Il lavoro interpretativo come processo di differenziazione dalla lingua materna
Lucia Schiappoli
In questo scritto mi propongo di avvicinare il lavoro interpretativo come un processo complesso, che viene svolto insieme da analista ed analizzando, che favorisce la differenziazione, e che attraversa necessariamente la corporeità. Mi riferisco a questo riguardo in particolare a quanto accade nelle situazioni limite o nelle nevrosi gravi, nelle quali gli affetti si declinano mediante l'agito che coinvolge la motilità volontaria, oppure mediante fenomeni di reazione somatica.
Il lavoro onirico attivato dal transfert, che produce attraverso la persona fisica dell'analista una fonte costante di pressione e sollecitazione di un'elaborazione psichica di materiale inconscio, può fungere da interprete - più o meno fedele - del vissuto corporeo, traducendo gli effetti di metaforizzazione presenti nelle reazioni somatiche in nuclei di rappresentazioni di parola. Il sogno infatti "non è soltanto la via regia di accesso alla conoscenza dell'inconscio. E' una funzione organizzatrice dell'inconscio e della strutturazione dell'apparato psichico" (Dejours 1986, pag. 129).
Così come l'interpretazione non è soltanto "un'operazione ermeneutica, [ma] è un evento relazionale, un momento comunicativo e potenzialmente trasformativo dell'incontro" (Algini 1998, pag.6). Tale potenziale trasformazione si riflette per il soggetto in un movimento di strutturazione dell'apparato psichico mediante l'evento transferale: l'interpretazione non si limita a tradurre o tanto meno a spiegare, ma dà forma e possibilità di codificazione in senso linguistico.
Tuttavia, a mio avviso, nelle modalità loro proprie anche la reazione somatica e l'agito comportamentale possono a loro volta svelare certe impasses del lavoro onirico, e farsene interpreti mettendo in scena in forme protorappresentative quanto nello psichismo è dominato dall'aspetto quantitativo e dalla ripetizione dell'identico. Per questa via possono condurre anch'essi a momenti comunicativi ed a nuclei di metaforizzazione, dai quali - se ascoltati con capacità di un'identificazione profonda (1) - può aprirsi la strada alla rappresentazione di parola.
Sulla base di tali premesse propongo una rilettura della funzione di "porta-parola", nei termini di Piera Aulagnier (1975), funzione espletata dalla madre nell'infanzia, sottolineando come essa possa svolgere un lavoro strutturante dello psichismo dell'infans in quanto può legare sufficientemente alle rappresentazioni di parola gli agiti e le reazioni corporee che attraversano la relazione inconscia tra madre e bambino, in misura ed in maniera differente, ma comunque da ambo le parti. Quando, da parte della madre, tali agiti e reazioni corporee sono espressione di aspetti inconsci troppo radicalmente scissi, si verifica un'impasse del lavoro interpretativo originario che tende a riattualizzarsi nel transfert (2).
Nel transfert si rimemora inconsciamente - o si ripete - l'intreccio nella psiche materna tra investimento del bambino ed investimento del padre, "nelle loro modulazioni affettive e nella configurazione che viene loro imposta dalla rimozione", come precisa la Aulagnier. Tale intreccio porta le parole per nominare gli oggetti, ma allo stesso tempo configura le strettoie dell'investimento libidico del bambino da parte della madre, e con esse le implicazioni identificatorie del legame.
Carla viene in analisi per delle manifestazioni di panico e di angoscia accentuatesi in modo parossistico nel periodo che segue l'improvvisa morte del padre in seguito ad un attacco di asma.
Nel giro di pochi mesi il rapporto con un uomo, già frustrante e deludente sul piano sentimentale, entra in crisi definitiva a causa del gelo e della distanza di lui in questa circostanza di morte. Carla ha paura della propria solitudine. Tuttavia si arrabbia con se stessa quando non può fare a meno di ricorrere come una protesi al suo ex compagno, il quale è sempre pronto ad un incontro episodico negando qualsiasi accesso al dolore e anche qualsiasi addebito sentimentale... se posso esprimermi così.
Carla sviluppa dei comportamenti imitativi di quelli che chiama "gli uomini": "voglio fare come loro, un'uscita la sera, fare l'amore e nessun coinvolgimento". Una definizione, questa, degli uomini, che fa appello ad una mia condivisione sulla base di una vulgata popolare, analoga a quella che specifica la definizione popolare del corpo di cui parla Freud a proposito dei sintomi di conversione. L'uso degli uomini come oggetti sessuali non basta però a riempire il tempo delle serate di Carla, una delle tante metafore di un vuoto più profondo.
Nello stesso periodo emerge una storia della paziente segnata da un unico, grande avvenimento occorso nella prima infanzia, e che ha portato conseguenze drammatiche in termini di separazione: una malattia non meglio identificata, con problemi di metabolizzazione e assimilazione del cibo e dunque con pericolo di vita, che ha comportato una ospedalizzazione di qualche mese. In quel periodo Carla era stata costretta in una sorta di incubatrice sterile, e pertanto non poteva venire toccata, pur se la madre era spesso accanto a lei. Le richieste che Carla fa alla madre di fornirle altre informazioni sulla natura di questa malattia non ottengono risposta, perché la madre non ricorda di più.
La malattia come enigma, scontro con un'opacità insondabile, è quanto si ripropone nel presente. Carla soffre di misteriose macchie cutanee, contratture, disturbi visivi, che alternativamente prende a scudo come un impedimento: impedimento a mostrarsi, a uscire dal nascondiglio, a frequentare gli altri tranne che nelle rapide sortite notturne a sfondo erotico, quando la luce è poca e non permette di distinguere.
Altri avvenimenti non sembrano registrarsi, nella vita di Carla, che svolge un lavoro che non ha scelto, ha frequentato una scuola senza interesse, ed ancora più indietro, sembra avere un'infanzia senza storia. Come la madre, non ricorda di più. Siamo in presenza di quanto Green (1999) chiama una memoria "bianca", che egli accosta a stati di allucinazione negativa dei propri pensieri.
I pochi conoscenti stabili di Carla, potremmo anche dire la parte di lei che è presente all'analisi, le testimoniano che anche di avvenimenti ed incontri più recenti sorprendentemente lei non ricorda nulla, pur se è invece ricordata bene dagli altri. "Non riesco ad associare i nomi con le parentele, il marito di quella o di quell'altra". Un disturbo nella capacità di legare e di riconoscere i legami, con il pericolo sempre presente di perderli e cadere nel vuoto relazionale.
Infine anche gli uomini usati come oggetti sessuali tendono a stancarsi e a non farsi più vivi. Il mio lavoro propriamente interpretativo in questa fase consiste soprattutto nel collegare queste sparizioni che non si riescono ad arginare ai movimenti separativi nell'analisi, ed alla memoria della morte del padre che riaffiora di tanto in tanto improvvisamente insieme a sentimenti di inaccettabilità dell'evento. Carla rievoca a poco a poco il panico di fronte alla precarietà della vita mostrata da questa morte improvvisa, che recide inoltre un rapporto irrisolto.
Il giorno dopo telefona lasciando questo messaggio in segreteria: "mi si è bloccata la lingua, mi può chiamare?". Viene puntuale alla seduta dell'indomani, dicendo: "è andato tutto in tilt, il corpo la mente la lingua le macchie non voglio vedere nessuno". Parla a fatica perché la lingua le duole a forza di stare schiacciata contro il palato, ha potuto mangiare pochissimo.
Narra un sogno fatto quella notte: "ero su un aereo che cadeva, sotto c'era una pista da sci, gli sciatori che si scansavano, io pensavo "ci sono tre possibilità", che erano tutte di morte: o cade e s'incendia o esplode o schiaccia gli sciatori. Poi parlavo con le tre donne che viaggiavano con me [le donne cui è più legata, la cugina la sorella e l'amica che le fanno da alter ego, oltre naturalmente all'evocazione delle tre sedute settimanali di analisi, metafora della regola analitica, associare, qui in particolare associare in termini di tre, ma anche non telefonare negli intervalli che scandiscono il ritmo e la dimensione della quantità o del vuoto]. Dicevo loro: - basta, io non volo più -, e loro rispondevano : - invece noi continuiamo- ".
Nel corso della seduta racconta anche un sogno fatto la notte precedente al sintomo del blocco della lingua: "ero con mio padre che mangiava smodatamente come al solito, volevo tanto dirgli quello che gli diceva sempre mia madre: - non fare così se no ci rimani - , ma mi frenavo le parole". Non sorprenderà che a questo sogno non si leghino associazioni. Possiamo tuttavia, insieme, collegarlo all'abbuffata speculare di parole che segnala per Carla un pericolo mortale nell'analisi.
Il sintomo di blocco doloroso della lingua si dirama poi in tanti rivoli interpretativi, scomparendo e ricomparendo per qualche mese, fino a quando Carla cambia discorso, e comincia a dire: "ora vedo mia madre. L'avevo sempre considerata tutto, molto più di mio padre, di cui lei parlava sempre male, lo considerava un buono a nulla. Era lei che faceva tutte le cose, ma che cosa faceva poi? Sa fare ben poco, mi ha insegnato ben poco, eppure prima le credevo ciecamente, non volevo vedere com'era in realtà. Che rapporti sono i miei? Che rapporto c'era tra mio padre e mia madre?".
Il lavoro onirico si serve delle interpretazioni dell'analista, ed ancora di più, a mio avviso, della persona dell'analista come rappresentante affettivo di quanto dalle interpretazioni resta escluso, di un resto che permane a fare pressione stimolando un rilancio dell'enigma e del lavoro interpretativo stesso. In questo senso si può dire che il lavoro onirico si serva del transfert come di un resto diurno, in cui le interpretazioni sono contigue (con un rapporto stavolta metonimico anziché metaforico) a quanto residua e chiama in causa la necessità di un'elaborazione psichica (3).
Nel sogno di Carla un aereo cade nel vuoto, come il suo appello telefonico, che però viene affidato comunque nella sua urgenza all'ascolto mediante la segreteria. Il sogno conferma la possibilità della morte, in un certo senso la sua registrazione come evento, non solo, ma in esso le varie possibilità di morte testimoniano un lavoro di moltiplicazione qualitativa, in termini di svariate fantasie, che declinano l'implosione quantitativa dell'affetto. Si tratta di un gradino interpretativo importante, nel senso dell'elaborazione di una qualità, là dove prima c'era soltanto la quantità abissale di un vuoto che è allo stesso tempo un "troppo pieno" (Green 1973). Troppo cibo, nella relazione analitica sotto il primato dell'oralità, un'esplosione al posto di una metabolizzazione; troppa presenza di sciatori per non schiacciarne qualcuno sotto il peso enorme dell'aereo o degli eventi inelaborabili che precipitano nell'apparato psichico, troppo forte l'impatto della caduta incendiaria, che rischia di far saltare il viaggio analitico allo stesso modo del teatro analitico colpito improvvisamente da un incendio, al quale Freud (1914) affida la metafora dell'irruzione del transfert.
E' un gradino interpretativo importante, a mio avviso, perché segna un passaggio dall'azione che ha per teatro il corpo alla rappresentazione che si svolge sulla scena psichica. Si può dire che esso favorisce la strutturazione di un luogo psichico per la rappresentazione della scena orale.
Joyce McDougall (1989) parla di reazioni somatiche ad un'emozione dolorosa; Pontalis (1977), con un'estensione implicita all'emozione del godimento, parla della reazione somatica come di una prevalenza in generale del registro economico, che quando non può legarsi alla rappresentazione cerca una scarica motoria. Il sogno dell'aereo fornisce una cornice più ampia allo schiacciamento della lingua bloccata, che mentre annulla il vuoto della cavità orale con un atto di adesione, pure ne registra in qualche modo la presenza dolorosamente, ed apporta elementi di metaforizzazione della regressione ad una relazione di unione arcaica alla madre (regressione ad una fantasia di legame unificante in modo assoluto e che disturba la possibilità di associare, ri-legare o legare diversamente).
La Mc Dougall parla di un'"isteria arcaica" i cui sintomi sono espressione di una sessualità primitiva, caratterizzata da tratti sadici e fusionali, che sarebbe all'origine di regressioni psicosomatiche che possono essere considerate difese contro vissuti mortiferi (1989, pag. 30). Mentre l'isteria più evoluta si costruisce a partire da legami verbali, e cerca di preservare la sessualità del soggetto dal vissuto confusivo che abolisce ogni differenza, l'isteria arcaica "cerca di preservare l'insieme del corpo [del soggetto], la sua vita, costituendosi a partire da legami preverbali". Una distinzione analoga tra due finalità di difesa rivolte rispettivamente a preservare la sessualità dalla colpa e dall'angoscia di castrazione, o la conservazione e la vita stessa del soggetto dal terrore di un godimento destrutturante, si trova in Nasio (1999), che ne fa due livelli dell'isteria, malattia da ripensare nella quale la sintomatologia di conversione o di angoscia si staglia su di uno sfondo depressivo, dove campeggiano il vuoto e la morte.
Con il riproporsi drammatico nel transfert della scena primaria orale, segnata dall'eccesso destrutturate e mortifero speculare alla colpa per l'incorporazione dell'oggetto, si propone altresì l'enigma del rapporto tra i sessi e dunque quello della propria origine. "Che rapporti ho io? Che rapporto c'era tra mio padre e mia madre?", sono gli interrogativi che continueranno a riproporsi nella fase successiva dell'analisi di Carla.
Per la madre, Carla è rimasta sempre "la piccola", con una parola di definizione che prescrive la mancanza di storia, di sessuazione e di memoria di uno sviluppo psicofisico soggettivo: una parola sovrainvestita difensivamente (dunque una parola "violenta" nel senso in cui la Aulagnier parla di violenza dell'interpretazione, sia questa subita o ricercata come un appiglio), che fa parte di quell'aspetto inconscio ed onnipotenziale della lingua materna cui Carla è tentata ancora una volta di aderire nel sogno del padre. Il sintomo di conversione acuto di blocco della lingua segna l'attualizzazione nel transfert di quella che è stata finora la situazione cronica di Carla, rivelandola e portando in primo piano come figura quello che è stato finora lo sfondo immobile dei suoi eventi psichici mancati: ossia lo sfondo della sua soggettività bloccata, destinata a coincidere con una protesi fallica della madre che esclude il padre in un'unione onnipotente ed eternizzata. Il sintomo ripete l'identico della relazione fusionale alla madre, ma nello stesso tempo, risignificandola come blocco difensivo in una posizione di infans, comincia a segnalare ciò che impedisce l'assunzione soggettiva del lavoro interpretativo, e prepara con ciò la strada alla possibilità di una tale assunzione.
Scrive Pontalis (1997, pag. 25): "Ciò che si ripete, non dico ciò che si rimugina ma ciò che insiste, è ciò che non ha ancora avuto luogo, non ha trovato il suo luogo e che non essendo riuscito a divenire, non è esistito come evento psichico". Il sintomo di conversione di Carla le permette di cominciare a divenire ciò che è sempre stata in un non-luogo psichico che ignora il passaggio del tempo e la rimemorazione, e che finora si è espresso come ripetizione. Il progressivo riconoscimento dell'adesione cieca, nella quale non c'è spazio per un'interpretazione personale, è l'inizio della differenziazione dalla lingua materna come lingua dell'origine, e dalla madre stessa. Da allora in poi infatti Carla incomincia a guardare con stupore la madre ed i suoi limiti, e da allora incomincia anche a ricordare da sola diversi eventi dolorosi della propria storia infantile ed adolescenziale, come se tali ricordi fossero specificazioni che differenziano, interpretano diversamente (il che è in fondo la verità dell'interpretare, che è sempre un ri-creare), la propria immagine e la propria storia, rispetto all'immobile ed eternizzata "piccola" catturata nella parola materna.
bibliografia.
Algini M.L. (1998), Tra ascolto e interpretazione. Introduzione, Quaderni di psicoterapia infantile n. 38, ed. Borla.
Aulagnier P. (1975), La violenza dell'interpretazione, ed. Borla 1994.
Aulagnier P. (1986), Un interprète en quete de sens, ed. Payot 1991.
Dejours C. (1986), Il corpo tra biologia e psicoanalisi, ed. Borla 1988.
Donnet J.-L. - Green A.(1973), La psicosi bianca, ed. Borla 1992.
Freud S. (1899), L'interpretazione dei sogni, OSF Boringhieri, vol. III.
Freud S. (1914), Osservazioni sull'amore di traslazione, OSF Boringhieri vol. VII.
Green A. (1999), Genesi e situazione degli stati limite, in: André J. (a cura di), Gli stati limite, ed. Franco Angeli 2000.
Laplanche J. (1986), Trauma, traduzione, transfert..., in: Il primato dell'altro in psicoanalisi (1967-1992), ed. La Biblioteca 2000.
Laplanche J. (1987), Nuovi fondamenti per la psiconalisi, ed. Borla 1989.
McDougall J. (1989), Teatri del corpo, ed. Cortina 1990.
Nasio J. D. (1995), L'isteria, ed. Edizioni Scientifiche Ma.Gi. 1999.
Pontalis J.-B. (1972), La pénétration du reve, Nouvelle Revue de Psychanalyse n. 5, ed. Gallimard, pag. 257-271.
Pontalis J.B. (1977), Tra il sogno e il dolore, ed. Borla 1988.
Pontalis J.-B. (1997), Questo tempo che non passa, ed. Borla 1999.
Note:
(1) Mi pare che Nasio (1999) colga bene l'essenza dell'ascolto che è necessario per favorire un'interpretazione in questi casi, casi che egli chiama di un dire-sintomo (dit symptomal), e l'essenza del nocciolo identificatorio di tale ascolto, che da una parte va al di là del concetto generico di empatia, e dall'altra implica un'ipotesi su qual è il movimento psichico dell'analista nelle situazioni comunicative che vengono da altri definite "dirette da inconscio a inconscio": "L'ascolto avrà effettivamente il potere di generare un senso nuovo a patto di provenire da uno psicoanalista abitato da un profondo desiderio, [quello di] penetrare nella psiche del paziente, fino al punto di incarnare l'eccesso irriducibile e di trasformarsi nel nocciolo della sofferenza [corsivo mio]. Se vi riesce, [...] il terapeuta si percepirà trascinato a pronunciare l'interpretazione, o altrimenti a farla sorgere indirettamente entro il parlare dell'analizzando" (pag. 49).
(2) Quest'idea si avvicina a ciò che Laplanche (1986) chiama il formarsi di un messaggio intraducibile, ossia non reinterpretabile soggettivamente, che nella sua forma radicale attiene nel suo pensiero alla relazione psicotica. Per la Aulagnier (1986) l'esito psicotico è legato all'incapacità della madre o al suo rifiuto di farsi supporto di un'interpretazione fantasmatica da parte del bambino di una realtà che gli provoca un eccesso di sofferenza. (3) Cfr. le osservazioni di Nasio sopra ricordate a proposito dell'analista che incarna l'eccesso irriducibile; tali osservazioni si accostano alle numerose elaborazioni di Pontalis sulla funzione dell'analista di incarnare ciò che preme per essere interpretato (1972 - 1977).
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