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PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Dipendenze



Metadone e Cronicità:
Tossicofilia e Tossicomania, un "Ouroboros" clinico.
Un suggerimento dall'arte di Perin del Vaga:
"La Carità Romana".

di Fabrizio Marcolongo

E-mail: fabrizio.marcolongo@fastwebnet.it


Il Tempio del Sonno
(Epidauro)

Dormivano
per guarire
secondo il metodo
di Asclepio

Poi guarivano
per dormire
finalmente
senza fine
Der Temples Des Schlafs
(Epidauros)

Sie schliefen
um gesund zu werden
nach der methode
des Asklepios

Dann wurden sie gesund
um zu schlafen
endlich
unendlich

Il terzo libro delle piccole tazze (1993) - Poesie in Grecia

Gerhard Kofler





Premessa:

L'accezione psicoanalitica considera la terapia metadonica un elemento che nell'immaginario può avere la valenza del "latte". Altri autori hanno messo in connessione la figura dello psicoterapeuta con il metadone (Benvenuto S., 2000). Una ridda di titoli mi sono venuti in mente prima che uno prevalesse sugli altri ma tutti i titoli sottolineavano il concetto che la terapia delle dipendenze ricorda le condizioni di dipendenza che il lattante ha con la madre, così il paziente con il Centro di Somministrazione. La poesia sul tempio del sonno pone l'accento sul carattere di esteriorizzazione che ancora distingue gli interventi sulle tossicodipendenze.



Perin del Vaga: "La Carità Romana"


Il problema della cronicità nel campo delle tossicodipendenze si è prevalentemente espresso per la patologia che coinvolge le sostanze oppiacee.
Il problema clinico intorno alla prescrivibilità dei sostitutivi varia con le differenze della storia clinica del paziente, con le difficoltà dell'instaurarsi di una motivazione alla cura e la modulazione della compartepazione emotiva nella fase di astinenza dalla sostanza. Inoltre la valutazione si embrica con altri livelli di complessità che hanno a che vedere con la difficoltà a "valutare lo stato di cronicità" e l'ambiguo atteggiamento "tossicofilico" del paziente che distrugge cos ogni tentativo di assumere una terapia adeguata.
La popolazione tossicodipendente che con il "suo mestiere" e la sua "patologia" affolla i centri di somministrazione di metadone è prevalentemente costituita da persone che tendono ad assumere piccoli dosaggi, con poca motivazione, e anche con poco rispetto del dosaggio giornaliero. Il comportamento del paziente come collaborativo rispetto alla terapia è quindi stravolto dalla difficoltà ad avere un monitoraggio continuo ai Centri di Somministrazione e in alcuni Centri non è possibile realizzare adeguamenti di dosaggio e far capire ai pazienti quanto importante sia per loro aderire alla terapia con adeguamento del dosaggio perché non vi è una cultura diffusa su questo argomento, la cosiddetta "compliance" è ridotta.
Questo dato è poco quantificabile ed osservabile ufficialmente, ma costituisce una consapevolezza dei pazienti che "sottovoce" riferiscono "confidenzialmente" al medico i contenuti delle loro difficoltà emotive ad aderire "con consenso informato" alla terapia a mantenimento con adeguamento del dosaggio ad ogni esame urine positivo. I controlli urine sono vissuti con un vertice persecutorio e non eseguiti, poiché in ogni caso suonano come un fallimento che si rinnova ad ogni ricaduta e, oltre a ci, alla ricaduta potrebbe seguire l'adeguamento di dosaggio che suona come un aggravamento dello stato di malattia, emotivamente e concretamente rifiutato dal paziente.
Gli adeguamenti di dosaggio rappresentano un vissuto di aggravamento e di cronicità che il paziente tende a non voler considerare e consapevolizzare. Inoltre gli operatori hanno difficoltà a diffondere il concetto che il dosaggio del metadone rappresenta non tanto la gravità della malattia ma solo la capacità di metabolizzazione del farmaco che riguarderebbe esclusivamente un parametro prevalentemente genetico (i grandi metabolizzatori sono persone che presentano elevati dosaggi riguardo ad un loro maggiore corredo enzimatico e non ad una loro erroneamente supposta "gravità di dipendenza") e per una larga parte di popolazione medica tale concetto (la competenza enzimatica è di ordine genetico e quindi non è in diretta connessione con la gravità della malattia) non trova applicazioni relazionali utili (molto frequentemente al paziente è spiegato erroneamente che l'elevato dosaggio di metadone è un'espressione della propria gravità di malattia). Ci complica la relazione con quell'utenza che diverge quotidianamente la propria somministrazione giornaliera, eludendo i controlli, per assurgere a due funzioni: aumentare l'assunzione di eroina, tentare di resistere con un minore dosaggio, assecondando un mito metropolitano che nello slang del habitus tossico è definito "la doppia scimmia" riferendosi alla supposta doppia dipendenza sia dall'eroina sia dal metadone.
L'adeguamento del dosaggio ad urine positive (aumentare il dosaggio giornaliero poiché si considera insufficiente per "titolare" la necessità di oppiacei del paziente) appartiene ad un modus operandi di molti medici prescrittori che hanno ben presente l'esempio di Dole e Nyswander, dell'esperienza pragmatica e farmacologica americana e dell'atteggiamento verso i pazienti senza strumentalizzazioni o moralismi che non hanno ovviamente riscontro clinico.
Il concetto della correlazione tra fenotipo enzimatico "grande metabolizzatore" non è penetrato tra la popolazione degli operatori che per gran parte pensa il paziente che assume 700 mg./die molto grave rispetto a quello che ne assume 20 mg./die, non tenendo in nessuna considerazione le nouance dei corredi enzimatici all'interno della popolazione, delle variabilità individuale riguardo l'assimilazione, la funzionalità epatica, l'inattivazione a livello del canale alimentare, etc. "...There have been cases of patients requiring in excess of 2000 mg of daily methadone, possibly due to the metabolic interactions with other medications or organ dysfunction. However, in this era of HIV/AIDS, hepatitis C, tuberculosis, and other widespread infectious diseases among substance-abusing populations, the ãexceptionalä MMT patient requiring exceptionally high doses may become more of a ãruleä than presently imagined..."(Leavitt, S. B. et al. 2000).

A queste considerazioni di ordine clinico si aggiungono considerazioni di ordine manageriale. In Italia le persone si avvicinano alla terapia a mantenimento senza le reti protettive che sono presenti invece in U.S.A. Molti trattamenti a mantenimento americani sono condotti in U.S.A. con politiche sanitarie motivanti l'esecuzione dell'esame urine, che in qualche servizio sperimentalmente si fa corrispondere ad un compenso in danaro (e quindi sono fugati tutti, o quasi, i possibili fantasmi persecutori, che il paziente italiano deve affrontare) ed inoltre la riduzione della motivazione dei pazienti in trattamento è completamente risolta perché i trattamenti del Servizio Sanitario Americano sono a pagamento, come qualsiasi altro servizio sanitario e molte compagnie di assicurazione americane, ad esempio MedicAid, garantiscono almeno un tentativo di disintossicazione e cura all'anno, presso cliniche convenzionate ed altre compagnie anche pi di un tentativo, MMT compreso; inoltre i servizi accreditati che ricevono rimborsi delle spese sanitarie sostenute per la cura dei tossicodipendenti devono essere certificati ed avere tra le loro credenziali il certificato SAMHSA [SAMHSA (Substance Abuse and Mental Health Administration) certification].
Chi lavora, tra i pazienti tossicofilici e tossicodipendenti, paga comunque una certa quota per la propria terapia, molto spesso dai 10 ai 60 $. Chi non è motivato non "brucia" l'occasione.
La componente di una lista oltreoceano sulle tossicodipendenze dice riferendosi alla cura dei pazienti: " ... Patients whose health insurance doesn't pay for MMT, must pay for cash for treatment. In the U.S., fees for MMT are between $40-150 per week. Publicly-funded clinics that don't accept Medicaid, usually base their fees on the patient's income, and fees are decided on a sliding scale. Low-income patients might not pay anything per week, and working patients might pay anywhere between $10-60 per week. ...".
Avulsa da questi parametri reali di pagamento e di motivazione nella terapia, la prescrizione "a mantenimento" potrebbe indurre lo stato "di malattia a mantenimento" che il paziente tossicofilico non pu riconoscere come proprio. Il paziente tossicodipendente considera come "male minore" prendere una dose inferiore al proprio fabbisogno e cos rinunciare a mantenere un tono dell'umore stabile e un equilibrio emotivo che permetta lavoro, studio, vita di relazione "normalizzata", rispetto ad assicurarsi un minimo dosaggio antiastinenziale, dosaggio più vantaggioso riguardo alla possibilità che questo dà di poter "fare uso di sostanze" al di fuori del Craving, e per puro "delight", che molti tossicodipendenti provano solo per pochi secondi dopo unâassunzione di eroina: il basso dosaggio qui è poco protettivo e perverso, perché si allea con la parte tossicofilica del paziente.
Dalla parte del paziente tossicofilico l'habitus tossicodipendente è considerato come non appartenente al Sé e vi è un atteggiamento di non riconoscimento dello "stato di dipendenza cronico". Questa considerazione di Sé, come non-cronico, costituisce un elemento di difficoltà a considerare "utile", psicologicamente affrancante e adattivo pensare alla terapia cronica come efficace. Inoltre devia l'itinerario emotivo di un paziente a richiedere per sé una terapia che, sebbene probabilmente non adeguata, avrebbe l'obbligo di essere proposta ed offerta al paziente come possibile.

Dalla parte degli operatori chi è convinto che non esistono "pazienti tossicodipendenti" ma è convinto del fatto che "tutti i pazienti sono tossicofilici", "la politica sanitaria" del metadone a mantenimento è considerata "perdente" perché costringe il paziente tossicofilo a non riconoscere alcune prerogative di cura, che lo etichettano come paziente "cronico" e che lo costringono ad un "claustrum" diagnostico.
Il metadone, sostitutivo sempre utile e sempre efficace, pu costituire nell'ambito tossicofilico, cioè nelle situazioni in cui non vi è ancora stato un processo di down regulation recettoriale e di totale dipendenza della persona, un incistamento passivo e non collaborativo alimentante un clima emotivo di staticità e pu essere considerato come un "oggetto perverso" e come tale non utilizzabile in campo clinico.

Chi si batte, dall'altro "crinale", per un adeguamento del dosaggio, per una terapia "adeguata" non considera tale questione squisitamente psicodinamica e che riguarda "la motivazione" per una terapia che chiude la prospettiva affrancante.
Una rappresentazione del clima emotivo delineato da questi vari punti di vista pu essere cos raffigurata in un affresco presente al Palazzo del Principe - Genova, in una sala del primo piano. In questa sala troviamo al centro della volta la scena che impone il nome alla sala stessa: "Carità Romana".
Spero che il lettore mi permetterà di scostare un momento il fuoco di attenzione dagli argomenti di "politica sanitaria" per affrontare alcune notizie che credo utili riguardo a Perin Del Vaga, pittore manierista del '500.Andrea Doria nel 1528 chiede a Perin Del Vaga numerose opere per il suo Palazzo a Genova, maestro incontrato a Roma anni prima ed in quel tempo fuggiasco dal Sacco di Roma del 1527 e senza lavoro. Il Palazzo fu abbellito e restaurato da Andrea D'Oria per accogliere la prima visita di Carlo V a Genova.
La sala prende il nome dell'affresco sul soffitto che accoglieva una cappella al tempo della visita di Carlo V e fu poi adibita a sala da pranzo.



L'affresco illustra una narrazione molto diffusa nella cultura popolare del tempo e che raffigura un episodio della mitologia romana (Ferrari A., 1999).
Una donna di nome Pero salva il proprio vecchio padre, Micone, condannato a morte per fame, nutrendolo con il proprio latte, di nascosto dalle guardie. Il suo gesto commuove i giudici che decidono di liberare il vecchio.
La tradizione vuole che questo episodio fosse accaduto nel Foro Olitorio, e lì eretto un tempio dedicato alla Pietas. Sono diverse le fonti latine che riportano questo racconto e riguarda autori come Plinio, Valerio Massimo, Igino.
I nomi variano da Pero a Xantippe per la figlia e Micone e Cimone per il vecchio padre. In altra forma la stessa storia è raccontata da Nonno di Panopoli, nelle Dionisiache. Qui è Tettafo, principe Indiano che è catturato dal suo nemico Deriade e condannato a morire per fame; la figlia Eeria con uno stratagemma entra nella cella e lo sfama con il proprio latte. Deriade, commosso dal racconto dell'accaduto, libera Tettafo.
Riguardo alla interpretazione analitica di questo affresco i rivoli delle associazioni potrebbero riguardare molti temi, ma uno pi vicino alla attività dello scrivente appare pi familiare, quello della dipendenza, ed in particolare gli aspetti dello svezzamento dall'uso delle sostanze.



Il racconto della storia nell'affresco lascia due tempi di narrazione: una colonna divide la scena in due quadri. Uno ritrae il corpo di guardia alle carceri costituito da tre guardie, intento nella discussione, in cui appare chiaro il distogliersi dell'attenzione dal condannato.
L'altro tempo di narrazione riguarda il nucleo centrale e lo spettatore resta interdetto sulle prime nel non capire cosa avviene, pur Perin del Vaga avendo curato l'atteggiamento eloquente e plastico ad un tempo della giovane Pero verso il vecchio Micone.
Così il gioco di drappeggio svela una scena di allattamento. Lo sguardo della giovane Pero è diretto allo spettatore che, con l'espressione del volto, è colta nell'attimo prima di essere sorpresa dalle guardie. La scena rappresenta la condizione di dipendenza del vecchio Micone che è totale riguardo la giovane Pero: l'osservatore è attento a riconsiderare l'atto d'amore che se da un lato è teso a sollevare la pena del vecchio affamato, dall'altro non può non destare un'attenzione erotica, nell'atto del vecchio Micone; amore e vita allo stesso tempo qui, essenziali.
La scena sottolinea la logica ricorsiva che contiene l'immagine: lo strazio e l'angoscia di morte del condannato diventa condanna nella condizione di alimentare, con il soddisfacimento del bisogno del momento, la pena che la fame pone.
L'alimentazione del condannato a morte per fame pone infatti la scena come un assurdo logico, un ouroboros, un sistema ricorsivo, un frattale: nel momento del nutrire si allunga lo strazio della condanna. Lo sguardo perso nel vuoto del vecchio Micone, nell'atto di raggiungere il capezzolo, induce un'immagine di "craving" che travalica il sottostante elemento erotico per giungere piuttosto a rappresentare uno stato di "eagerness", mettendo a nudo l'elemento preverbale del bisogno, nell'incapacità di posticipare.

Sul piano psicodinamico la scena potrebbe rappresentare aspetti di erotizzazione del rapporto, ma configura piuttosto un allure dell'Edipo a Colono (si ricorda le battute rivolte dal vecchio Edipo alla figlia Ismene:" "sempre infelice errando con me, è guida a un vecchio; vagando sovente per selvagge foreste digiuna e scalza, e penando per piogge molte o per vampe di sole, la misera rinunzia a vivere in una casa, perchè il padre abbia a nutrirsi...").
E' possibile infatti che in alcuni casi i pazienti e le pazienti tossicodipendenti presentino storie di abuso e violenza "non risolte", prive di elaborazione e le riattualizzino nel rapporto terapeutico, ma qui si sottolinea la dimensione dell'operatore che riceve le richieste di sostentamento alle volte totali, in una condizione che ha della senilità, la dimensione propria della demenza, come nei casi di AIDS.
Nel caso dei pazienti maschi l'aspetto erotico riguarda l'eroina, considerata come una partner sessuale "sempre disponibile", fuga onnipotente da una condizione di autostima ridotta e che riporta allo spettro diagnostico delle disfunzioni sessuali (eiaculazione precoce, disfunzioni dell'erezione), spesso riscontrate nella popolazione tossicodipendente maschile. Sul piano neurobiologico l'oppiaceo si sostituisce all'elicitazione del centro del piacere.
Sul piano relazionale il rapporto terapeutico è sempre irto di difficoltà, in cui il tossicodipendente alimenta fantasie del tipo "operatore unico", in cui cioè si vagheggia una figura di un operatore che sia medico, prescrittore, psicoterapeuta, assistente sociale, infermiere, educatore, quindi "mamma" come nella relazione diadica, al quale chiedere "tutto e subito".
Quasi come se nel rapporto terapeutico fosse sempre presente nella fantasia del paziente un coinvolgimento come quello di Pero, emotivamente e concretamente nella prescrizione e somministrazione, rapporto terapeutico per definizione "ambiguo" e "perverso" in cui una parte delle fantasie di erotizzazione del rapporto sono presenti concretamente nella sostanza metadone/eroina. Un punto di vista in cui "condanna" a volte il vedere solo una scena del "campo" (Pero che allatta) ed esclude, scotomizza quella del controllo (il corpo di guardia) o viceversa e per prendere cos una parte per il tutto.
La struttura espositiva dell'affresco costringe a riconsiderare sia gli aspetti scissionali sia i processi di "identificazione proiettiva" che coinvolgono fortemente gli operatori con modalità che non arrivano alla drammaticità dell'opera di Perin del Vaga, ma che danno un'idea degli elementi in gioco sulla scena della "somministrazione". L'operatore è quindi chiuso in questo contesto di drammatizzazione che offre il campo del controllo: del metadone solo a scalare, del dosaggio a tetto massimo, come gli operatori "del corpo di guardia" che attendono la fine della dipendenza che alle volte ha lo stesso esito del condannato a morte (in questo caso per craving non di cibo ma di sostanze).
Il vecchio Micone in questi casi muore perché non salvato dalla figlia Pero, e la morte si tramuta nella concreta condanna a morte per overdose. Il paziente - Micone resta all'interno del "claustrum" della cura tanto quanto l'efficacia del farmaco nel lenire il morso della "eagerness", il craving visto qui come un bisogno "temporaneamente" risolto.

Dall'altra parte c'è Pero; nutrendo il vecchio continua a farlo permanere nella condizione di prigioniero perché questa condizione terminerà con la morte. Quindi il ricorso al metadone come buon dosaggio per ridurre il senso di "craving", ed ad un dosaggio che, come la poppata del vecchio, tolga la fame in un'unica somministrazione come ipotizzabile essere il numero di visite della nostra Pero al padre. Ed il buon dosaggio dovrebbe presupporre una quantità di farmaco che permetta alla persona di star bene fino alla prossima somministrazione del giorno dopo, condannando il paziente ad un eterna prigione dell'assunzione di metadone.
Riguardo alla condizione schizo-paranoide di tutta la scena pare infatti ricadere la popolazione dei prescrittori che vivono o uno o l'altro delle realtà buona o cattiva della terapia, in cui nel gesto di Pero è presente l'aspetto del seno buono, che allevia le pene della fame, scisso rispetto al seno cattivo, nella considerazione che mantenendo in vita Micone aumenta i giorni di condanna in prigione. Emerge inoltre l'aspetto di contrapposizione tra "mantenentisti" (in uno slang dell'operatore è stato coniato il termine "metadoneti") e "scalaristi"; troviamo cos riprodotta in termini pittorici ci che emotivamente è presente nella cultura delle dipendenze.
Nella scena proposta da Perin del Vaga l'elemento che induce la presenza e l'assenza del bisogno è la pena, la condanna. Il giudice qui solleva da ogni "claustrum" la vita del vecchio. Il campo psicodinamico nelle dipendenze da oppiacei la prescrizione di un sostitutivo passa comunque attraverso una condizione di "oggetto perverso" perché il metadone da un lato allevia il dolore psichico e dall'altro rende pi profonda la dipendenza.

Riguardo poi alla situazione di vita di Perino del Vaga e Andrea Doria, si riportano qui elementi biografici che arricchiscono la lettura del processo di costruzione di un'opera d'arte come "La carità Romana" in cui "inventio", "compositio", e "dispositio" hanno una pi facile lettura riguardo al contesto degli aspetti di analogia dei due attori: commissionante e pittore. (Parma E., 1986; pag. 85)
Leggiamo dal Vasari l'introduzione alla biografia di Pierino Buonaccorsi, detto Perin del Vaga (1501 - 1547):" ... Grandissimo è certo il dono della virt, la quale non guardando a grandezza di roba, né a dominio di stati o nobiltà di sangue, il pi delle volte cigne et abbraccia et sollieva da terra uno spirito povero: assai pi che non un bene agiato di ricchezze. E questo lo fa il cielo" .... "E chi di questo dubitasse punto, lo sgannerà al presente la vita di Perino del Vaga, eccellentissimo pittore e molto ingegnoso. Il quale nato di padre povero, e rimaso piccol fanciullo abbandonato da' suoi parenti, fu dalla virtù sola guidato e governato. La quale egli, come sua legittima madre, conobbe sempre, e quella onor del continovo. E l'osservazione dell'arte della pittura fu talmente seguita da lui con ogni studio, che fu cagione di fare nel tempo suo quegli ornamenti tanto egregii e lodati, che hanno accresciuto, come a Genova et al principe Doria." Ma con altre notizie il Vasari ci fa comprendere la complessità degli eventi emotivi del Perin del Vaga: "Il padre Giovanni Buonaccorsi, ... spese tutte le facoltà sue nel soldo e nel giuoco, et in ultimo ci lasci la vita. A costui nacque un figliolo, il cui nome fu Piero, che rimasto piccolo di due mesi per la madre morta di peste, fu con grandissima miseria allattato da una capra in una villa infino che il padre, andato a Bologna, riprese una seconda donna, alla quale erano morti di peste i figlioli ed il marito. Costei con il latte appestato fin di nutrire Piero, chiamato Pierino per vezzi, ...."(Vasari G., 1568). Seguono una ridda di esperienze di bottega prima con Andrea de' Ceri, e Ridolfo figlio di Domenico Ghirlandaio e successivamente del Vaga, che dette il nome a Perino dall'inizio della sua permanenza a Roma, per poi approdare, dopo il Sacco di Roma, alla esperienza con il Principe Doria.

Da questo frammento si potrebbero fare alcune ipotesi riguardo all'infanzia di Perin del Vaga che si presenta foriera di una vita che ha trovato nella creazione artistica un sistema di sublimazione efficace al dolore mai risolto per una perdita cos grande in età infantile, che ci fa capire quanto Perino del Vaga fosse affezionato a questo tema della mitologia romana.
Pare infatti questo racconto essere così vicino alle anamnesi più drammatiche di qualche nostro paziente tossicodipendente. E possiamo ricordare che le esperienze negative, per qualche paziente, non si fermano solo all'esperienza della perdita. Spesso in quell'epoca, come nella attuale, vi sono altre esperienze negative che minano, in maniera ancora pi devastante di una perdita, lo stato della mente.
Riguardo a questo argomento ci si pu avvicinare al mondo della pittura del Cinquecento (Parma E, 2000) con l'approccio suggerito da Cosimo Schinaia riguardo al problema della pedofilia nel Medioevo: "... nel XIII secolo la scoperta di numerosi contratti con cui si affittavano bambini a padroni, prova quanto fosse diffusa l'usanza di un apprendistato in casa di estranei, dove normalmente si stabiliva una sorta di promiscuità relazionale." (Schinaia C, 2001, pag.118). L'autore specifica che l'età media poteva essere 8-10 anni e il periodo di formazione terminava a 12-14 anni.
Inoltre è specificato che la vita di un bambino, che poteva alle volte avere anche solo sette anni, era immersa in una "dimensione socioeducativa" in cui l'artista assumeva vari ruoli: padre putativo, padrone, maestro. Questi aspetti lasciano intuire alcuni elementi che potrebbero riguardare esperienze di attaccamento problematiche che vanno oltre al tema della "trascuratezza" e del grado di "loving" o "role reversal" per giungere "all'abuso", considerato molto diffuso e che avrebbe implicato stati della mente molto diversi dallo stato mentale "normale" attuale. In quest'accezione la tossicodipendenza, rappresenta uno stato della mente che allevia gli aspetti di malattia, li sublima, come nel caso dell'autore dell'affresco, consigliando il lettore di accogliere queste considerazioni come illazioni in quanto d'accordo con Ariès e con Schinaia (Ariès, 1960) possiamo accedere a queste considerazioni solo con anacronismo.
Un anacronismo che ci serve per considerare l'opera di Perin del Vaga come ispirata dallo stesso clima emotivo che vivono molti nostri pazienti tossicodipendenti, quello del grave stato di trascuratezza, della violenza, lutto ed abuso non risolto.

Citiamo il finale del Vasari della biografia di Perin del Vaga:"Avendo sempre l'animo occupatissimo, ... non aveva mai un'ora di riposo. E quanto di bene e contento sentiva in questa vita, era ritrovarsi talvolta con alcuni amici suoi all'osteria, la quale egli continuamente frequent in tutti i luoghi dove gl'occorse abitare, parendoli che quella fusse la vera beatitudine, la requie del mondo et il riposo de' suoi travagli. Dalle fatiche adunque dell'arte e da' disordini di Venere e della bocca guastatasi la complessione, gli venne un'asima che, andandolo a poco a poco consumando, finalmente lo fece cadere nel tisico; e cos una sera, parlando con un suo amico vicino a casa sua, di mal di gocciola casc morto d'età d'anni quarantasette."
Anche nella descrizione che il Vasari ci dona sulla morte di Perin del Vaga, ci fa pensare sulla patoplasticità dei disturbi di dipendenza e della organizzazione delle attività lavorative, quasi una dipendenza "dal lavoro" come alcune persone attualmente possono vivere. Quanto ad Andrea Doria, nato nel 1466, ben pi anziano di Perin del Vaga al momento del commissionamento dei lavori per il Palazzo (63 aa. per il Principe e 28 aa. per il Pittore), pensa ad elevare a reale dimora principesca le sue abitazioni. " ... Orfano a 18 aa., predato della sua parte di eredità patrimoniale feudale ceduta dalla madre al cugino Domenico, ..." (Parma E., Stagno L., Rathschuler A., 1997) si trasferisce prima a Roma e da Roma ad Urbino presso i Della Rovere e poi via, via tutta la carriera fino alla posizione con l'imperatore Carlo V che Perin del Vaga ha immortalato nella "Caduta dei Giganti".
Mor all'età di 94 anni, superando di gran lunga la vita media di quell'epoca.

A conclusione di questo scritto pare difficile non avvedersi della difficoltà di una visione affrancata da aspetti molto alchemici, di "coniunctio oppositorum". Cito questi problemi con la terminologia junghiana poichè a Jung pi che a qualsiasi altro autore era nota la difficoltà di districarsi da temi come quello della "erotizzazione del rapporto", si veda la lunga trattazione del tema da parte di Bruno Bettelhein ne "La Vienna di Freud". (Bettelheim B, 1956) Di qui la ragione di riportare simbolismi che si rifanno ad un epoca in cui l'elemento del mito e della magia supportava la mancanza di aspetti di conoscenza.
Così anche "Carità Romana" racchiude in sé il "controllismo" rappresentato dal "corpo di guardia" (metadone solo a scalare, a dosaggi poco elevati e di per se stessi implicanti un accento tesaurizzante e tossicofilico) e "metadoneismo" rappresentato da Pero (MMT con aumento del dosaggio ad urine positive, cronicità della terapia, operatori "metadoneti").
L'affresco ci fa comunque considerare la difficoltà che lo schema di terapia per gli oppiacei resti fuori da una prospettiva scissionale, "manierista" e non scientifica poiché legata ad una malattia che riceve pi giustizia dalla chiarificazione dei processi scissionali contenuti in questa rappresentazione artistica che dalla spiegazione clinica. Prospettiva che vede per esempio utilizzare sempre il sostantivo "ragazzo" per i nostri pazienti, ormai invecchiati come Micone, nella loro prigione metadonica, oppure nell'ennesimo programma di metadone a scalare, per l'ennesima entrata in Comunità Terapeutica dopo gli "anta".
In molti casi i tossicodipendenti sono stati bambini abusati e/o essenzialmente soli, o "genitorializzati". Questa realtà difficilmente trova spazio in programmi ed organizzazioni che hanno come fulcro "il metadone" o "il rifiuto del metadone". I problemi sono molto pi profondi del "metadone s - metadone no", ma è meno angosciante fermarsi all'elemento superficiale, magari anche politico, per non guardare "il quadro complessivo" che qui autore ed affresco ci porgono. Poiché necessariamente "l'operatore" messo a contatto con aspetti di difficoltà emotiva con le proprie parti "dipendenti", non "free", potrebbe essere troppo dispendioso un Servizio costituito da persone che avendo analizzato queste parti "dipendenti" riescono a lavorare liberi dal coinvolgimento emotivo dalle identificazioni proiettive schizo-paranoidi che spesso riempiono il campo bipersonale.
Questa considerazione ha a che vedere con il livello di consapevolezza che bisogna dare all'operatore perché gli aspetti scientifici della clinica delle tossicodipendenze si affranchino dal clima "manierista" attuale che appartiene pi ad una visione idealizzata e non umana della sofferenza da consumo di sostanze o, più in generale, dei disturbi di comportamento d'abuso.
Dopo questa breve trattazione spero sia emersa la maggiore complessità dell'argomento "tossicodipendenza" rispetto alla semplicità con la quale di solito viene esposto e spero sia emerso come la clinica delle tossicodipendenze venga ostinatamente semplificata e banalizzata nella pratica quotidiana per la paura della spesa pubblica indotta dall'adeguamento della qualità degli interventi che non possono che migliorare il "monitoraggio" del fenomeno "droga" (pi accessibilità ai ricoveri ospedalieri, maggiore formazione negli operatori dei centri di somministrazione, criteri di efficacia delle Comunità Terapeutiche, pi interventi in tema di prevenzione, offrire un maggiore ventaglio di soluzioni farmacologiche: metadone, naltrexone, buprenorfina).


Ringraziamenti:

Si ringrazia la Famiglia Doria - Pamphilj, la Sig.ra Silvia Cappelletti e il Dr. Fioridi per l'attenzione e la cortesia nel fornire le immagini offerte in questo sito.

Web-grafia:

http://www.pm-revs/journrev/psu/psu-2000-3-b.htm


Bibliografia:

Ariès P., 1960, Padri e figli nell'Europa medievale e moderna, Laterza, Roma, Bari 1994.
Benvenuto S., 2000, L'analisi, uno svezzamento lungo, Psicoterapia e Scienze Umane, 3.
Bettelheim B, 1956, La Vienna di Freud, Feltrinelli, Milano, 1990.
Ferrari A, 1999, Dizionario di Mitologia greca e latina, UTET, Torino.
Freud S., 1910, Opera Completa, Vol.6, pag. 326
Freud S., 1910, Opera Completa, Vol.6, pag. 313
Leavitt S.B., Shinderman M., et al. 2000, When ãEnoughä Is Not Enough: New Perspectives on Optimal Methadone Maintenance Dose, Mount Sinai
Journal of Medicine, 67, 5-6, 404 - 411.
Parma E, 1986, Perin del Vaga, l'anello mancante, SAGEP, Genova.
Parma E, 2000, La pittura in Liguria. Il Cinquecento. Le Mani, Genova.
Parma E, Stagno L., Rathschuler A., 1997, Palazzo del Principe - Villa di Andrea Doria, Sagep, Genova.
Schinaia C., 2001, Pedofilia, pedofilie, La psicoanalisi e il mondo del pedofilo, Bollati Boringhieri, Torino.
Steenberg A, 1976, Caritas Romana. The concepts of culture, Copenhaghen.
Vasari G, 1568, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti. Newton Compton, Milano 1991.


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