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Psicosomatica
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Updates sul costrutto di alexithymia
Piero Porcelli
Relazione presentata al 1° Convegno Internazionale
sull'Addiction L'era dell'eccesso: Clinica e psicodinamica dell'addiction
tenutosi a Palermo il 28-29 ottobre 2004,
organizzato dalla Cattedra di Psicologia Clinica (Prof. Daniele La Barbera) e dalla Cattedra di Psicopatologia dello Sviluppo (Prof. Vincenzo
Caretti) dell'Università di Palermo.
(Per la versione PDF del testo e delle slides, cliccare qui)
In questa relazione, tratteremo alcuni sviluppi della ricerca sul costrutto di alexithymia. Per approfondimenti sulle ultime ricerche, si rimanda alle recenti review apparse negli ultimi anni (Todarello-Porcelli, 2002; Taylor, 2000; Taylor, 2004; Taylor-Bagby, 2004), oltre alla monografia del gruppo di Toronto sui disturbi della regolazione affettiva (Taylor et al, 1997).
1. Cosa significa alexithymia
Il termine alexithymia è stato coniato da Peter Sifneos (1973) nella prima metà degli anni
'70 per indicare un disturbo affettivo-cognitivo relativo ad una particolare difficoltà di vivere, identificare e comunicare le emozioni (dal greco
alpha = assenza, lexis = linguaggio, thymos = emozioni, ossia "assenza di parole per le emozioni"). Il costrutto venne elaborato a partire
dall'osservazione di pazienti con le "classiche" malattie psicosomatiche e per molti anni è stato ritenuto quasi un loro sinonimo poiché si pensava fosse specificamente connesso alle patologie c.d. psicosomatiche. Fra le caratteristiche cliniche dei pazienti psicosomatici, Sifneos annoverava:
- la marcata difficoltà a descrivere le emozioni e ad esserne consapevoli;
- la riduzione delle attività mentali connesse con la fantasia;
- la marcata preoccupazione con aspetti concreti e dettagliati dell'ambiente esterno e del proprio corpo;
- uno stile di pensiero congelato sugli stimoli ed incapace di andare oltre nell'elaborazione, come sottolineato negli stessi anni da
case reports di psicoterapia con pazienti alessitimici contrassegnati fondamentalmente dalla noia contro-transferale (Taylor, 1977; 1984).
2. Caratteristiche cliniche
Vi sono 5 caratteristiche cliniche centrali del costrutto di alexithymia:
1. Difficoltà di identificare e descrivere le emozioni
I soggetti alessitimici manifestano una marcata difficoltà a verbalizzare i propri stati emotivi e, ad
un'indagine più approfondita, sembrano non averne affatto consapevolezza. Possono anche mostrare scoppi improvvisi di emozioni intense (come rabbia, paura o pianto) ma non riescono collegare la manifestazione emozionale con ricordi, fantasie o specifiche situazioni.
E' così possibile che un paziente alessitimico descriva tutto ciò che è successo in una lite con il coniuge, dalle situazioni che
l'hanno scatenata alle parole dette, e poi si meravigli se l'osservatore gli dice che probabilmente ha provato rabbia.
2. Difficoltà di distinguere fra stati emotivi soggettivi e le componenti somatiche
dell'attivazione emotiva
I soggetti alessitimici esprimono le proprie emozioni preminentemente attraverso la componente fisiologica poiché incapaci di elaborarne
l'aspetto soggettivo vissuto. Per cui, il paziente dell'esempio precedente riferisce le modificazioni somatiche avvertite (irrequietezza motoria, tensione muscolare, pirosi gastrica, tremori, ecc.) ma non comprende che
l'esperienza della rabbia ingloba in sé tutte le sensazioni riferite. Dalla psicoanalisi, tale caratteristica viene considerata una difesa massiva contro
un'angoscia di natura psicotica, per cui la distanza posta fra affetto e rappresentazione denota la distruzione del legame di significato fornito dalle parole e da ciò che esse simbolizzano. Dal punto di vista cognitivistico, è stata concettualizzata come attenzione selettiva ed amplificazione delle componenti somatiche delle emozioni e come predisposizione
all'agire motorio per scaricare una spiacevole tensione interna, il che spiegherebbe il motivo per cui i soggetti alessitimici sviluppino ipocondria, disturbi di somatizzazione e comportamenti compulsivi come abbuffate alimentari, abuso di sostanze psicoattive, anoressia nervosa.
3. Povertà dei processi immaginativi
La povertà di immaginazione e di tutte le funzioni ad essa connesse sono facilmente osservabili
nell'attività onirica dei soggetti alessitimici. Essi non sognano quasi mai e i loro sogni sono comunque caratterizzati dal fatto di riprodurre pezzi di vita reale, avvenimenti diurni, eventi della vita lavorativa. Allo stesso modo, i sogni ad occhi aperti sono quantitativamente molto scarsi e qualitativamente molto poveri poiché
anch'essi si soffermano su eventi accaduti o su preoccupazioni per il futuro. Il colloquio con i soggetti alessitimici è pertanto duro, noioso, frammentario, rigidamente circoscritto a sintomi, esami medici o eventi accaduti. Fisicamente appaiono rigidi nella postura corporea e nella mimica facciale.
4. Stile cognitivo orientato verso la realtà esterna
I soggetti alessitimici sono elettivamente concentrati su tutto ciò che è esterno alla vita psichica. Sul piano cognitivo, ciò si manifesta attraverso un pensiero razionale che tende a illustrare azioni ed esperienze senza investimenti affettivi, come se
l'individuo fosse spettatore più che attore delle propria vita. L'attenzione è concentrata sui dettagli della realtà fattuale, di cui riescono a descrivere i dettagli anche minuziosamente ma senza mai dare la sensazione
all'osservatore che vi stiano partecipando emotivamente.
5. Conformismo sociale
I soggetti alessitimici mostrano una stretta aderenza alle regole sociali di adattamento, per cui sembrano definiti
dall'esterno in termini di identità di ruolo. Al contrario, mancano delle qualità soggettive di interpretazione della propria identità ed evidenziano scarsa capacità di sintonizzazione con le emozioni altrui, mostrando marcate difficoltà a formare e conservare nel tempo relazioni interpersonali intime.
In conclusione, i soggetti alessitimici hanno caratteristiche al confine fra più sindromi psicopatologiche (disturbi depressivi, ossessivo-compulsivi, personalità dipendente), differenziandosene per la peculiarità di un disturbo cognitivo di elaborazione delle emozioni, o meglio della componente psicologica degli affetti a fronte di un eccesso di espressività della componente fisiologica.
3. Storia del costrutto
Il costrutto di alexithymia è nato 30 anni fa e si è modificato nel corso della sua evoluzione concettuale. Le tappe più importanti di questa storia sono le seguenti:
- Sul finire degli anni '40, Jorgen Ruesch (1948) aveva osservato che molti pazienti con patologie mediche croniche o con le "classiche" malattie psicosomatiche manifestavano marcate difficoltà di espressione verbale e simbolica degli affetti, con caratteristiche del tutto diverse da quelle presentate dai pazienti nevrotici. Egli attribuì tali caratteristiche ad un arresto nello sviluppo della personalità, considerando tale deficit evolutivo come il problema centrale della personalità psicosomatica
(personalità infantile).
- Agli inizi degli anni '60, gli psicoanalisti francesi Pierre Marty e Michel de
M'Uzan (1963) (che fonderanno in seguito l'Ecole Psychosomatique de Paris) pubblicano osservazioni cliniche su pazienti somatici che manifestano una struttura cognitivo-affettiva molto simile al costrutto di alexihtymia (che definirono pensiero operatorio), con uno stile di pensiero letterale ed utilitaristico accompagnato da un marcato impoverimento affettivo.
- Nel 1976 la XI European Conference on Psychosomatic Research (ECPR) (Brautigam-von Rad, 1977) viene dedicata per intero al costrutto di alexithymia, consentendo per la prima volta ai ricercatori
dell'allora recente costrutto di incontrarsi e discutere, sancendone l'ufficialità nella comunità scientifica e promuovendone lo sviluppo futuro.
- A metà degli anni '80, il gruppo di Toronto fa compiere una svolta cruciale al costrutto quando pubblica la prima scala empiricamente validata per
l'assessment del costrutto. Il gruppo di Toronto è costituito da Graeme Taylor (psicoanalista e teorico del gruppo, docente
all'Università di Toronto), Mike Bagby (psicologo clinico che si occupa prevalentemente di psicometria, del Clarke Institute di Toronto) e Jim Parker (psicologo clinico che si occupa fondamentalmente di studi sperimentali di laboratorio, della Trent University di Peterborough). Nel 1985 il gruppo pubblica la Toronto Alexithymia Scale (TAS) nella versione a 26 items (Taylor et al, 1985) e 10 anni dopo la sua revisione a 20 items (TAS-20) (Bagby et al, 1994; Parker et al, 2003; Taylor et al, 2003). Prima della TAS, nel decennio 1975-1985 i risultati delle ricerche erano stati ottenuti con strumenti poco robusti dal punto di vista psicometrico, come il Beth Israel Questionnaire (BIQ), la Schalling-Sifneos Personality Scale (SSPS) o la scala
sull'alexithymia ricavata dal MMPI (MMPI-A). La scarsa considerazione verso il costrutto di alexithymia da parte della comunità scientifica del tempo fu dovuta in parte alla scarsa validità e affidabilità di queste prime scale di valutazione, anche se dotate di buona
face validity in quanto i contenuti degli item erano incentrati sulle caratteristiche teoriche e cliniche centrali del costrutto. Lo sviluppo della TAS e della TAS-20 ha impresso uno sviluppo impressionante alle ricerche che sono passate da una trentina di lavori pubblicati nel periodo 1970-79 agli oltre 500 nel periodo 1995-2004 (fonte: Medline). La TAS-20 è uno sviluppo della TAS a 26 items di cui sono stati corretti alcuni problemi riscontrati negli studi di validazione. Fondamentalmente sono stati eliminati dalla TAS-26 quegli items (riferiti al conformismo sociale ed alla funzione di daydreaming) che non risultavano correlati con gli altri fattori.
- Nel 1997 il gruppo di Toronto pubblica la monografia Disorder of Affect Regulation (Taylor et al, 1997) (tradotta in italiano da Mario Speranza per Giovanni Fioriti Editore nel 2000 con il titolo
I disturbi della regolazione affettiva). Questo libro costituisce una svolta epocale nel costrutto di alexithymia poiché segna definitivamente il passaggio
dall'ambito della medicina psicosomatica in senso stretto all'universo più ampio dei disturbi multi-determinati sia fisici che psicopatologici caratterizzati dalla disregolazione affettiva, di cui diremo dopo.
- Alla XXV ECPR di Berlino del giugno 2004, il gruppo di Toronto illustra i primi risultati relativi alla Toronto Structured Interview for Alexithymia. Si tratta di
un'intervista strutturata a 24 items, parzialmente finanziata dal Ministero della Salute canadese e tuttora in via di costruzione. La scala intende rispondere a due critiche fondamentali rivolte alla TAS-20. Primo, la TAS-20 è uno strumento self-report e appare in aperta contraddizione con il costrutto misurato poiché per definizione gli alessitimici hanno scarso accesso introspettivo
all'autovalutazione (cfr. Lumley, 2000), per cui è necessaria una valutazione clinica delle caratteristiche del paziente da parte di un osservatore. Secondo, come dicevamo, la TAS-20 non "copre" aspetti clinici importanti del costrutto, come i tratti di conformismo sociale e la ridotta capacità di fantasticare. Tali aspetti clinici restano centrali nel costrutto ma non vengono valutati dalla TAS-20 poiché gli items relativi ad essi sono risultati psicometricamente deboli.
4. Le scale di Toronto
Le scale di Toronto di assessment dell'alexithymia (TAS e TAS-20) sono le più usate al mondo. Dal 1986, sono state usate nel 90% degli studi pubblicati e dal 1994 la TAS-20 è stata citata più di 340 volte nelle pubblicazioni scientifiche su riviste con
peer-review. Sono state tradotte in 20 lingue diverse, fra cui le principali europee (danese, tedesco, finlandese, italiano, francese, greco, norvegese, portoghese, spagnolo, polacco, ungherese, svedese e olandese) ed alcune extra-europee (hindi, tamil, giapponese, coreano, lituano, cinese ed ebraico). Il gruppo di Toronto, nello spirito della collaborazione scientifica internazionale, dà generalmente il proprio consenso ad usare la traduzione nelle lingue nazionali se la struttura fattoriale della scala è identica a quella originale, articolata in tre fattori
(IDE, identiyfing feelings; COM, communicating feelings; EOT, externally-oriented
thinking), mediante la confirmatory factor analysis.
E' immediatamente comprensibile che l'uso di una misura omogenea dell'alexithymia da parte della comunità scientifica consente:
- di accumulare dati empirici ottenuti con uno stesso strumento;
- di confrontare le ricerche condotte in paesi diversi;
- di esplorare le varie spiegazioni dei risultati ottenuti con la stessa scala.
Nel 1996 è stato pubblicato il lavoro sulla validazione della traduzione italiana della TAS-20 (Bressi et al, 1996) e nel febbraio 2005 è prevista la pubblicazione di un libro della Masson a cura di D.La Barbera e V.Caretti sulla TAS-20. Nel 2003 è invece stato pubblicato un interessante lavoro di confronto delle varie traduzioni della TAS-20 da cui emerge la sua capacità di misurazione omogenea del costrutto di alexithymia (Taylor et al, 2003).
5. L'assessment dell'alexithymia
Uno dei problemi dell'assessment di un costrutto psicologico è però, paradossalmente, proprio
l'uniformità della misurazione. Un unico strumento di misura introduce nella ricerca un bias sistematico (ossia
l'inclusione, inevitabile anche se indesiderata, di fattori che non si volevano misurare con una certa scala) che non può essere eliminato finché non si trova un altro strumento, psicometricamente valido ma di tipo diverso, che confermi la validità dei risultati ottenuti con il primo. Si tratta della cosiddetta
matrice multitratto-multimetodo di Campbell e Fiske (1955) secondo cui la validità di uno strumento di assessment psicologico non deve essere correlato a costrutti teorici indipendenti (validità divergente) e, nello stesso tempo, deve
correlare con scale che misurano lo stesso costrutto ma ottenute con metodo di misurazione indipendente (validità
convergente). Per le scale di Toronto, il problema resta la natura del test: è un test self-report che necessariamente comporta il bias sistematico
dell'auto-valutazione: non si può sapere se il modo in cui il soggetto sta rispondendo alla scala self-report è diverso dal modo in cui risponderebbe ad
un'altra scala - ad esempio etero-somministrata - che misuri lo stesso costrutto. In sostanza, è possibile che un soggetto valuti se stesso come alessitimico ad una scala self-report come la TAS-20 ma risulti alessitimico se osservato da un esaminatore esterno e, viceversa, che non valuti se stesso come alessitimico al test self-report ma che lo risulti quando viene valutato con uno strumento eterogeneo come una scala observer-rated.
Per questo motivo, sono state recentemente sviluppate alcune misure alternative alla TAS-20, il cui uso per la ricerca (in congiunzione o in alternativa alle scale di Toronto) è ancora in fase di validazione. Fra le più importanti si possono menzionare:
- la scala olandese di Bermond e Vorst (Bermond-Vorst Alexithymia
Questionnaire, BVAQ) (Vorst-Bermond, 2001);
- la scala californiana di Haviland (Observer Alexithymia Scale, OAS) (Haviland et al, 2000);
- la Toronto Structured Interview for Alexithymia (TSIA) dello stesso gruppo di Toronto;
- alcuni indici del Rorschach Comprehensive System (Porcelli-Meyer, 2002; Porcelli, 2004).
La proposta di un nuovo strumento di misurazione deve però rispettare alcuni canoni per ottimizzare il rapporto bilanciato fra esigenze teoriche di sviluppo e affidabilità
psicometrica. E' infatti necessario testare continuamente i limiti di uno strumento già esistente ma
l'introduzione di una nuova scala in un settore della ricerca deve anche aggiungere validità incrementale rispetto a quella precedente (ossia deve fornire informazioni quantitativamente maggiori e qualitativamente migliori rispetto alla scala precedente, informazioni che non si possono ottenere con la prima scala per suoi limiti strutturali ineliminabili). Se così non fosse, si correrebbe il rischio di gettar via il lavoro già svolto (valido) e di accumulare letteratura non strettamente necessaria.
7. L'evoluzione del costrutto
In sintesi, nei suoi 30 anni di storia, il costrutto di alexithymia ha subito notevoli e sostanziali cambiamenti in almeno 3 aree:
1. Dalla comunicazione all'elaborazione delle emozioni.
Agli inizi si pensava che la struttura concettuale del costrutto fosse in una difficoltà di comunicazione delle emozioni mentre oggi si ritiene che
l'aspetto teorico fondamentale consista in un deficit di elaborazione cognitiva delle emozioni dovuto ad un arresto nello sviluppo delle funzioni di mentalizzazione. La cornice teorica attuale di riferimento è quindi rintracciabile nelle moderne teorie delle emozioni.
2. Dalla specificità psicosomatica alla vulnerabilità aspecifica.
Agli inizi si riteneva che l'alexithymia fosse maggiormente prevalente nelle patologie psicosomatiche, tanto che si è a torto ritenuto che ne costituisse un aspetto di specificità. Oggi si ritiene al contrario che
l'alexithymia sia una predisposizione aspecifica verso vari disturbi sia fisici che psichiatrici, caratterizzati dalla comune matrice della disregolazione degli affetti.
3. Da strumenti deboli a strumenti validi di misurazione.
Agli inizi la misurazione del costrutto è stata effettuata con strumenti che avevano solo elevata face validity ma sviluppati con scarsa attenzione di validità ed affidabilità.
L'introduzione delle scale di Toronto ha consentito un progresso sostanziale nella misurazione del costrutto poiché è stato seguito un processo empirico, e non solo concettuale, di sviluppo della scala.
Il cambiamento di questi tre aspetti del costrutto non ha comportato però il cambiamento dei suoi aspetti fondamentali, per cui
l'alexithymia ha conservato inalterato il nocciolo delle sue caratteristiche messe in luce da Sifneos 30 anni fa.
8. La differenza tra emotions e feelings
Per comprendere il nucleo basilare del costrutto di alexithymia, è fondamentale operare una distinzione concettuale fra due termini di lingua inglese, difficilmente traducibili in italiano senza perdere la complessità dei rispettivi significati:
emotions (lett. emozioni) e feelings (lett. sentimenti).
Le emozioni (emotions) sono fenomeni biologici innati, geneticamente programmati, mediati dai sistemi subcorticali e limbici, funzionali alla sopravvivenza della specie e basati su segnali non-verbali come mimica facciale, gestualità, postura corporea e tono vocale. Sono in sostanza la componente biologica
dell'affetto.
I sentimenti (feelings) sono invece fenomeni psicologici individuali molto più complessi poiché implicano
l'elaborazione cognitiva ed il vissuto soggettivo mediato dalle funzioni neocorticali. Tale componente psicologica
dell'affetto consente di valutare la risposta emotiva a stimoli esterni ed interpersonali e di comunicare intenzionalmente le emozioni mediante la funzione linguistica verbale ed extraverbale di simbolizzazione. Essi, pertanto, dipendono dalla cultura di appartenenza, dalle esperienze infantili, dalle rappresentazioni di sé e degli altri, da ricordi, fantasie e sogni.
L'alexithymia non indica pertanto individui senza emozioni - che sarebbe impossibile - ma soggetti con un
deficit della componente psicologica
dell'affetto (feeling), ossia persone che hanno emozioni (emotions) espresse dalle componenti biologiche degli affetti ma con scarsa o nessuna possibilità di ricorrere agli strumenti psicologici (immagini, pensieri, fantasie) per rappresentarle.
La domanda di base del costrutto di alexithymia è pertanto la seguente: come vengono rappresentate simbolicamente le emozioni
(emotions) per cui possono essere percepite consciamente come affetti (feelings) e quindi essere individuate, denominate, regolate ed espresse mediante le funzioni di mentalizzazione e le fantasie?
9. Alexithymia e teoria del codice multiplo della Bucci
Una ipotesi di risposta alla domanda precedente è rappresentata dal
Modello del Codice Multiplo
(Multiple Code Theory) di Wilma Bucci (1997), una teoria
dell'elaborazione mentale degli input che ha molti punti in comune con il costrutto di alexithymia.
Nel modello della Bucci, la elaborazione subsimbolica riguarda tutti quegli stimoli non-verbali (sentimenti, input motori, stimoli sensoriali) che vengono processati "in parallelo": ad esempio, riconoscere le emozioni
nell'espressione facciale altrui o una voce familiare nella confusione di una festa oppure arrivare di testa su un cross al momento giusto e
all'altezza giusta giocando a calcio o, per restare su un terreno più professionale, intuire il timing
dell'interpretazione al paziente. La elaborazione simbolica non-verbale riguarda invece quelle immagini mentali (un volto, una musica,
un'espressione) che, pur presenti alla coscienza, non possono essere tradotte in parole. La
modalità simbolica verbale riguarda quel potentissimo strumento mentale mediante il quale
l'individuo comunica il proprio mondo interno agli altri e conoscenza e cultura vengono trasmesse da un individuo ad un altro. I tre sistemi, secondo la Bucci, pur essendo governati da principi differenti, sono anche connessi. La Bucci definisce
processo o attività referenziale tale complessa connessione bidirezionale dalle emozioni alle parole e viceversa, ed ha anche elaborato strumenti di assessment
dell'Attività Referenziale. L'attività referenziale non è una semplice trasformazione lineare
dell'emozione da una modalità all'altra ma la connessione di componenti separate di uno schema emotivo che consentono di trasformarne il significato.
L'alexithymia è, nel modello della MCT, un deficit delle connessioni referenziali fra le tre modalità di elaborazione degli input.
Nell'alexithymia. le emozioni (modalità sub-simbolica non-verbale) risultano connesse ad immagini (modalità simbolica non-verbale) e parole (modalità simbolica verbale) solo debolmente o per nulla. Esse sono quindi vissute come sensazioni somatiche scarsamente differenziate (con prevalenti manifestazioni fisiche della sintomatologia associata) o impulsi
all'azione (con prevalenti manifestazioni psicopatologiche nella sintomatologia associata). In particolare, secondo
l'ipotesi di Bermond (1997), quando le connessioni non sono formate per deficit si ha
l'alexithymia di tipo I (scarsa consapevolezza ed espressione degli affetti) mentre quando vengono interrotte o disturbate per un processo traumatico, come ad esempio nel PTSD o nelle sindromi dissociative, si ha
l'alexithymia di tipo II (normale consapevolezza ma scarsa espressione degli affetti).
10. Alexithymia e modello cognitivo-evolutivo di Lane e Schwartz
Un'altra ipotesi teorica di risposta alla domanda di base
dell'alexithymia è costituita dal modello cognitivo-evolutivo di Lane e Schwartz (1987). Si tratta di un modello di sviluppo
dell'elaborazione cognitiva e della consapevolezza delle informazioni provenienti sia dal mondo esterno che dal mondo interno e che prevede 5 livelli di evolutivi di organizzazione:
1) riflessivo sensomotorio: le emozioni vengono inizialmente percepite solo come sensazioni corporee ma sono visibili
dall'esterno grazie alle espressioni facciali,
2) recitativo sensomotorio: le emozioni vengono successivamente vissute sia come sensazione corporea che come tendenza
all'azione,
3) preoperazionale: in seguito le emozioni vengono vissute non solo somaticamente ma anche psicologicamente, ma sono unidimensionali ed i descrittori verbali usati per esse sono stereotipati,
4) operazionale concreto: viene abbozzata una consapevolezza rudimentale di un insieme misto di emozioni ed il soggetto è parzialmente in grado di descrivere stati emotivi complessi e differenziati come parti delle proprie esperienze soggettive,
5) operazionale formale: piena consapevolezza dell'insieme complesso di emozioni, capacità di operare distinzioni più raffinate fra varie sfumature emotive e di comprendere
l'esperienza emozionale complessa negli altri. L'alexithymia potrebbe costituire un arresto evolutivo nella fase di passaggio di tipo pre-operazionale, ossia in quella fase dello sviluppo psicologico in cui la consapevolezza degli affetti non è sfumata ed articolata ma assume le emozioni in modo unidimensionale con caratteristiche esperienziali rigide e dicotomizzate.
11. Alexithymia e disregolazione affettiva
Elaborata all'interno di una cornice teorica unitaria come quella fornita dal modello evolutivo di Lane e Schwartz o dal modello cognitivo-affettivo di Wilma
Bucci, l'alexithymia viene oggi concepita come una dimensione di personalità di predisposizione ai disturbi della regolazione affettiva.
Il concetto di regolazione affettiva non indica semplicemente il controllo delle emozioni ma la capacità di tollerare affetti negativi (noia, vuoto, perdita, angoscia, depressione, irritabilità, rabbia) intensi e/o prolungati bilanciandoli con affetti di tono positivo in modo autonomo, ossia senza ricorrere ad oggetti esterni o acting comportamentali (desideri suicidi, automutilazioni, uso di sostanze, somatizzazione, disturbi
dell'alimentazione, disorganizzazione comportamentale, ecc). Implica quindi l'attivazione di vari sistemi reciprocamente interconnessi di elaborazione della risposta affettiva, nelle sue componenti biologiche (neuro-fisiologiche e motorie) e psicologiche (vissuti ed elaborazioni cognitive). Riguarda, inoltre, una dimensione intersoggettiva poiché le relazioni con gli altri forniscono una regolazione interpersonale degli affetti in senso positivo (ad es. induzione di calma e rilassamento) o negativo (perdita, aggressività, tensione).
I disturbi della regolazione affettiva si riferiscono quindi a tutte quelle condizioni cliniche in cui
l'individuo non è in grado di utilizzare gli affetti come sistemi motivazionali e di informazione in relazione ai propri stati emotivi ed al rapporto con gli altri.
12. Prevalenza dell'alexithymia nella clinica
Dalla letteratura emergono due tipi di verifica per l'ipotesi che lega il costrutto di alexithymia a quello di disregolazione affettiva. Il primo proviene dagli studi di prevalenza. Dai dati pubblicati fino ad oggi con le scale di Toronto, è evidente che ci sono due gruppi di patologie in cui
l'alexithymia è maggiormente prevalente. Tagliando il grafico dei tassi di prevalenza al 40% di frequenza di alessitimici positivi, emergono nettamente due gruppi. Al di sotto del 40% ci sono disturbi nevrotici (fobici, ossessivo-compulsivi e sessuali) e psicosomatici classici (disturbi cardiovascolari, binge eating, artrite reumatoide, colite ulcerosa e neurodermatiti). Al di sopra troviamo invece disturbi psichiatrici (depressione maggiore, tentativo di suicidio, abuso sessuale, PTSD, disturbi del comportamento alimentare, disturbi dissociativi e di panico) e somatici (cancro della cervice uterina, dolore cronico, ipertensione, utilizzatori frequenti di servizi medici e disturbi funzionali gastrointestinali), ossia disturbi nosologicamente multipli ma accomunati dalla difficoltà individuale di regolare gli affetti mediante strutture cognitive o funzioni di mentalizzazione.
13. Alexithymia e studi di brain imaging
Il secondo tipo di verifica è dato da studi di neuroimaging. Ad oggi sono state avanzate 3 ipotesi neurobiologiche esplicative
dell'alexithymia, tutte coerenti con il modello della disregolazione degli affetti poiché coinvolgono le medesime aree e funzioni cerebrali implicate nella regolazione delle emozioni. Le prime due ipotesi riguardano la specializzazione emisferica, la seconda le relazioni tra aree corticali.
Secondo la prima ipotesi, l'alexithymia è dovuta ad un deficit di integrazione della comunicazione
inter-emisferica. Nella seconda ipotesi, strettamente connessa alla prima,
l'alexithymia è dovuta ad una disfunzione dell'emisfero destro. Gli studi che hanno esaminato questi aspetti hanno utilizzato stimoli come la localizzazione tattile delle dita, i movimenti oculari laterali coniugati e il riconoscimento di stimoli emotivi. Gli studi hanno dimostrato che, rispetto ai controlli, i soggetti alessitimici:
- hanno ottenuto punteggi più bassi di localizzazione delle dita mediante l'altra mano (Zeitlin et al, 1989; Parker et al, 1999),
- maggiore movimenti oculari coniugati verso destra (Parker et al, 1992),
- punteggio più basso di riconoscimento delle emozioni facciali (Parker et al, 1993; Lane et al, 1996).
Secondo la terza ipotesi, il problema non riguarda la specializzazione emisferica ma la
disregolazione della corteccia prefrontale e delle regioni delle aree anteriori (in primo luogo, la corteccia anteriore del cingolo) nel corso della valutazione degli stimoli
emozionali. Alcuni studi hanno evidenziato che, rispetto ai controlli, i soggetti alessitimici hanno:
- una ridotta attività della corteccia cingolata anteriore valutata con la PET quando esposti a film con sequenze connotate emotivamente (Lane et al, 1998),
- una ridotta attività delle regioni cerebrali anteriori e medio-frontali valutati con la fMRI quando esposti ad immagini connotate emotivamente (Berthoz et al, 2002),
- una ridotta attività della corteccia medio-frontale dell'emisfero destro mediante
l'analisi del flusso ematico cerebrale (rCBF) (Kano et al, 2003),
- una disregolazione delle regioni corticali anteriori nelle primissime fasi
dell'elaborazione degli stimoli emotivi (studio della sincronizzazione delle onde theta con EEG) (Aftanas et al, 2003).
A seguito di queste ricerche, Lane e collaboratori (1997) hanno definito l'alexithymia come
l'equivalente emozionale della cecità cerebrale (blindfeel model).
Bisogna naturalmente esprimere molta cautela nell'interpretare i risultati di brain imaging poiché a) sono studi di laboratorio e non in vivo, b) riguardano per la maggior parte soggetti volontari sani, c) sono studi di associazione che non dicono nulla né sulla natura delle associazioni né sulla direzione causale
dell'associazione.
14. Lo stato dell'arte sull'alexithymia
In conclusione, lo stato dell'arte sull'alexithymia può essere riassunto nei seguenti termini:
1. Vulnerabilità aspecifica.
Contrariamente a quanto si pensava inizialmente (ed a quanto molti continuano a pensare ancora oggi),
l'alexithymia non è una categoria psicopatologica associata specificamente alle malattie psicosomatiche ma una
dimensione di personalità che predispone aspecificamente a disturbi somatici e psichici della regolazione affettiva.
2. Dimensione di personalità della disregolazione affettiva.
L'alexithymia è quindi ritenuta un costrutto che abbraccia più sindromi classificate in modo discreto dal DSM-IV
nell'Asse I e nell'Asse II. Tali sindromi hanno sintomatologie diverse (e pertanto vengono rubricate sotto etichette diagnostiche diverse dal sistema classificatorio categoriale e basato sui sintomi del DSM-IV) ma la base comune nel deficit individuale di abilità
nell'auto-regolazione degli affetti (dai disturbi somatoformi a quelli ansioso-depressivi a quelli del comportamento alimentare
all'abuso di sostanze alle patologie funzionali con medically unexplained
symptoms). Tale ipotesi consente di spiegare la frequente sovrapposizione diagnostica fra disturbi differenti (che viene invece concepita tradizionalmente come comorbilità).
3. Deficit dello sviluppo del sé.
Coerentemente con le moderne teorie delle emozioni, l'alexithymia viene concepita come un arresto dello sviluppo che compromette
l'uso delle funzioni di mentalizzazione per auto-regolare le dinamiche affettive. Tale aspetto evolutivo consente di spiegare la similitudine con altri costrutti psicologici come la funzione riflessiva,
l'intelligenza emotiva e i disturbi dell'attaccamento.
4. Correlati neurobiologici.
Studi recenti che si avvalgono delle moderne tecnologie di brain imaging hanno consentito di avanzare interessanti ipotesi
sull'alexithymia. Soggetti alessitimici hanno evidenziato sia un problema di connessione inter-emisferica (e probabilmente iper-attività
dell'emisfero destro) che la disregolazione delle aree prefrontali ed anteriori, soprattutto a carico della corteccia anteriore del cingolo. Si tratta di studi pionieristici, difficili da implementare e interpretare, e sono soprattutto studi di associazione. La strada lungo questa direzione di ricerca è ancora tutta aperta ed estremamente interessante, considerate le connessioni fra funzionamento cerebrale e sistema immunitario e disturbi
dell'umore.
5. Necessità di una valutazione multi-metodo dell'alexithymia.
I risultati maggiori sull'alexithymia sono stati ottenuti in tutto il mondo con le scale di Toronto, considerate gold standard del settore. Tuttavia ci sono numerosi problemi concettuali e metodologici
nell'uso delle scale self-report di Toronto e vari gruppi di ricerca (compreso quello di Taylor e Bagby) sono al lavoro per elaborare nuovi strumenti di misura, principalmente scale di etero-valutazione. Sicuramente ci saranno molte novità su questo versante nel prossimo futuro.
6. Trattamento dell'alexithymia.
E' la grande incognita. Non si sa se e come si possono trattare i pazienti alessitimici. Fino ad oggi vi sono esperienze e casi clinici sparsi da cui emerge che trattare un paziente alessitimico, indipendentemente dalla sintomatologia, è un compito molto arduo sia per la scarsa capacità di elaborazione mentale che per i sentimenti contro-transferali di noia indotti nel terapeuta. Non vi sono studi controllati però sul trattamento.
L'unico studio pubblicato è di un'autrice lituana ed ha mostrato gli effetti positivi della psicoterapia di gruppo in alcuni pazienti post-infartuati (Beresnevaite, 2000).
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Piero Porcelli
Servizio di Psicodiagnostica e Psicoterapia
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