Introduzione
Prima della guerra nella Repubblica di Bosnia ed Erzegovina esistevano tre grandi ospedali psichiatrici specializzati: Jagomir, Sokolac, Domanovi_i, che erano responsabili dell'intera tutela psichiatrica. Purtroppo la guerra e le sue disastrose conseguenze hanno determinato la chiusura degli ospedali e la loro conversione in campi profughi. Nel dopoguerra in Bosnia ed Erzegovina viene intrapresa la riforma del sistema della salute mentale, che presuppone la presa in carico degli utenti dei servizi di salute mentale da parte della collettività, e non la ripetizione degli ospedali psichiatrici distrutti e il ritorno al numero di letti presenti prima della guerra. Conformemente a ciò, il punto centrale della riforma, sostenuta dal Ministero della Sanità della Federazione, è la tutela della salute mentale in centri extra-ospedalieri, il coinvolgimento della famiglia e un lavoro d'equipe con un approccio interdisciplinare.
In questo testo viene presentato l'ospedale psichiatrico di Domanovi_i, che ha interrotto le sue attività nel turbine della guerra nel 1992 e che aveva occupato un posto molto significativo nella cura e nella tutela dei malati e in quanto rifugio per un gran numero di persone nella sventura.
L'apertura e lo sviluppo dell'ospedale di Domanovi_i
L'ospedale psichiatrico Domanovi_i viene aperto il 14 dicembre 1972 dall'eminente neuropsichiatra bosniaco-erzegovese prof. dott. Nedo Zec. L'ospedale faceva parte del centro medico regionale di Mostar e si trovava in una località ad una trentina di chilometri da Mostar, il piccolo paese erzegovese di Domanovi_i. Era situato in un terreno di 3,5 ettari, nei locali delle caserme, poi ristrutturate, utilizzate un tempo dall'esercito austro-ungarico e che avevano funto per un breve periodo anche da aziende di tabacco.
L'ospedale aveva letti sufficienti a soddisfare le necessità della regione dell'Erzegovina, di una parte della Bosnia (comuni di Konjic, Travnik e Bugojno) e di una parte della Repubblica Croata (comuni di Metkovi_, Opuzen, Plo_e e Vrgorac), territorio nel quale vivevano 750.000 abitanti.
Il manicomio aveva 212 posti letto ed era diviso in sei reparti:
- Psichiatria acuta e cronica maschile
- Psichiatria acuta e cronica femminile
- Reparto per l'alcolismo e le altre dipendenze
- Reparto di terapia intensiva con "isolamento" (1)
L'ospedale funzionava secondo il sistema di padiglione del tipo asilo-chiuso, era circondato da un alto muro e con filo spinato per cui i ricoverati non potevano uscire fuori.Tra le mura c'era un grande parco coltivato con diverse specie di fiori , con i sentieri per le passeggiate, le panchine per il riposo situate all'ombra di pini secolari. I pazienti passavano molto tempo nel parco, si riposavano, davano da mangiare ai piccioni. Il posto preferito sia dai pazienti che dagli operatori era la mensa.
I dormitori erano vasti, simili a capannoni, tanto che non assicuravano neanche un minimo di vita privata, in certe camere erano sistemati ben dieci letti. Particolarmente duro era l'inverno perché nelle stanze faceva molto freddo: ci si riscaldava con stufe termo-accumulative, che spesso non funzionavano o perché in panne, o per mancanza di energia elettrica. I bagni e i gabinetti erano insufficienti, sistemati vicino ai dormitori e non divisi tra uomini e donne. La qualità della sistemazione migliorò nel 1984, quando furono costruiti due impianti prefabbricati, dalla superficie totale di 750 mq e dove fu sistemato il reparto della psichiatria acuta e cronica femminile con novanta letti.
Un grande problema nella vita quotidiana era l'acqua potabile e la canalizzazione. Un'auto cisterna trasportava tre-cinque volte al giorno l'acqua potabile, questa veniva travasata nei serbatoi, la cui capacita, però, non era sufficiente a soddisfare i bisogni dell'ospedale. Le feci e le acque fecali venivano portate via ogni giorno con le cisterne di una ditta comunale di _apljina (un paese vicino).
Per questa serie di motivi il Comitato per la sanità, il lavoro e la previdenza sociale ha proibito più volte l'attività dell'ospedale. Purtroppo, nonostante tali avvertimenti e nonostante l'altruistico interessamento degli operatori, la società non ha fatto nulla per migliorare le condizioni di lavoro e di vita. Questo a causa della sua mancanza di comprensione.
Nell'ambito dell'ospedale c'erano la farmacia, il laboratorio, la cucina, la bottega del barbiere, la sartoria, la lavanderia e la sala per stirare; e ancora i locali per le terapie manuali, quali il laboratorio di falegnameria, la sala dove le donne lavoravano a maglia, ricamavano...
Ogni anno venivano organizzate le mostre-mercato dei prodotti realizzati dai pazienti e altre manifestazioni alle quali partecipavano i malati. Oltre a questo i pazienti potevano giocare a calcio in un piccolo stadio, c'era anche la stanza per il ping-pong, quella per la terapia musicale e quella dove si poteva giocare a scacchi o guardare la TV. Vicino agli edifici dell'ospedale si trovava una proprietà rurale dove lavoravano i pazienti con cinque operatori e nella quale si coltivava frutta e verdura per l'ospedale e per i campi di ricreazione del Centro medico che si trovavano al mare.
Proprio prima della guerra si pensava ad un ampliamento della produzione in modo tale che la vendita dei prodotti avrebbe assicurato i mezzi per migliorare il tenore di vita dell'ospedale e dell'esistenza dei pazienti.
Durante i primi dieci anni di apertura dell'ospedale nessuno psichiatra vi lavorava continuativamente e stabilmente, bensì venivano mandati dal reparto di neuropsichiatria di Mostar, psichiatri che non rimanevano più di un mese e mezzo.
I primi medici specializzandi sono arrivati nel 1982 e dopo la laurea in psichiatria hanno continuato a lavorare nell'ospedale. E' significativo ricordare che andavano al lavoro ogni giorno con l'autobus del centro di sanità perché la maggior parte di loro viveva a Mostar. Gli altri, ovvero il personale amministrativo e ausiliario, vivevano a Domanovi_i o nei paesi vicini. La distanza dell'ospedale dal Centro Medico principale, impediva all'occorrenza, l'accessibilità ad altri servizi psichiatrici specialistici.
All'inizio della guerra nel 1992 nell'ospedale c'erano 109 impiegati. Le tabelle numero 1.A e B mostrano la divisione del personale.
Tabella numero 1.A
Personale ospedaliero | 1972 | 1982 | 1992 | 2000 |
Dottori neuropsichiatri | 1 | 3 | 12 | 1 |
Dottori specializzandi | - | - | 2 | - |
Tecnici sanitari | 24 | 35 | 42 | 11 |
Assistenti sociali | 2 | 2 | 3 | 0 |
Psicologo | 0 | 0 | 1 | 0 |
Operatori ter.manuale | 0 | 2 | 3 | 0 |
Farmacista | 0 | 0 | 1 | 0 |
Laboratorista | 0 | 1 | 1 | 0 |
Tot. impiegati | 27 | 43 | 70 |
12 |
Tabella numero 1.B
Personale ausiliario | 1992 |
Personale in cucina | 12 |
Personale amministrativo | 1 |
Portinai | 2 |
Portieri | 4 |
Personale in lavanderia e stireria | 4 |
Barbiere | 1 |
Sarto | 1 |
Tecnici agricoli | 2 |
Cameriere | 12 |
Totale impiegati | 39 |
Dall'inizio della sua attività nell'ospedale psichiatrico di Domanovi_i venivano ricoverati i pazienti assicurati che territorialmente gravitavano intorno al Centro Regionale di Mostar e che fino a quel momento erano stati curati negli ospedali di salute mentale di tutta l'ex-Jugoslavia. Oltre ai malati mentali, nell'ospedale erano ricoverate un numero di persone ritardate, persone con handicap sociali, i senzatetto, gli anziani e gente allo stremo delle forze.
Il 40% erano donne e un dato interessante è che il 48% dei pazienti era costituito da persone ritornate dal lavoro all'estero. Persino i pazienti che avevano famiglia venivano qui dimenticati e abbandonati alla cura della società e degli impiegati dell'ospedale. La maggior parte dei pazienti non aveva nessuna rendita e se voleva comprare le sigarette o il caffè doveva mendicare. I pazienti indossavano vestiti vecchi e laceri, il lungo soggiorno in ospedale, la degradazione, l'umiliazione, davano loro il senso di essere chiusi in prigione o in "manicomio", come lo chiamavano.
Per anni molti malati non sono mai usciti dalle mura dell'ospedale, nessuno è venuto a far loro visita, tanto che avevano perso ogni contatto con il mondo esterno e persino il desiderio di ritornarvi.
Le tabelle numero 2. A e B mostrano la divisione dei pazienti secondo le diagnosi e la nazionalità prima e dopo la guerra.
Tabella n. 2 A: Divisione dei pazienti secondo la diagnosi
ANNO | SCH | MANIACO-DEPRESSIVI | ALCOLISMO | ALTRO | TOTALE |
1972 |
35 | 10 | 0 | 2 | 47 |
1982 |
133 | 18 | 30 | 5 | 186 |
1992 | 120 | 18 | 10 | 8 | 156 |
2000 |
18 | 6 | - | 5 | 29 |
Tabella n. 2B: Componente nazionale dei pazienti
Anno | Croati | Serbi | Bosniaci | Altro | Totale |
1992 | 56 | 34 | 60 | 6 | 156 |
2000 | 20 | 5 | 4 | 0 | 29 |
L'ospedale psichiatrico durante la guerra
All'inizio della guerra, nell'aprile del 1992, l'ospedale si trovò al centro della zona colpita dal conflitto. I militari dell'esercito federale e le unità paramilitari con l'occupazione, le mine e l'interruzione delle vie di comunicazione resero dapprima difficilissimo e poi del tutto impossibile, l'arrivo al lavoro dell'equipe dei medici di turno e degli infermieri. Furono spesso fermati, perquisiti e maltrattati e a più riprese furono loro sequestrate le autoambulanze, cosicché dovettero proseguire a piedi, per una decina di chilometri, per arrivare all'ospedale.
Nell'ospedale, che prima della guerra aveva 158 pazienti, le condizioni della vita erano durissime , non c'era acqua, la corrente era interrotta, non si poteva preparare da mangiare. A causa della mancanza d'acqua e dell'intasatura della rete di canalizzazione i pazienti facevano i loro bisogni nei corridoi e nelle stanze; era impossibile assicurare anche le condizioni minime per l'igiene personale, tanto che c'era la minaccia della diffusione di epidemie. In tali condizioni, la maggior parte del personale medico, che era rimasta con i propri pazienti, con sforzi sovraumani, esponendo ogni giorno la propria vita ai pericoli, riuscì ad assicurare una quantità minima di acqua e cibo, per la sopravvivenza dei pazienti. Veniva distribuito un solo pasto al giorno, preparato dagli infermieri e dai medici, e siccome non c'era l'acqua per lavare i piatti, il cibo si consegnava nelle mani dei pazienti.
Dopo una decina di giorni vennero meno le medicine di base, i pazienti divennero irrequieti e la loro irrequietezza era alimentata dalla quotidiana e continua caduta di granate sulla vicina città di _apljine, granate che facevano un fracasso insopportabile, dato che i cannoni e i lanciatori di razzi erano appostati a soli 200 metri dall'ospedale. Allo stesso modo, i frequenti attacchi da parte di soldati armati, che facevano perquisizioni, minacciando con le armi, apportavano ulteriori inquietudini e paura agli impiegati e ai pazienti.
L'agonia è durata due settimane, e solo allora, grazie al forte interessamento e all'intervento della Croce Rossa Internazionale, fu permesso il trasferimento dei pazienti e del personale. Il comando della cosiddetta armata jugoslava concesse, per il trasporto dei 158 pazienti e dell'intera equipe medica, un solo autobus con 76 sedili !? Non fu permesso di portare nulla dei mezzi materiali, nemmeno le medicine e la documentazione medica.
Arrivati a Mostar, il 18 aprile 1992, dove,a causa degli eventi bellici, gli ospedali erano quasi vuoti, i pazienti vennero sistemati in tre località, la maggior parte nell'Ospedale per le malattie polmonari, che si trovava in pieno centro della città, proprio in prima linea (2).
Allora iniziò il vero e proprio Golgota di Guerra dei pazienti psichiatrici, esposti ogni giorno alle granate e ai cecchini, che ferivano e uccidevano innocenti e indifesi. Il giorno 15/05/1992 l'ospedale venne colpito direttamente da una granata, in quest'occasione morì la cuoca, cinque pazienti e tre impiegati subirono ferite leggere.
L'edificio, già danneggiato da prima, dopo il colpo diretto, restò senza finestre, e una parte dell'edificio, inclusa la cucina venne completamente distrutta dall'incendio. Le conseguenze sarebbero state sicuramente molto peggiori e tragiche, se il grande aiuto porto dai pazienti, non avesse contribuito a localizzare l'incendio e a scongiurare il suo dilagare verso il magazzino di bombole a gas e a ossigeno.
I pazienti sono stati per lo più vittime dei cecchini, morivano nel cortile di fronte all'ospedale, la maggior parte di loro è stata ferita o è morta nelle stanze d'ospedale, da colpi diretti attraverso le finestre.
Uno di questi sfortunati è stato dilaniato dalle schegge di una granata, mentre dormiva nel suo letto.
Noi, che ci prendevamo cura di loro, eravamo molto preoccupati, temevamo per la loro incolumità, perché, nonostante i nostri avvertimenti, dopo anni di isolamento, instauravano rapporti con i cittadini. Aiutavano gli anziani, portando loro acqua, cibo e legna, aiutavano nel trasporto di feriti e morti, contribuivano allo sgombero delle macerie. In breve si verificò che i "normali" accettarono i "pazzi" e senza i pregiudizi che avevano prima della guerra, condividevano con loro le paure della guerra.
Non è stato forse questo il "grande passo storico" e l'inizio della realizzazione dell'idea sulla "salute mentale nella comunità" ?! Nei paesi europei per anni furono create le condizioni e preparati alloggi alternativi, prima della chiusura degli ospedali psichiatrici, da noi tutto ciò è avvenuto in un solo giorno senza preavviso e preparativi.
Nella nuova situazione il personale medico e non che si prendeva cura dei pazienti, per riuscire a sfuggire al fuoco dei cecchini si recava al lavoro percorrendo vie traverse, traversando gli orti e saltando oltre il filo spinato.
Nel periodo in cui gli scontri raggiunsero l'apice, i feriti erano sempre di più , un gran numero di autoambulanze danneggiate, per cui era impossibile approvvigionare l'ospedale con viveri e con altri accessori per il suo funzionamento.
La tabella numero tre mostra i dati circa i pazienti e gli impiegati feriti e morti tra il 1992 e il 1995.
Tabella n.3 Periodo 1992.1995
  | Pazienti | Impiegati | Totale |
Morti | 7 | 4 | 11 |
Feriti | 7 | 5 | 12 |
Trovandosi in condizioni nuove, negli orrori della guerra, senza le medicine necessarie, in alloggi inadeguati, purtroppo alcuni di loro non ce l'hanno fatta ad adattarsi e in un periodo di soli 5 mesi, sei dei nostri pazienti hanno commesso il suicidio, gettandosi dalle finestre non protette, dei piani alti dell'edificio. Si trattava di pazienti che non avevano fino a quel momento mai verbalizzato pensieri o intenti suicidi, per cui il personale medico non aveva rinforzato le misure di sicurezza su di loro.
Seguendo il fenomeno del suicidio dei pazienti psichiatrici nell'ospedale di Domanovi_i , si può vedere che dal 1985 al 1992, la percentuale annuale era da 0-0,57 % e che nell'anno di guerra è aumentata fino al 3,8 %. Nel periodo seguente, fino al 2000 non è stato registrato alcun suicidio.
La tabella 4 mostra la percentuale dei suicidi dei malati psichici.
Tabella n.4
Anno | 1985 | 1986 | 1987 | 1988 | 1989 | 1990 | 1991 | 1992 |
n.dei paz | . 187 | 190 | 176 | 201 | 186 | 191 | 178 | 156 |
n.dei suic. |
0 | 1 | 1 | 0 | 0 | 1 | 0 | 6 |
% | 0% |
0,52% | 0,57% | 0% | 0% | 0,52% | 0% | 3,8% |
La psichiatria cronica oggi
Nell'aprile 1994, due anni dopo l'inizio della guerra, è iniziata l'evacuazione dei pazienti e grazie all'organizzazione don Guanelle di Roma, 24 di loro sono partiti per l'Italia, per Nuova Olonio (provincia di Sondrio) e 68 vengono sistemati nelle strutture psichiatriche in Croazia (Popova_a, Jankomir e Vrap_e).
I pazienti partiti per l'Italia sono tornati dopo sei mesi di soggiorno e cura, per essere poi accolti a Zagabria nell'ospedale di Vrap_e, dove si trovano ancor oggi, purtroppo, perché non esistono ancora le condizioni per il loro ritorno e soggiorno a Domanovi_i.
Oggi il reparto di psichiatria cronica si trova nella baracca dell'ex reparto delle malattie infettive, con la capacità di trenta posti-letto. Nel reparto lavorano uno psichiatra, undici tecnici sanitari e quattro ausiliari. Le condizioni dell'alloggio non sono adeguate alle necessità dei pazienti. La baracca è ormai vecchia e nelle stanze d'ospedale, pensate per uno, al massimo due pazienti, a causa della mancanza di spazio, si trovano quattro pazienti.
Il soggiorno, improvvisato, che serve da refettorio, è piccolo e all'ora dei pasti non può accogliere tutti i pazienti, cosicché una parte di loro deve mangiare in stanza o nei corridoi. Non esiste neppure il minimo spazio per il lavoro e le terapie occupazionali, e i pazienti trascorrono il tempo libero girovagando attorno all'ospedale.
Lo spazio dove un tempo si trovava l'ospedale di Domanovi_i è stato trasformato nel 1994 in un campo-profughi. Oggi, dopo qualche adattamento, è diventato una Casa di riposo e un ospizio per i profughi di guerra.
Noi, che abbiamo lavorato in quell'ospedale, che siamo stati parte di esso, nonostante le deficienze, lo avevamo inteso come luogo in cui la psichiatria è cresciuta in quanto disciplina medica, e come luogo in cui veniva offerto aiuto e assistenza alle persone non accettate dalla società.
Oggi, che accettiamo la riforma e il suo intento di far alloggiare i malati mentali in strutture extra-ospedaliere, non possiamo dimenticare, che gli ospedali psichiatrici, quali Domanovi_i, in un dato momento storico hanno giocato un ruolo significativo nella cura umana e professionale dei malati di mente.
Mostar, febbraio 2001
Traduzione: Chiara Trombetta
Note:
(1) L'isolamento si trovava nel reparto di terapia intensiva nel quale stazionavano i pazienti che in un certo momento rappresentavano un pericolo reale per se stessi e per gli altri pazienti ed era composto da quattro celle separate tra di loro e circondate da un cancello di ferro. Nella struttura di "isolamento" c'era l'ambulatorio per l'assistenza medica e un piccolo spazio, ben assicurato e difeso, dove i pazienti potevano uscire a prendere un po' d'aria.
(2) Nell'ospedale per le malattie polmonari, distante solo 50 metri dalla prima linea vennero sistemati 113 malati mentali, 35 pazienti nell'ex Reparto per le malattie infettive e 9 nel Reparto di neuropsichiatria del "Vecchio Ospedale".
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