Maurizio Mottola Martedì 11 gennaio 2011 si è svolta a Napoli, all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la presentazione del libro Una Psicologia “Ingenua” Contributi di giovani ricercatori allo sviluppo della Psicologia Umanistica Esistenziale e Transpersonale (a cura di Mario Mastropaolo, Edizioni effigi, pagine 255). Alla psicologa Francesca Cannata, il cui contributo di giovane ricercatrice è stato inserito nel libro (insieme con quelli di Nikla Bene, Ida Bolognini, Daria Daniele, Serena Di Lauro, Luisa Esposito, Maria Beatrice Giordano, Mario Smaldone, Ludovica Tremante, Vittoria Vigo) abbiamo posto alcune domande. Qual è il titolo del suo contributo, inserito in Una Psicologia “Ingenua”, e di che cosa tratta? Il mio contributo si intitola “La Psicoterapia della Gestalt secondo Fritz Perls” e prende spunto dal lavoro di tesi universitaria che ho svolto con la supervisione del professor Mario Mastropaolo presso il corso di Laurea in Psicologia dell’Università Federico II di Napoli. Obiettivo del saggio è la comprensione della “Teoria e Pratica della Psicoterapia della Gestalt” (dall’omonimo libro di Perls, Hefferline, Goodman) attraverso la conoscenza del suo fondatore, della sua vita, delle esperienze che hanno influenzato il suo pensiero e la sua formazione personale. Presupposto fondamentale di tutta la raccolta dei saggi e del lavoro, che il professor Mastropaolo nella sua attività formativa e psicoterapeutica promuove, è che ogni forma di conoscenza non coglie la realtà assoluta, ma racconta di una prospettiva sul mondo e sugli uomini, verità soggettiva e sempre dignitosa se accetta di essere tale e riconosce la molteplicità e la diversità. Questo vale per la vita di ogni singolo individuo, ma costituisce anche la filosofia che sta alla base della Psicologia Umanistica, Esistenziale e Transpersonale (di cui fa parte anche la Psicoterapia della Gestalt), che diventa vita reale, incontro con l’altro, accettazione di sé e delle diversità, possibilità di crescita ed espressione nella stanza di consultazione terapeutica, e fondamento epistemologico e di confronto con le altre scuole di Psicologia nelle definizione stessa di questa Scienza Umana. Proprio da queste riflessioni ho preso spunto nell’ideazione del mio saggio che si propone di presentare la Psicoterapia della Gestalt partendo dal presupposto che i pensieri e le idee di un uomo, e quindi i modelli teorici e le loro molteplici possibilità di applicazione, non si possono scindere dall’uomo stesso, dalle sue esperienze intime, dagli eventi che lo hanno segnato e dalla sua personale visione del mondo e dell’esistenza. La preparazione di questo saggio è stata accompagnata nella mia esperienza di vita da un percorso di formazione personale e professionale che mi deriva dalla preparazione universitaria, dalla psicoterapia e dalla formazione presso Nea Zetesis con il Master triennale in Counseling “Il ciclo di vita”. Ho intrapreso questo percorso con passione scoprendo che la mia preparazione è stata anche un nutrimento personale perché mi ha fornito gli strumenti per affrontare la vita con responsabilità e pienezza e mi ha consentito di effettuare interventi efficaci e consapevoli nel mio lavoro. Questo saggio quindi per me ha rappresentato un’opportunità di integrare la mia personalità con le teorie alle quali faccio riferimento. Col trascorrere del tempo ho scoperto la possibilità di avere riferimenti flessibili non più influenzati da quelle spinte all’obbedienza e all’autorità irrazionale. Nell’introduzione del libro si fa riferimento al nichilismo edonistico giovanile: qual è la sua opinione a proposito e quale contributo a suo avviso può dare la cultura giovanile attuale in questa contingenza storica? E’ proprio l’incapacità di comprendere ciò che sono e ciò che voglio davvero che porta l’individuo a sottostare alle richieste e agli standard stabiliti dalla cultura di appartenenza, la cultura che fa il senso comune, ciò che è normale e anormale fare, voce di un’autorità irrazionale che diventa, come direbbe Perls, introietto e che non permette l’individuazione, l’autonomia e l’espansione della coscienza dei singoli. La libertà, dice Nietzsche, non è fare quello che voglio, nel senso appunto di una continua ribellione contro la stessa essenza dell’essere umano, con i suoi limiti corporei ed esistenziali che incrementa vorticosamente l’illusione di onnipotenza e immortalità sostenuta, oggi più che mai, da una parte dallo scientismo tecnicistico che caratterizza molto del nostro progresso scientifico e dall’altra dalla cultura edonistica; la libertà invece è volere quello che faccio nell’assunzione della responsabilità individuale e collettiva della continua scelta che ogni essere umano è chiamato a compiere a più livelli di coscienza giorno per giorno. Volere quello che faccio appunto significa avvicinarmi sempre più a me stesso e alla possibilità di affermarmi ed esprimermi nella realtà in cui vivo. Qual è la prospettiva della professione di psicologo oggi e quali sono i suoi progetti in tale ambito? Questa è la domanda più difficile! Posso solo rispondere che nel pessimismo di questa situazione economica e politica difficile per tutti e in particolare per i neo laureati in cerca di lavoro, il sostegno psicologico e la promozione di una cultura orientata al benessere dei singoli e della società è indispensabile, e responsabilità dello psicologo giovane o meno è l’espansione di questo pensiero il più possibile nel suo territorio. Questo è quello che cerchiamo di fare noi tutti compilatori del libro tentando insieme di portare agli altri e nella nostra vita la Weltanschauung della Psicologia Umanistica, Esistenziale e Transpersonale, “Ingenua” come, in termini molto svalutanti, la chiamano i suoi denigratori, ma tanto temuta e bandita dai sistemi totalitari liberticidi, nella speranza che con molta creatività e determinazione possa diventare anche la nostra principale fonte di guadagno. Vorrei concludere con le parole di Max Horkheimer che chiudono il nostro libro nella quarta di copertina, riflessioni sul nostro mondo e sul nostro futuro: “Il lavoro, sia pur faticoso, può essere sopportabile e persino piacevole quando è diretto a un fine ragionevole; ma una filosofia per la quale il lavoro diventa fine a se stesso porta ad odiarlo. Della decadenza dell’individuo non sono colpevoli né le conquiste tecniche dell’uomo né l’uomo stesso -le persone in genere sono assai migliori di quello che pensano, dicono o fanno- bensì la struttura e il contenuto odierni dello “spirito oggettivo” che pervade la vita sociale in tutti i suoi aspetti. Gli schemi di pensiero e d’azione che gli uomini accettano belli e fatti dagli organismi di diffusione della cultura di massa influenzano a loro volta quest’ultima come se fossero idee degli uomini, nate nella loro testa e non già accettate dall’esterno. Nel nostro tempo lo spirito oggettivo venera l’industria, la tecnica e la razionalità, senza un principio che possa dare senso a queste categorie.” |