da tempo immemorabile dalle tribù Kondh insediate nell'area di Bhanjanagar soprattutto a causa del potere, a lei attribuito, di proteggere i suoi fedeli dagli attacchi delle tigri e di altre bestie feroci. Il culto di Vyaghra Devi, nonostante sia stato sanscritizzato da molti secoli, è ancor oggi officiato da preti tribali Kondh. In particolari occasioni rituali, i Kondh sono soliti offrire il proprio sangue alla dea secondo un uso sacrificale tipico dello shaktismo. La sanscritizzazione del culto di Vyaghra Devi fu opera dei sovrani Bhanja di Ghumsar, che esercitarono la loro sovranità su una vasta porzione dei territori abitati dai Kondh dal XIII secolo d.C. fino alla conquista del loro regno da parte degli inglesi nel 1835. Appare quasi certo che, fino alla metà del XIX secolo, il santuario di Kuladha fosse sede di sacrifici umani eseguiti in onore di questa epifania felina della Dea.
26 M. K. Jena (et al.(, Forest Tribes of Orissa: Lifestyle and Social Conditions of Selected Orissan Tribes, Vol. 1: The Dongaria Kondh, New Delhi, D.K. Printworld, 2002, p. 119.
27 Testimonianza non datata di Mandra Jakesika, un abitante del villaggio Dongria Kondh di Kurli, riprodotta in ibid., pp. 265-6 (trad. dall'inglese a cura dello scrivente).
28 La credenza nell'esistenza di convegni notturni fra uomini-tigre (= licantropi) e tigri comuni, che avrebbero luogo nel folto della foresta, è comune fra alcune comunità tribali Khasi del Meghalaya, di lingua austroasiatica (ramo mon-khmer). Nell'ambito di tale incontro fra mondo umano e mondo della natura, gli uomini- (o donne-)tigre Khasi fungono da rappresentanti dei rispettivi clan matrilineari d'appartenenza. Queste persone, in cui la sindrome licantropica si manifesta con caratteristiche molto simili, se non identiche, a quelle descritte dai Kondh e dai Naga, sono credute ricevere il potere di mutarsi in tigri dalle loro rispettive antenate divinizzate, chiamate Ka Long Nur - cf. il caso dei Kondh, in cui la divinità alla quale si ascrivono la creazione ed il trasferimento all'uomo del potere della metamorfosi felina, Darni Penu, è vista da alcuni antropologi, ad es. Barbara M. Boal, come una figura divina di Grande Antenata, fondatrice simbolica, nelle sue varie epifanie umane, dell'intero popolo Kondh (Boal, op. cit., p. 91). Le tigri comuni, invece, fungono da rappresentanti di U Ryngkew, lo spirito protettore dei villaggi Khasi che dimora nei boschi sacri e che talvolta si manifesta agli uomini sotto le sembianze di una tigre. Il fenomeno della zooantropia è concepito dai Khasi come parte di un antico patto sacro stilato fra gli antenati dei loro clan di agricoltori e gli spiriti dell'ambiente selvaggio della foresta. Gli uomini-tigre Khasi attraversano il confine fra i due mondi recandosi nella giungla, che è al tempo stesso definita come "mondo dell'ombra" e "tempo del sogno", sotto spoglie feline. I rappresentanti dei due mondi - gli uomini-tigre e le tigri controllate da U Ryngkew - si incontrano nella foresta e discutono fra loro, giocano, intrattengono rapporti d'amore e generano bambini-tigre. Sembra che in tempi andati il patto sacro in questione includesse anche l'offerta sacrificale di vittime umane agli spiriti della giungla, in particolare ad U Ryngkew ed ai suoi spiriti-tigre. Gli stessi uomi-tigre Khasi, si sostiene, sono talvolta costretti dai loro compagni, le tigri della foresta, a nutrirsi di carne umana (chiamata "carne d'oro" nelle storie riferite dai Khasi). Su quest'argomento cf. il contenuto del seguente link in tedesco (integrato da una comunicazione personale dell'A., dr. Thomas Kaiser):
http://www.musethno.unizh.ch/ausstellungen/tigermenschen/Pressetext/tigerpressetexte.pdf
Il materiale raccolto nel corso di questa ricerca fra i Khasi è stato pubblicato in tedesco nel volume Tigermenschen: Texte zur Tigerwandlung der Khasi Nordostindiens / a cura di T. Kaiser in collaborazione con D. L. Kharmawphlang [et al.], Zürich, Völkerkundemuseum der Universität, 2003.
Sempre restando in tema di "società segrete" composte da spiriti-tigre che dimorano nell'ignoto, in tutta l'Indonesia è diffusa la leggenda di un villaggio abitato da uomini-tigre che sarebbe situato nel folto della giungla. Nel loro villaggio questi esseri soprannaturali avrebbero un aspetto umano, mentre, una volta usciti da esso, si trasformerebbero in tigri mangiatrici di uomini. Cf. il seguente link:
www.5tigers.org/Indonesia/PHVA/bakels.htm
29 Jena [et al.], op. cit, p. 264. Gli AA. di quest'opera sostengono che il fenomeno detto kai krani può essere compreso appieno soltanto da uomini o donne esperti nelle arti della magia nera e della stregoneria. Un dissari Dongria Kondh, unendo in sé le funzioni di massimo devoto, alta autorità religiosa, astrologo e mago guaritore, possiede sempre questa facoltà allo stato latente. Questo vale anche per il bejju e la bejjuni, rispettivamente lo sciamano e la sciamana del villaggio. Anche gli sciamani-guaritori, i divinatori ed i veggenti di alcune tribù Naga dell'India nordorientale sono ritenuti possedere un alter ego felino nel cui corpo la loro anima ha la facoltà di trasmigrare temporaneamente.
30 I Munda e gli Ho della fine del XIX secolo credevano che certi uomini, iniziati al culto di determinati spiriti divini (bonga) dal carattere maligno, riuscissero a trasformarsi in tigri od in altri animali da preda. Tali uomini, considerati dei potenti stregoni, erano additati come un pericolo per l'intera comunità ed erano talvolta uccisi, senza alcun tipo di processo, dai parenti delle persone cadute vittima dell'imboscata di una tigre. Si credeva che queste persone potessero divorare durante la notte interi animali domestici, ruggendo come tigri (E. T. Dalton, Descriptive Etnography of Bengal, Calcutta, Firma K. L. Mukhopadhyaya, reprint 1960, p. 199). I Juang, tribù di lingua munda dell'Orissa centrale, credono che certe streghe abbiano il potere di trasformarsi in tigri e che, sotto tali sembianze, esse cerchino di uccidere i propri nemici, oppure di attaccarli per bere il loro sangue, o in alternativa di divorare i loro animali domestici. Non è chiaro se la tigre sia un'incarnazione della strega stessa o se essa sia da questa costretta ad attaccare gli uomini e gli animali di un determinato villaggio. Se una strega, o uno stregone, riescono ad impadronirsi della placenta di una femmina di tigre, essi possono poi trasformarsi a loro piacimento in uno di questi animali (V. Elwin, "Notes on the Juang", Man in India 28 [1948], pp. 134-35, 141).
31 Jena [et al.], op. cit., pp. 119-20, 193.
32 N. R. Patnaik, History and Culture of Khond Tribes, New Delhi, Commonwealth Publishers, 1992, p. 171.
33 Jena [et al.], op. cit, pp. 120, 264.
34 Un'identica credenza si ritrova nelle descrizioni del fenomeno della licantropia raccolte fra i Khasi del Meghalaya; cf. il link (in tedesco):
http://www.musethno.unizh.ch/ausstellungen/tigermenschen/Pressetext/tigerpressetexte.pdf
35 Patnaik, History and Culture of Khond Tribes, cit., p. 168.
36 Jena [et al.], op. cit., pp. 120, 265.
37 Ibid., p. 265
38 Ibid., p. 266.
39 Testimonianza della bejjuni Sikoka Lacchhi raccolta dallo scrivente nel villaggio Dongria Kondh di Parsali in data 06/01/2002.
40 Il caso della bejjuni Sikoka Lacchhi presenta un risvolto molto particolare in quanto si tratta, a tutti gli effetti, di un ermafrodito. Durante l'infanzia, prima di sviluppare i suoi poteri sciamanici, Sikoka era da tutti considerata un maschio, come dimostra il fatto, da lei stessa riferito, che il metodo impiegato dal bejju per sopprimere in lei la facoltà di trasformarsi in una tigre fosse quello dell'imposizione del cordone con tre nodi, adottato dai Dongria Kondh esclusivamente per esorcizzare i kai krani di sesso maschile.
41 Gli informatori Kutia Kondh contattati dallo scrivente parlano invece, a questo proposito, di una trasformazione iniziale del kradi mliva in un cucciolo di tigre o di leopardo. Fra i Sema Naga la trasformazione in un gatto di colore rosso (angshu-akinu) è ritenuta essere indice del fatto che la persona dotata del potere zooantropico è un codardo o un uomo senza valore (cf. Hutton, The Sema Nagas, cit., p. 201).
42 Anche sotto quest'aspetto specifico le descrizioni del fenomeno zooantropico fornite dai Kondh appaiono quasi identiche a quelle fornite dai Sema Naga (cf. ibid. p. 202).
43 R. Nayak - B. M. Boal - N. Soreng, The Kondhs: A Handbook for Development, New Delhi, Indian Social Institute, 1990, p. 9.
44 Testimonianza del jani Jayadeva Jani raccolta dallo scrivente nel villaggio Kutia Kondh di Deogada in data 16/12/2001.
45 Questa inversione del sesso del kradi mliva nel momento in cui si incarna nel corpo di una tigre è sconosciuta ai Dongria Kondh, i quali sostengono, al contrario, che la tigre debba essere dello stesso sesso della persona che la controlla.
46 Identiche credenze si registrano presso i Sema Naga (cf. Hutton, The Sema Nagas, cit., p. 202).
47 Testimonianza del kutaka Sendhe Majhi raccolta dallo scrivente nel villaggio Kutia Kondh di Deogada in data 17/12/2001.
48 Anche fra i Sema Naga la trasformazione in felino è ritenuta essere un fenomeno involontario, il quale normalmente può aver luogo soltanto per decisione di una potenza divina: cf. Hutton, The Sema Nagas, cit., p. 201; Id.,"Lycanthropy", cit., p. 213.
49 Rossillon, op. cit., IVe Partie, p. 660; Boal, op. cit., pp. 170-3.
50 Nayak - Boal - Soreng, op. cit., p. 78.
51 N. Patnaik - P. S. Das Patnaik, The Kondh of Orissa: Their Socio-Cultural Life and Development, Bhubaneswar, Tribal and Harijan Research-cum-Training Institute, 1982, p. 115.
52 Questi termini derivano dall'oriya bagho, tigre, che a sua volta deriva dal sanscrito vyaghra. La credenza in un controllo soprannaturale esercitato dalle anime delle vittime di una tigre sull'animale che le ha uccise è molto diffusa in tutta l'India. I gruppi tribali delle colline di Maikal nel Chhattisgarh, principalmente di etnia Gond e Baiga, credono nell'esistenza di uomini-tigre, da essi chiamati olthua, che sono spesso identificati con spiriti di uomini malvagi morti a causa dell'attacco di una tigre, e quindi senza poter raggiungere la pace nel mondo degli antenati. Le tigri possedute da uno spirito olthua si distinguono per la loro brama di sangue umano; esse non uccidono le loro vittime, limitandosi a ferirle per poi berne il sangue (S. Fuchs, The Gond and Bhumia of Eastern Mandla, New York, New Literature Publishing Company, 1960, pp. 507, 540 n. 5). Il termine olthua deriva forse da otu, vocabolo comune sia al lessico sanscrito che a quello tamil e che significa gatto. I Kharia chiamano baghia lo spirito di un individuo ucciso da una tigre che sia riuscito, dopo la distruzione del proprio corpo, ad impadronirsi del controllo dell'animale che lo ha assalito. Le tigri così controllate tendono ad attaccare l'uomo e gli animali domestici. Gli spiriti-tigre possono essere propiziati ed allontanati con riti comunitari o familiari (S. C. Roy - R. C. Roy, The Kharias, Ranchi, Man in India Office, 1937, II, pp. 316-7). Analoghe credenze si registrano fra i Munda dell'altopiano del Chotanagpur, che chiamano baghaia bonga gli spiriti delle vittime delle tigri. Tali spiriti non pacificati, sostengono i Munda, spingono gli animali che hanno posto fine alla loro esistenza terrena ad attaccare altri esseri umani, o vagano in gruppi nella giungla a caccia di esseri umani usando delle tigri come segugi (M. Topno, "Funeral Rites of the Mundas on the Ranchi Plateau", Anthropos 50 [1955], p. 729). Anche fra gli Oraon si ritrova la credenza in particolari spiriti-tigre, detti baghout, che sono identificati con gli spettri di persone uccise da una tigre. Questi esseri hanno un aspetto orribile (P. Dehon, "Religion and Customs of the Uraons", Memoirs of the Asiatic Society of Bengal, 1 [1905-07], p. 140). I baghout vagano di notte nei pressi delle loro vecchie case, nelle quali cercano di entrare. Nel caso in cui uno speciale rito di esorcismo non sia eseguito con il cadavere della persona uccisa da una tigre, l'anima della vittima non può essere ammessa nella comunità degli spiriti ancestrali. Il rito, presieduto da un mati (guaritore ed esorcista Oraon), prevede che una persona non appartenente alla famiglia del defunto impersoni la tigre dipingendosi il corpo con i colori del manto dell'animale e fissando sul proprio fondoschiena una coda posticcia. Imitando i versi e le movenze di una tigre, l'uomo è legato e condotto verso il confine del villaggio mentre il mati lo segue pronunciando appropriati incantesimi e fingendo di cacciarlo via (S. C. Roy, Oraon Religion and Customs, Calcutta, Editions Indian, reprint 1972, pp. 22, 70-71).
53 Rossillon, op. cit., IVe Partie, p. 658; Boal, op. cit., pp. 171-2.
54 Nayak - Boal - Soreng, op. cit., p. 78.
55 Patnaik, History and Culture of Khond Tribes, cit., pp. 168-9.
56 Rossillon, op. cit., IVe Partie, pp. 651, 660.
57 Boal, op. cit., pp. 172-3, 276-7. Un diverso rituale di purificazione collettiva atto a scongiurare la prosecuzione degli attacchi agli abitanti di un villaggio Kondh da parte di una tigre mangiatrice seriale di uomini è descritto in E. Thurston, Castes and Tribes of Southern India, Madras, Govt. Press, 1909, III, pp. 395-6. La cerimonia in questione culmina nel sacrificio di un maiale, la cui testa mozzata è fatta passare attraverso le gambe di tutti gli uomini del villaggio.
Francesco Brighenti, e-mail: frabrig@yahoo.it
PhD in Storia presso UTKAL University Bhubaneswar Orissa (India)
PM
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