Maurizio Mottola Mercoledì 25 maggio e martedì 7 giugno 2011 si è svolto a Napoli, alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, il Cineforum Cinema e Medicina, che ha affrontato alcune tematiche relative alla salute ed alle malattie dell’uomo. Allo psichiatra e psicoterapeuta Ignazio Senatore, tra i promotori dell’evento, abbiamo posto alcune domande. - Perché la scelta del film “Uno su due” del regista Eugenio Cappuccio, Italia 2007? Sin dagli albori il cinema ha mostrato sullo schermo non solo protagonisti atletici e muscolosi o bambole da capogiro dalle curve sinuose e mozzafiato, ma anche corpi offesi ed oltraggiati dalle più svariate malattie: la TBC (Margherita Gauthier), il colera (Il velo dipinto), la peste (La peste), la febbre gialla ((Il prigioniero dell’isola degli squali), la sifilide (Un uomo contro la morte), la sclerosi multipla (Go Now), la demenza (Avviso di chiamata), l’AIDS (The hours). Generalmente il clima che si respira in queste pellicole è soffocante, drammatico e senza speranza e lo spettatore non può che, empaticamente, aderire alla sofferenza di questi sfortunati personaggi. Ho proposto “Uno su due”, fulminante pellicola diretta da Eugenio Cappuccio perché narra la storia di Lorenzo Maggi (Fabio Volo), un avvocato rampante trentenne che pensa solo a consolidare la propria posizione sociale. Antipatico, arrogante, presuntuoso e, con un sorriso beffardo perennemente stampato sul volto, è fidanzato con la bellissima Silvia (Anita Caprioli) e sta per chiudere un grosso affare con la Russia. Tutto procede a gonfie vele, ma un giorno Lorenzo all’improvviso sviene ed è ricoverato d’urgenza in ospedale. I medici gli diagnosticano una “macchia” al cervello e nell’attesa dell’esito delle indagini cliniche, dopo aver legato con Giovanni (Ninetto Davoli), un camionista ricoverato nella sua stessa stanza di degenza, affetto da un tumore maligno, comprende la vacuità della propria vita ed inizia a guardare, con occhi nuovi, dentro se stesso e, riscoperti i valori dell’amicizia e della solidarietà, si metterà sulle tracce della giovane figlia di Giovanni con l’intento di riavvicinarla al padre. Una pellicola misurata, mai eccedente o liquorosa, che senza enfasi mostra la fragilità emotiva del protagonista che, di fronte alla scoperta di una malattia che potrebbe mutare completamente il corso della sua vita, prova a non barare più con se stesso. - Perché il film “Questione di cuore” di Francesca Archibugi, Italia 2008? Parimenti alla pellicola di Cappuccio anche questa diretta da Francesca Archibugi ci pone di fronte alla vicenda di due protagonisti che si ritrovano ricoverati (questa volta in un reparto di unità coronarica) in un ospedale; il primo è Angelo (Kim Rossi Stuart), carrozziere quarantenne, affetto da un grave patologia cardiaca, il secondo è Alberto (Antonio Albanese), sceneggiatore colpito da un infarto. Come nel film di Cappuccio la malattia cementerà la loro amicizia che diverrà salda e genuina. E quando Angelo scoprirà che la sua vita è agli sgoccioli proverà a mettere al riparo la propria famiglia, fantasticando che Alberto possa al suo posto prendersi cura del proprio nucleo familiare. Un film toccante e commovente che non punta ai fazzoletti e che analizza le ansie e le angosce di chi scopre che la propria vita possa essere legata ad un filo e che mette in campo una grondante e spiazzante umanità. - Sembrerebbe che dopo il film “Mon oncle d’Amerique” di Alain Resnais (Francia 1980), in cui il regista ha proposto le tesi di Henri Laborit sulla malattia (che insorgerebbe quando non è possibile né la fuga né l’attacco), il cinema non si sia più sbilanciato sul modello teorico di malattia e si sia solo applicato a raccontare ottime storie: qual è la sua opinione in merito? Il cinema, come si sa, deve mostrare e non di-mostrare e, fedele a questo inveterato assioma, ama raccontare storie. Raramente registi hanno sposato modelli teorici o sposato idee o formulazioni teoriche proposte da scienziati o ricercatori. Il film di Resnais è infatti un “bellissimo” caso isolato ma, da un punto di vista cinematografico, lambisce più il documentario che la fiction cinematografica ed oggi appare particolarmente datato. |